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Die Zeit online – 5 luglio 2015 - Referendum in Grecia
Che cos’è adesso ancora sinistra?

di Slavoj Žižek, filosofo, insegna a Londra

"La Republica" pubblica oggi un articolo di Slavoj Zizek, che avevo appena finito di tradurre dalla sua versione tedesca apparsa su "Die Zeit". (JFPadova)

Die Zeit online – 5 luglio 2015

Referendum in Grecia

Che cos’è adesso ancora sinistra?

In questa settimana viviamo una lotta per la cultura-guida democratica. Non si tratta dei greci. Si tratta di noi tutti!

Slavoj Žižek, filosofo, insegna a Londra

(Traduzione dal tedesco di José F. Padova)

Una nota barzelletta dell’ultimo decennio dell’Unione Sovietica racconta di Rabinowitz, un ebreo, che vuole emigrare. Il burocrate dell’Ufficio Emigrazione gli chiede il perché e Rabinowitz risponde: «Vi sono due motivi. Il primo è che io ho paura di una perdita di potere dei comunisti nell’Unione Sovietica. I nuovi capi al potere potrebbero quindi scaricare la colpa dei crimini comunisti soltanto su noi, gli ebrei, - e potrebbero esserci di nuovo pogrom antiebraici…» «Ma», lo interrompe il burocrate, «questo è una totale assurdità, nulla può mai modificarsi nell’Unione Sovietica, il potere comunista si conserverà in eterno!». «Beh», replica Rabinowitz tranquillo, «questo è il mio secondo motivo».

Ora ad Atene circola una nuova versione di questa barzelletta. Un giovane greco va al Consolato australiano di Atene e chiede un visto d’ingresso per lavoro. «Perché vuole lasciare la Grecia?», chiede il funzionario. «Per due motivi», risponde il greco. «In primo luogo ho timore che la Grecia abbandonerà l’Unione Europea, cosa che porterà ancor più povertà e caos nel Paese…». «Ma», lo interrompe il funzionario, «ciò è una totale assurdità, la Grecia rimarrà nell’Unione Europea e si sottometterà alla disciplina finanziaria!» - «Beh», replica calmo il greco, «questo è il mio secondo motivo». Quindi entrambe le decisioni sono le peggiori, per parafrasare Stalin? È arrivato il momento in cui dobbiamo lasciarci indietro gli irrilevanti dibattiti sui possibili errori e giudizi sbagliati del governo greco. Nel frattempo vi è troppo in gioco.

Il fatto che nei negoziati fra la Grecia e gli amministratori dell’Unione Europea una formulazione di compromesso si sia volatilizzata sempre all’ultimo momento è in sé altamente significativo. Non si tratta più veramente di differenze di opinioni finanziarie – in questo campo le posizioni si diversificano soltanto minimamente. Di regola l’Unione Europea incolpa la Grecia di diffondere luoghi comuni e vaghe promesse senza dettagli impegnativi, mentre la Grecia rinfaccia all’Unione Europea di cercare di tenere sotto controllo proprio questi insignificanti dettagli e di imporre al Paese condizioni ancor più rigorose di quelle già accollate ai precedenti governi.

Dietro queste rimostranze si nasconde però un conflitto del tutto diverso, molto più profondo. Il premier greco Alexis Tsipras recentemente faceva notare che se si fosse incontrato a cena da solo con Angela Merkel entrambi avrebbero trovato una soluzione in un paio d’ore. Con questo voleva dire che Merkel e lui, due politici, avrebbero trattato il conflitto come politico, a differenza di amministratori tecnocratici come il capo dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem. Se in tutta questa storia c’è un cattivo, quello è Dijsselbloem col suo motto: «Se io le cose le prendo innanzitutto dal loro lato ideologico non ottengo più niente».

Anche i tecnocrati dell’Unione Europea seguono un’ideologia – soltanto che è una diversa

Con questo arriviamo al punto cruciale di tutto quanto: Tsipras e Varoufakis parlano come se fossero parte di un processo politico aperto, nel quale alla fine devono essere trovate decisioni “ideologiche” (che si basano su preferenze normative). I tecnocrati dell’Unione Europea parlano come se si trattasse per tutto di una questione di provvedimenti che regolano nel dettaglio e quando i greci rifiutano questo approccio e propongono problemi politici più sostanziali si rinfaccia loro di mentire e di svignarsela davanti a proposte concrete.  Dalla parte greca la verità qui è univoca: la negazione che fa Dijsselbloem del “lato ideologico” è autentica ideologia, essa fornisce decisioni che sono veramente fondate sotto l’aspetto politico-ideologico, ma infondate come misure di regolamentazione.

A causa di questa asimmetria il “dialogo” fra Tsipras o Varoufakis e i loro partner dell’Unione Europea funziona spesso come il colloquio fra un giovane studente, che vorrebbe discutere seriamente su problemi di fondo, e un arrogante professore, che nelle sue risposte ignora vergognosamente questi temi e rimprovera lo studente per manchevolezze tecniche: «Questo non è formulato correttamente! Lei non ha tenuto presente questa regola!». O come lo scontro verbale fra una donna violentata che vuole disperatamente riferire quello che le è capitato e un poliziotto che la interrompe continuamente con domande su dettagli burocratici. Questo spostamento dalla politica vera e propria a una amministrazione anodina da parte di esperti contraddistingue il nostro intero processo politico: decisioni strategiche, fondate su rapporti di forza sono prese in misura crescente come regolamentazioni amministrative, che devono basarsi sul sapere neutrale degli esperti. E sono sempre più spesso pattuite dietro porte chiuse e fatte valere senza partecipazione democratica.

La battaglia che si svolge sotto i nostri occhi è la lotta per la cultura-guida europea, economica e politica. Le potenze dell’Unione Europea stanno per lo status quo tecnocratico, che da decenni blocca l’Europa. Nel suo contributo al concetto della cultura il grande, conservatore, T. S. Eliot osservò che vi sono momenti nei quali si ha la scelta soltanto fra eresia e incredulità. Inoltre vi è una sola possibilità di mantenere in vita una religione, mediante una frammentazione in sette del suo defunto corpo principale. Questa è oggi la nostra situazione in Europa. Soltanto una nuova “eresia” (che attualmente Syriza rappresenta) può salvare quello che nell’eredità europea merita il salvataggio: la democrazia, la fiducia nelle persone, la solidarietà ugualitaria… l’Europa, che otterrà, se ci riesce, di bloccare Syriza, è una “Europa dei valori asiatici” – ciò che naturalmente non ha nulla a che fare con l’Asia, ma invece tutto con la tendenza evidente e immediata del capitalismo contemporaneo a scalzare la democrazia. Quindi ora ha fallito l’Europa di sinistra? No, ha fallito l’Europa. Nell’Europa occidentale siamo inclini a guardare la Grecia come se fossimo osservatori distaccati, che pieni di partecipazione e compassione seguono la miseria di una nazione impoverita. Un simile comodo punto d’osservazione si basa però su un’illusione fatale – perché quello che si consuma in queste settimane in Grecia riguarda noi tutti, è il futuro dell’Europa che è in gioco. Se in questi giorni seguiamo le notizie sulla Grecia dovremmo sempre tenere in mente l’antica locuzione: De te fabula narratur, la storia parla di te.

Dalle reazioni dell’establishment europeo all’annunciato referendum greco emerge lentamente un ideale che il titolo di un commentario di Gideon Rachman sul Financial Times puntualizza: «Il membro più debole dell’Europa sono gli elettori». In questo mondo ideale l’Europa si sbarazza del suo «membro più debole» e gli esperti ottengono il potere di imporre direttamente le necessarie misure economiche – finché ancora si terranno, l’unica funzione delle elezioni è quella di confermare l’assenso degli esperti.

Ora, questa esperto-crazia si fonda purtroppo su una finzione, la finzione del «prolungare e fingere» (prolungamento del termine di restituzione [del debito] con la contemporanea simulazione che alla fine tutti i debiti sarebbero stati saldati). Perché questa finzione si mantiene così caparbiamente? Non soltanto perché rende accettabile agli elettori tedeschi un allungamento della situazione debitoria; e anche non soltanto perché un ammortamento del debito greco potrebbe suscitare simili richieste da parte di Portogallo, Irlanda o Spagna. Il motivo è molto più e cioè che i detentori del potere [europeo] non vogliono proprio che i debiti siano interamente ripagati.

I prestatori di denaro a debito e i relativi amministratori incolpano i Paesi indebitati di non sentirsi abbastanza in debito [colpevoli] – rinfacciano loro di non sentirsi per nulla in colpa [in debito] [ndt. Schuld significa debito ma anche colpa]. Il loro insistere corrisponde precisamente a quello che la psicoanalisi definisce Super-io: come Freud aveva chiaramente visto, questo è il paradosso del Super-io, che noi ci sentiamo tanto più colpevoli quanto più ci sottomettiamo alle sue [del Super-io] richieste. Come accade a un maestro crudele che impone ai suoi scolari compiti impossibili e poi sadicamente giubila quando vede il loro panico. Quando si presta denaro a un debitore, il vero scopo non consiste nel ricevere in restituzione il credito con il relativo utile costituito dagli interessi, bensì nell’illimitata continuazione del debito, ciò che mantiene il debitore in stato permanente di dipendenza e assoggettamento, in ogni caso la maggior parte dei debitori, perché c’è debitore e debitore.

Non solamente la Grecia, anche gli Stati Uniti non sono teoricamente in grado di pagare i loro debiti, come intanto viene riconosciuto pubblicamente. Vi sono quindi debitori che possono ricattare i loro creditori, essendo troppo grandi perché si possa lasciarli fallire (grandi banche), debitori che possono tenere sotto controllo le condizioni per l’estinzione del loro debito (il governo degli Stati Uniti) e infine debitori che si può tenere sotto pressione e umiliare (Grecia).

In sostanza i creditori e i loro amministratori incolpano quindi il governo Syriza di ritenersi non “abbastanza debitore”, ma “per niente debitore”. Questo è ciò che per l’establishment dell’Unione Europea è tanto inquietante nel governo Syriza: esso ammette i debiti, ma lo fa senza senso di colpa, si è sbarazzato del peso del Super-io. Varoufakis impersona questo atteggiamento nel suo rapporto con Bruxelles. Egli ammette l’indebitamento e argomenta del tutto ragionevolmente che di fronte all’evidente fallimento della politica dell’Unione Europea deve essere trovata un’altra soluzione. Suona paradossale l’argomento ripetutamente formulato da Varoufakis e Tsipras, che il governo di Syriza è l’unica chance per i creditori di ricever indietro almeno una parte del loro denaro.

Varoufakis si stupisce del mistero che le banche abbiano pompato denaro nelle casse della Grecia e abbiano collaborato con uno Stato clientelare, nonostante sapessero benissimo come stavano le cose – senza la tacita approvazione dell’establishment occidentale la Grecia non avrebbe mai potuto indebitarsi a tali livelli. Il governo di Syryza è totalmente consapevole che la minaccia principale non arriva da Bruxelles – essa è in agguato nella Grecia stessa, nella quintessenza di uno Stato clientelare e corrotto.

Syriza vuole qualcosa di giusto, che nel sistema esistente non è possibile

L’Europa (l’euro-burocrazia) deve rimproverare sé stessa per aver criticato la Grecia a causa della sua corruzione e inefficienza e allo stesso tempo per aver sostenuto con Nea Dimocratia [il partito di destra scalzato da Syriza] proprio la forza politica che impersonava questa corruzione e inefficienza. Al governo di Syriza tocca ora precisamente il compito di superare questo blocco sistemico – si legga soltanto la dichiarazione programmatica di Varoufakis al britannico Guardian, nella quale descrive l’estremo scopo strategico del suo partito: «Un’uscita greca o portoghese o italiana dall’eurozona porterebbe presto a un andare in pezzi del capitalismo europeo. La conseguenza sarebbe una regione dell’avanzo [di bilancio come religione] seriamente a rischio di recessione ad est del Reno e a nord delle Alpi, mentre il resto dell’Europa precipiterebbe in una brutale stagflazione. Chi approfitterebbe proprio di questa evoluzione? Una sinistra progressista che si solleverebbe nelle istituzioni pubbliche europee come una fenice dalle ceneri? O i nazisti di Alba Dorata, i diversi movimenti neofascisti, gli xenofobi e i furfanti? Non ho il minimo dubbio su chi dei due profitterebbe al massimo di un fallimento dell’eurozona. Da parte mia non sono disposto a soffiare vento fresco nelle vele di questa versione postmoderna degli anni ’30. Se questo significa che siamo noi, i marxisti adeguatamente imprevedibili, che dobbiamo salvare il capitalismo europeo da sé stesso, e sia! Non per amore del capitalismo europeo, dell’eurozona, di Bruxelles o della BCE, ma solamente perché vogliamo ridurre al minimo i costi umani di questa crisi».

La politica finanziaria del governo di Syriza si è attenuta strettamente ai seguenti principi: evitare il deficit, rigida disciplina finanziaria, maggiori entrate fiscali. Tuttavia alcuni media tedeschi hanno recentemente caratterizzato Varoufakis come uno psicotico, che vive in un suo universo particolare – ma egli è veramente così radicale? Ciò che in Varoufakis snerva non è la sua radicalità, ma la sua semplicità ragionevole e pragmatica. Da una considerazione più accurata delle sue proposte deve inevitabilmente balzare agli occhi che esse consistono in misure che quaranta anni fa erano state una parte del programma politico standard dei socialdemocratici [SPD]; i governi svedesi degli anni ’60 perseguivano scopi di gran lunga più radicali. È un triste segno del nostro tempo che oggi si deve appartenere alla sinistra radicale per sostenere le stesse misure – un segno di tempi oscuri, ma anche una chance per la sinistra di occupare lo spazio che alcuni decenni fa era ancora quello della sinistra moderata.

Ma forse va a segno questo argomento infinitamente ripetuto di come in realtà la politica di Syriza sia moderata, almeno quanto quella della buona vecchia socialdemocrazia. Di fatto Syriza è pericoloso, il partito rappresenta precisamente una minaccia per l’attuale impianto dell’Unione Europea – il capitalismo globale non può permettersi un ritorno al vecchio Stato sociale. Il convenire sulla moderazione delle mete di Syriza è quindi anche un poco ipocrita: i suoi aderenti vogliono effettivamente qualcosa che non è possibile entro le coordinate del sistema globale vigente.

Qui si tratta di centrare una scelta seriamente strategica: che fare, quando è venuto il momento di lasciare cadere la maschera e di entrare in un cambiamento essenzialmente più radicale, un cambiamento che è necessario per conseguire risultati anche soltanto moderati? Forse il referendum greco è il primo passo in questa direzione.

Traduzione dall’inglese di Michael Adrian




Giovedì 09 Luglio,2015 Ore: 20:24
 
 
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