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www.ildialogo.org Pensare le disuguaglianze,François Dubet

Dalla Rivista online Sociologies
Parte Prima

Pensare le disuguaglianze

Regimi di disuguaglianza e d’ingiustizia sociale


François Dubet

François Dubet - nato il 23 maggio 1946 a Périgueux è sociologo, professore al’Università Bordeaux II e direttore di ricerca alla Scuola di Alti studi di scienze sociali. Autore di numerose opere dedicate all’emarginazione giovanile, alla scuola e alle istituzioni; ha diretto l’elaborazione del rapporto Il Collegio dell’anno 2000 indirizzato al Ministro per la Scuola, nel 1999.
(traduzione dal francese di José F. Padova)
sociologies.revues.org

La sociologia delle ineguaglianze può essere un abisso senza fine, che si ragioni in termini sia di categorie di protagonisti sia di criteri di disuguaglianza. Per sfuggire al pericolo indotto da un approccio strettamente descrittivo delle disuguaglianze, è necessario inserire la sociologia delle disuguaglianze in una sociologia generale, mirante a proporre analisi, interpretazioni o spiegazioni di meccanismi e/o di forme di consapevolezza e di azione, di cui le disuguaglianze sono, di volta in volta, le cause, le strutture e gli scopi. In questo articolo si evocano quattro temi: le disuguaglianze formano una struttura e un sistema che spiegano altro che non le sole disuguaglianze? Come si producono e si riproducono le disuguaglianze in società che, in genere, le rifiutano? Perché l’esperienza cognitiva e normativa delle disuguaglianze non è il «riflesso» delle reali disuguaglianze? E infine, poiché la sociologia deve essere utile e partecipare al dibattito pubblico e poiché le disuguaglianze sono un problema di filosofia politica e morale, [si esaminano] le concezioni politiche dominanti delle disuguaglianze e le forme di «contratto sociale» che esse implicano.

I regimi di disuguaglianza
1. La sociologia delle disuguaglianze può essere un baratro senza fine. Se si ragiona in termini di categorie di protagonisti, è possibile moltiplicarli per quanto lo permettono gli strumenti statistici; si conteggiano allora le disuguaglianze in funzione dei gruppi professionali, delle «razze», delle identità culturali, delle appartenenze religiose, dei sessi, delle età, delle generazioni, delle regioni, delle differenti origini, delle città e delle campagne … Se si ragiona in termini di criteri di disuguaglianza, anche qui l’elenco non può essere limitato se non dall’immaginazione dei ricercatori e dalla raffinatezza degli strumenti dei quali dispongono: i redditi, il patrimonio, i capitali culturali, i capitali sociali, il potere, il prestigio, la salute, le condizioni di vita, la «felicità», i molteplici rischi cui siamo sottoposti, la mobilità sociale … Immaginando d’incrociare 10 gruppi di categorie con 10 criteri di misurazione delle disuguaglianze si arriva a un centinaio di casi. E ancora: si può far meglio interessandosi all’«interfrazionamento» delle categorie, perché va da sé che si possa essere donna, operaia, musulmana, qualificata scolasticamente, in buona salute o handicappata, abitante in città, madre, divorziata, separata …

2. Il pericolo insito in questo approccio strettamente descrittivo delle disuguaglianze è quello di fare della sociologia una sorta di collezione, di botanica sociale, nella quale ogni ricercatore diventa lo specialista, se non addirittura il proprietario di una disuguaglianza sociale. Rischio questo tanto più forte quanto più nelle società democratiche la condanna morale delle disuguaglianze può facilmente fungere da teoria sociologica: rivelare e descrivere una disuguaglianza è quasi come eseguire opera teorica in grazia della sola denuncia. A questo proposito non perdiamo di vista il fatto che le disuguaglianze fra i Paesi sono spesso molto più forti di quelle interne a ciascuna società e che meriterebbero ben più della nostra indignazione. Per resistere a una tentazione puramente descrittiva è necessario inserire la sociologia delle disuguaglianze in una sociologia generale, mirante a proporre analisi, interpretazioni o spiegazioni di meccanismi e/o di forme di consapevolezza e d’azione le cui disuguaglianze sono, di volta in volta, le cause, gli scenari e i fini. Accennerei a quattro temi, la maggior parte dei quali non è molto originale.

3. Quali sono i regimi di disuguaglianza? In altre parole, le disuguaglianze formano una struttura e un sistema, i quali spiegano altre cose oltre le sole disuguaglianze?

4. Come si producono e si riproducono le disuguaglianze in società che, in generale, le rifiutano? Illustrerò questo tema mediante il caso della scuola.

5. All’interno del flusso ininterrotto delle disuguaglianze perché alcune sembrano ingiuste e intollerabili, mentre altre sono perfettamente accettate? Perché l’esperienza cognitiva e normativa delle disuguaglianze non è il «riflesso» delle disuguaglianze reali?

6. E infine, poiché credo che la sociologia debba essere utile e partecipare al dibattito pubblico e poiché le disuguaglianze sono un problema di filosofia politica e morale, accennerò brevemente alle dominanti concezioni politiche delle disuguaglianze e alle forme di «contratto sociale» che esse implicano.

I regimi di disuguaglianza
7. La vecchia idea di regime di disuguaglianza presuppone che le disuguaglianze formino un sistema, una struttura sociale che spiega il «funzionamento» della società, dell’economia, della cultura, del potere … Il tema dei regimi di disuguaglianza è senza dubbio una delle questioni più classiche e antiche della sociologia. I «Padri fondatori» e i manuali di sociologia hanno sempre preferito opporre le caste alle classi e le classi alle masse, in un ordine di successione identificato nella rappresentazione della modernità. Ma questi regimi non sono soltanto momenti storici; essi coesistono nelle società stesse, perché il nuovo non cancella sempre il vecchio.

Ordini e caste
8. Le società tradizionali e le società pre-capitaliste sono state definite come società di caste o società di Ordini, società nelle quali i diversi gruppi sociali non condividono un principio comune di eguaglianza naturale, cosa che spiega come gli individui non abbiano la possibilità di lasciare il gruppo al quale sono destinati. Si tratta di società naturalmente disegualitarie, vale a dire società nelle quali le disuguaglianze si spiegano mediante la «natura delle cose» e la volontà degli dei, ciò che è quasi la stessa cosa. L’ordine teologico spiega l’ordine sociale e lo giustifica, mentre la critica delle disuguaglianze passa il più delle volte attraverso la critica religiosa e le guerre di religione.

9. Questo sistema non s’impone più nelle società occidentali e democratiche moderne, ma è dominante in un gran numero di Paesi che si modernizzano in seno a una società di caste più o meno esplicite. Tuttavia le nostre società non si sono totalmente sbarazzate dell’ascription [=attribuzione, assegnazione]. Logiche di casta e di Ordine sussistono perfino dentro la modernità democratica. Nel mondo del lavoro e nelle istituzioni regge l’antica gerarchia fra le attività dignitose e le attività indegne, fra le attività pure e le attività impure. La gerarchia delle attività, delle professioni e dei mestieri «catalogati per genere» e attribuiti alla razza, per non parlare di razzismo e sessismo, deriva da un concetto, fatto diventare naturale, delle disuguaglianze e noi sappiamo che alcune di queste, in particolare le disuguaglianze sessuali, sono pensate in un gran numero di società come postulati teologici. Il carattere di casta di queste disuguaglianze si manifesta anche nel fatto che non si può per niente cambiare la categoria [nella quale ci si trova], perché la disuguaglianza sociale è pensata come una disuguaglianza di natura. Diversità «naturali» diventano disuguaglianze sociali e disuguaglianze sociali sono attribuite alla natura.

10. Malgrado la «sopravvivenza» di queste disuguaglianze – si pensava che la nostra struttura intellettuale e morale fosse quella della democrazia – e nonostante il loro ritorno nel campo scientifico con i gender e i racial studies, sembra che queste disuguaglianze sociali non formino una struttura suscettibile di spiegare totalmente il funzionamento e l’evoluzione delle società.

La rottura democratica
11. Se le disuguaglianze di casta e d’Ordine ci sconvolgono tanto, è perché il nostro quadro intellettuale e morale è quello della democrazia, quello delle società individualiste e democratiche che affermano, come dice Louis Dumont (1966) sulla falsariga di Alexis de Tocqueville, che gli individui sono considerati come fondamentalmente liberi e uguali. In seguito ai monoteismi, che affermano l’uguaglianza di tutti «fuori dal mondo», alle teorie del diritto naturale e poi dei Diritti dell’Uomo, va da sé che le disuguaglianze di castra non possono più fondare l’Ordine delle disuguaglianze sociali. Le teorie del contratto sociale, sia di natura politica o di natura più economica, si sostituiscono al pensiero teologico-politico, nel quale l’autorità del sovrano deriva dall’autorità degli dei.

12. Questa affermazione dell’eguaglianza di tutti e di ciascuno apre la contraddizione fondamentale delle società democratiche e pone la questione delle disuguaglianze al centro del pensiero sociale. In effetti, come giustificare le disuguaglianze sociali dal momento che i cittadini sono fondamentalmente uguali? Il problema si pone quanto più la questione sociale invade le società industriali. La stessa sociologia deriva da questa questione, quando si chiede come si tengono insieme le società quando ognuno vi è libero e uguale a tutti e quando il capitalismo appare come una macchina in grado di produrre ricchezze e disuguaglianze. Come conciliare il capitalismo e l’uguaglianza democratica? In questo contesto sociale, intellettuale e politico il concetto di classe sociale diviene una specie di equivalente generale delle disuguaglianze.

Le classi sociali
13 Attraverso i dibattiti relativi ai legami fra la stratificazione e le classi sociali – dibattiti che hanno dominato la sociologia fin verso la metà degli anni ’60 – la questione era sapere se le disuguaglianze sociali formassero un sistema. In Europa, in particolare, la risposta è stata largamente positiva e non solamente presso i marxisti. Sociologi tanto diversi quanto Maurice Halbwachs, Raymond Aron, Ralph Dahrendorf, Alain Touraine, Pierre Bourdieu … pensano che le disuguaglianze di classi formino la struttura dell’organizzazione sociale e che questa struttura spieghi una larga parte della vita sociale. Le società industriali sono società di classi come le società dell’Ancien Régime erano società di Ordini. In questo contesto la sociologia delle classi sociali diviene l’equivalente di una sociologia generale, perché le classi sono gli elementi funzionali di un sistema, di un modo di produzione. Tuttavia le classi sociali sono molto più di questo.

14. Un buon numero di sociologi pensano che esse sono gruppi «concreti», comunità di preferenze, di opinioni, di modi di vivere, che sono realtà culturali soggettive quasi altrettanto dense e reali quanto potevano esserlo le caste. D’altronde la sociologia ha mantenuto un riflesso culturalistico delle classi, in particolare in Paesi come l’Inghilterra industriale, dove le distanze sociali che oppongono le classi fra loro sono state quasi altrettanto profonde quanto lo erano le disuguaglianze di casta; si pensi tra gli altri a Richard Hoggart (1970) e a ciò che sarebbe diventato Cultural Studies. Ma le classi sociali sono anche protagonisti e movimenti sociali in società dominate dal movimento operaio, nelle quali la vita politica si forma come espressione istituzionale degli interessi di classe.

15. Nell’ambito della sociologia le classi sociali diventano un «concetto totale»: explicanda ed explicandum. Sono ciò che si deve spiegare e ciò che spiega quello che si deve spiegare. Si interpretano i comportamenti dei protagonisti mediante la loro posizione di classe. Più ancora, molti sociologi affermano che, «in ultima istanza», tutto si spiega mediante le disuguaglianze e i conflitti di classe: la vita politica, certamente, ma anche la cultura, l’educazione … In ultima analisi, spiegare le cose significa riportarle alla loro natura di classi e si comprende facilmente come, in questo contesto, le disuguaglianze sociali che non derivano dalle classi sociali sono sia ignorate, sia percepite come secondarie, ovvero ridotte a una dimensione delle disuguaglianze di classe. Per esempio, gli emigranti e le minoranze sono riferiti a una modalità dello sfruttamento e le donne sono sia una specie di classe domestica necessaria al capitalismo, sia, più semplicemente, un gruppo che non accede alla piena partecipazione sociale se non entrando a fare parte del salariato, vale a dire del gioco delle classi sociali. In tutti questi casi domina un’analisi in termini di classi sociali e questo modello domina o schiaccia la sociologia delle disuguaglianze.

Il declino della sociologia delle classi sociali
16. Per coloro che sono entrati nella sociologia più di quarant’anni fa nulla è più spettacolare dell’esaurimento di questa sociologia delle classi, quasi egemone in Europa durante gli anni ’70. Obiettivamente, le classi sociali non sono scomparse, ma il regime di classi arretra con l’allontanarsi della società industriale, con l’arretramento del movimento operaio. Con la caduta del Muro di Berlino … Bisogna anche dire che la riduzione delle disuguaglianze a regime di classi sociali urta contro considerevoli difficoltà.

17. Questo regime cancella disuguaglianze che non è possibile ridurree a meri aspetti particolari delle disuguaglianze di classe: disuguaglianze fra sessi, età, generazioni, identità culturali … La riduzione di queste disuguaglianze a disuguaglianze di classe esige una virtuosità e una «altezza di prospettiva» sempre meno credibili. Il regime delle disuguaglianze di classe si scontra anche con lo «schiacciamento sulla media» della società, con il «cracking [frattura] culturale» indotto dalla cultura di massa e dallo sviluppo della scolarizzazione lunga; le gerarchizzazioni sottili ed eterogenee dei modi di vita si sostituiscono ai semplici sfaldamenti delle classi sociali … Il regime delle disuguaglianze di classe entra in conflitto anche con la mobilità dei gruppi e delle persone o, per definirlo più astrattamente, al fatto che per gran parte della popolazione le fratture [degli sfaldamenti] non si sovrappongono esattamente, quanto più ci si allonatna dai segmenti più favoriti o, al contrario, da quelli più sfavoriti delle società.

18. Infine, il regime delle disuguaglianze di classe si scontra con il progresso della statistica sociale. Quanto più l’apparato statistico è complicato e l’immagine delle disuguaglianze diventa raffinata e sofisticata e quanto più è facile moltiplicare le dimensioni e le variabili, tanto più è facile introdurre analisi diacroniche. Alla fine di queste raffinazioni l’immagine delle sole disuguaglianze sembra essere troppo grossolana. Le dispersioni, le analisi di regressione e le Odds ratio si sostituiscono alle medie.



Martedì 11 Febbraio,2014 Ore: 19:13
 
 
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