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www.ildialogo.org Europa(2)?,a cura di J.F. Padova

Europa(2)?

a cura di J.F. Padova

Ecco la seconda parte delle constatazioni sull'Unione Europea, uscite su "la Repubblica". Da “la Repubblica”, 6 e 10 giugno 2016 (J.F.Padova)
"Niente Costituzione": quella bocciatura che cambiò la storia dell'Europa
(afp)
Il fallimento della Carta che avrebbe garantito più potere a Bruxelles è probabilmente il più clamoroso fra gli errori che hanno fatto deragliare la Ue: ebbe origine in quel momento il vasto movimento populista che oggi mina la stabilità politica del Continente
di ANDREA BONANNI
06 giugno 2016
BRUXELLES - La più clamorosa bufala nella storia dell'Eurovisione è senza dubbio la trasmissione in diretta delle solenne cerimonia di firma della Costituzione europea. La scena è la sala degli Orazi e dei Curiazi in Campidoglio, a Roma. La data il 29 ottobre 2004. Venticinque capi di Stato e di Governo e altrettanti ministri degli Esteri si susseguono, armati di stilografica, al tavolo dove troneggia il librone composto di ben 448 articoli e 36 protocolli. Tra gli emozionati firmatari ci sono il cancelliere tedesco Gerhard Schroeder, il presidente francese Jacques Chirac, il premier italiano Silvio Berlusconi e il suo ministro degli Esteri, Franco Frattini. I solenni discorsi di occasione, ritrasmessi in diretta su tutto il continente, si sprecano.

Ma la Costituzione non entrerà mai in vigore. A bocciarla ci penseranno i francesi e gli olandesi in due referendum tra maggio e giugno 2005. A seppellire definitivamente una creatura che non avevano mai amato provvederanno britannici, polacchi e danesi sospendendo i loro, di referendum, e rendendo così impossibile la ratifica.

La bocciatura della Costituzione europea è, probabilmente, più importante della Costituzione stessa. I due referendum francese e olandese segnano infatti l'atto di nascita ufficiale di quel vasto movimento populista e anti-europeo che oggi minaccia la stabilità politica dell'intero Continente. Allora quella inedita coalizione di estrema destra nazionalista ed estrema sinistra anti globalizzazione sembrava letteralmente spuntare dal nulla. In realtà aveva lungamente covato sotto le macerie degli edifici incompiuti che punteggiavano il panorama europeo: dall'unione monetaria senza unione politica, a un allargamento burocratico che aveva appena inglobato i Paesi dell'Est senza veramente integrarli.

Fino al maggio del 2005, l'Europa sembra volare sulle ali dell'entusiasmo popolare. Ogni volta che il progetto di integrazione si blocca su un veto britannico o su un dissidio francese, qualcuno provvede a rilanciarlo sperando di tappare i troppi buchi ancora aperti. Così, trattato dopo trattato, negoziato dopo negoziato, da Maastricht si arriva all'appuntamento di Roma: la Costituzione, nientemeno. Con il "no" francese, d'improvviso i politici europei scoprono che il consenso verso una costruzione che continua a restare sbilenca si va esaurendo. Le critiche e la delusione finiscono per mettere in ombra anche le conquiste e i passi in avanti, che non sono certo pochi. E per l'Europa cominciano gli anni bui. Che non sono ancora finiti.

Ma il tradimento della Costituzione non si consuma nelle urne del referendum di maggio. Nasce molto prima. È insito nell'ipocrisia di voler definire Costituzione un progetto di riforma e di semplificazione dei trattati che resta lontanissimo da un vero processo costituente.

Questo implicherebbe una rifondazione di sovranità e di legittimità democratica. Richiederebbe di spostare il baricentro del potere europeo dalle varie capitali a Bruxelles. Un popolo che si dà una Costituzione, la mette a fondamento della propria cittadinanza: si dovrebbe dunque essere prima di tutto cittadini europei, e solo in secondo luogo italiani, francesi o tedeschi. Niente di tutto questo: nelle intenzioni dei governi che nel 2001 avviano la Convenzione europea, non c'è nessuna delega di sovranità, nessuna cessione di legittimità.

Ma agli inizi del nuovo secolo, mentre le ceneri ancora fumanti di Ground Zero disegnano un futuro di terrore, la politica è ormai prigioniera dei gesti mediatici. È ridotta a rappresentazione di se stessa. Così la necessità di mettere ordine nei pasticci del Trattato di Nizza viene paludata da volontà di rifondazione dell'Ue. Si lancia in pompa magna la Convenzione europea che dovrà scrivere la nuova Carta costituzionale. La presidenza è affidata a un uomo che ha certamente, come si dice, il physique du role: l'ex presidente francese Giscard d'Estaing. Vicepresidenti due ex primi ministri: l'italiano Giuliano Amato e il belga Jean-Luc Dehaene.

Romano Prodi, presidente della Commissione, presenta un suo progetto di impronta federalista, battezzato ironicamente Penelope, che viene fortemente osteggiato già dai commissari inglesi e francesi in seno al collegio. La gelida accoglienza che gli riserva Giscard dà il tono a quella che sarà la filosofia dei lavori della Convenzione. "Il progetto Penelope - ricorda oggi Prodi - fu distrutto. Venne ritenuto una provocazione. Giscard fu abilissimo a tessere compromessi sul filo dei veti britannici e francesi. Poi arrivò la Conferenza intergovernativa e fece a pezzi quel poco che era rimasto "

Già, perché una volta terminati i lavori della Convenzione, i governi prendono in mano la bozza e la sottopongono ad un nuovo esame. Che assesta il colpo di grazia a chi sperava in una vera Costituzione. L'ampliamento dei poteri della Commissione, che sarebbe dovuta diventare un vero governo europeo, viene cassato. Il diritto di veto è mantenuto per la politica estera e le politiche fiscali. E soprattutto il principio di legittimità democratica resta saldamente ancorato nelle venticinque capitali della Ue. Tanto è vero che il processo di ratifica non viene affidato ad un referendum pan-europeo, come sarebbe stato democraticamente logico, ma alla sommatoria delle ratifiche nazionali. Che non arriveranno mai.

I lavori, della Convenzione prima e della Conferenza intergovernativa poi, si svolgono all'insegna della diffidenza reciproca. Nessuno vuole davvero cedere il potere a un'entità che non potrà controllare. Non c'è da stupirsi se quella stessa diffidenza spingerà gli elettori francesi e olandesi a bocciare un progetto che mancava di visione fin dal suo concepimento. "Con il naufragio della Costituzione, le spoglie di quello che sarebbe dovuto essere un super-governo europeo, vennero fatte a pezzi - commenta ora amaramente Prodi - e i Paesi più forti si accaparrarono i ruoli di maggior rilievo. Oggi, di fatto, la Germania esercita le funzioni di Cancelliere e di ministro dell'Economia dell'Europa. E la Francia quelle di ministro degli Esteri e della Difesa ". I risultati, purtroppo, sono sotto gli occhi di tutti.
Crisi Ue, all'inizio dell'onda populista quella solidarietà europea infranta da Merkel-Sarkozy
Dopo la dichiarazione di Deauville, in Normandia, il crac dei debiti sovrani si trasformò nell’attacco dei mercati mondiali. Prima del fiscal compact
di ANDREA BONANNI
Da “la Repubblica”, 10 giugno 2016
 (ansa)BRUXELLES. Il tramonto autunnale, sulla lunga passeggiata a mare di Deauville, è da mozzare il fiato. Angela Merkel e Nicholas Sarkozy si fanno ritrarre dai fotografi mentre camminano fianco a fianco: sorridenti e complici, i cappotti sbottonati per approfittare degli ultimi tepori di stagione. È lunedì 18 ottobre 2010 e da questa località balneare della Normandia la coppia franco-tedesca sta per scatenare, forse senza neppure rendersene conto, la peggior tempesta finanziaria che si sia mai abbattuta sull'Europa.

La dichiarazione di Deauville segna il punto in cui la crisi dei debiti sovrani, che si è abbattuta sull'Europa già dal 2008, si trasforma in un attacco convergente dei mercati mondiali contro la capacità di tenuta dell'euro. "Merkel e Sarkozy pensavano di poter governare la situazione in due - ricorda ora Mario Monti - Quello fu il momento più alto dell'egemonia franco-tedesca in Europa. Invece innescarono una turbativa dei mercati che sarà ricomposta solo dal summit del giugno 2012, dopo che l'elezione di Hollande aveva messo fine al binomio esclusivo tra il presidente francese e la cancelliera tedesca".

L'incontro Merkel-Sarkozy avviene in un momento critico, ma non ancora drammatico. Ungheria, Romania e Lituania hanno già dovuto fare appello a prestiti internazionali per salvare le finanze pubbliche. Ma sono fuori dall'euro. Tra i Paesi della moneta unica, soltanto la Grecia è ricorsa a un prestito europeo. Tuttavia è chiaro che la situazione non può che peggiorare e che l'unione monetaria non ha gli strumenti normativi per fronteggiarla. Merkel vuole evitare che la catena dei salvataggi si allunghi troppo. Pretende sanzioni più dure per i governi che non rispettano il Patto di stabilità. Chiede una riforma dei Trattati che indurisca le regole della disciplina di bilancio. E soprattutto non vuole sobbarcarsi l'onere del salvataggio finanziario di Atene. Sarkozy prova ad ammorbidire le posizioni più dure della Cancelliera. Ma alla fine, come sempre, cede praticamente su tutta la linea.

Al termine della passeggiata di Dauville, Merkel e Sarkozy diramano un comunicato in cui chiedono la creazione di un sistema permanente di gestione delle crisi debitorie. Ma il comunicato, in sè abbastanza generico, contiene una formuletta destinata a cambiare la storia: " private sector involvement ". I mercati gli affibbieranno l'acronimo "Psi" e ne faranno la bandiera sotto cui andare all'assalto dell'euro. Nel meccanismo di salvataggio, dice l'asse franco-tedesco, deve essere coinvolto "anche il settore privato". In altre parole, se un Paese si trova in stato di insolvenza, chi detiene i suoi titoli di stato dovrà pagarne le conseguenze subendo un taglio del loro valore nominale.

La dichiarazione di Deauville rompe un tabù non detto e nemmeno scritto: per la prima volta viene apertamente evocata la possibilità che un Paese dell'area euro possa fare bancarotta. E che questa bancarotta possa essere pagata da chi ne detiene i titoli di debito. Fino ad allora, anche se i Trattati non lo prevedevano, l'eurozona era stata percepita come un "unicum" inscindibile. Con quelle tre parolette, "private sector involvement", Merkel e Sarzozy la trasformano in una sommatoria di responsabilità, e dunque di vulnerabilità, nazionali.

Il messaggio, disastroso, che arriva ai mercati finanziari è duplice. Da una parte, chi detiene titoli di Paesi fortemente indebitati è avvertito che potrà essere chiamato a pagare il prezzo di una possibile insolvenza, e dunque viene indirettamente invitato a disfarsene. Dall'altra, agli occhi dei grandi fondi speculativi, l'euro viene presentato come una cipolla, che può essere sfogliata strato dopo strato, Paese dopo Paese, debito pubblico dopo debito pubblico, fino a smontarla completamente. Di colpo, far parte della zona euro non è più una garanzia ma un accresciuto fattore di rischio.

"L'idea di non fare dell'Europa il pagatore di ultima istanza poteva anche essere giusta - commenta Monti - Ma la Merkel sbagliava pensando che obbligare governi a mettere i conti in ordine bastasse a far cessare la speculazione". La scommessa dei mercati, ormai, non era più sulla tenuta di un singolo Paese ma su quella complessiva della moneta unica.

Le conseguenze di quell'errore non si fanno attendere. L'attacco si focalizza, come è naturale, contro gli anelli più deboli. A novembre 2010, poco più di un mese dopo Deauville, l'Irlanda deve chiedere l'intervento del Fondo europeo.

A maggio 2011 è il Portogallo a dover ricorrere all'aiuto dei partner. Intanto gli interessi sui titoli italiani e spagnoli vanno alle stelle. A luglio 2011 lo spread tra Bund e Btp sfiora i 400 punti. A novembre tocca quota 574 e Berlusconi deve cedere la guida del governo a Monti. Nel frattempo l'Europa è sprofondata nel baratro del rigore e della recessione. La troika detta le sue regole draconiane ai Paesi sotto assistenza europea. I mercati impongono agli altri, con l'arma dello spread, un risanamento dei conti a tappe forzate che non fa che aggravare la recessione economica. La sfiducia e l'ostilità tra le "formiche" del Nord e le "cicale" del Sud è alle stelle.

Sarà Mario Draghi, nominato presidente della Bce nel maggio 2011, a cercare di ricucire lo strappo di Deauville proponendo per la prima volta un fiscal compact , un contratto che vincoli i governi a una disciplina di bilancio sotto sorveglianza europea come strumento per ricostruire la coesione politica della zona euro. Merkel, che comincia a capire la portata dell'errore compiuto a Deauville, si adegua. Sarkozy esce di scena. Nel marzo 2012 viene firmato il Trattato del fiscal compact . Nel giugno 2012, mentre anche la Spagna è costretta a ricorrere ai prestiti europei, Mario Monti e François Hollande, in un vertice europeo in cui l'Italia agita la minaccia del veto, costringono la Germania ad accettare l'idea di un "meccanismo anti-spread" che ripristini in qualche modo la solidarietà della zona euro. Forte di questa copertura politica, meno di un mese dopo, a luglio, Draghi pronuncia il famoso " whatever it takes " schierando la Bce a difesa della moneta unica. Lo strumento prescelto, e mai utilizzato, saranno le Omt, Outright monetary transactions , un programma lanciato il 6 settembre 2012, con cui la Bce si impegna ad acquistare illimitatamente i titoli di stato di Paesi sotto attacco speculativo, a condizione che questi siano impegnati a risanare i conti pubblici. La speculazione batte in ritirata. Gli spread tornano a scendere. L'euro è salvo. Ma le ferite inflitte al principio di solidarietà europea in quei ventidue mesi e mezzo che vanno dal 18 ottobre 2010 al 6 settembre 2012 sono ancora aperte, e ancora infette. E il populismo che oggi dilaga in tutta Europa è, in larga misura, la febbre di quell'infezione.
 



Martedì 21 Giugno,2016 Ore: 17:09
 
 
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