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www.ildialogo.org «INAMMISSIBILE». LA CORTE COSTITUZIONALE RIGETTA IL RICORSO CONTRO LA LEGGE 194,di Adista Notizie n. 25 del 30/06/2012

«INAMMISSIBILE». LA CORTE COSTITUZIONALE RIGETTA IL RICORSO CONTRO LA LEGGE 194

di Adista Notizie n. 25 del 30/06/2012

36759. ROMA-ADISTA. Per ora l’ha spuntata, ma i continui attacchi alla 194, la legge su maternità e interruzione volontaria della gravidanza, mostrano che sulla questione, nel nostro Paese, non ci si può mai rilassare. L’ultima freccia è stata scagliata da un giudice di Spoleto chiamato a pronunciarsi sul caso di una minorenne che aveva manifestato la volontà di abortire senza coinvolgere i genitori nella sua decisione. Il giudice tutelare, il 3 gennaio scorso, ha sollevato eccezione di costituzionalità alla Consulta ritenendo che l’articolo 4 della 194 confliggesse con i principi generali della Costituzione ed in particolare con quelli della tutela dei diritti inviolabili dell’essere umano (art. 2) e del diritto fondamentale alla salute dell’individuo (art. 32). Nel rimettere la questione alla Consulta ha fatto leva, fra l’altro, su un pronunciamento dell’ottobre 2011 della Corte di giustizia europea: chiamata ad esprimersi sulla direttiva 98/44/Ce sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche e, in particolare, a dire se l’esclusione della brevettabilità dell’embrione umano riguardasse tutti gli stadi della vita a partire dalla fecondazione dell’ovulo o se dovessero essere soddisfatte altre condizioni (ad esempio il raggiungimento di un determinato stadio di sviluppo), aveva concluso che sin dalla fase della sua fecondazione qualsiasi ovulo umano deve essere considerato come un «embrione umano».

Interpretazioni che, benché espresse unicamente in merito alla brevettabilità dell’embrione umano, il giudice di Spoleto ha ritenuto di estendere al campo di applicazione della 194, concludendo, nel testo della sua ordinanza, che «l’“embrione umano” debba qualificarsi alla luce dell’intervenuta decisione europea come “essere” provvisto di una autonoma soggettività giuridica della cui tutela l’ordinamento deve farsi carico»; e che sembri «necessario porre d’ufficio la questione della compatibilità fra tale affermato principio e la facoltà prevista dall’art. 4 della legge n. 194/1978 di procedere volontariamente all’interruzione della gravidanza entro i primi novanta giorni dal concepimento: ciò comportando, come è ovvio, l’inevitabile risultato della distruzione di quell’embrione umano che, come si è visto, è stato riconosciuto quale soggetto da tutelarsi in modo assoluto nel diritto vivente della Corte europea».

Il 20 giugno scorso la Corte costituzionale ha respinto il ricorso come «manifestamente inammissibile» ,e immediata è stata la reazione. «Come in almeno altri 25 casi precedenti, anche questa volta la Corte ha accuratamente evitato di entrare nel merito», ha commentatoCarlo Casini, presidente del Movimento per la Vita. «È dal 1980 che la Corte Costituzionale riesce a non dirci, con espedienti procedurali vari, se l’aborto come disciplinato nei primi tre mesi di gravidanza è conforme alla Costituzione oppure no: così questioni che avrebbero potuto mettere in crisi la legge 194 sono rimaste in questi trent’anni senza risposta».

«La prevedibile pronuncia di inammissibilità – gli ha fatto eco Lucio Romano, presidente nazionale dell’Associazione Scienza & Vita – non limita l’impegno a tutelare la vita del concepito e a riconoscere il costituzionale diritto all’obiezione di coscienza che si tenta già di svilire in maniera strumentale e ideologica».

«Prendiamo atto, che per il nostro ordinamento giuridico, non tutte le vite degli esseri umani sono uguali», ha dichiarato Giancarlo Cerrelli, vice presidente dell’Unione Giuristi Cattolici italiani (Ugci). Non riconoscendo «pari dignità alla vita umana ancora nel grembo con quella già nata – ha proseguito – si è legittimata una vera e propria discriminazione a danno di quegli esseri umani innocenti e indifesi, di cui non si intende tener conto perché non hanno la possibilità di scendere in piazza per protestare e soprattutto, perché non sono titolari di elettorato attivo». «Ci appare chiaro sin da ora che per avallare un malinteso senso di libertà della donna, si sia consacrata l’uccisione ingiusta di esseri umani innocenti, che riteniamo siano i veri discriminati dal nostro ordinamento giuridico e dalla nostra società».

Di tutt’altro stampo la riflessione che Giambattista Scirè, ricercatore di storia contemporanea, autore del libro L’aborto in Italia. Storia di una legge (B. Mondadori 2008, v. Adista n. 120/09), ha affidato al suo blog sul sito de Linkiesta (8/6). «La cosa che viene spontaneo chiedersi in questi frangenti – scrive Scirè – è come si può pensare che nonostante il parere della diretta interessata», «qualcun altro, che sia lo Stato, la Chiesa, il giudice tutelare o il medico, possa decidere per lei. È un’idea aberrante, coercitiva, anti-democratica, solamente anche il poterla concepire. La visione che emerge da chi vuole rivedere l’impianto della legge 194, a partire dalla costituzionalità dell’art. 4, è che la donna sembra interessare non già in quanto persona autonoma e libera che decide, ma come strumento biologico. Cioè a dire, i valori preziosi della sua vita personale, delle sue scelte, delle sue difficoltà, dei suoi dubbi non hanno valore alcuno rispetto all’inesorabilità della macchina biologica di cui il suo corpo è sede, rispetto all’inalienabile salvaguardia di un embrione». «La verità, amara da dirsi – conclude Scirè – è che, dopo più di trent’anni dall’approvazione della legge, manca ed è sempre mancata, nei grandi partiti e nella Chiesa, ma più o meno consapevolmente in tutti noi, la volontà di rimeditare completamente il ruolo della donna e della famiglia nella nostra società. È su questo punto che, aborto o meno, si dovrebbe discutere». (ingrid colanicchia)

Articolo tratto da
ADISTA
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Mercoledì 27 Giugno,2012 Ore: 18:55
 
 
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