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www.ildialogo.org Il trucco cristiano,di Georg Diez

Il trucco cristiano

di Georg Diez

(traduzione dal tedesco di José F. Padova)


I tedeschi e la colpa – questo articolo mette a fuoco di sbieco la visione dei tedeschi su loro stessi, tesi a sfuggire dalla responsabilità dell’Olocausto, concentrandosi sull’espressione visiva, cinematografica e televisiva, di fatti orrendi, dello sterminio, dell’Olocausto stesso, interpretati alla tedesca. Seguirà prossimamente un’altra riflessione concentrata su “colpa” (in ted.: Schuld, colpa ma anche debito) e “Scham”, vergogna, e sull’uso finalizzato di queste prese di consapevolezza. j.f. pADOVA
Der Spiegel online, 3 aprile 2015
Il trucco cristiano
Una rubrica di Georg Diez
Un fondamento della fede cristiana suona così: chi si rende colpevole di un crimine può confessarsi – così la colpa si riduce. Ma poi, che succede con l’Olocausto, il fondamento esistenziale dell’attuale Germania?
Con la colpa si tratta di una questione singolare. Essa ha una propria, caratteristica dinamica – l’idea che essa resta per sempre e contemporaneamente scompare è una delle basi del credo cristiano.
(traduzione dal tedesco di José F. Padova)
Questo è l’espediente cristiano: la colpa, quando la si esorcizza o la si confessa, si riduce – il Figlio di Dio, sacrificatosi per noi, porta la nostra colpa. La cultura cristiana è in fondo una cultura della colpa, una cultura del sacrificio e con questo una cultura del colpevole – questi sono i concetti secondo i quali la pena umana viene valutata e classificata, essi danno appoggio, anche quando l’assurdità è quanto mai grande. Qui la colpa funziona in entrambe le direzioni: la si può utilizzare per intimorire gli altri, la si può usare per alleggerire sé stessi. Essa può avere addirittura qualcosa di autentico, la colpa, che produce una sorta di orgoglio gaudioso dalla più profonda autoumiliazione e ammissione del termine di colpevolezza preferito: fallibilità.
Quindi umiliarsi per salvarsi. Sentirsi male per sentirsi meglio. Mostrare debolezza per ricavarne forza o perfino potere, potere sulle persone, potere sul presente, potere sul passato. Perciò quella della colpa è una strategia narrativa e politica, quasi più che una strategia morale: essa sta all’inizio del racconto, è la trama lungo la quale è raccontata la storia. La questione è quando e perché la colpa viene tematizzata in modo particolare – al Venerdì Santo, è chiaro, si applica alla tradizione cristiana imparata (e/o dimenticata) con lo studio.
Ma che ne è dell’altra colpa, non necessariamente cristiana, la colpa che tutto sovrasta: l’Olocausto, che è il fondamento dell’esistenza della Germania attuale? Questa Germania c’è soltanto per o malgrado l’Olocausto – e non vi è stato alcun atto di remissione (del peccato) o di espiazione perché questa Germania potesse formarsi, come ha fatto; si è trattato di un atto di pragmatismo e di politica del potere. Gli stessi tedeschi erano quelli che collegarono il discorso sull’Olocausto ai concetti impregnati di cristianesimo: così l’espressione della colpa collettiva era una terminologia dell’imbarazzo che i tedeschi stessi inventarono per distanziarsene (ben nota dinamica della colpa) il più presto possibile.
Che cosa significa il fatto che proprio adesso che gli ultimi sopravvissuti all’Olocausto continuano a morire, sulla televisione tedesca la colpa tedesca è celebrata quasi mensilmente? Che cosa significa innanzitutto il fatto che questo lavorio sul grande, orribile evento avviene con una accuratezza e con una precisione finta, che quasi ha qualcosa di pornografico? “Come si recita la tortura, Peter Schneider”? ha chiesto il giornale “Bild” al regista che ha girato la “scena più terribile” nella cruda riduzione cinematografica del romanzo tedesco-orientale [della DDR] “Nudo fra i lupi”, che è stato trasmesso mercoledì sulla rete ARD [ndr.: un bambino di tre anni, introdotto a Buchenwald in una valigia, mette in crisi i rapporti fra i deportati e alla fine è salvato nonostante l’opposizione del capo della resistenza del campo]. Nel romanzo si tratta di comunisti che, prima della fine della guerra nel 1945, preparano una sollevazione nel campo di concentramento di Buchenwald, e di un bambino piccolo che essi proteggono – nel telefilm si parla soltanto del bambino.
Così vanno le cose, nella Germania terra del melodramma e nel tempo del melodramma, così è quando i tedeschi, sovvenzionati dallo Stato, lavorano all’Olocausto e così, questa è per loro l’arte, strafanno il piano della produzione cinematografica. Ci deve essere il più raccapricciante orrore, grezzo e pieno di piacere della brutalità, alla fin fine essi sono i figli e i nipoti di chi ha commesso i crimini [i nazi]. E anche la vicinanza, che impedisce proprio l’orrore, perché lo presume, qui viene suscitata, zack – questo è il metodo “Nico Hofmann”, il cui team UMUV ne è stato anche qui responsabile, questo è il dolce regalo che egli con i suoi film da anni diffonde come monopolista della Colpa Tedesca. Così si può criticare un film soltanto per il contenuto: in questo caso, che la Resistenza comunista è stata resa in modo poco chiaro e perfino rappresentata come insignificante (in contrasto con la Resistenza Nobile [ndt.: allude al gruppo del conte Stauffenberg, che fallì l’attentato a Hitler] che altrimenti è celebrata in tutti i modi). Così si può criticare un film per la forma: affermando che è semplicemente ottuso e privo d’idee, che ripete sempre le stesse scene di autoimmolazione per attribuire tono minore, appiccicoso, all’orrore nel melodramma.
Oppure si può vedere un film come un segno. Praticamente è sempre in gioco l’ideologia, quando si tratta di storia – attualmente viviamo nell’epoca del nuovo potere tedesco, cui si adatta ideologicamente, a quanto pare, l’esorcizzazione dell’orrore immotivato. L’orrore viene correlato a persone che si possono comprendere, più o meno schematicamente, negli autori del delitto – o in chi tiene atteggiamento di vittima – con il che l’orrore viene separato dalla società, dalle strutture, dagli interessi, l’orrore è privatizzato e quindi spoliticizzato. E qui i campi di concentramento sono precisamente il risultato di forze istituzionali e ideologiche, che possiamo comprendere bene, così descrive tutto ciò lo storico tedesco, che vive in Inghilterra, Nikolaus Wachsmann – il Campo di Concentramento è quello che esce fuori quando si combinano prigionia, esercito e fabbrica. Il suo libro “KL: A History of the Nazi Concentration Camps” uscirà a metà aprile, Pasqua e tutto l’espediente della redenzione saranno allora già acqua passata. 



Lunedì 15 Febbraio,2016 Ore: 19:24
 
 
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