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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org "STALKER" DI ANDREJ TARKOVSKIJ,di Paolo Arena

PRESENTAZIONE
"STALKER" DI ANDREJ TARKOVSKIJ

di Paolo Arena

[Ringraziamo Paolo Arena (per contatti:  paoloarena@fastwebnet.it) per questo saggio.
Paolo Arena fa parte della redazione di "Viterbo oltre il muro. Spazio di informazione nonviolenta", un'esperienza nata dagli incontri di formazione nonviolenta che si svolgono settimanalmente a Viterbo]

Stalker (Urss 1979). Diretto da: Andrej Tarkovskij. Scritto da: Andrej Tarkovskij, Arkadi Strugackij e Boris Strugackij (liberamente tratto dal racconto “Picnic sul ciglio della strada" di Boris e Arkadi Strugackij). Fotografia: Alexander Knyazhinsky. Con: Aleksandr Kaidanovskij, Alisa Freindlich, Anatolij Solonicyn, Nikolaj Grin'ko, Natasha Abramova
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Andrej Arsen'evic Tarkovskij (1932-1986) regista cinematografico e teatrale, scrittore, teorico del cinema. Autore di film di grande impatto estetico e spessore morale. Figlio del poeta Arsenij Aleksandrovic Tarkovskij.
La profonda riflessione e critica a cui chiama gli uomini gli causa dissidi col regime sovietico che lo portano prima ad avere problemi di liberta' di espressione ed infine all'esilio.
L'europa lo accoglie: gira “Nostalghia” in Toscana, “Sacrificio” nella svezia bergmaniana, a Londra mette in scena, con Claudio Abbado, il “Boris Godunov” di Musorgskij. A Venezia “L'infanzia di Ivan” riceve il Leone d'oro nel 1962, a Cannes e' premiato diverse volte.
Opere cinematografiche di Andrej Tarkovskij: Il rullo compressore e il violino (1961); L'infanzia di Ivan (1962); Andrej Rublev (1969); Solaris (1972); Lo specchio (1974); Stalker (1979); Nostalghia (1983); Sacrificio (1986).
Tra le opere critiche su Andrej Tarkovskij: Tullio Masoni, Paolo Vecchi, Andrej Tarkovskij, Il castoro cinema, Milano 1997, 2001.
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Dopo un evento avvolto nel mistero - la caduta di un meteorite, una visita di alieni o persino del divino - un luogo di un fatiscente paese pseudo-russo inizia a mutare. La natura, la realta' fisica e la stessa ragione iniziano a mutare in questo luogo detto la zona. Le persone non riescono a viverci, gli studiosi a comprenderla, i militari a sfruttarla. Recintata e messa in sicurezza, la zona resta vuota e misteriosa, piena di leggenda, inospitale e apparentemente dotata di una vita tutta propria. Gli stalker sono gli unici ad entrarci, e non senza pericolo. Uno di loro accetta di portare due persone fino ad una leggendaria stanza dove sembra che si avverino i desideri di chi la visita.
Le due persone sono un intellettuale che dice di cercare la sua ispirazione ed uno scienziato che si dichiara interessato alla conoscenza. Lo Scrittore, il Professore e lo Stalker: nella zona persino i nomi propri sembrano irrilevanti.
Lo Stalker porta le persone che hanno perso la speranza, quelle a cui non resta altro. Diviene la sua ragione di vita e ne trae come unica soddisfazione la profonda estasi che riceve all'interno della zona.
Tra le tante misteriose e mutevoli regole di questo luogo infatti c'e' quella che gli stalker non possono chiedere nulla per se stessi, altrimenti e' probabile che la soddisfazione ricevuta si ritorca contro di loro come nel caso di Porcospino, colui che ha insegnato allo Stalker tutto sulla zona, stalker anch'esso e suicidatosi per le tragiche conseguenze di un suo desiderio.
Lo Stalker potrebbe chiedere la felicita' per la sua famiglia, la salute per sua figlia mutante, una nuova vita in un luogo meno squallido di quello mostrato dalle meravigliose immagini in bianco e nero virato in seppia di una realta' disastrata e misera. Pero' e' cosi' sopraffatto dall'enigmatica potenza della zona che non lo fa, non cade in tentazione e gioisce nello sperare che le persone che lui accompagna, a rischio della prigione, della vita, della pazzia, diventino meno infelici. Cosi' lo sara' un po' meno anche lui.
All'interno della zona lo Scrittore ed il Professore faticano ad accettare la quantita' di regole non dette e di idiosincrasie dello Stalker, il suo continuo riferirsi a pericoli invisibili ed a prodigi al limite della magia, la sua irrequieta attesa della pace; lo seguono con disincanto e non si abbandonano al suo stesso trasporto.
Anche i loro desideri si rivelano essere altri: il Professore vuole avere successo accademico e distruggere la zona per il rischio che l'umanita' stolta e malvagia se ne impossessi e che uomini non dotti come lui ne sfruttino gli eventuali poteri; porta nascosta una piccola testata nucleare con cui farlo.
Lo Scrittore sembra quasi che voglia sfidare con l'intelletto questo oggetto di fede e provare a tutti i costi le sue ciniche idee sull'umanita', giustificando cosi' l'amarezza della sua vita materialista e misera.
Durante il viaggio le loro interiorita' vengono fuori, le loro convinzioni - quelle predominanti nel mondo - appaiono meschine e grevi. La stanza guardera' dentro di loro ed esaudira' i desideri piu' profondi, quelli che non si dicono e che spesso ci rappresentano in maniera sincera e brutale.
Nessuno dei due riuscira' ad entrare nella camera dei desideri. La possibilita' di essere messi a confronto col vuoto abissale delle proprie anime li atterrisce.
Lo Stalker si dispera, perche' essi non credono, non hanno speranza e non sono quindi capaci di abbandonarsi a qualcosa che vada oltre l'intelligibile. Non riescono a vedere se stessi o il mondo in maniera diversa, migliore. Fanno ritorno. Sono cambiati in qualche modo ma non come si aspettavano.
La desolazione della vita senza misteriosa estasi li ha di nuovo.
Resta il grigio del mondo decadente ed i colorati sprazzi di vita che coloro che sono stati toccati dalla zona - la figlia mutante - recano con se', come dono e maledizione.
Enigma, mistero, contemplazione, incanto, speranza sono parole chiave che possono instradare lo spettatore in una visione sempre personale e mai schematica di questo splendido film.
Non ci sono insegnamenti dogmatici, risposte, fatti evidenti. Si e' continuamente chiamati all'intensa riflessione in proprio oppure alla profonda esperienza estetica tra molteplici simboli e suggerimenti, messaggi misteriosi trasmessi attraverso la forma, il colore o la sostanza di cio' che si vede.
Tra i molti ed importanti segni l'acqua e' protagonista, morbida ma potente: avvolge e consuma come una memoria acida da cui affiorano ricordi di un umanita' decaduta ed arrogante che non ha saputo lasciarsi trascinare dalla sua placida corrente ma si e' ostinata a far barriere, a dare nomi, a costruire ed uccidere, credendosi padrona del mondo.
Spazi sommersi ricoperti di mucillagine, metalli incrostati - armi denaro attrezzature scientifiche, tolte dalle mani dell'uomo ed entrate a fare parte di questo inquietante fiume o bosco - costruzioni strumenti e veicoli reinventati dalla natura, resi muti, svelati nudi nella loro umana inutilita'. Non sembrano neanche piu' cose artificiali. Si direbbe che nella Zona la cultura sia di nuovo sopraffatta dalla natura.
Pochi movimenti di macchina, lunghe sequenze silenziose che mostrano lo stato d'animo dei protagonisti, inquadrature prolungate e penetranti di questa natura che si riappropria dello spazio post-umano in cui l'uomo non e' che un ospite neanche tanto gradito.
Spesso soffia un forte vento, l'acqua goccia, scorre, scroscia e precipita, pochi importanti dialoghi in cui non una sola parola e' sprecata, persa o perdibile: lo smarrimento degli uomini vi abita in maniera sempre piu' evidente mentre certezze e convinzioni vengo arbitrariamente negate da cio' che accade o potrebbe accadere nella zona.
La zona e' groviglio, deserto, campo di battaglia, cimitero, pozzo, labirinto, fiume o palude e solo un cinema non convenzionale poteva raccontarla come la intende Tarkovskij, cioe' non definendola e lasciando allo spettatore questo dovere affinche' anch'egli possa compiervi un viaggio - con tutti i significati rituali che questa parola comporta. Puo' un viaggio essere essere compiuto mediante l'abbandono al trasporto? Questa sembra essere una delle proposte di “Stalker”.
E' un cinema in cui “non succede niente” nel senso piu' elevato di sfida al canone filmico: il film mostra, propone, interroga senza presupporre che ci sia una sola risposta, una soluzione. Pur volgendo in un certo senso religioso lo fa senza forzature, senza specificare a cosa si debba credere, invitando ad una speranza generica che ognuno possa nominare come preferisce purche' abbia sempre come meta - piu' o meno raggiungibile ed in maniera piu' o meno tortuosa - la ricerca della felicita' o quanto meno della lotta all'infelicita'.
Al contrario di quello filosofico ed emotivo, il tempo cinematografico a volte e' cosi' rarefatto da poter ospitare degli importanti versi (di Arsenij Tarkovskij e di Fedor Ivanovic Tjutcev) che paradossalmente hanno la funzione di condensare profonde riflessioni in poche parole, per lasciare spazio all'immagine e tempo alla concentrazione.
Se quindi e' ancora possibile scorgere in “Stalker” i tratti tipici della narrazione non c'e' un vero climax tanto caro al cinema mainstream, un puntare dritto verso quella che chiamano catarsi, e che spesso si riduce sempre di piu' allo scontro col cattivo di turno.
Catarsi, quella parola abusata nelle scuole di cinema americane, torna finalmente al suo significato abituale di purificazione: aprirsi alla Zona purifica o almeno cambia profondamente, ma avviene in maniera continua e non con l'istantanea soppressione del pericolo/male: con la resa e non con l'azione. Sconvolgente considerando che si tratta di un'arte che fa della parola “azione” il suo principio fondante.
In questo il film e' compatto sia da un punto di vista visuale che contenutistico, non c'e' praticamente una fase di riscaldamento, un prologo: le cose importanti ci sono da subito e sono tutte collegate l'un l'altra, fondamentali.
Persino lo stacco cromatico all'ingresso nella zona non e' imprevedibile se si sono osservati con attenzione il mondo-grigio e la necessita' dello Stalker di tornare a bearsi - in senso mistico - nella zona.
Come visualizzare altrimenti qualcosa di cosi' potente e diverso? E' necessario dare un nome, una categoria ad uno sconvolgimento tanto sublime?
Anche la fine a questo punto e' improvvisa. Lo spettatore che ha avuto il coraggio di un'esperienza del genere ha bisogno di riflettere subito e certe considerazioni devono nascere a caldo. Solo il tempo per mostrare ancora una volta - con la figlia - il mistero che a volte permea, a volte colpisce, a volte marchia e che agli occhi velati di grigio e' castigo o peggio sfregio gratuito, ma quel colore cosi' desaturato e dolce leggermente acido che circonda la piccola Martiska descrive l'estasi piu' di mille forme o parole.
Quando poi tornati a casa la moglie dello Stalker rompe la cosiddetta quarta parete e confonde la nostra realta' con quella appena mostrata e' evidente il fatto che il film ci chiami ad una riflessione profonda ma alla portata di tutti e soprattutto personale e riferita solo alla nostra individualita'.
Pur sembrando questo rivolgersi a noi della donna disperata (quasi la morale di una favola) una fusione tra cinema e realta' e' possibile che sia l'esatto opposto: la definizione di finzione di quanto si e' appena vissuto e l'invito a proseguire la meditazione per conto proprio ma per il bene di tutti, a distinguere sempre tra ambizione personale e speranza, ad interrogarci su quando l'una sconfini nell'altra.
Ma e' un'introspezione che si fa specchio del mondo fuori di noi: questo legame e' indissolubile a questo punto del film.
Perche' a questo punto abbiamo realizzato che non c'e' vera speranza se non riferita alla collettivita' (al creato? All'universo?) di cui siamo solo una parte minima, non e' chiaro quanto unica e insostituibile, sta a noi deciderlo.
Abbiamo giusto il tempo di ricordare il testo di apertura del film, quell'accenno fantascientifico alla visita di alieni nella zona, alieni che non ci hanno degnato di alcuna attenzione come noi non degnamo di attenzione gli insetti quando facciamo un picnic sul ciglio della strada. Siamo partecipanti, non protagonisti: nel racconto dei fratelli Strugackij piu' genericamente nei confronti dell'altro-non-umano, e per Tarkovskij piu' specificamente nei confronti di qualcosa di sicuramente piu' grande e giusto.
Un film straordinario, in cui il movimento e l'immagine dominano sull'eredita' teatrale del dialogo, qui spesso disseminata e scomposta: affidata al fuori campo mentre ad essere inquadrato e' chi ascolta oppure astratta nelle geometrie assunte dai personaggi nei momenti di viaggio o di riposo circondati da questo misterioso frattale verde e grigio.
Come nello splendido battesimo finale all'esterno della stanza dei desideri, in cui in una serie di inquadrature concentriche la pioggia lava via la durezza dell'ultimo importante dialogo, fissa le ultime considerazioni a cui sono giunti i viaggiatori da entrambi i lati dello schermo e si fa di nuovo sudario sulla zona che si era finalmente svelata a cercatori cosi' disperati.

Articolo tratto da:
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 244 del 7 luglio 2010

Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it



Mercoledì 07 Luglio,2010 Ore: 16:09
 
 
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