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www.ildialogo.org La ricchezza misurata soltanto sul prodotto interno lordo è un disastro! Amartya Sen e l'idea di giustizia. Una presentazione di Bernardo Valli,a cura di Federico La Sala

ETICA ED ECONOMIA. AMARTYA SEN, IL "MADRE TERESA DELL’ECONOMIA"?! Non si prenda per caritatevole quel che è razionale!
La ricchezza misurata soltanto sul prodotto interno lordo è un disastro! Amartya Sen e l'idea di giustizia. Una presentazione di Bernardo Valli

(...)Egli gira, consapevole, le spalle alla tradizione di Hobbes, Rousseau, Locke e Kant, ripresa dall’amico John Rawls. E si iscrive, come precisa, in un’altra tradizione: quella di Adam Smith, Condorcet, Jeremy Bentham, Mary Wollstonecraft, Marx, o John Stuart Mill (...)


a cura di Federico La Sala

 La giustizia 
 Così Amartya sen ci insegna a pensare una società più equa

 

  È fondamentale considerare le possibilità effettive degli individui 
  La ricchezza non dice nulla sul benessere di un paese

  di Bernardo Valli (la Repubblica, 18.05.2010)

Amartya Sen si è seccato, anzi infuriato, quando un cronista del Guardian, pensando di fargli un complimento, lo ha definito "Madre Teresa dell’economia". Il paragone non calza, ha protestato con ragione. Anzitutto perché lui lo giudica, con spirito cavalleresco, irrispettoso nei confronti di Madre Teresa di Calcutta; e poi perché le attività di un economista, per quanto impegnative, non hanno nulla in comune con quelle di una religiosa che si sacrificava per il mondo dei poveri. Inoltre lui, ha aggiunto, ama i buoni vini e la buona tavola, insomma desidera campare nel migliore dei modi. Non nella sofferenza.

È vero, il cronista inglese ha scritto uno sproposito. Ma è altrettanto vero che dalle opere del professor Sen, senz’altro uno dei pensatori del nostro tempo, affiora, a volte esplode, un’umanità insolita, un’attenzione piuttosto rara per le calamità che affliggono gli abitanti della Terra, dalle carestie alla povertà, ed anche per il raggiungimento del benessere, non dall’esclusivo punto di vista economico. Di solito la gente della sua casta si esprime, nel migliore dei casi, con arida erudizione. Ma Amartya Sen non vuole che nei suoi scritti si prenda per caritatevole quel che è razionale. Una razionalità espressa con eleganza e, a tratti, non senza ironia. Il professor Sen è un umanista, qualifica che non si addice a tutti i cultori di scienze economiche. Sono ormai anni che le sue idee di economista-filosofo riscaldano i numeri della glaciale aritmetica attraverso i quali interpretiamo il mondo in cui viviamo.

Quando infuriava la tesi dello scontro di civiltà, tutt’altro che defunta, Sen disse che l’idea secondo la quale le persone possono essere classificate soltanto sulla base della religione o della cultura è una pericolosa fonte di conflitto potenziale. La convinzione implicita di una classificazione unica può incendiare il mondo intero. Questo, secondo Sen, non contrasta soltanto con il fatto che noi esseri umani siamo tutti più o meno uguali, ma anche con l’idea, molto più fondata, che siamo diversamente differenti. Se si considera l’umanità soltanto un insieme di religioni, o di civiltà o di culture, si ignorano le altre identità, legate alla classe sociale, al genere, alla professione, alla lingua, alla scienza, alla morale, alla politica, alle abitudini alimentari, agli interessi sportivi, ai gusti musicali, e ad altre cose ancora.

È stata un’impresa audace, per un economista, ridisegnare la figura dell’homo economicus, vale a dire il concetto utilizzato nella scuola neoclassica della teoria economica per modellare il comportamento umano. Insieme al pakistano Mahbub ul Haq, Amartya Sen ha creato per le Nazioni Unite un nuovo indicatore di sviluppo umano (Idh), basato sul principio che la ricchezza misurata soltanto sul prodotto interno lordo non rappresenta un punto di riferimento soddisfacente. È molto limitato. È un disastro. Gli indici della produzione o del commercio non dicono granché sulla libertà e sul benessere, che dipendono dall’organizzazione della società. Né l’economia di mercato né il funzionamento di una società sono processi che si regolano da soli. Hanno bisogno dell’intervento razionale dell’essere umano. La democrazia è fatta per questo: per discutere del mondo che vogliamo. Nel loro Idh, Amartya Sen e Mahbub ul Haq tengono conto di tanti dati, oltre a quelli economici: ad esempio della speranza di vita alla nascita, del tasso di alfabetismo degli adulti, dell’accesso all’educazione e all’assistenza sanitaria. E tra i criteri di misurazione è compresa la situazione della donna, la cui emancipazione è un elemento centrale per lo sviluppo di una società.

Nell’ultima opera (L’Idea di Giustizia, in uscita da Mondadori) si ritrova raccolto il pensiero disperso nei tanti altri scritti di Amartya Sen. Non a caso è dedicata a John Rawls, l’amico americano morto nel novembre 2002. John Rawls ha raggiunto una fama mondiale quando sull’onda delle agitazioni sociali degli anni Sessanta tentò una sintesi tra libertà e uguaglianza, esprimendo il concetto secondo il quale la democrazia liberale può essere giusta, può raggiungere la giustizia sociale. «La giustizia - diceva Rawls - è la prima virtù delle istituzioni sociali come la verità è quella dei sistemi del pensiero».

Amartya Sen rende omaggio a Rawls, riconosce, sottolinea che il suo pensiero è stato tra i più influenti del Ventesimo secolo, ma lo critica, contestando in larga parte Teoria della Giustizia, il libro di Rawls, apparso nel 1971. Il quale ha influenzato, forse più di qualsiasi altro testo del nostro tempo, la filosofia politica, l’etica, il diritto e le scienze sociali. Il pensiero dominante oggi, influenzato da Rawls, identifica dei dispositivi istituzionali giusti e ritenuti tali per qualsiasi società. Sen non è d’accordo. Invece di precisare quel che è giusto di per sé, cerca dei criteri che consentano di affermare se un’opzione è meno ingiusta di un’altra, stabilisce paragoni tra società, e cerca di determinare se una riforma sociale particolare crea giustizia o ingiustizia, nel contesto in cui viene applicata.

Insomma, per Amartya Sen, invece di concentrarsi sulla natura delle istituzioni, l’analisi della giustizia deve tener conto delle condizioni di vita delle persone. La condizione di un individuo, in termini di opportunità, è giudicata inferiore a quella di un altro se egli ha meno possibilità reali ("capability" parola chiave nel pensiero di Sen) di realizzare quello cui attribuisce valore, e meno libertà di usare i propri beni per scegliere un modo di vita.

Immaginiamo tre bambini e un flauto. Anna sostiene che il flauto le deve essere dato essendo lei la sola in grado di suonarlo. Bob basa la sua richiesta sul fatto che è povero e non ha altri giocattoli. Carla sul fatto che ha speso mesi per fabbricarlo. Come far giustizia di fronte a queste tre rivendicazioni? I partigiani delle teorie oggi dominanti (utilitarismo, egualitarismo, scuola libertaria) peroreranno ognuno per una soluzione diversa, riferendosi al valore che danno alla ricerca del libero, naturale sviluppo umano, all’eliminazione della povertà o al diritto di usufruire del prodotto del proprio lavoro.

Ma Amartya Sen fa notare che non c’è istituzione, né procedura capace di aiutarci a risolvere la controversia in un modo universalmente accettato come giusto. Per questo Sen si discosta dalle teorie sulla giustizia che tendono a definire le regole e i principi di istituzioni giuste in un mondo ideale. (Egli gira, consapevole, le spalle alla tradizione di Hobbes, Rousseau, Locke e Kant, ripresa dall’amico John Rawls. E si iscrive, come precisa, in un’altra tradizione: quella di Adam Smith, Condorcet, Jeremy Bentham, Mary Wollstonecraft, Marx, o John Stuart Mill).

Il Premio Nobel fu attribuito ad Amartya Sen (nel 1998) per avere introdotto la dimensione etica nella ricerca economica. La motivazione spinge a dare uno sguardo all’esistenza del settantasettenne indiano nato nel Bengala, a Santiniketan, nel campus universitario creato da Rabindranath Tagore. Là suo nonno insegnava il sanscrito e la civiltà indiana, e da quel campus Amartya Sen, figlio di un professore di chimica, è partito per un interminabile periplo che lo ha condotto, prima come studente e poi come professore, a Calcutta, al Trinity College di Cambridge, all’università di Delhi, alla London School of Economics, a Oxford, a Harvard, al Mit, a Stanford, a Berkeley.

Ma non è soltanto durante queste tappe prestigiose che è nata la sua idea di giustizia. Quando aveva dieci anni, nel 1943, il Bengala in cui viveva subì una carestia che fece più di un milione di vittime. E poi ha assistito alle violenze della partition tra l’India e il Pakistan. Ogni sei mesi il professor Sen abbandona i campus universitari occidentali, perché sente il bisogno di ritornare in India, terra che ha ispirato tante sue opere. Ed egli ha un legame particolare con l’Italia. Sua moglie, l’economista Eva Colorni, morta nel 1985, era figlia di Eugenio Colorni, il filosofo antifascista ucciso durante la resistenza, ed era cresciuta nella famiglia di Altiero Spinelli.

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SUL TEMA, IN RETE E NEL SITO, SI CFR.:

 DIO E’ VALORE ("CARITAS") E HA LA SUA LOGICA: "LE FEDI COME LE AZIENDE ASPIRANO AL MONOPOLIO". Una recensione di Paolo Mieli, del libro di Philippe Simonnot, "Il mercato di Dio. La matrice economica di ebraismo, cristianesimo, islam".

  CATTOLICESIMO-ROMANO: UN PLATONISMO PER IL POPOLO. Al di là della semantica e del paradigma degli affari e del dio - "caro-prezzo" ("caritas"). 
  LA TEOLOGIA DEL DIO "DENARO" DI BENEDETTO XVI ("Deus caritas est") E "QUEL CHE RESTA DI MARX".

 

 

 



Martedì 18 Maggio,2010 Ore: 13:30
 
 
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