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www.ildialogo.org Massacriamo i poveri!,di Alain Garrigou

Massacriamo i poveri!

Con una riflessione di Barbara Spinelli


di Alain Garrigou

(traduzione di J.F. Padova)


Non riconoscono i loro errori, ma li ripetono aggravandone le conseguenze. Non rispondono a nessuno di quello che fanno. Dimostrano arroganza e supponenza. Ai burocrati di Bruxelles, che stanno affondando l'idea di Europa, dedico questi due scritti.
L'uno attualissimo, appassionato e lucido (Spinelli), l'altro ispirato da un profetico racconto di Baudelaire, di metà dell'ottocento. Allegria di naufragi.
JFPadova

Le Monde Diplomatique, blog – 11 giugno 2013

Massacriamo i poveri!
Alain Garrigou
(traduzione dal francese di José F. Padova)
blog.mondediplo.net/

Un’espressione ossessiona la nuova lingua [gergale] del giorno d’oggi : «riforme strutturali». Occorre dunque credere che vi sono altre riforme, più anodine, ma che non si saprebbe come prendere in giro a confronto con le «riforme strutturali», tanto profonde, vitali e senza dubbio dolorose. La definizione serve a designare le misure destinate ad accrescere la flessibilità del lavoro, a ritardare l’età del pensionamento, a diminuire le prestazioni sociali, a fare calare le spese dello Stato, a diminuire le imposte e i salari.

«Massacriamo di botte i poveri!», ingiungeva crudelmente Charles Baudelaire nel suo Spleen de Paris (1869). In questa grottesca favola, scritta fra il 1864 e il 1865, non ci proponeva di massacrarli per sbarazzarcene, ma per salvarli. Il suo personaggio, «disincantato dalle promesse» di un periodo di ottimismo, si mette a riempire di botte un vecchio mendicante, invece di dargli l’elemosina. Sorpresa! «L’antica carcassa» si ribella e restituisce allora i colpi in un modo tanto convincente che l’aggressore divide con lui volentieri i suoi beni. Baudelaire ci ha indicato la via migliore per uscire dalla miseria?

Massacrare di colpi i poveri, la soluzione non pare tanto assurda ai «riformatori strutturali», a questi nuovi «imprenditori della felicità pubblica» (1). Essi assicurano ogni giorno, attraverso sondaggi e sermoni, che l’accumulazione privata è il mezzo migliore per garantire lavoro ai poveri, per partecipare all’arricchimento collettivo. Prendono in giro le resistenze e le paure, vani tentativi di andare contro la necessità. Dopo una tale orgia di argomentazioni, come potrebbero i poveri non accettare di essere massacrati di botte per il loro bene? Come un tempo l’Inquisizione, che prometteva ai peccatori un guadagno futuro (il paradiso o la prosperità) al prezzo di una pena attuale, si ingiunge loro, per ottenere domani qualche beneficio, di fare oggi il sacrificio. Ma davanti alla responsabilità di agire, o di morire, eccoli infine comandati, questi assistiti, questi imbroglioni, di cavarsela con l’iniziativa e il coraggio! Così parlano gli avversari della redistribuzione: Disoccupati? Create la vostra impresa. Disoccupati? Lavorate.

La guerra dei poveri
Il narratore del poemetto in prosa, magari raggirato per qualche anno da mercanti d’illusioni dalle due sponde - «di quelli che consigliano a tutti i poveri di farsi schiavi e di quegli altri che li persuadono di essere tutti re detronizzati» - sembra un po’ meno povero del vecchio mendicante con cui se la prende. Gli sarà tanto più facile spartire i suoi beni dal momento che ne ha pochi. Entrambi sono stati ingannati, entrambi condividono la medesima violenza nella miseria, ennesima illustrazione dell’adagio popolare che vuole i miserabili picchiarsi fra loro invece di prendersela con i ricchi. La favola di Baudelaire tutto sommato è realista e pessimista, quando oggi ci si stupisce della mancanza di reazione alla crisi. La chiamata in causa dell’assistenza sociale, dell’immigrazione, del parassitismo sociale non sono forse comodi paraventi che portano i poveri a prendersela con i poveri? Quanto più grande è la paura del declassamento sociale, tanto maggiore è l’odio contro coloro che presentano l’immagine di una prossima caduta o di un lento declino. La realtà dei ricchi è, per quanto la riguarda, ben più lontana… e ha almeno il vantaggio di offrire sogni per occupare le notti e i giochi.

A meno che questa favola non sia paradossalmente ottimista. Dopo tutto, i suoi poveri protagonisti si accordano per reagire alla loro miseria. Certo che sono venuti alle mani, ma la violenza agisce su di loro come una rivelazione. Che cosa occorre perché la verità della depredazione esca dall’apatia? Indubbiamente i disastri della storia hanno guarito da un bel po’ d’illusioni rivoluzionarie, ma non è forse peggio sopportare la violenza con cognizione di causa? Questa potrebbe essere la sostanza della favola e la sua lezione per il nostro tempo, quando le cose non sono state mai tanto chiare circa la violenza, l’arricchimento dei più ricchi e l’impoverimento dei più poveri. La crisi giustifica sforzi e sacrifici, si sente proferire dagli apostoli delle riforme strutturali. Ciò che essi non dicono è che questo appello è implicitamente indirizzato ai poveri. Poi si viene a sapere, da una graduatoria di Forbes o da un’altra di Fortune, che il numero dei miliardari aumenta ogni anno, come anche il loro patrimonio individuale; si apprende che le azioni delle imprese quotate [in Borsa] conoscono rialzi ben superiori a quelli del loro fatturato, che le rimunerazioni e le indennità dei dirigenti aumentano mentre addirittura non ci sono utili, e i richiami alla moderazione restano senza risposta. I ricchi non sarebbero tanto numerosi né abbastanza ricchi per condividere il fardello e la loro ricchezza non avrebbe quindi alcun nesso con l’impoverimento degli altri? Chiedere sacrifici ai più impoveriti lasciando libertà d’azione ai più ricchi ha qualcosa di strabiliante.

Baudelaire, che aveva partecipato alle speranze del 1848, circondato da quei «libri dove si tratta dell’arte di rendere i popoli più felici, saggi e ricchi in ventiquattr’ore», fu anch’egli tramortito dalle giornate di giugno 1848, che videro l’esercito della Repubblica massacrare gli operai. Poi ci fu il colpo di Stato del dicembre 1851. La sua posizione oscilla fra la rivolta e lo spleen, di fronte all’interminabile sottomissione. Egli ne fu completamente «depoliticato», scriveva allora nella sua corrispondenza (2). Oggi si direbbe spoliticizzato. Non lo era completamente, a meno che non si possa mai esserlo definitivamente.

Note
(1) Op. cit.
(2) Lettera al signor Ancelle del 5 marzo 1852.


La Repubblica, 19 giugno 2013

La macchia umana sull'Europa

Barbara Spinelli

Se almeno avessero le loro divinità antiche: forse i Greci capirebbero meglio quel che vivono, l'ingiustizia che subiscono, l'abulica leggerezza di un'Europa che li aiuta umiliandoli da anni, che dice di non volerli espellere e nell'animo già li ha espulsi. Le divinità d'un tempo, si sapeva bene che erano capricciose, illogiche, si innamoravano e disamoravano presto. Su tutte regnava Ananke: l'inalterabile Necessità, ovvero il Fato. A Corinto, Ananke condivideva un tempio con Bia,la Violenza. L'Europa ha per gli Ateniesi i tratti di questa Necessità.

F orse capirebbero, i Greci, come mai a Roma s'è riunito venerdì un vertice di ministri dell'Economia e del Lavoro, tra Italia, Spagna, Francia, Germania, per discutere il lavoro fattosi d'un colpo cruciale, e nessuno di essi ha pensato di convocare la più impoverita delle nazioni: 27 per cento di disoccupazione, più del 62 per cento giovani. Sono i tassi più alti d'Europa. Forse avevano qualcosa da dire, i Greci, sui disastri della guerra che le istituzioni comuni continuano a infliggere con inerte incaponimento, e senza frutti, al paese reo di non fare i compiti a casa, come recita il lessico Ue.

La Grecia è la macchia umana che imbratta l'Europa, da quando è partita la cura d'austerità. Ha pagato per tutti noi, ci è servita al tempo stesso da capro espiatorio e da cavia. In una conferenza stampa del 6 giugno, Simon O'Connor, portavoce del commissario economico Olli Rehn, ha ammesso che per gli Europei è stato un «processo di apprendimento». In altri paesi magari si farà diversamente, ma non per questo scema la soddisfazione: «Non è stata cosa da poco, tenere Atene nell' euro»; «Dissentiamo vivamente da chi dice che non è stato fatto abbastanza per la crescita». Poi ha aggiunto piccato: «Sono accuse del tutto infondate».

O'Connor e Rehn reagivano così a un rapporto appena pubblicato dal Fondo Monetario: lo stesso Fmi che con la Banca centrale europea e la Commissione è nella famosa troika che ha concepito l'austerità nei paesi deficitari e dall'alto li sorveglia. L'atto di accusa è pesante, contro strategie e comportamenti dell'Unione durante la crisi. La Grecia «poteva uscirne meglio», se fin dall'inizio il debito ellenico fosse stato ristrutturato,. alleggerendone l'onere. Se non si fosse proceduto con la micidiale lentezza delle decisioni prese all'unanimità. Se per tempo si fosse concordata una supervisione unica delle banche. Se crescita e consenso sociale non fossero stati quantità trascurabili. Solo contava evitare il contagio, e salvaguardare i soldi dei creditori. Per questo la Grecia andava punita. Oggi è paria dell'Unione, e tutti ne vanno fieri perché tecnicamente rimane nell'euro pur essendo outcast sotto ogni altro profilo.

Addio alla troika dunque? È improbabile, visto che nessun cittadino può censurare i suoi misfatti, e visto il sussiego con cui è stato accolto il rapporto del Fondo. L'ideale sarebbe di licenziarla fin dal Consiglio europeo del 27-28 giugno, dedicato proprio alla disoccupazione che le tre Moire della troika hanno così spensieratamente dilatato. Il Parlamento europeo non oserà parlare, e quanto alla Bce, le parole di Draghi sono state evasive, perfino un po' compiaciute: «Di buono, nel rapporto FMI, è che la Banca centrale europea non è criticata». Il Fondo stesso è ambivalente, ogni suo dire è costellato di ossimori (di asserzioni acute-stupide, etimologicamente è questo un ossimoro). Il fallimento c'è, ma è chiamato «necessario». La recessione greca è «più vasta d'ogni previsione», ma è «ineludibile». Il fato illogico regna ancora sovrano, solo che a gestirlo oggi sono gli umani.

In realtà c'è poco da compiacersi. L'Unione non ha compreso la natura politica della crisi — la mancata Europa unita, solidale — e quel che resta è un perverso intreccio di moralismi e profitti calcolati. Resta l'incubo del contagio e dell'azzardo morale. Condonare subito il debito, come chiedevano tanti esperti, significava premiare la colpa. E poi all'Europa stava a cuore proteggere i creditori, dice il rapporto del Fondo, più che scongiurare contagi: dilazionare le decisioni «dava tutto il tempo alle banche di ritirar soldi dalle periferie dell’eurozona». La Banca dei regolamenti internazionali cita il caso tedesco: 270 miliardi di euro hanno abbandonato nel 2010-11 cinque paesi critici (Grecia, Irlanda, Portogallo, Italia, Spagna).

Ma la vera macchia umana è più profonda, e se non riconosciuta come tale sarà ferita che non si rimargina. È l'ascia abbattutasi sull'idea stessa dei beni pubblici, guatati con ininterrotto sospetto. È qui soprattutto che salari e lavoro sono crollati. E la democrazia ne ha risentito, a cominciare dalla politica dell'informazione. Il colmo è stato raggiunto la notte dell’11 giugno, quando d'un tratto il governo ha chiuso radio e tv pubblica - l'Ert, equivalente della Bbc o della Rai - con la tacita complicità della troika che esigeva licenziamenti massicci di dipendenti pubblici. Non che fosse una Tv specialmente pluralista, ma perfino chi era stato emarginato (come l'economista Yanis Varoufakis) ha accusato i governanti di golpe. Le televisioni private, scrive Varoufalds, sono spazzatura: «un torrente di media commerciali di stampo berlusconiano: templi di inculcata superficialità» da quando inondarono gli schermi negli anni '90.

Il giorno dopo l'oscuramento di Ert (2700 licenziati) c'è stata una manifestazione di protesta a Salonicco. Tra gli oratori l'economista James Galbraith, figlio di John Kenneth, e il verdetto è spietato: cinque anni di crisi son più della seconda guerra mondiale condotta dall'America in Europa, più della recessione combattuta da Roosevelt. E la via d'uscita ancora non c'è.

Perché non c'è? Galbraith denuncia un nostro male: la mentalità del giocatore d'azzardo. Il giocatore anche se perde s'ostina sullo stesso numero, patologicamente. Continuando a ventilare l'ipotesi dell'uscita greca l'Europa ha spezzato la fiducia fra gli Stati dell'Unione, creando una specie di guerra. Ci sono paesi poco fidati, e poco potenti, che non hanno più spazio: i Disastri di Goya, appunto. Non è stata invitata Atene, alla riunione romana, ma neppure Lisbona: la sua Corte costituzionale ritiene contrari alla Carta due paragrafi del piano della troika, e da allora anche il Portogallo è paria. «Ci felicitiamo che Lisbona prosegua la terapia concordata, è essenziale che le istituzioni chiave siano unite nel sostenerla», ha comunicato la Commissione due giorni dopo la sentenza, rifiutando ogni rinegoziato. Mai direbbe cose analoghe sui verdetti della Corte tedesca, giudicati questi sì inaggirabili.

Macchie simili non si cancellano, a meno di non riscoprire l'Europa degli esordi. Non dimentichiamolo: si volle metter fine alle guerre tra potenze diminuite dopo due conflitti, ma anche alla poverta che aveva spinto i popoli nelle braccia delle dittature. Non a caso fu un europeista, William Beveridge, a concepire il Welfare in mezzo all'ultima guerra.

Le istituzioni europee non sono all'altezza di quel compito, attualissimo. Tanto più occorre che i cittadini parlino, tramite il Parlamento che sarà votato nel maggio 2014 e una vera Costituzione. È necessario che la Commissione diventi un governo eletto dai popoli, responsabile verso i deputati europei. Una Commissione come quella presente nella troika deve poter esser mandata a casa, avendo generato rovine. Ha perso il denaro, il tempo e l'onore. Ha seminato odio fra nazioni. Ha precipitato un popolo, quello greco, nel deperimento. Si fa criticare da un Fmi malato di doppiezze. È affetta da quello che Einstein considerava (la frase forse non è sua, ma gli somiglia) il sommo difetto del politico e dello scienziato: «L'insania che consiste nel fare la stessa cosa ripetutamente, ma aspettandosi risultati differenti».




Lunedì 24 Giugno,2013 Ore: 18:47
 
 
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