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www.ildialogo.org ISRAELE E LA CATASTROFE. L’atto di pirateria contro il convoglio navale umanitario è figlio di una cecità psicopatologica. Una nota di Moni Ovadia,a cura di Federico La Sala

FUORI DAL GHETTO, ISRAELE! Ascoltare Freud! Fare pace con Sigmund Freud ...
ISRAELE E LA CATASTROFE. L’atto di pirateria contro il convoglio navale umanitario è figlio di una cecità psicopatologica. Una nota di Moni Ovadia

(...) Di cosa parliamo? Dell’asfissia economica di Gaza e della ultraquarantennale occupazione militare delle terre palestinesi, segnata da una colonizzazione perversa ed espansiva che mira a sottrarre spazi esistenziali ad un popolo intero (...)


a cura di Federico La Sala

Verso la catastrofe

di Moni Ovadia *

Era inevitabile che accadesse. L’insensato atto di pirateria militare israeliano contro il convoglio navale umanitario con la sua tragica messe di morti e di feriti non è un fatale incidente, è figlio di una cecità psicopatologica, della illogica assenza di iniziativa politica di un governo reazionario che sa solo peggiorare con accanimento l’iniquo devastante status quo. Di cosa parliamo? Dell’asfissia economica di Gaza e della ultraquarantennale occupazione militare delle terre palestinesi, segnata da una colonizzazione perversa ed espansiva che mira a sottrarre spazi esistenziali ad un popolo intero.

Dopo la stagione di Oslo, il sacrificio della vita di Rabin, non c’è più stata da parte israeliana nessuna vera volontà di raggiungere una pace duratura basata sul riconoscimento del diritti del popolo palestinese sulla base della soluzione due popoli due stati. Le varie Camp David, Wye Plantation, Road Map sono state caratterizzate da velleitarismo, tattiche dilatorie e propaganda allo scopo di fare fallire ogni accordo autentico. Anche il ritiro da Gaza non è stato un passo verso la pace ma un piano ben riuscito per spezzare il fronte politico palestinese e rendere inattuabili trattative efficaci. Abu Mazen l’interlocutore credibile che i governanti israeliani stessi dicevano di attendere con speranza è stato umiliato con tutti i mezzi, la sua autorità completamente delegittimata.

L’Autorità Nazionale Palestinese è stata la foglia di fico dietro alla quale sottoporre i palestinesi reali e soprattutto donne, vecchi e bambini ad una interminabile vessazione nella prigione a cielo aperto della Cisgiordania e nella gabbia di Gaza resa tale da un atto di belligeranza che si chiama assedio. Ma soprattutto l’attuale classe politica israeliana brilla per assenza di qualsiasi progettualità che non sia la propria autoperpetuazione.

È riuscita nell’intento di annullare l’idea stessa di opposizione grazie anche ad utili idioti come l’ambiziosissimo “laburista” Ehud Barak che per una poltrona siede fianco a fianco del razzista Avigdor Lieberman. Questi politici tengono sotto ricatto la comunità internazionale contrabbandando la menzogna grottesca che ciò che è fatto contro la popolazione civile palestinese garantisca la sicurezza agli Israeliani e a loro volta sono tenuti sotto ricatto dal nazionalismo religioso di stampo fascista delle frange più fanatiche del movimento dei coloni, una vera bomba ad orologeria per il futuro dello stato di Israele.

La maggioranza dell’opinione pubblica sembra narcotizzata al punto da non vedere più i vicini palestinesi come esseri umani, ma come fastidioso problema, nella speranza che prima o poi si risolva da solo con una “autosparizione” provocata da una vita miserrima e senza sbocco. Le voci coraggiose dei giusti non trovano ascolto e anche i più ragionevoli appelli interni ed esterni come quello di Jcall, vengono bollati dai falchi dentro e fuori i confini con l’infame epiteto di antisemiti o antiisraeliani. Se questo stato di cose si prolunga ancora il suo esito non può essere che una catastrofe.

* l’Unità, 01 giugno 2010

 

 ----

Sul tema, in rete, si cfr.:

SIGMUND FREUD E LA LEGGE DELL’"UNO", DEL "PADRE NOSTRO". IL ‘LUPO’ HOBBESIANO, L’ ‘AGNELLO’ CATTOLICO, E “L’UOMO MOSE’ E LA RELIGIONE MONOTEISTICA”. Indicazioni per una rilettura

LO STATO DEL FARAONE, LO STATO DI MINORITA’, E IMMANUEL KANT "ALLA BERLINA"! DOPO AUSCHWITZ. ... "LEZIONE SU KANT" A GERUSALEMME: PARLA "PILATO", IL SUDDITO DELL’"IMPERATORE-DIO".  

Palestina, Israele e la rinascita della lingua ebraica.... 
“Tante parole nuove dovranno essere inventate, e quando l’Ebraico non basterà, la lingua araba, sorella della nostra, ci fornirà i suoi suggerimenti. Che cos’è infatti un amico, se non quello che ti offre la parola mancante?” Memoria di ELIEZER BEN-YEHUDA

GERUSALEMME E LA SFIDA DI NETANYAHU. Un modo di dare "a Hitler vittorie postume" (Emil L. Fackenheim)



Martedì 01 Giugno,2010 Ore: 09:52
 
 
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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 01/6/2010 10.11
Titolo:Il dramma al largo di Gaza è devastante per Israele e favorisce i suoi avversari...
GAZA

L'ossessione di un Paese

Il dramma al largo di Gaza è devastante per Israele e favorisce i suoi avversari. Tra chi ha segnato punti a proprio vantaggio, in queste ore, c'è anche l'Iran di Ahmadinejad

di BERNARDO VALLI *



IL SANGUINOSO arrembaggio alle navi dei pacifisti dirette a Gaza non può che avere conseguenze politiche devastanti per chi l'ha promosso, quindi per Israele. Commentatori israeliani avveduti avevano già definito "stupido", alla vigilia del dramma, l'atteggiamento intransigente, minaccioso, insomma eccessivo, delle autorità politiche e militari di Gerusalemme nei confronti della "Flotta della pace". Quasi fosse un'armada nelle acque del Mediterraneo pronta a sfidare lo Stato ebraico. E quasi fosse capace di comprometterne sia la sicurezza sia l'onore. Insomma come se fosse un convoglio di terroristi. Certo, la spedizione pacifista sfidava l'embargo imposto a Gaza e quindi si proponeva di infrangere i divieti israeliani. Ma non si affronta una manifestazione pacifista con un arrembaggio, armi alla mano, come se si trattasse appunto di sventare, prevenire un attacco di terroristi corsari. Terroristi corsari che, stando alle denunce di Gerusalemme, possedevano in tutto due rivoltelle (non mostrate), coltelli e sbarre di ferro, usate dai passeggeri quando sono stati sorpresi dal commando israeliano. Il convoglio della "Flotta della Pace" poteva essere bloccato in modo meno rischioso. Meno sanguinoso.

La società israeliana rispetta al suo interno le regole democratiche, applica di solito, sempre entro i suoi confini, metodi civili per affrontare le proteste disarmate, ma quando agisce fuori dalle sue legittime frontiere il governo israeliano e le sue forze armate non ne tengono sempre conto. L'ossessione della sicurezza, in parte giustificata dalla storia dello Stato ebraico e dalla situazione in cui si trova, conduce a eccessi e abusi che l'opinione internazionale, compresa quella favorevole, rifiuta o stenta ad accettare. L'arrembaggio a navi disarmate nelle acque internazionali, che si è concluso con morti e feriti, è uno di questi eccessi. Lo è al di là dei dettagli che le invocate e più o meno attendibili inchieste accerteranno.

Il dramma al largo di Gaza è devastante per Israele e favorisce i suoi avversari. Né il ministro della difesa Ehud Barak, un laburista, che ha certamente studiato e approvato l'operazione, né il primo ministro Benjamin Netanyahu, un falco che quando vuole sa essere pragmatico, avevano previsto le conseguenze di un'azione tanto carica di rischi. Entrambi hanno offerto un'occasione insperata al principale nemico di Israele, in campo palestinese. Hamas in queste ore trionfa. Le piazze arabe si riempiono per manifestare in suo favore e contro Israele. Non solo. Nella Cisgiordania occupata, dove da tempo l'Olp collabora con gli israeliani nel dare la caccia alla gente di Hamas, sono stati decretati tre giorni di lutto e si manifesta in favore di Gaza. Gli integralisti esultano. In quanto ai negoziati indiretti tra l'Olp e Israele ci vorrà del tempo prima di riparlarne. Dopo il dramma al largo di Gaza, Mahmud Abbas, presidente dell'Autorità palestinese, e il suo primo ministro, Salam Fayed, non sono certo disponibili per un dialogo. In queste ore è come se il loro avversario, Ismail Haniyeh, leader di Hamas a Gaza, avesse vinto una battaglia.

La prima nave ad essere attaccata dai commandos israeliani esponeva sulle fiancate un'enorme bandiera turca accanto a quella palestinese. E gli uccisi durante l'arrembaggio erano quasi tutti turchi. Questo non fa che peggiorare i già cattivi rapporti tra Istanbul e Gerusalemme. Da due anni ormai l'alleanza strategica, politica e militare, tra i due Paesi è entrata in crisi. Israele e Turchia sono le due potenze mediorientali più legate agli Stati Uniti. Nel '96 hanno firmato un accordo di cooperazione militare con grande soddisfazione degli americani. Il vincolo tra la Turchia, vecchio pilastro della Nato, e Israele, alleato irrinunciabile, appariva ai loro occhi prezioso. E lo era. Ma dopo l'operazione israeliana a Gaza, alla fine del 2008, l'amicizia israelo - turca si è trasformata in un'ostilità (finora verbale) sempre più aspra. Istanbul ha condannato l'intervento israeliano e le dichiarazioni critiche di Recep Tayyip Erdogan, alla testa di un governo islamo - conservatore, si sono moltiplicate, fino ad affermare che lo Stato ebraico è "la principale minaccia per la pace" in Medio Oriente. La tensione si è poi accentuata, quando la Turchia (insieme al Brasile) ha concluso con l'Iran un accordo sul problema nucleare. Erdogan è cosi diventato il paladino dei palestinesi e un interlocutore privilegiato dell'Iran. Insomma, un amico degli avversari di Israele. I turchi uccisi dagli israeliani al largo di Gaza potrebbero condurre, col tempo, anche a un rottura dei rapporti diplomatici.

Per Barak Obama è un disastro assistere al divorzio politico e militare dei suoi due (sia pur difficili) alleati in Medio Oriente. Come è un disastro in queste ore assistere alla vampata anti-israeliana nelle capitali arabe. Si era quasi creata obiettivamente un'intesa tra i Paesi sunniti (in particolare l'Arabia Saudita e l'Egitto) e Israele in funzione anti iraniana. Un'intesa tacita, non confessabile, ma implicita, perché basata su un comun denominatore: l'ostilità nei confronti di Teheran. Gli arabi sunniti sono ossessionati dall'influenza dell'Iran sciita; gli israeliani dalla minaccia nucleare iraniana. Nel tentativo di disinnescare quest'ultima, vale a dire la minaccia nucleare iraniana, la diplomazia americana si aggirava nel labirinto mediorientale con fatica. Un accordo israelo - palestinese, o perlomeno la ripresa di un vero dialogo, poteva rappresentare un avvenimento propiziatorio. La ventata anti-israeliana, provocata nella regione dal sanguinoso arrembaggio al largo di Gaza, rende le cose più difficili. Quel che è anti-israeliano in Medio Oriente assume spesso, per riflesso condizionato, accenti anti-americani. Tra chi ha segnato punti a proprio vantaggio in queste ore, c'è anche l'Iran di Ahmadinejad, protettore di Gaza e nemico di Israele.

* la Repubblica, 01 giugno 2010
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 01/6/2010 10.30
Titolo:Questa folle operazione rivela fino a che punto è arrivato Israele...
{{La condanna della marionetta}}

di {{David Grossman}} (la Repubblica, 01. 06. 2010)


Nessuna spiegazione può giustificare o mascherare il crimine commesso da Israele e nessun
pretesto può motivare l'idiozia del suo governo e del suo esercito. Israele non ha inviato i suoi
soldati a uccidere civili a sangue freddo, in pratica era l'ultima cosa che voleva che accadesse,
eppure una piccola organizzazione turca, dall'ideologia fanatica e religiosa, ostile a Israele, ha
arruolato alcune centinaia di pacifisti ed è riuscita a fare cadere lo Stato ebraico in una trappola
proprio perché sapeva come avrebbe reagito e fino a che punto era condannato, come una
marionetta, a fare ciò che ha fatto.


Quanto deve sentirsi insicura, confusa e spaventata una nazione per comportarsi come ha fatto
Israele! Ricorrendo a un uso esagerato della forza (malgrado aspirasse a limitare la portata della
reazione dei presenti sulla nave) ha ucciso e ferito civili al di fuori delle proprie acque territoriali
comportandosi come una masnada di pirati. È chiaro che queste mie parole non esprimono
assolutamente consenso alle motivazioni, nascoste o evidenti – e talvolta malvagie – di alcuni dei
partecipanti al convoglio diretto a Gaza. Non tutti sono pacifisti animati da intenzioni umanitarie e
le dichiarazioni di alcuni di loro riguardanti la distruzione dello stato di Israele sono infami. Ma
tutto questo ora è irrilevante: queste opinioni non prevedono, per quanto si sappia, la pena di morte.


L'azione compiuta da Israele ieri sera non è che la continuazione del prolungato e ignobile blocco
alla striscia di Gaza, il quale, a sua volta, non è che il prosieguo naturale dell'approccio aggressivo e
arrogante del governo israeliano, pronto a rendere impossibile la vita di un milione e mezzo di
innocenti nella striscia di Gaza pur di ottenere la liberazione di un unico soldato tenuto prigioniero,
per quanto caro e amato. Il blocco è anche la continuazione naturale di una linea politica fossilizzata
e goffa che a ogni bivio decisionale e ogni qualvolta servono cervello, sensibilità e creatività,
ricorre a una forza enorme, esagerata, come se questa fosse l'unica scelta possibile.


E in qualche modo tutte queste stoltezze – compresa l'operazione assurda e letale di ieri notte –
sembrano far parte di un processo di corruzione che si fa sempre più diffuso in Israele. Si ha la
sensazione che le strutture governative siano unte, guaste. Che forse, a causa dell'ansia provocata
dalle loro azioni, dai loro errori negli ultimi decenni, dalla disperazione di sciogliere un nodo
sempre più intricato, queste strutture divengano sempre più fossilizzate, sempre più refrattarie alle
sfide di una realtà complessa e delicata, che perdano la freschezza, l'originalità e la creatività che un
tempo le caratterizzavano, che caratterizzavano tutto Israele.

Il blocco della striscia di Gaza è
fallito. È fallito già da quattro anni. Non solo tale blocco è immorale, non è nemmeno efficace, non
fa che peggiorare la situazione, come abbiamo potuto constatare in queste ore, e danneggia
gravemente anche Israele. I crimini dei leader di Hamas che tengono in ostaggio Gilad Shalit da
quattro anni a questa parte senza che abbia ricevuto nemmeno una visita dai rappresentanti della
Croce Rossa, che hanno lanciato migliaia di razzi verso i centri abitati israeliani, vanno affrontati
per vie legali, con ogni mezzo giuridico a disposizione di uno stato. Il prolungato isolamento di una
popolazione civile non è uno di questi mezzi. Vorrei poter credere che il trauma per la sconsiderata
azione di ieri ci porti a riesaminare tutta questa idea del blocco e a liberare finalmente i palestinesi
dalla loro sofferenza e Israele da questa macchia. Ma la nostra esperienza in questa regione
sciagurata ci insegna che accadrà invece il contrario: che i meccanismi della violenza, della
rappresaglia e il cerchio della vendetta e dell'odio ieri hanno ricominciato a girare e ancora non
possiamo immaginare con quale forza.


Ma più di ogni altra cosa questa folle operazione rivela fino a che punto è arrivato Israele. Non vale
la pena di sprecare parole. Chi ha occhi per vedere capisce e sente. Non c'è dubbio che entro poche
ore ci sarà chi si affretterà a trasformare il senso di colpa (naturale e giustificato) di molti israeliani,
in vocianti accuse a tutto il mondo.
Con la vergogna, comunque, faremo un po' più fatica a venire a patti.

-Traduzione dall'ebraico di A. Shomroni
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 01/6/2010 21.06
Titolo:intervista a Shulamit Aloni: «È un crimine, israeliani ribelliamoci»
intervista a Shulamit Aloni

«È un crimine, israeliani ribelliamoci»

a cura di Umberto De Giovannangeli (l’Unità, 01.06.2010)

«Ciò che è avvenuto può definirsi con una sola parola: massacro. Da israeliana mi ribello contro questo atto sanguinario che non può avere alcuna giustificazione. Ciò che è avvenuto è il frutto di una campagna di demonizzazione orchestrata da chi oggi governa Israele. Chi ha dato l’ordine di fermare con ogni mezzo le navi della pace dirette a Gaza ha armato la mano dei nostri soldati. Per questo andrebbe perseguito dalla Giustizia internazionale». A sostenerlo è Shulamit Aloni, fondatrice di «Peace Now», figura storica del movimento per la pace israeliano, più volte ministra nei governi guidati da Yitzhak Rabin e Shimon Peres.

«Quelle navi - sottolinea Aloni - non trasportavano armi ma aiuti umanitari per una popolazione, quella di Gaza, sottoposta da anni ad una punizione collettiva contraria alle norme del diritto internazionale e di quello umanitario. Con questo massacro, il mio Paese, quello per cui ho combattuto, ha mostrato di sé il volto peggiore: il volto dell’arroganza, dell’uso spropositato della forza. È una macchia che resterà nel tempo. E per cancellarla non sarà sufficiente la condanna internazionale. Occorre che dall’interno della società israeliana si levino immediatamente le voci di protesta. Occorre una rivolta morale contro chi sta attentando non solo alla pace in Medio Oriente, ma sta minando le basi stesse della nostra democrazia. Perché un Paese che giustifica massacri come questo, è un Paese che condanna se stesso a una brutta fine».

Il vice ministro degli Esteri israeliano, Dany Ayalon, e successivamente il ministro della Difesa, Ehud Barak, e in ultimo il primo ministro Benjamin Netanyahu, hanno affermato che lo scopo degli organizzatori della flottiglia non era di portare aiuti umanitari a Gaza ma di attuare una «deliberata provocazione» ai danni di Israele.

«Sono parole di una gravità inaudita, di chi prova a difendere l’indifendibile. E comportandosi in questo modo non fa che alimentare la rabbia e l’indignazione nel mondo per il massacro che è stato perpetrato. Niente può giustificare l’aver trasformato il ponte di una nave in un campo di battaglia. Chi ha deciso quello spiegamento di forze, chi ha orchestrato una campagna di demonizzazione contro quei pacifisti, voleva impartire una “lezione”. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: quel sangue versato è una macchia indelebile, una pagina terribile nella storia del mio Paese».

Insisto: le autorità israeliano hanno ha spiegato che sulla nave abbordata sono state trovate due pistole...

«E per due pistole si consuma un massacro? Qui siamo di fronte a qualcosa di ben più grave di un eccesso di difesa. Siamo di fronte a un crimine. E le responsabilità sono di coloro che hanno impartito l’ordine di fermare con ogni mezzo quelle navi. E ogni mezzo è stato usato. La flotta è stata peraltro intercettata e attaccata in acque internazionali. E’ come se si fosse voluto riaffermare che Israele è al di sopra della legalità internazionale, con una indiscutibile e indiscussa libertà di manovra. Ma chi pensa di godere di una impunità assoluta è un pericolo per tutti».

In Turchia è esplosa la rabbia contro Israele...

«Non solo in Turchia. Questo massacro alimenterà l’odio verso Israele, rafforzando i gruppi integralisti e indebolendo quanti nel mondo arabo e tra i palestinesi continuano a credere nel dialogo e a battersi per una pace giusta, tra pari. Ma i falchi che oggi governano Israele stanno facendo di tutto per chiudere ogni spiraglio di dialogo. Il massacro di oggi (ieri, ndr) va in questa direzione».

I riflettori sono tornati ad accendersi su Gaza. Israele giustifica il blocco della Striscia come difesa da Hamas...

«Il blocco non ha indebolito Hamas, come non l’hanno indebolita le uccisioni di molti dei suoi leader. Il blocco ha accresciuto la sofferenza della popolazione della Striscia, trasformando Gaza in una enorme prigione a cielo aperto. Chi assalta le navi, chi opprime un altro popolo, chi persegue la colonizzazione dei Territori palestinesi occupati, coltiva l’illusione che la sicurezza d’Israele possa reggersi sulla forza delle armi. Ma questa è una illusione che sta producendo disastri e altri ne provocherà ancora se il mondo non farà sentire la sua voce di protesta. A cui deve unirsi l’Israele che non accetta di essere complice di questo crimine. È il momento di ribellarsi. Se non ora, quando?».

Oltre che nei Territori palestinesi la rabbia sta infiammando anche la comunità araba israeliana...

«Stiamo parlando di un milione di israeliani, che quel razzista di Lieberman (il ministro degli Esteri israeliano, ndr) considera feccia, che se fosse per lui trasferirebbe forzatamente nei Territori. Costoro hanno in mano il futuro d’Israele e della pace...C’è da esserne terrorizzati».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 02/6/2010 21.10
Titolo:Giorgio Agmben: «La morte è un maestro da Israele».
Fuga di morte

di Giorgio Agamben (il manifesto, 2 giugno 2010)

Molti ricordano i versi della poesia «Fuga di morte» in cui Paul Celan evocava nel 1952 lo
sterminio degli ebrei:
«La morte è un maestro dalla Germania / ti colpisce con palle di piombo e ti colpisce preciso». È
triste per chi, come me, è legato alla cultura ebraica, dover dire che oggi «La morte è un maestro da
Israele». Ed è tanto più triste, perché i soldati che hanno attaccato le navi dei pacifisti non soltanto
hanno agito come pirati in acque internazionali, ma soprattutto hanno agito come guardiani del
Lager in cui Israele ha trasformato la Palestina.

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