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www.ildialogo.org Centro di gravità: ripartire per l’Europa,di Hans-Ulrich Wehler

DIE ZEIT – n° 2/2014 gennaio 2014
Centro di gravità: ripartire per l’Europa

In ritardo: un cambio di rotta


di Hans-Ulrich Wehler

  L’Europa soffre sotto il Diktat dei tedeschi e per il centralismo di Bruxelles. Per entrambi i problemi vi sono buoni rimedi.


zeit.de
(Traduzione dal tedesco di José F. Padova)
Dopo l’entrata in carica della Grosse Koalition [ndt.: l’attuale governo tedesco CDU – SPD] i problemi della politica europea torneranno presto in primo piano. Si tratta di numerose, complesse questioni, alcune delle quali per la loro urgenza devono qui essere messe in discussione.

Per prima cosa la politica berlinese sarebbe bene orientata se una buona volta prendesse sul serio la germanofobia che aumenta nei Paesi dell’Europa meridionale, reagendo in modo adeguato. Infatti la politica tedesca di austerità ha nel frattempo causato effetti disastrosi. Fra i quali anche il fatto che l'imposizione tedesca dell'austerità ha scatenato inconfondibili ondate di un nazionalismo veemente e profondamente radicato, che è ulteriormente alimentato dalla disoccupazione, dalla crisi statale e dalla mutata situazione economica. Questa opposizione contro le pretese di ristrutturazione avanzate in particolare dalla Germania, le quali costringono i Paesi meridionali a una politica di bilancio che contraddice fortemente le loro tradizioni, deve finalmente essere rafforzata da un generoso programma di assistenza e sostegno secondo la regola del " Pretendere e assistere". Non è un caso se in questo contesto si parla già spesso di un "Piano Marshall" tedesco. Il boom tedesco, che perdura in continuazione, dipende essenzialmente, per due terzi, dal gigantesco export nell'Unione Europea. Questo exploit ha drasticamente innalzato i margini di guadagno dei tedeschi. L'auspicabile Piano Marshall deve naturalmente avere fondamenta europee, ma deve essere finanziato prioritariamente dalla Repubblica Federale, quale Stato più favorito economicamente. Finora del meridione europeo sono state sostenute in primo luogo le banche e non i Paesi. Che rimane della credibilità del Progetto Europeo, se per esempio la disoccupazione fra i giovani nei Paesi meridionali rimane ferma fra il 50 e il 60 percento?
Una simile opera di sostegno andrebbe anche a favore della retorica politica tedesca, che potrebbe ampliare finalmente il ruolo ingrato di rigido Commissario al risparmio verso misure indirizzate al benessere. Essa potrebbe anche contrastare a livello più credibile la germanofobia, che contro la Repubblica Federale si diffonde già visibilmente nelle Commissioni europee. E questo è urgente anche a causa dei rapporti squilibrati con la Francia, perché il Capo di Stato del blocco sud, Hollande, offre chance allettanti per susseguenti correzioni di rotta.
Tuttavia in linea di massima, soprattutto dopo 60 anni di politica per l'Europa, è necessaria una presa di coscienza critica e basilare. Fin dall'inizio a questa politica era collegato lo scopo di una Unione economica, presto integrata dalla speranza di un'unione politica degli Stati. Essa ebbe proprio nella Germania occidentale una viva risonanza, perché dopo la disintegrazione dello Stato nazional-socialista tedesco l'utopia europea trovò più che altrove decisiva approvazione come nuovo, immacolato faro di orientamento.
Adesso l'integrazione economica, compresa l'unità della valuta, nonostante le sue crisi è ampiamente riuscita, mentre la discussione politica mantiene vivo lo scopo del sistema, uno Stato federale, gli Stati Uniti d'Europa, guidato dal centro. Sulla via di un Ministero paneuropeo dell'economia o di un Ministro delle Finanze competente per l'intera Europa deve ora, un passo dopo l'altro, essere creato il centro politico dell'Europa con un governo e un'amministrazione efficienti.
Finora contro [questo progetto] in realtà vi sono gravosi ostacoli. Non vi è il popolo dello Stato europeo, che potrebbe fungere come elemento di distribuzione della legittimità democratica. Tutte le decisioni parlamentari e partitiche avvengono nei singoli Stati membri, anche se già una buona parte delle leggi consiste nella trasposizione di progetti di legge di Bruxelles. Non vi è alcuna comunanza linguistica europea, perciò i tedeschi non possono prendere in considerazione l'opinione pubblica francese, greca o polacca e viceversa italiani, ungheresi e portoghesi non prendono parte alle discussioni che avvengono negli altri Stati. Tutto questo rende difficile l'indispensabile formazione del consenso. Soprattutto non esiste, nonostante le esperienze storicamente vissute, comuni ma estremamente differenti, alcuna storia comune che vincoli. Fino a oggi si sono dimostrate insuperabili le tradizioni e le mentalità degli Stati nazionali, nonostante tutti gli apprezzabili compromessi. Non soltanto Jakob Burckhardt ha elogiato la molteplicità della tradizione europea, quale ricchezza culturale d'Europa e sua più preziosa eredità, che deve essere difesa da tutte le pretese di rigida omogeneizzazione.
Se le riflessioni di questa breve sintesi sono giuste, una politica centralistica dell'Europa si terrà in vita con le unghie e con i denti, perché rimarranno troppo recalcitranti e strapotenti le diverse tradizioni e mentalità [nazionali]. Da questo deriva obbligatoriamente la conseguenza che - come anche ha argomentato da Bonn lo storico contemporaneo Dominik Geppert in un brillante pamphlet (Una Europa che non c'è; Berlino, 2013) - la politica europea del cambio di rotta necessita di un sistema decentralizzato. In linea di principio non dovrebbero perciò dominare dovunque le disposizioni di Bruxelles, ma invece dovrebbe regnare il principio di sussidiarietà, tanto spesso evocato, secondo il quale le singole questioni dovrebbero essere trattate sul posto dalle istituzioni nazionali per quanto più è possibile. A favore di ciò parla anche il fatto che ogni Europeo si sente a suo completo agio nel suo abituale Stato di diritto, Stato sociale e nella sua Costituzione, cosicché egli non vuole scambiare la tutela che gliene deriva con anonime direttive arrivate da Bruxelles. Alle istanze centrali europee restano quindi soltanto problemi complessi, veramente forti, estesi, come la regolamentazione del mercato finanziario, i controlli sulle banche e gli interventi militari. I compiti che vi sono collegati sono già abbastanza difficili. La loro soluzione sarebbe d'altra parte incrementata dalla concorrenza degli Stati e delle Regioni, indirizzata ai migliori risultati.
Verso la decisione, in realtà basilare, sul nuovo corso [europeo] si è appianato anche il rapporto con la Gran Bretagna, che serve non soltanto come sostegno per la sua maggiore risparmiosità, ma anche come freno contro un ulteriore, proliferante centralismo. Nel contesto di una politica decisamente decentralizzata, che concepisce l'Europa come "reticolo flessibile" anziché come organizzazione pesante e non contestabile, la collaborazione di Londra con l'Unione si realizzerebbe in misura incomparabilmente più agevole di quanto avvenuto sinora. Nessun Europeo vorrà rinunciare a questa cooperazione, tenuto conto delle pregevoli esperienza politiche dell'Inghilterra e del suo stile prevalentemente pragmatico di fare politica. La medesima flessibilità potrebbe riuscire a chiudere positivamente le trattative USA-Europa sulla prospettata Zona di libero scambio atlantica.
Il lasso di tempo intercorrente fra due generazioni è abbastanza lungo per valutare, riguardo all'Unione Europea, i vantaggi e gli svantaggi di un corso di sviluppo centralistico o decentralizzato, in un semplice calcolo di costi e utili. Le migliori argomentazioni ora perorano per un bilancio storico chiaramente orientato sulla decentralizzazione. Questo [bilancio] dovrebbe decidersi al più presto a farlo anche la Cancelliera federale, con la sua aumentata influenza all'inizio del terzo mandato governativo - nonostante le rumorose voci favorevoli a una Unione di Stati nel suo vecchio e nuovo Gabinetto!. Altri urgenti compiti, come il contrasto alla ostilità germanofoba e al completamento delle esigenze di consolidamento mediante un generoso programma di aiuti non dovrebbero evidentemente essere ulteriormente posticipati.



Giovedì 11 Dicembre,2014 Ore: 19:16
 
 
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