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www.ildialogo.org Crisi dell’euro: La tragedia della Grecia è il Fondo Monetario Internazionale,di Heike Buchter, New York

Die Zeit, Hamburg – 26 marzo 2015
Crisi dell’euro: La tragedia della Grecia è il Fondo Monetario Internazionale

di Heike Buchter, New York

Il FMI nella crisi della moneta unica svolge un ruolo inglorioso. Nei rapporti con la Grecia i suoi tecnocrati hanno commesso un errore dopo l’altro. (traduzione di Josè F. Padova)


Il settimanale Die Zeit; la cui serietà e completezza nell'informare me lo rendono "prediletto", si è occupato anche delle responsabilità di uno dei membri della cosiddetta "Troika", il terzetto funesto che sta mandando a fondo, con la Grecia, anche le nostre illusioni sull'Europa. Non si vuole con questo minimizzare le conseguenze che una storia particolare ha inciso in una Nazione fino a meno di due secoli fa parte integrante dell'Impero Ottomano. Impressiona e fa riflettere come la Germania, che ha evitato in più occasioni il pagamento dei danni, fisici e morali, arrecati alle Nazioni conquistate e devastate con le sue terribili Guerre Mondiali, sia ora sorda e cieca di fronte alla tragedia umanitaria del popolo greco, dimenticando che i miliardi di aiuti sbandierati sono stati in gran parte destinati al salvataggio delle banche anche tedesche. I tedeschi lo sanno almeno che l'Italia ha pagato integralmente alla Grecia i danni di guerra (106 mil. di US$, valore 1938)? E se lo abbiamo fatto noi, perché loro no?
JFPadova

Die Zeit, Hamburg – 26 marzo 2015
Crisi dell’euro
La tragedia della Grecia è il Fondo Monetario Internazionale
Il FMI nella crisi della moneta unica svolge un ruolo inglorioso. Nei rapporti con la Grecia i suoi tecnocrati hanno commesso un errore dopo l’altro.
Heike Buchter, New York
(Traduzione dal tedesco di José F. Padova)
Per il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e per il suo capo di allora, l’ambizioso Dominique Strauss-Kahn, la crisi dell’euro, che nel 2010 si stava preparando, parve essere una occasione unica. Dopo la fallimentare gestione della crisi asiatica negli anni ’90 il FMI aveva perso autorevolezza. I suoi consigli non venivano più richiesti – l’istituzione, vecchia di 65 anni, minacciava di scivolare nell’irrilevanza.
Con il primo, più grande intervento di salvataggio in Europa gli esperti del FMI volevano dimostrare di poter ancor sempre essere impiegati per l’economia come vigili del fuoco globali. Per Strauss-Kahn esso apparve come la grande chance di acquisire merito sulla scena internazionale per una successiva Presidenza del suo Paese natale, la Francia. Cinque anni dopo il FMI si trova davanti a un mucchio di cocci, la determinante responsabilità del quale ricade sul Fondo stesso.
Dopo quanto precede l’impegno per il salvataggio in Grecia è sembrato molto presto un grande successo. Con telefonate notturne e con molti bracci di ferro diplomatici il capo del FMI arrivò a fare approvare un pacchetto di aiuti per i greci – insieme alla BCE e alla Commissione europea, nel frattempo diventate note come “Troika”. La quota di partecipazione del FMI ai crediti concessi in aiuto ammonta nel frattempo a circa 28 miliardi di euro, che corrisponde a quasi il dodici percento del PIL greco. Il FMI non aveva ancora mai messo insieme tanto denaro per un solo Paese.
Eppure per poter fare questo il Fondo aveva bisogno di avere le sue proprie regole. Queste prevedono che ad ogni Stato membro [ndt.: sono membri gli Stati che apportano capitale al Fondo] sia assegnata una certa quota, il cui ammontare dipende dalla sua forza economica. In linea di principio questo vale anche per la Grecia. La quota di ogni Paese determina quanto contributo paga al FMI e quanto credito può ricevere in caso di necessità (per un massimo del 600 percento della quota). E se un Paese è indebitato troppo pesantemente o il programma per altri motivi non ha prospettive di riuscita, il FMI secondo le proprie regole può rifiutarsi di prestare denaro. Nel caso della Grecia tuttavia il Fondo ha versato un multiplo dell’importo consentito come credito: 1.860 percento della quota, dice Desmond Lachman, esperto finanziario e precedentemente attivo presso il FMI in una posizione direttiva.
Il più importante argomento di Strauss-Kahn era: un collasso della Grecia trascinerebbe con sé l’intera zona euro e metterebbe in pericolo l’intero sistema finanziario e poi circostanze fuori dall’ordinario giustificano misure straordinarie. Gli Stati membri del FMI avevano ancora presente nella memoria come il crollo della Lehman Brothers aveva portato il mondo sull’orlo del precipizio. E questo essi volevano evitarlo per il futuro.
Per Strauss-Kahn l’aiuto ad Atene aveva un significato particolare. Accanto agli istituti di credito finanziario tedeschi erano proprio innanzitutto quelli francesi maggiormente messi in pericolo da un tracollo greco. Se fossero andati in bancarotta le ambizioni politiche di Strauss-Kahn sarebbero sfumate nel nulla.
Il brasiliano Paulo Nogueira Batista, che nel Direttorio del FMI rappresenta undici Paesi dell’America latina, ha spiegato davanti ai reporter in un documentario di ARTE che il FMI aveva fatto passare “di nascosto” la modifica del regolamento necessaria per effettuare il gigantesco prestito. Nogueira Batista è diventato portavoce dei membri del FMI che si oppongono. Oggi avverte che il Fondo, nella questione degli aiuti all’Ucraina, potrebbe ricadere nei medesimi errori e sopravvalutare la forza economica del Paese distrutto dalla guerra.
Con il pacchetto di salvataggio per Atene quelli del FMI fecero un errore dopo l’altro: le previsioni ipotetiche degli economisti targati FMI erano troppo ottimistiche. Così conclusero che l’economia greca fino al 2012 con le misure restrittive pretese dal FMI si sarebbe ridotta del 5,5 per cento – ciò che già sarebbe significato una riduzione drastica. Invece di questo la capcità economica greca retrocesse del 17 per cento, il Piano FMI prevedeva una quota di disoccupazione del 15 per cento, in realtà essa salì fino al 25 per cento.
In un Rapporto del FMI, pubblicato nel 2013, i responsabili del Fondo così si giustificavano: se le condizioni fossero state meno severe il salvataggio sarebbe costato ancora di più. E a quel tempo né il Fondo né i suoi partner europei erano disposti a mettere a disposizione ulteriori mezzi finanziari. “Il FMI ha sacrificato la Grecia a favore delle banche europee”, aggiunge Lachman. E va ancora oltre: l’Organizzazione [FMI] aveva perso la sua credibilità già molto prima della crisi. La Commissione europea e la BCE erano state a guardare, senza intervenire, come i Paesi dell’Europa meridionale accumulavano sempre più debiti. Anche il FMI non si era attivato, mentre in quella situazione il suo Sistema di preallarme sarebbe stato uno strumento importante.
I responsabili del FMI avevano creduto semplicemente alle assicurazioni fornite loro dall’allora capo della BCE Jean-Claude Trichet, il quale sosteneva che entro un determinato spazio valutario fosse sicuramente possibile avere Paesi con eccedenze di bilancio e altri con deficit. “L’argomento portato a conferma era che negli USA questo sistema già funzionava”, dice Lachman. Eppure agli europei mancavano le necessarie istituzioni per tenere sotto controllo gli squilibri [di bilancio]. L’ex funzionario FMI per il Fondo tira un bilancio fosco. Se la Grecia esce dall’euro – e Lachman è convinto che succederà – quelli del FMI non hanno raggiunto alcuno dei loro obiettivi. Al contrario, si sarebbero causati danni enormi e sarebbero stati bruciati molto soldi dei contribuenti.
Nel FMI una società classista
Andrea Montanino, del Washingtoner Thinktank Atlantic Council, non è tanto pessimista. L’euro sopporterebbe un’uscita della Grecia, forse e perfino si rafforzerebbe, ritiene l’ex direttore del FMI. Per futuri interventi nelle nazioni industrializzate il FMI dovrebbe d’altronde tenere presente che si tratta di democrazie, che hanno bisogno di tempo per mettere in moto le riforme. “Un programma come quello in corso per la Grecia in futuro dovrebbe estendersi su una decina di anni”.
Tutto questo dovrebbe urtare i membri non europei ancora più amaramente. Già da lungo tempo i Paesi in via di sviluppo criticano le condizioni dure e il comportamento che non ammette compromessi, cui deve sottomettersi chi riceve i crediti in cambio dei finanziamenti. Per questo nell’America latina il Fondo a tutt’oggi è addirittura odiato. “L’accusa è che nel FMI vige un sistema classista e il caso della Grecia lo conferma, a dire dei critici”, afferma Lachman. Tuttavia le riforme necessarie, che attribuirebbero a membri come Brasile, India e soprattutto Cina più voce in capitolo, sono bloccate da due anni da parte del Congresso USA. Uno dei punti principali di attrito è la richiesta del FMI di quote contributive più elevate da parte degli Stati membri. Davanti al disastro greco e alle relative, più che probabili perdite, le probabilità che il Congresso dominato dai repubblicani acconsenta a un aumento delle quote sono quanto meno scarse.
L’incapacità a comandare degli americani e la persistente stasi delle riforme in seno al FMI costituiscono un vuoto per i nuovi partecipanti, i quali seguono l’agenda dei loro interessi, teme Montanino. Così recentemente l’Egitto ha chiesto aiuto al Qatar e il Venezuela si è rivolto alla Cina. La Cina ha già fondato molte istituzioni internazionali sul modello del FMI e della Banca Mondiale. La nuova Banca per lo Sviluppo AIIB, il cui compito è incentivare le infrastrutture in Asia, la settimana scorsa ha già potuto acquisire come membri anche la Germania, l’Italia e la Francia. Un mondo nel quale il FMI diviene irrilevante, avverte Montanino, sarebbe geo-politicamente più insicuro e pericoloso.



Giovedì 09 Aprile,2015 Ore: 21:29
 
 
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