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www.ildialogo.org Pensare le disuguaglianze - Regimi di disuguaglianza e d’ingiustizia sociale,di François Dubet

Dalla Rivista online Sociologies
Parte Terza

Pensare le disuguaglianze - Regimi di disuguaglianza e d’ingiustizia sociale

di François Dubet

(traduzione dal francese di José F. Padova)


54. In materia di giustizia sociale i francesi sarebbero ”rawlsiani” [da Wikipedia: Una teoria della giustizia è la più nota opera del filosofo statunitense John Rawls. Questo saggio rappresenta un paradigma imprescindibile nella ricerca filosofica contemporanea ed è pertanto considerata l'opera di filosofia politica più importante del Novecento] senza saperlo. Essi aderiscono a una poliarchia dei principi di giustizia e, postisi dietro un«velo d’ignoranza», fanno scelte alla Rawls. Invitati a scegliere fra tre strutture sociali – la prima ugualitaria e relativamente povera, la seconda meno ugualitaria, che però garantisce redditi elevati ai più sfavoriti, la terza più disegualitaria e più favorevoli per chi ha successo –, il 76% degli intervistati sceglie la seconda formula, la più «rawlsiana», perché combina la migliore situazione dei più sfavoriti con un riconoscimento «ottimale» del merito. Le risposte a queste domande sono poco influenzate dalla posizione sociale degli individui. Tuttavia le cose non sono per niente così semplici, perché se i francesi privilegiano un’eguaglianza rawlsiana in materia di società, il merito si prende la sua rivincita in termini di micro-giustizia.
La dialettica dei principi di giustizia
55. La percezione delle disuguaglianze è un’attività normativa fondata sull’esistenza a priori di principi di giustizia, che ci fanno percepire le disuguaglianze sociali come ingiuste (Immanuel Kant, Lawrence Kohlberg, Jean Piaget). Se noi non sappiamo con precisione ciò che potrebbe essere un mondo giusto, l’esperienza delle ingiustizie si presenta come un’evidenza, come un’esperienza primaria. Non soltanto l’ingiustizia si impone a noi stessi, ma siamo sempre in grado di dire perché questa o quell’ingiustizia è un’ingiustizia. L’incontro delle disuguaglianze e dei principi di giustizia genera un’economia morale delle disuguaglianze. Nell’era dei Paesi democratici moderni si può considerare che i protagonisti mobilitino tre grandi principi della giustizia.
56. L’uguaglianza. Benché nessuno sia egualitario, sembra che gli individui abbiano una percezione delle disuguaglianze accettabili e dello spazio nel quale dovrebbero situarsi le disuguaglianze sociali. Non si deve essere né troppo povero, né troppo ricco, perché l’uguaglianza garantisca un’integrazione sociale elementare e perché si formi un’umanità comune, nonostante le disuguaglianze sociali. Uguaglianza è anche un’uguaglianza elementare dei diritti e delle risorse, che permette a ciascuno di essere considerato membro responsabile di una società.
57. Il merito. Pur volendo essere tutti uguali, noi vogliamo anche che il nostro merito sia riconosciuto e che si formino così disuguaglianze giuste. È giusto ricompensare i buoni alunni, i lavoratori più efficienti e chi ha più coraggio, coloro il cui merito è più utile alla società. Se l’uguaglianza è una condizione del merito, gli individui non sono egualitari perché è giusto che le disuguaglianze legate al merito siano riconosciute.
58. L’autonomia. Noi consideriamo ingiuste le disuguaglianze quando sono associate a meccanismi di dominio, che ci impediscono di agire in modo autonomo. Il movimento operaio non denunciava unicamente le disuguaglianze e lo sfruttamento – il non riconoscimento del merito – ma contestava anche l’alienazione provocata dal dominio di una classe su un’altra.
59. I principi di giustizia sono finzioni normative. Noi sappiamo di non essere mai veramente uguali, sappiamo anche che non è cosa certa meritare il proprio merito e sappiamo infine che l’autonomia è forse un’illusione della libertà. Tuttavia ciò non impedisce che queste finzioni strutturino il rapporto degli uomini col mondo sociale. Di conseguenza occorre sapere come i protagonisti mobilitano questi principi e li mettono in moto, pur sapendo che questi criteri di giustizia sono, allo stesso tempo, necessariamente collegati e profondamente contradditori. Questo fa sì che la critica delle disuguaglianze ingiuste sia un’attività inesauribile e che non si stabilizzi mai, poiché vi sono poche probabilità che una situazione soddisfi pienamente tutti i principi della giustizia.
60. Questa costatazione non è estranea al mondo dell’azione, perché ci si deve chiedere quali condizioni e quali configurazioni delle ingiustizie favoriscano o frenino il passaggio all’azione collettiva. In che modo ogni principio di giustizia è collegato a un’evidenziazione delle cause sociali e morali delle disuguaglianze ingiuste? In quale misura gli individui, da loro stessi e dagli altri, sono considerati come vittime o come responsabili delle disuguaglianze che subiscono e che contribuiscono a causare?
Modelli di giustizia e disuguaglianze
61. I principi di giustizia sono non soltanto quadri normativi dei giudizi sociali, ma anche dell’azione collettiva, dei modelli di giustizia e dei «contratti sociali» latenti. Questi modelli di giustizia sono attivi nelle tecniche sociologiche più banali e, spesso, senza che i ricercatori lo sappiano esplicitamente.
Le tecniche statistiche sono teorie implicite della giustizia
62. Torniamo al caso della scuola per tentare di dimostrare come gli strumenti statistici possano essere considerati specie di teorie in atto.
63. Quando lo strumento misura il numero di figli di operai, di figlie o figli di migranti che accedono all’élite scolastica (le università migliori o le Grandi Scuole, per esempio), quando dimostra che un figlio di operaio ha «dieci volte meno chance» di accedere all’élite scolastica, questo strumento mette in atto una teoria della giustizia meritocratica: una teoria dell’uguaglianza delle chance. Agisce come se la giustizia fosse misurata sull’unità base di una pura uguaglianza delle chance, secondo la quale, poiché la riuscita scolastica non deve dipendere da alcun fattore legato all’origine sociale degli alunni, la composizione dell’élite scolastica dovrebbe riflettere quella della popolazione di riferimento.
64. Quando lo strumento statistico misura il divario delle prestazioni scolastiche degli alunni della medesima età, esso considera implicitamente che la giustizia scolastica è costituita da una norma di relativa uguaglianza dei risultati. Il sistema scolastico che non amplia eccessivamente i divari fra gli allievi migliori e quelli meno validi è più giusto di quello che li ingrandisce di molto. Notiamo che questo criterio di uguaglianza non è per forza conforme a quello del merito; un sistema meritocratico giusto può aprire grandi disparità, mentre un sistema relativamente ugualitario può essere scarsamente meritocratico. Una società nella quale le università prestigiose accolgono allievi socialmente sfavoriti, pur avendo il monopolio degli alti redditi e dell’accesso al potere, è più giusta o più ingiusta di una società nella quale i ragazzi sfavoriti non accedono per niente all’università, ma beneficiano di una formazione tecnica che garantisce loro salari accettabili e l’accesso a posti di responsabilità?
65. Si potrebbero immaginare altri criteri di giustizia valutando i benefici sociali apportati dai diplomi, distribuiti in modo sia giusto sia ingiusto. È giusto che le disuguaglianze di reddito siano relativamente indipendenti dalle disuguaglianze scolastiche e, in questo caso, i meccanismi di formazione delle disuguaglianze salariali sono giusti?
66. Potremmo anche introdurre misure della qualità dell’esperienza soggettiva degli allievi. Una scuola autoritaria e brutale, ma giusta in termini di chance e di risultati, è più giusta di una scuola accogliente e affabile, la cui equità sia meno garantita?
67. Potremmo moltiplicare gli esempi: le medie, i divari di chance, le distribuzioni, le analisi di regressione, gli Odds ratio … sono di fatto teorie pratiche, in atto, della giustizia sociale. Si tratta spesso di teorie relativamente contraddittorie e potremmo dimostrare come esse si attuino in funzione dei contesti ideologici, delle politiche pubbliche e dei dibattiti che strutturano la vita politica delle società.
68. Questi modelli di giustizia non soltanto rimandano a insiemi di valori e di tradizioni politici, essi definiscono problemi sociali prioritari, definiscono anche gruppi e protagonisti sociali, partecipano agli ambiti delle politiche pubbliche. Così è possibile distinguere due grandi modelli di concetti delle disuguaglianze e della giustizia sociale, che si sono articolati e opposti nelle società moderne dopo le rivoluzioni democratiche. Questi due modelli sono i modi principali per ridurre la massima contraddizione delle società democratiche: l’affermazione della fondamentale uguaglianza degli individui e il mantenimento di disuguaglianze sociali prodotte specialmente dal capitalismo.
Il modello dei posti [di lavoro]
69. Appena dopo le rivoluzioni, la maggior parte dei Paesi industrializzati europei hanno ritenuto che la giustizia sociale consistesse nel ridurre le disuguaglianze fra le posizioni sociali e nel ridurre progressivamente il ventaglio delle disuguaglianze fra le classi sociali grazie a politiche sociali costruite come compromessi. Questo concetto della giustizia sociale sviluppa una visione della vita sociale e dei protagonisti significativi in questo contesto.
70. L’uguaglianza dei posti si fonda su un concetto delle disuguaglianze costruito intorno alle classi sociali e al lavoro. Generalmente essa è portata avanti dal movimento operaio, dalla sinistra e dai sindacati. La destra e la sinistra sono l’espressione delle lotte di classe derivate dal mondo del lavoro.
71. Questo modello presuppone una solidarietà allargata, fondata su un ampio velo d’ignoranza: il lavoro è un’attività «funzionale» che deve beneficiare di una solidarietà generale più vasta del solo contratto salariale. La giustizia consiste innanzitutto nel garantire le posizioni sociali dei salariati contro l’alea delle crisi economiche.
72. L’uguaglianza dei posti si fonda su uno Stato che ridistribuisce mediante i prelevamenti sociali, l’imposta progressiva e le attrezzature pubbliche gratuite offerte a tutti.
73. L’uguaglianza dei posti ignora le disuguaglianze sociali che non dipendono dal lavoro: disuguaglianze fra i sessi, le generazioni, le culture … Costruito sulla figura dell’uomo bianco lavoratore, è un modello cieco di fronte a numerose disuguaglianze e poco sensibile alla mobilità sociale.
74. L’uguaglianza dei posti si manifesta principalmente nelle società nazionali relativamente omogenee, nelle quali le disuguaglianze di classe sembrano riassumere tutte le disuguaglianze.
75. Questo modello tende a esaurirsi quando la crescita è debole e quando i sistemi nazionali di protezione sociale entrano in concorrenza.
76. Comunque stiano le cose riguardo alla forza e alle virtù di questo modello di giustizia sociale, è necessario metterne in evidenza la coerenza sociologica, politica e normativa. Si tratta di un «sistema» di rappresentazione delle disuguaglianze e di un quadro di azione politica. Esso funziona come un paradigma generale che incrocia principi di giustizia, definizione delle disuguaglianze e dei protagonisti cointeressati, orientamenti politici.
Il modello delle chance
77. L’altra risposta alle tensioni delle società democratiche si è sviluppata meglio in America del Nord, nei Paesi d’immigrazione, nei quali l’opportunità di spostarsi dentro la struttura sociale è più desiderabile della relativa uguaglianza delle posizioni sociali. In questo caso, poco importano le disuguaglianze fra le posizioni sociali, la ricchezza degli uni e la povertà degli altri, finché tutti gli individui dispongono delle medesime chance iniziali di riuscita. Detto altrimenti, si tratta del sogno americano.
78. Le disuguaglianze di classe «funzionali» in questo modello sono meno visibili delle disuguaglianze derivanti dalle discriminazioni iniziali che limitano l’uguaglianza delle chance. Le classi sociali lasciano il posto alle «minoranze» più o meno discriminate: le «razze», le culture, i sessi, i diversi handicap … Il razzismo, il sessismo, il patriarcato, il nazionalismo culturale prendono progressivamente il posto dello sfruttamento e del dominio di una classe da parte di un’altra. Il contrasto che oppone insiders e outsiders domina la vita politica.
79. Il velo della solidarietà cieca è sostituito da una politica di lotta contro le discriminazioni. Lo Stato interviene meno per ridistribuire che per stabilire l’equità della competizione sociale.
80. La morale conservatrice dell’uguaglianza dei posti è sostituita da una morale della libertà e della responsabilità. La solidarietà verso i più poveri non è data per scontata se non quando essi non possono essere ritenuti responsabili del loro destino.
81. Il modello dell’uguaglianza delle chance si è sviluppato in America perché i posti erano aperti; s’impone oggi in Europa perché i posti sono rari.
82. L’uguaglianza delle chance è presente nelle società pluriculturali, quando i diversi processi di discriminazione e di segregazione si sovrappongono ai soli rapporti di classe, e quando le classi popolari non hanno alcuna omogeneità culturale.
83. È probabile che esistano altri paradigmi oltre a questi due; l’essenziale è sapere in quale dei due si ragiona e ciò che essi comportano se si crede, come Max Weber, che l’azione è fondamentalmente «tragica». Come l’uguaglianza dei posti, l’uguaglianza delle chance funziona come un paradigma. Il sociologo può mostrare come si formano e come funzionano questi paradigmi e come sono messi in atto dalle politiche pubbliche, dalle istituzioni e dai sistemi giuridici. In ogni caso, la costruzione di questi modelli o di questi paradigmi, che combinano la misura delle disuguaglianze, le teorie della giustizia e le forme di azione collettiva, permetterebbe di superare la tendenza allo sminuzzamento della sociologia delle disuguaglianze e a inserirla in una sociologia generale.
84. Le disuguaglianze sono talmente evidenti e tanto evidentemente scioccanti che può sembrare difficile farne un oggetto sociologico. La loro denuncia sembra talmente banale che molto spesso i sociologi non sanno perché essa è evidente, quando noi stessi accettiamo così facilmente le disuguaglianze che ci sono favorevoli e ci sembrano giuste, senza che si sappia troppo qual è l’ordine delle priorità fra i nostri interessi e le nostre convinzioni. La sociologia delle disuguaglianze dovrebbe resistere alla sua facile tendenza a pensare che la critica e la denuncia servono da teoria sociologica, mettendosi dal punto di vista di un’uguaglianza pura, allo stesso tempo banale e contraddittoria con la propria esperienza. Saremmo meglio interessati a vedere come gli individui percepiscono e giudicano le disuguaglianze sociali.
85. Le disuguaglianze sono un oggetto macro e micro, obiettivo e soggettivo. Se ci si dà la pena di costruire un poco e di leggere ciò che la filosofia politica e morale ha fatto di meglio, la sociologia può resistere alla doppia debolezza che talvolta la minaccia: la deriva micro-sociologica e il moralismo, che si sostituisce così facilmente all’analisi. La necessità di trasformare le disuguaglianze sociali in problema sociologico si lega anche all’esigenza di non sostituire la critica dei sociologi a quella dei protagonisti sociali.



Martedì 04 Marzo,2014 Ore: 19:14
 
 
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