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www.ildialogo.org Femen dappertutto, femminismo da nessuna parte,di Mona Choillet

Le Monde Diplomatique, 12 marzo 2013
Femen dappertutto, femminismo da nessuna parte

di Mona Choillet

(traduzione dal francese di José F. Padova)


Il Movimento "Femen" si sta diffondendo rapidamente e invia il messaggio che il corpo femminile può diventare un'arma. Se n'è servita anche un'attivista pro-staminali all'adunata oceanica di Berlusconi (il quale evidentemente non se n'è accorto, altrimenti...). Le reazioni sono differenti, alquanto critiche quelle dell'articolo di Le Monde Diplomatique. Ma sul web si può trovare altro e più.
JFPadova

Le Monde Diplomatique, 12 marzo 2013

Femen dappertutto, femminismo da nessuna parte

Mona Choillet, 12 marzo 2013

(traduzione dal francese di José F. Padova)

monde-diplomatique.fr

Vedi anche: corriere.it

«I musulmani sembra provino un senso di potenza virile nel coprire le loro donne e gli occidentali nello spogliarle», scriveva la saggista marocchina Fatema Mernissi in Le Harem et l’Occident [L’harem e l’Occidente]. L’infatuazione dei media francesi per figure come le Femen o Aliaa El-Mahdy, la studentessa egiziana che nel 2011 aveva posato nuda per il suo blog (1), dà nuova conferma della giustezza di questa osservazione. Su France 2 si è potuto vedere, il 5 marzo, un documentario dedicato al collettivo, di origine ucraina, stabilitosi in Francia da un po’ più di un anno (2) e su Public Sénat l’8 marzo, Giornata internazionale della donna, un altro intitolato Aliaa, la rivoluzionaria nuda.

Tanto peggio per le migliaia di donne che hanno il cattivo gusto di lottare per i loro diritti completamente vestite e /o di offrire uno spettacolo meno conforme ai criteri dominanti di giovane, snella, bella e soda. «Il femminismo sono le donne che hanno sfilato nelle vie del Cairo, non le Femen! E su quelle donne vedo pochi documentari, alla TV», insorgeva su Twitter il 6 febbraio scorso la corrispondente di France Inter in Egitto, Vanessa Descoureaux. In Francia le organizzazioni femministe «si vedono ormai più spesso interpellate su ciò che pensano del movimento di origine ucraina che sulle loro proprie iniziative» (3).

«Se mi fai vedere le tue tette,

torno col mio fotografo»

Donne, volete farvi ascoltare? Una sola soluzione: spogliatevi! Nell’ottobre 2012, in Germania, i profughi, accampati in centro a Berlino davanti alla Porta di Brandeburgo per denunciare le loro condizioni di vita, facevano fatica ad attirare l’attenzione dei media. Incollerita, una giovane donna che manifestava con loro lanciò a un giornalista di Bild: «Vuoi che mi metta nuda?». Il giornalista accondiscende e promette di ritornare col suo fotografo. Altri giornalisti lo vengono a sapere ed eccola, la folla di obbiettivi si riunisce attorno alle giovani donne che sostengono i rifugiati. Le quali non si sono spogliate, ma hanno approfittato dell’occasione per denunciare il sensazionalismo dei media (4).

Le Femen, da parte loro, sono state più pragmatiche. Per la loro prima azione, in Ucraina nel 2008, avevano scritto i loro slogan sulle schiene nude, ma i fotografi non s’interessavano che ai loro seni. Quindi esse hanno spostato le scritte (5)… Questo stato di cose non ispira particolari stati d’animo a Inna Chevchenko, l’ucraina che ha esportato il marchio Femen in Francia: «Si sa di che hanno bisogno i media», dichiarava in dicembre a Rue89. «Di sesso, di scandali, di aggressioni: occorre darglieli. Essere sui giornali è esistere (6)». Veramente?

Certamente la militante femminista Clémentine Autain ha ragione di ricordare che «l’happening è nella nostra cultura. Dalla suffragetta Hubertine Auclairt, che rovesciava le urne alle elezioni comunali del 1910 perché i giornali della III Repubblica potessero avere le loro foto-trash in prima pagina, alle militanti del MLF [Movimento per la Liberazione Femminile] che agitavano polmone di vitello nei meeting degli antiabortisti, anni ’70, sappiamo anche come mettere in piedi i colpi di scena! (7)». Questo metodo d’azione è anche quello dell’associazione Act Up nella sua lotta contro l’AIDS. Tuttavia è necessario che dietro i «colpi» vi sia una base politica solida e ben ponderato. Ora, nel caso delle Femen, è riduttivo dire che il discorso non ha luogo. Quando poi non si rivela francamente disastroso.

Contro le vecchie donne che leggono libri

La permanente riduzione delle donne al loro corpo e alla loro sessualità, la negazione delle loro capacità intellettuali, l’invisibilità sociale di quelle che non sono adatte a compiacere gli sguardi mascolini, costituiscono le chiavi di volta del sistema patriarcale. Che un «movimento» - in Francia non sarebbero più di una ventina – che pretende di essere femminista possa ignorarlo lascia basiti. «Noi viviamo sotto il dominio maschile e quella [la nudità] è il solo modo di provocarli e di ottenere la loro attenzione», dichiarava Inna Chevchenko al Guardian (8). Un femminismo che s’inchina davanti al dominio maschile: bisognava inventarlo.

Chevchenko non soltanto accetta questo ordine di cose, ma l’approva (sempre sul Guardian): «Il femminismo classico è una vecchia donna malata che non cammina più. È incastrato nel mondo delle conferenze e dei libri». Ha ragione: abbasso le vecchie donne malate, non sono neppure gradevoli da guardare. E i libri sono pieni di segni dell'alfabeto che danno il mal di testa, puah! Autore di un eccellente libro sugli usi del corpo in politica (9), Claude Guillon commentava: «L’osservatore meglio intenzionato direbbe che questa frase esprime la presunzione e la crudeltà della giovinezza. Occorre purtroppo aggiungere, in questa occasione: esprime la sua grande sciocchezza! Effettivamente, e Inna l’avrebbe potuto leggere in un libro, l’immagine delle femministe come vecchie donne tagliate fuori dal mondo (capite bene: e dal mercato della carne) è un cliché antifemminista molto vecchio, che è penoso vedere ripreso da una militante che pretende di rinnovare il femminismo (10)». In seguito, le rappresentanti francesi del collettivo si sono ciononostante dovute rassegnare a fare uscire un libro-raccolta d’interviste (11). «In Francia bisogna pubblicare testi per essere riconosciuti, legittimati», sospira una di loro (Libération, 7 marzo 2013). È dura, dura.

Per Rue89, Chevchenko così riassumeva il discorso delle giovani francesi che volevano unirsi alle Femen: «Ci dicevano: “I movimenti femministi che esistono già in Francia non sono fatti per le giovani donne, ma per donne intellettuali, che rassomigliano a uomini, che negano la sessualità, il fatto che una donna possa essere femminile». Sotto questo aspetto, bisogna riconoscerlo, le Femen segnano incontestabilmente un progresso. Trattandosi di un’antenata come Simone de Beauvoir si è dovuto aspettare il centenario della sua nascita, nel 2008, per vederla finalmente a nudo: è stata lunga l’attesa. Ma la pazienza del mondo è stata ricompensata: deliziosamente, Le Nouvel Observateur (3 gennaio 2008) ha pubblicato in copertina una foto che mostrava l’autrice del Deuxième sexe [Secondo sesso] nuda di schiena nel suo bagno (12). Le Femen, da parte loro, sono brave ragazze: fanno il loro lavoro («femen» d’altronde significa «coscia» in latino, ma niente a che fare, hanno scelto questo nome «perché suonava bene»). Dopotutto, cerchiamo di non essere pudibondi: anche essendo femministe, non per questo non si ha un corpo, una sensualità, una vita sessuale. Si può soltanto deplorare che l’attesa di tutte quelle – e quelli – che sognano di nutrirsi delle piccole chiappe di Jean-Paul Sartre continui tuttora. Che fa il Nouvel Observateur? I grandi intellettuali non avrebbero, anch’essi, un corpo, una sensualità, una vita sessuale? Perché non farcene approfittare? Perché anch’essi non sono una merce pubblica, che si può esporre e commercializzare indipendentemente dalla volontà degli interessati?

Femminismo pop

Dopo aver attirato larga simpatia, quando si sono fatte aggredire dagli estremisti cattolici di Civitas nel corso della manifestazione contro il matrimonio per tutti, nel novembre 2012, le Femen hanno suscitato sempre più riserve e disapprovazioni – per esempio, da parte del collettivo femminista Les TumulTueuses [ndt.: gioco di parole con tumult=tumulto e tueuse=sterminatrice, killer] o dell’attrice e regista Ovidie. Criticate per l’appoggio che danno alla visione del corpo femminile forgiata dall’industria pubblicitaria, si sono difese pubblicando fotografie di certe loro membra che si allontanano da quei canoni. (…) E non si arguisca dicendo che non è colpa loro: se volessero essere minimamente credibili dovrebbero imporre la presenza di quelle membra per le riprese fotografiche. «Quale può essere l’effetto prodotto da quelle foto di gruppo su donne meno giovani, o giovani ma meno favorite dalla casualità genetica?», chiede Claude Guillon. «Il medesimo effetto del terrorismo pubblicitario e macho, che il femminismo non cessa di denunciare. Quella foto è peggio di una goffaggine, è un controsenso politico».

I ripetuti dinieghi dei membri del collettivo non bastano, d’altra parte, a dissipare il sospetto di una politica di fotogenia deliberata. Nel libro Femen una delle fondatrici ucraine dichiara: «Le nostre ragazze devono essere sportive per sopportare prove difficili e belle per utilizzare i loro corpi con cognizione di causa. Per riassumere, Femen incarna l’immagine di una donna nuova: bella, attiva e totalmente libera». Il femminismo: meglio di uno yoghurt al bifidus. Una delle sue compagne francesi invoca un «errore di traduzione» (13).

Comunque sia, llo stato attuale delle cose, non è certo che i media e il grande pubblico colgano completamente la diversità fra le Femen e la Cicciolina, per esempio – antesignana della corona di fiori su capelli biuondi – o la pin-up della pag. 3 del quotidiano britannico The Sun [ndt.: da sempre a seno nudo]. Ancora Claude Guillon: «”Per lo meno”, mi diceva una giovane donna, “da quando si denudano le si ascolta!”. Eh no. Al più le si guarda. E quando i capi redatori ne avranno abbastanza di mettere del tettume in prima pagina (annoia, caruccio!) non le si guarderà più». Anche le giornaliste di Rue89 sono perplesse davanti al successo di audience del collettivo: «Il primo articolo che abbiamo pubblicato sulle Femen era un “In immagini”. Vi si vedeva semplicemente la foto di una Femen davanti alla casa di Dominique Strauss-Kahn, a seni nudi. Tre paragrafi accompagnavano l’immagine. L’articolo ha avuto 69.500 visite. È molto». Nel fumoso «sex-estremismo» promosso dal gruppo c’è di che scommettere che sia soprattutto il «sesso» che fa andare in tilt la macchina mediatica.

Media diventati tutti femministi

Il femminismo sarebbe quindi diventato consensuale, al punto da occupare la copertina di tutti i giornali e da avere il posto d’onore in documentari televisivi abbondantemete pubblicizzati dalla stampa? Bisognerebbe essere ingenui per crederlo. L’interesse per le Femen si rivela perfettamente compatibile con l’antifemminismo più grossolano. Così, il 7 marzo, Libération dedicava loro una pagina doppia, ciò che non ha impedito di pubblicare il giorno dopo, per la Giornata internazionale della donna, un numero di antologia. Sotto il titolo «Sesso per tutti!» ha scelto di deidcare la sua prima pagina all’«assistenza sessuale» per gli handicappati. La relativa foto mostrava un handicappato cone un’«assistente» (bionda, sorridente, incarnazione della dolcezza e dell’abnegazione che sono la vocazione delle vere donne), e non il contrario: si è pur detto «Sesso per tutti», non «Sesso per tutte».

Per il quotidiano parigino questa lotta s’iscrive nel quadro della sua difesa accanita della prostituzione. In gennaio scorso pubblicava già il ritratto di un polihandicappato che militava per l’«assistenza sessuale». Come sul suo blog osservava il cineasta Patric Jean (14), quell’uomo aveva tuttavia avuto nel corso della sua vita due compagne e perfino dei figli, cosa che relativizzava un poco l’argomento dell’incapacità degli handicappati di avere una vita sessuale. Per completare questo quadro della donna secondo Libération l’immagine dell’ultima pagina era quella di Miss France.

Stessa diffidenza quando si vede collaborare con le Femen, per un numero speciale (6 marzo 2013), Charlie Hebdo, bastione dello humour da caserma, i cui disegni ripetono settimana dopo settimana che la peggiore infamia al mondo consiste nel farsi sodomizzare, vale a dire ritrovarsi in una postura «femminile» (15). Sulla copertina il disegna di Luz riprende una veduta del gruppo che mostra le sue militanti brandire un paio di testicoli. Il cliché delle femministe isteriche e «tagliatrici di coglioni» accoppiato all’estetica pubblicitaria: una buona sintesi del prodotto Femen. Nell’intervista accordata al settimanale satirico, Chevchenko dichiara di volere una società «nella quale le donne hanno più potere degli uomini». Bene, bene, bene.

Uno pseudo femminismo che suscita un’infatuazione generale delle più sospette: in Francia ricorda la bolla mediatica intorno a Ni putes ni soumises [Né puttane né sottomesse], che divenne celebre nella misura in cui permetteva di rafforzare la stigmatizzazione dell’Islam e del «maschio arabo» (16). (…)

«Mentalità araba» in Ucraina

Se l’anticlericalismo radicale del collettivo si comprende senza fatica, tenuto conto del peso della Chiesa ortodossa nella vita pubblica ucraina, i portavoce hanno la tendenza a uscire dalla cornice quando si tratta dell’Islam. Una delle fondatrici del movimento, Anna Hutsol, ha flirtato con il razzismo deplorando che la società ucraina sia stata incapace «di sradicare la mentalità araba nei confronti delle donne (17)».

Nel marzo 2012, con lo slogan «Piuttosto nude che col burqa», Femen France ha organizzato un’«operazione anti-burqa» davanti alla Torre Eiffel. Le sue adepte reclamano anche che «La nudità è libertà», o scandiscono: «Francia, spogliati!». In questo modo esse perpetuano un postulato molto radicato nella cultura occidentale, secondo il quale la salvezza non può venire che da un’esposizione massima, negando la violenza che questa può talvolta implicare (18).

Numerose femministe hanno loro obiettato che varrebbe meglio difendere la libertà delle donne di vestirsi come vogliono, piuttosto che affermare la superiorità della nudità. Ma le Femen sono certe di possedere la verità. «Non adatteremo il nostro discorso ai dieci Paesi nei quali il nostro gruppo si è impiantato. Il nostro messaggio è universale», assicura Chevchenko a 20minutes. Questa miscela di pigrizia intellettuale e di arroganza, questa pretesa di dettare le buone abitudini alle donne di tutto il mondo, sono accolte piuttosto freddamente. La ricercatrice Sara Salem ha così rimproverato alla studentessa egiziana Aliaa El-Mahdy la sua alleanza con le Femen: «Se il gesto di spogliarsi sul proprio blog potrebbe essere visto come un mezzo per sfidare una società patriarcale, crea problemi la sua collaborazione con un gruppo che può essere definito colonialista (19)». Ma perché rimettersi in discussione, quando mostrare i vostri seni basta per assicurarvi la massima audience?

(1) Alla luce dell’osservazione di Mernissi, il gesto di El-Mahdy porta un’incontestabile carica trasgressiva nel contesto egiziano. Quel gesto le ha d’altra parte suscitato intollerabili minacce. Il problema è che la sua iniziativa, puramente individuale, è impotente di fronte alla necessità di fare evolvere le mentalità nel suo Paese. Inoltre si rivela perfino improduttiva: in Occidente la giovane donna è stata recuperata da commentatori i cui discorsi – o intenti reconditi – non sono sempre benevoli verso la sua società d’origine.

(2) Nos seins, nos armes, de Caroline Fourest et Nadia El-Fani.

(3) « Femen, la guerre des “sextrémistes” », Libération, 7 mars 2013.

(4) « “Si tu montres tes nichons, je reviens avec mon photographe” », Seenthis, octobre 2012.

(5) « Ukraine : le féminisme seins nus tisse sa toile dans le monde », AFP, 7 mars 2013.

(6) « Seins nus : les Femen, phénomène médiatique ou féministe ? », Rue89, 23 décembre 2012.

(7) « Le féminisme à l’épreuve du sextrémisme », M - Le magazine du Monde, 9 mars 2013.

(8) « Femen’s topless warriors start boot camp for global feminism », The Guardian,22 septembre 2012.

(9) Claude Guillon, Je chante le corps critique, H&O, Paris, 2008.

(10) « Quel usage politique de la nudité ? », Claude Guillon, 7 février 2013. Ajout du 13 mars : lire aussi « “Sauvées par le gong” ? Femen, suite et fin » (12 mars).

(11) Femen, entretiens avec Galia Ackerman, Calmann-Lévy, Paris, 2013.

(12) Lire Sylvie Tissot, « “Une midinette aux ongles laqués” », Le Monde diplomatique, février 2008.

(13) « Femen : “Notre message est universel” », 20minutes.fr, 5 mars 2013.

(14) « Prostitution : Libération remet le couvert », Le blog de Patric Jean, 7 janvier 2013.

(15) Cf. Maïa Mazaurette, « Une remarque au sujet des caricatures “humiliantes” dansCharlie Hebdo », Sexactu, 20 septembre 2012.

(16) Nacira Guénif-Souilamas et Eric Macé, Les féministes et le garçon arabe, L’Aube, La Tour d’Aigues, 2004.

(17) « Femen, Ukraine’s Topless Warriors », TheAtlantic.com, 28 novembre 2012.

(18) Cf. « Femen ou le fétichisme du dévoilement », Seenthis, octobre 2012, et Alain Gresh, « Jupe et string obligatoires », Nouvelles d’Orient, Les blogs du Diplo, 20 mars 2011.

(19) Sara Salem, « Femen’s Neocolonial Feminism : When Nudity Becomes a Uniform », Al-Akhbar English, 26 décembre 2012.




Giovedì 04 Aprile,2013 Ore: 22:17
 
 
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