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www.ildialogo.org Tutti i debiti devono essere onorati, salvo...,di Renaud Lambert

Le Monde Diplomatique, marzo 2015, pagg. 4 e 5
Tutti i debiti devono essere onorati, salvo...

Debito pubblico, un secolo di braccio di ferro


di Renaud Lambert

Non pagare i propri debiti, fra gli Stati, sembra essere una questione di rapporti di forza. Finita la II Guerra Mondiale, sia per non ripetere gli errori di Versailes (che ci regalarono Hitler), sia per avere nella Nuova Germania un bastione contro il comunismo (russo), gli Alleati sciolsero i tedeschi dal pagare la maggior parte dei loro debiti, anche per danni di guerra, anche per devastazioni perpetrate in Grecia. Adesso i tedeschi dicono no ai greci, in termini brutali (Schaeuble) e fregandosene della prostrazione del popolo ellenico. In questi casi la memoria è straordinariamente corta. JFPadova
Il fallimento delle loro politiche ha privato i fautori dell’austerità delle argomentazioni sulla base del buon senso economico. Da Berlino a Bruxelles i governi e le istituzioni finanziarie fondano ormai il loro vangelo sull’etica: la Grecia deve pagare, questione di principio! Tuttavia la Storia dimostra che la morale non è l’arbitro principale dei conflitti fra creditori e debitori.
Renaud Lambert, marzo 2015
(Traduzione di Josè F. Padova)
Vi fu un tempo in cui gli Stati si liberavano facilmente del peso del debito. Per esempio, ai Re di Francia bastava fare giustiziare i creditori per risanare le finanze: una forma balbettante, ma comune, di «ristrutturazione» (1). Il diritto internazionale ha privato i debitori di una tale facilitazione, aggravandone perfino la situazione con l’imporre il principio di continuità degli impegni presi.
Mentre i giuristi si riferiscono a questo obbligo mediante una formula latina – Pacta sunt servanda – («I patti devono essere osservati»), nel corso delle ultime settimane sono circolate le traduzioni più diverse. Versione moralizzatrice: «La Grecia ha il dovere etico di rimborsare il suo debito» (Fronte Nazionale [ndt.: Le Pen]). Versione con nostalgia degli intervalli di ricreazione; «La Grecia deve pagare, sono le regole del gioco» (Benoît Cœuré, membro del Direttorio della BCE). Versione insensibile alle suscettibilità popolari: «Le elezioni non cambiano niente» (Wolfgang Schäuble, ministro tedesco delle Finanze) (2).
Il debito ellenico supera i 320 miliardi di euro; in proporzione al PIL è balzato del 50% dal 2009. Secondo il Financial Times «rimborsarlo esigerebbe che la Grecia funzionasse come un’economia di schiavi» (27 gennaio 2015). In altre parole: che importa sapere se la Grecia può pagare o no, bisogna che paghi…
«Non abbastanza stupidi per pagare»
Tuttavia la dottrina Pacta sunt servanda non ha nulla di granitico (3): «L’obbligo che il diritto internazionale impone di rimborsare i propri debiti non è mai stato considerato come assoluto e si è visto sovente limitato o sfumato», precisa un documento delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo (Cnuced) (4). Contestazione dei debiti «odiosi» (prestiti accesi da un potere dispotico (5)), dei debiti «illegittimi» (contratti senza rispettare l’interesse generale della popolazione (6)) o dei «vizi del consenso», non mancano gli argomenti giuridici per giustificare la sospensione dei rimborsi o perfino la cancellazione di tutti o di parte dei debiti che prostrano un Paese. Cominciando dall’art. 103 della Carta dell’ONU, che proclama: «In caso di conflitto fra gli obblighi dei Membri delle Nazioni Unite in virtù della presente Carta e i loro obblighi in virtù di qualsiasi altro accordo internazionale prevarranno i primi». Fra questi si trova, all’art. 55 della Carta, l’impegno degli Stati a favorire «l’innalzamento del tenore di vita, del pieno impiego e delle condizioni di progresso e sviluppo nell’ordine economico e sociale».
Un giovane greco su due è disoccupato; il 30% della popolazione vive sotto la soglia della povertà; il 40% ha passato l’inverno senza riscaldamento. Una parte del debito è stata contratta sotto la dittatura dei Colonnelli (1967-1974), nel corso della quale si è quadruplicata; un’altra parte è stata contratta ai danni della popolazione (poiché ha ampiamente mirato a rimettere a galla gli istituti di credito francesi e tedeschi); un’altra ancora deriva direttamente dalla corruzione di dirigenti politici da parte di compagnie transnazionali desiderose di vendere ad Atene i loro prodotti, talvolta difettosi (come la società tedesca Siemens (7)); senza parlare di turpitudini da parte delle banche, quali Goldman Sachs, che ha aiutato il Paese a dissimulare a sua fragilità economica… I Greci dispongono di migliaia di giustificazioni per ricorrere al diritto internazionale e alleggerire il fardello di un debito del quale una revisione contabile stabilirebbe i caratteri di odioso, illegittimo e illegale (v. Le M.D., «L’Ecuador dice “no”»). Ma la capacità di fare sentire la propria voce si fonda soprattutto sulla natura del rapporto di forza fra le parti in causa.
Nel 1898 gli Stati Uniti dichiarano guerra alla Spagna, col pretesto di un’esplosione a bordo dell’USS Maine, all’ancora nel porto dell’Avana. Essi «liberano» Cuba, che trasformano in un protettorato – riducendo «l’indipendenza e la sovranità della Repubblica cubana allo stato di mito (8)», secondo il generale cubano Juan Gualberto Gómez, che aveva preso parte alla Guerra [americana] d’Indipendenza. La Spagna esige il rimborso dei debiti che l’isola aveva «contratto con essa»; nel caso specifico, i costi della sua aggressione. La Spagna si fonda su ciò che il sig. Cœuré avrebbe senza dubbio chiamate le «regole del gioco». Come indica la ricercatrice Anaïs Tamen, «la richiesta spagnola si appoggiava su fatti analoghi, in particolare sul comportamento delle sue ex colonie, che si erano prese in carico la parte del debito pubblico spagnolo che era servito per la loro colonizzazione». Gli stessi Stati Uniti non avevano forse «versato più di 15 milioni di sterline al regno Unito al raggiungimento della loro indipendenza» (9)?
Washington non la pensa così e mette avanti un’idea ancora poco diffusa (che contribuirà a fondare il concetto di debito odioso): non è possibile esigere da un popolo il rimborso di un debito che è stato contratto per assoggettarlo. La stampa americana diffonde l’attendibilità di questa posizione: «La Spagna non deve nutrire la minima speranza che gli Stati Uniti siano abbastanza stupidi o ignavi per accettare la responsabilità di soldi che sono serviti a schiacciare i cubani», declama il Chicago Tribune del 22 ottobre 1898. Cuba non verserà neppure un centesimo.
Qualche decennio prima il Messico aveva tentato di sviluppare argomenti simili. Nel 1861 il presidente Benito Juárez sospende il pagamento del debito, in gran parte contratto dai governi precedenti, fra i quali quello del dittatore Antonio López de Santa Ana. Francia, Regno Unito e Spagna occupano allora il Paese e fondano un Impero che affidano a Massimiliano d’Austria.
Una riduzione del 90% per la Germania
Come fece l’URSS, che nel 1918 annuncia che non rimborserà i debiti contratti da Nicola II (10), gli Stati Uniti ripetono il loro colpo di forza a beneficio dell’Iraq all’inizio del XXI secolo. Qualche mese dopo l’invasione del Paese il Segretario del Tesoro John Snow annuncia su Fox News: «Del tutto evidentemente il popolo iracheno non deve essere oppresso dai debiti contratti a beneficio del regime di un dittatore ormai in fuga» (11 aprile 2003). L’urgenza per Washington: assicurare la solvibilità del potere che ha appena messo in piedi a Bagdad.
Viene allora alla luce un’idea che lascerebbe stupefatti i sostenitori della «continuità degli impegni presi dagli Stati»: il pagamento del debito dipenderebbe meno da una questione di principio che dalla matematica. «La cosa più importante è che il debito sia sostenibile», osa un editoriale del Financial Times il 16 giugno 2003. Questa logica a Washington conviene: le cifre hanno parlato e gli Stati Uniti si assicurano che il loro verdetto s’imponga agli occhi dei principali creditori dell’Iraq, Francia e Germania in testa (con rispettivamente 3 e 2,4 miliardi di dollari di titoli in loro possesso). Ansiosi di dimostrarsi «giusti e duttili», questi Stati – che si rifiutavano di cancellare più del 50% del valore dei titoli detenuti in bilancio – alla fine concedono una riduzione dell’80% dei loro crediti.
Tre anni prima, né la legge dei numeri né quella del diritto internazionale erano bastate per convincere i creditori di Buenos Aires a dare prova di «elasticità». Pertanto, culminando a circa 80 miliardi di dollari al momento del default del pagamento nel 2001, il debito argentino si rivela insostenibile. Esso deriva per di più da prestiti in gran parte accesi dalla dittatura (1976-1983), che lo qualificano come debito odioso. Non importa! I creditori esigono di essere rimborsati, in mancanza di che vieteranno a Buenos Aires l’accesso ai mercati finanziari.
L’Argentina tiene duro. Le si prometteva la catastrofe? Fra il 2003 e il 2009 la sua economia registra un tasso di crescita oscillante fra il 7 e il 9%. Fra il 2002 e il 2005 il Paese propone ai suoi creditori di sostituire i loro titoli con altri nuovi, del 40% inferiori in valore. Più di tre quarti accettano recalcitrando. Più tardi il governo rilancia nuovi negoziati che si concludono nel 2010 con un nuovo scambio di titoli presso il 67% dei rimanenti creditori. Tuttavia l’8% dei titoli con i pagamenti in sospeso dal 2001 non è stato oggetto di un accordo. Fondi-avvoltoio si danno da fare oggi per farseli rimborsare, minacciando di trascinare l’Argentina in una nuova bancarotta (11).
Quindi i creditori accettano di malavoglia la perdita di valore dei titoli che detengono. Eppure vi si rassegnarono nel corso della Conferenza internazionale indetta per alleggerire il debito della Repubblica Federale Tedesca, che si tenne a Londra fra il 1951 e il 1952. I dibattiti di quell’epoca ricordano quelli che accerchiano la Grecia contemporanea, cominciando dalla contraddizione fra «principi» e buon senso economico.
«Miliardi di dollari sono in gioco», riferisce in quel tempo il giornalista Paul Heffernan, che segue i dibattiti per il New York Times. «Ma non si tratta solamente di una questione di denaro. Le conferenze di Palazzo Lancaster tratteranno innanzitutto di uno dei principi vitali del capitalismo internazionale – la natura sacrosanta dei trattati internazionali» (24 febbraio 1952). Tenendo ben presenti queste preoccupazioni i negoziatori – soprattutto americani, britannici, francesi e tedeschi – ascoltano ugualmente quelle della Germania. In una lettera del 6 marzo 1951 il cancelliere Konrad Adenauer impone ai suoi interlocutori di «considerare la situazione economica della repubblica Federale», «in particolare il fatto che il suo debito continua a crescere e che la sua economia si contrae». Come riassume l’economista Timothy W. Guinnane, ognuno ammette presto che «ridurre i consumi tedeschi non costituisce una soluzione valida per garantire il pagamento dei loro debiti (12).
Alla fine il 27 febbraio 1953 è firmato un accordo, ivi compresa la Grecia (13). Esso prevede una riduzione del 50% minimo degli importi presi in prestito dalla Germania fra le due Guerre mondiali; una moratoria di cinque anni per il rimborso dei debiti; un rinvio sine die dei debiti di guerra che sarebbero potuti essere reclamati a Bonn, ciò che portò Eric Toussaint, del Comitato per l’annullamento del debito del Terzo Mondo, a stimare al 90% la riduzione dei debiti tedeschi (14); la possibilità per Bonn di rimborsare nella propria moneta; un limite agli importi dedicati al servizio del debito (5% del valore delle esportazioni del Paese) e al tasso d’interesse a carico della Germania (pure il 5%). E non è tutto. Desiderosi, precisa Heffernan, «che un simile accordo sia soltanto il preludio di uno sforzo mirante a stimolare la crescita tedesca, i creditori forniscono alla produzione tedesca i mercati dei quali necessita e rinunciano a vendere i loro prodotti alla Repubblica federale. Per lo storico dell’economia tedesca Albrecht Ritschl, «questi provvedimenti hanno tirato Bonn fuori dai guai e gettato le fondamenta finanziarie del miracolo economico tedesco (15)» degli anni ’50.
Da molti anni Syriza – al potere in Grecia in seguito alle elezioni del 25 gennaio 2015 – chiede di beneficiare di una conferenza di questo tipo, animata dalle medesime preoccupazioni. Nelle istituzioni di Bruxelles sembra tuttavia che si condivida il parere di Leonid Bershidsky: «La Germania meritava che le si alleggerisse il debito, la Grecia no». In un fondo pubblicato il 27 gennaio 2015 il giornalista del gruppo Bloomberg sviluppa la sua analisi: «Una delle ragioni per le quali la Germania Ovest ha beneficiato di una riduzione del suo debito è che la Repubblica federale sarebbe dovuta diventare un bastione di prima linea nella lotta contro il comunismo. (…) I governi tedesco-occidentali che godettero di questi provvedimenti erano risolutamente antimarxisti».
Il programma di Syriza non ha niente di «marxista», la coalizione rivendica una forma di socialdemocrazia moderata, ancora comune qualche decennio fa. Da Berlino a Bruxelles sembrerebbe però che perfino questo sia diventato intollerabile.
(1) Sur l’histoire de la dette, lire François Ruffin et Thomas Morel (sous la dir. de), Vive la banqueroute !, Fakir éditions, Amiens, 2013.
(2) Respectivement sur LCI, le 4 février 2015 ; dans International New York Times, les 31 janvier et 1er février 2015 ; et sur la British Broadcasting Corporation (BBC), le 30 décembre 2014.
(3) Ce qui suit puise dans les travaux d’Eric Toussaint et Renaud Vivien pour le Comité pour l’annulation de la dette du tiers-monde (CADTM).
(4) Cnuced, « The concept of odious debt in public international law » (PDF), Discussion Papers, n° 185, Genève, juillet 2007.
(5) Lire Eric Toussaint, « Une “dette odieuse” », Le Monde diplomatique, février 2002.
(6) Comme dans le cas de la France. Lire Jean Gadrey, « Faut-il vraiment payer toute la dette ? », Le Monde diplomatique, octobre 2014.
(7) Cf. Damien Millet et Eric Toussaint, La Dette ou la vie, Aden-CADTM, Bruxelles, 2011.
(8) Cité par Richard Gott dans Cuba : A New History, Yale University Press, New Haven, 2004.
(9) Anaïs Tamen, « La doctrine de la dette “odieuse” ou l’utilisation du droit international dans les rapports de puissance », travail présenté le 11 décembre 2003 lors du troisième colloque de droit international du CADTM à Amsterdam.
(10) Les fameux emprunts russes, stockés par de nombreux épargnants français et finalement remboursés, pour un montant de 400 millions de dollars, à la suite d’un accord entre Paris et Moscou, en 1996.
(11) Lire Mark Weisbrot, « En Argentine, les fonds vautours tenus en échec », Le Monde diplomatique, octobre 2014.
(12) Timothy W. Guinnane, « Financial Vergangenheitsbewältigung : The 1953 London debt agreement », Working Papers, n° 880, Economic Growth Center, Yale University, New Haven, janvier 2004.
(13) Il ne traite pas de l’emprunt forcé imposé par Berlin à Athènes en 1941.
(14) Entretien avec Maud Bailly, « Restructuration, audit, suspension et annulation de la dette », CADTM, 19 janvier 2015.
(15) Albrecht Ritschl, « Germany was biggest debt transgressor of 20th century », Spiegel Online, 21 juin 2011.



Mercoledì 11 Marzo,2015 Ore: 17:25
 
 
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