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www.ildialogo.org L'ITALIA: UNO STATO DI MINORITA'. RAPPORTO ISTAT 2010. ’Bamboccioni’ ultratrentenni triplicati dall’83. Oltre due milioni i NEET: non lavorano, non studiano, non si formano. Una sintesi di Rosaria Amato,a cura di Federico La Sala

POLITICA, ECONOMIA, E FILOSOFIA: IL BAVAGLIO, IL BAVAGLINO, E IL PAESE DEI BALOCCHI. Perché è necessario uccidere Kant ...
L'ITALIA: UNO STATO DI MINORITA'. RAPPORTO ISTAT 2010. ’Bamboccioni’ ultratrentenni triplicati dall’83. Oltre due milioni i NEET: non lavorano, non studiano, non si formano. Una sintesi di Rosaria Amato

Il Rapporto Annuale dell’Istat è dedicato quest’anno alla crisi, tema obbligatorio. L’analisi e i dati ripercorrono accuratamente debolezze e punti di forza del Paese, ma la categoria più penalizzata appare senza alcun dubbio quella dei giovani.


a cura di Federico La Sala

  RAPPORTO ISTAT

  La crisi si è abbattuta sui giovani 
  ’Bamboccioni’ ultratrentenni triplicati dall’83

La fascia che va dai 15 ai 29 anni è stata falcidiata dalla disoccupazione, avendo per lo più contratti atipici. Oltre due milioni i NEET: non lavorano, non studiano, non si formano. I padri aiutati dalla Cassa Integrazione, ma per quanto ancora?

di ROSARIA AMATO *

ROMA - Piombata da "una crescita asfittica e stentata", che nel decennio 2000-2009 ha prodotto un modestissimo aumento annuo dello 0,1 per cento, e dalla "crisi più profonda della storia economica recente", l’Italia ha già agganciato la ripresa nel primo trimestre di quest’anno, con il Pil a +0,5 per cento, ma porterà ancora a lungo i segni del disastro degli ultimi due anni. Soprattutto, li porteranno coloro che nei prossimi decenni dovrebbero reggere il peso di una società sempre più sbilanciata dalla parte degli anziani, i giovani, ricacciati nella disoccupazione, ’bamboccioni’ per forza, impotenti a prescindere dal titolo di studio.

Il Rapporto Annuale dell’Istat è dedicato quest’anno alla crisi, tema obbligatorio. L’analisi e i dati ripercorrono accuratamente debolezze e punti di forza del Paese, ma la categoria più penalizzata appare senza alcun dubbio quella dei giovani. Anche se emerge lo spettro di 300.000 padri di famiglia cassintegrati, destinati senza troppe illusioni a finire tra le file già ampliate a dismisura dei disoccupati. E ci sono naturalmente anche le donne, penalizzate più che mai, soprattutto se madri.

Il grado di penalizzazione, anzi, cresce con il numero dei figli, e in misura più che proporzionale: "Considerando le 25-54enni e assumendo come base le donne senza figli, la distanza nei tassi di occupazione è di quattro punti percentuali per quelle con un figlio, di 10 per quelle con due figli e di 22 punti per quelle di tre o più". E tuttavia per le donne il titolo di studio costituisce in molti casi ancora un’adeguata barriera alla disoccupazione e all’esclusione sociale: "Solo le laureate riescono a raggiungere i livelli europei". Questo non vale per i giovani: "Nessun titolo di studio sembra in grado di proteggere i giovani dall’impatto della crisi". La flessione dell’occupazione per chi ha un titolo di studio non superiore alla licenza media è particolarmente critica (-11,4 per cento), ma rimane rilevante anche per i diplomati (-6,9 per cento) e per i laureati (-5,2 per cento). Tanto che il tasso di disoccupazione giovanile in Italia (25,4 per cento) è più del triplo di quello totale (7,8 per cento) e più elevato di quello europeo (19,8 per cento).

Questo perché con la crisi sono state falcidiate le posizioni ’precarie’: i datori di lavoro si sono liberati rapidamente dei dipendenti con contratto a termine, o con contratti a progetto, o comunque atipici, i meno tutelati, e dunque i più giovani. Non è che i ’padri’ non abbiano sofferto: loro sono andati in cassa integrazione, nel 2009 sono stati 300.000 in più. Una misura che ha arginato in qualche misura l’impennata della disoccupazione, considerato che "in valore assoluto il livello di occupazione è sceso di circa un milione di entità tra l’inizio del 2008 e la fine del 2009", e che "quasi il 90 per cento dell’aumento dei disoccupati nel 2009 è dovuto a persone che hanno perso il posto di lavoro e gli ex occupati rappresentano nel complesso metà dell’intera platea dei disoccupati". Una misura provvisoria, e che nei prossimi mesi potrebbe mostrarsi drammaticamente insufficiente, considerata la "bassissima propensione delle imprese ad attivare nuovi posti di lavoro". "La presenza di un ampio bacino di lavoro non utilizzato - conclude l’Istat - prolungherà dunque gli effetti negativi della caduta dell’attività sul processo di creazione di posti di lavoro".

Soffriremo dunque ancora a lungo per le ripercussioni della crisi sull’occupazione. Il problema è che non possiamo permettercelo. I giovani dovrebbero essere impiegati, e dovrebbero anche guadagnare molto, visto che su di loro graverà un peso sempre maggiore. Questo lo scenario che l’Istat definisce "verosimile" per i prossimi 40 anni: "Si prevede che il numero di figli per donna possa crescere fino a 1,58 nel 2050; la speranza di vita aumentare fino a raggiungere gli 84,5 anni per gli uomini e gli 89,5 per le donne; il numero dei giovani fino a 14 anni ridursi a 7,9 milioni (il 12,9 per cento della popolazione); la popolazione attiva contrarsi a 33,4 milioni (54,2 per cento) e quella degli over 64 salire a 20,3 milioni (da uno su cinque a uno su tre residenti nel 2050)". In sostanza, "l’indice di dipendenza degli anziani potrebbe raddoppiare".

I giovani di oggi, che saranno gli anziani di domani, però, non lavorano, non versano contributi, non vanno via di casa, non fanno nulla. La statistica ha coniato una sigla per definirli: Neet, significa not in education, employnment or training (non lavorano, non studiano, non si formano). I Neet nel 2009 erano arrivati a oltre due milioni, il 21,2 per cento dei 15-29enni. "Rimanere in casa con i genitori più a lungo che nel resto dell’Europa in Italia è sempre stato un costume diffuso", ricorda uno dei responsabili del Rapporto Istat, Linda Laura Sabbatini. Senonché nel 1983 la quota dei 18-34enni celibi nubili che viveva in famiglia era del 49 per cento, nel 2000 era arrivata al 60,2 per cento, attestandosi al 58,6 per cento del 2009.

Tra i 30-34enni quasi il 30 per cento vive ancora in famiglia, una quota triplicata dal 1983. Sono cambiate le motivazioni: nel 2003 la prima risposta a un’indagine Istat era quella di "permanenza scelta", adesso la prolungata convivenza dei figli con i genitori dipende soprattutto dai problemi economici (40,2 per cento) e dalla necessità di proseguire gli studi (34 per cento); solo per il 31,4 per cento si tratta di una libera scelta. Anche perché, persino quando accoglie, il mercato del lavoro è estremamente avaro con i giovani: quasi la metà dei sottinquadrati (occupati che svolgono una professione inferiore al livello di studio) sono giovani di 15-34 anni.

Fa da argine al disastro sociale la famiglia: i giovani rimasti disoccupati, rileva l’Istat, vivono per la stragrande maggioranza all’interno di famiglie che hanno due percettori di reddito. Ma cosa accadrà quando uno, o entrambi questi percettori di reddito rimarranno senza lavoro? Quando dalla cassa integrazione i ’padri di famiglia’ passeranno all’inevitabile disoccupazione, o, peggio ancora, all’inattività? La statistica definisce inattivi coloro che, nel periodo di riferimento dell’indagine, non hanno compiuto neanche un’azione di ricerca del lavoro. Sono coloro che hanno perso le speranze, o coloro, forse, che si sono definitivamente accontentati di un lavoro in nero. "Di fronte alle crescenti difficoltà di trovare un impiego, aumenta il senso di scoraggiamento degli individui, che rinunciano del tutto a cercare un lavoro - si legge nel Rapporto - In particolare aumenta la percentuale dei disoccupati di lunga durata che transitano verso l’inattività (dal 37 al 44 per cento). Nel 2009 gli inattivi sono aumentati più dei disoccupati, +329.000 unità".

La più diretta delle conseguenze del dilagare della disoccupazione è la caduta del reddito disponibile delle famiglie, che nel 2009 in Italia si è ridotto del 2,8 per cento, "mentre ha mantenuto una dinamica positiva in tutti gli altri grandi paesi europei". Siamo più poveri, ce ne siamo accorti. Sempre nel 2009, il potere d’acquisto ha subito una riduzione del 2,5 per cento. Però "l’indice di deprivazione", che misura quello di cui si privano individui e famiglie, è rimasto al 15,3 per cento tra il 2008 e il 2009: la spiegazione dell’Istat è che "il 60 per cento del totale delle famiglie che nel 2009 risultavano deprivate lo era già nel 2008". Insomma, la crisi ha colpito ancora una volta i più deboli. Ampliandone comunque la platea: tra il 2008 e il 2009 le famiglie "indifese nel far fronte a spese impreviste" sono passate dal 32 al 33,4 per cento, quelle in arretrato col pagamento di debiti diversi dal mutuo dal 10,5 al 13,6 per cento (tra quelle che hanno debiti) e quelle che si sono indebitate dal 14,8 al 16,4 per cento.

* la Repubblica, 26 maggio 2010


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Mercoledì 26 Maggio,2010 Ore: 13:23
 
 
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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 26/5/2010 15.43
Titolo:Chiara Saraceno. L’Italia «rischia di perdere una generazione» ...
Saraceno: perdiamo una generazione *

L’Italia «rischia di perdere una generazione», quella degli attuali giovani che più di altre fasce di età risentono della crisi e delle politiche. Altro che «bamboccioni», in questo contesto, «bisogna essere fortunati a nascere nella famiglia giusta». È il commento della sociologa Chiara Saraceno sui dati diffusi oggi dall’Istat che riguardano gli under 34 anni. Questa dei giovani, che vogliono uscire dalla casa di famiglia e non possono, che non riescono a trovare un lavoro, che hanno una istruzione inferiore ai colleghi europei, «è la vera emergenza del paese».

I «giovani più qualificati e che hanno alle spalle una famiglia agiata vanno all’estero, e comunque se la cavano. Tutti gli altri restano indietro. Purtroppo - ha aggiunto Saraceno - non vedo negli atti del governo, e neanche negli atteggiamenti delle opposizioni, la consapevolezza di questa emergenza. Si continua a parlare di ’bamboccionì, parola che aborro anche perchè penso che sia sempre meno vero che vogliano stare in questa condizione, ma non si fa niente per investire in capitale umano».

Anche il contesto - prosegue l’esperta di sociologia della famiglia - è difficile, «le risorse sono sempre di meno, il divario sociale sta aumentando. In realtà, bisogna essere fortunati a nascere nella famiglia giusta. Se gli incentivi alla formazione non si hanno in casa, anche a scuola è difficile averli». Per riequilibrare questa situazione veramente preoccupante «ci vogliono anni ma bisogna pur cominciare, subito», conclude Saraceno.

* l’Unità, 26 maggio 2010

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