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www.ildialogo.org   ”I tedeschi potevano vedere: qui succedevano cose terribili”,di Oliver Das Gupta

Süddeutsche Zeitung online – 7 marzo 2013 Politica: Studio sui campi [di concentramento] nazisti
  ”I tedeschi potevano vedere: qui succedevano cose terribili”

di Oliver Das Gupta

(traduzione dal tedesco di José F. Padova)


Mi sembra ci sia una legge che punisce l’apologia del fascismo, ma la mia memoria è labile. Come quella dei miei compatrioti, per i quali le leggi escono dai cassetti e vi rientrano quando e come fa comodo. I fascisti sono stati “sdoganati” dal Sofferente Di Uveite, quindi passiamoci sopra, all’orrenda dichiarazione della neo-senatrice Lombardi.
Non così in altri Paesi, in particolare in Germania, sulla cui coscienza ancora pesa il terribile ricordo dei KZ-Lager, i campi di sterminio. Attualmente vi si discute molto sul numero e sul tipo di quei luoghi di abominio e anche sull’inevitabilità che il popolo tedesco sapesse.
Ne riferisce la Sueddeutsche Zeitung nell’articolo allegato, cui ho aggiunto un link su un articolo pubblicato dal New York Times nel 2003. Alla domanda: perché gli italiani non ricordano? si potrebbe rispondere: anche la memoria, qui, entra nei cassetti e ci resta.
J.F.Padova

Süddeutsche Zeitung online – 7 marzo 2013

Politica: Studio sui campi [di concentramento] nazisti

I tedeschi potevano vedere: qui succedevano cose terribili”

Oliver Das Gupta

(traduzione dal tedesco di José F. Padova)

sueddeutsche.de

42.500 campi di prigionia tedeschi nella sfera d’influenza dei nazi – e quindi, evidentemente, più di quelli finora conosciuti: in questa intervista lo storico Hartmut Berghoff spiega come questo numero è stato stabilito dall’United States Holocaust Memorial Museum e perché in futuro saranno scoperti ancora altri campi. L’apparato dei nazisti per lo sterminio era molto più grande di quanto si è creduto finora. A questo risultato arriva l’United States Holocaust Memorial Museum in un recente studio.

Questi risultati hanno sorpreso tanto Hartmut Berghoff quanto gli stessi ricercatori. Il 52enne professore dirige il Deutsches Historisches Institut a Washington D.C e si dedica costantemente ai temi del Nazionalsocialismo. Per il momento esegue ricerche sulla storia die consumi durante la dittatura bruna. Nel 2000 Berghoff ha già scritto sul “richiamo locale alla memoria” di avvenimenti storici.

Süddeutsche Zeitung: I Suoi colleghi dell’United States Holocaust Memorial Museum sono giunti a elencare 42.500 campi di prigionia tedeschi – un numero che supera quelli finora resi noti dalle ricerche. Nessuno ha verificato tutti i decenni precedenti?

Hartmut Berghoff: Vi sono molte fonti, come l’Archivio del Servizio internazionale di ricerca della Croce Rossa a Bad Arolsen, il cui patrimonio di dati viene analizzato approfonditamente dal 2008. Inoltre si tratta anche del modo in cui si effettua il conteggio. In questo caso si ricorre a una definizione di lager molto estesa.

SZ: In questo caso lager non significa “campo di concentramento” [Konzentrationslager]?

HB: Esatto. Di campi di concentramento ve ne furono circa 980. Per l’Enciclopedia i colleghi hanno compreso anche altri lager: posti di comando esterni, campi di rieducazione, campi per il lavoro forzato, campi per zingari, campi di transito e così via. In parte questi campi erano relativamente piccoli e sono rimasti attivi non molto a lungo. Alcuni sono esistiti soltanto per pochi mesi.

SZ: In che senso deve essere riscritta ora la storia dell’Olocausto?

HB: La grande quantità dei campi ci ha sorpresi tutti, ma gli orribili eventi del periodo nazionalsocialista non diventano per questo più gravi. Il numero delle vittime non si cambia soltanto con la domanda se hanno sofferto in un grande lager o in molti piccoli. Ciò che però è cambiato è un altro aspetto: la rete del terrore bruno era molto più strettamente intrecciata di quanto finora si sapesse. I tedeschi hanno implementato il loro sistema di lager in modo da coprire tutta l’area. Questa è una scoperta importante.

SZ: Dopo la guerra si è con questo smascherata l’ inconsapevolezza dei tedeschi, spesso messa in primo piano?

HB: Nel 1944 non c’era alcun posto in Germania dove non ci fosse una qualche specie di lager. Tuttavia questo non significa che tutti i tedeschi sapessero dell’annientamento sistematico di persone ad Auschwitz. Ma sui luoghi le vittime dei nazi non si sarebbero potute non vedere. I detenuti facevano parte del quotidiano tedesco.

SZ: Che cosa vedeva la popolazione civile?

HB: Persone emaciate in abiti da prigioniero, che dovevano svolgere lavoro forzato. Nelle città bombardate dovevano sgomberare le macerie sotto gli occhi della popolazione. I guardiani hanno spesso bastonato e anche ucciso. I tedeschi poterono vedere: qui accaddero cose terribili.

SZ: Come reagiva la popolazione a queste scene?

HB: Con atteggiamento diverso. Alcuni di nascosto facevano avere cibo ai prigionieri affamati. Altri si comportavano come longa manus dei sorveglianti e li aiutavano a catturare i fuggitivi o ad ammazzarli. La cosa interessante in tutto questo è che tutto accadeva non in luoghi delimitati, molto lontani, da qualche parte nell’Europa orientale. Tutto accadeva nel bel mezzo della Germania.

SZ: Lo Holocaust Memorial Museum non ha ancora concluso il suo studio. Lei si aspetta che il numero dei lager nazisti aumenti ancora?

HB: Parto dal presupposto che in futuro altre località vengano alla luce. Quanto più la ricerca storica potrà accedere a fonti finora inaccessibili, tanto più se ne saprà pubblicamente.

SZ: Dove potrebbero venire alla luce nuove fonti?

HB: In alcuni Paesi dell’Europa orientale e negli Stati dell’ex Unione Sovietica non tutto è stato ancora messo sul tavolo. In parte vi è ancora interesse politico a non rivedere criticamente il passato.

SZ: Come pensate che accada?

HB: Spesso i tedeschi hanno potuto commettere questi crimini perché la popolazione locale ha collaborato. Per questo vi sono sempre ancora lacune nella ricerca. Perciò si rivelano sempre più dettagli orribili, dei quali finora non eravamo a conoscenza.

SZ: Lo studio dell’ Holocaust Memorial Museum è solido sotto l’aspetto scientifico?

HB: I colleghi hanno lavorato molto a fondo e con acribia. Per noi storici il valore dell’Enciclopedia è grande, ma forse è ancora più importante per i discendenti delle vittime del nazionalsocialismo. Molti di essi possono finalmente localizzare dove i loro parenti erano tenuti prigionieri, dove hanno patito e sono stati assassinati.

SZ: In alcuni Paesi orientali dell’Unione Europea il ruolo svolto dai regimi fascisti viene abbellito, in Ungheria vi sono tendenze antisemite, in Romania un ministro nega l’Olocausto. La ricerca storica può agire contro un simile clima?

HB: Proprio la dimensione locale della cultura del ricordo può ottenere qualche risultato. Là dove le zone oscure scompaiono sotto l’effetto della conoscenza sorgono luoghi di riflessione e discussione. Così anche l’attuale popolazione delle località dell’Europa orientale è messa a confronto con capitoli della propria storia che finora erano stati rimossi. Omar Bartov, attualmente attivo presso l’Holocaust Memorial Museum, lavora a uno studio su una località dell’Ucraina. Documenta che laggiù furono massacrati migliaia di ebrei e proprio soprattutto da parte di collaborazionisti ucraini [ndt.: vedi p. es. iccalcinate.it ]. Su questo non si può cambiare idea. Il numero degli occupanti tedeschi nella zona e nei dintorni era molto ridotto. Se si può documentarlo, i negazionisti dell’Olocausto e i travisatori della Storia si trovano in difficoltà.

Da: de.wikipedia.org

Geschichtlicher Umgang und Bewusstsein in Italien

Ein Bewusstsein, dass es so etwas wie Konzentrationslager in Italien gab, ist selbst mehr als 60 Jahr nach Kriegsende in der italienischen Bevölkerung kaum vorhanden. Beispielsweise begegnet man Menschen in der Stadt Gonars, in deren unmittelbarer Nähe ein KZ lag, die vehement abstreiten, dass es sich beim Lager Gonars um ein Konzentrationslager handelte. Stattdessen betont man dort, dass es nur ein Internierungslager war.

Im Jahr 2003 behauptete der damalige italienische Premierminister Silvio Berlusconi, dass es während der Zeit des italienischen Faschismus keine Konzentrationslager gegeben habe, Mussolini niemanden habe umbringen lassen und ,Leute zum Urlaub in internes Exil‘ geschickt habe.[40]

Approccio storico e consapevolezza in Italia de.wikipedia.org

In Italia, perfino dopo più di 60 anni dalla fine della guerra, non si diffuse la consapevolezza che ci fosse stato qualcosa come un campo di concentramento. Per esempio, nella città di Gonars, nelle cui immediate vicinanze sorgeva un KZ-lager, si incontravano persone che negavano con veemenza si trattasse di un campo di concentramento. Si affermava invece trattarsi di un campo d’internamento.

Nel 2003 l’allora primo Ministro Silvio Berlusconi affermò che al tempo del fascismo in Italia non c’era alcun campo di concentramento, che Mussolini non aveva ucciso nessuno e che aveva invece inviato gente in esilio interno come in vacanza.

In inglese, vedi: Thomas Fuller, Survivors of war camp lament Italy's amnesia, in: ''The New York Times'', 29. Oktober 2003

nytimes.com'




Lunedì 11 Marzo,2013 Ore: 11:37
 
 
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