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www.ildialogo.org La fine dell’uomo bianco Macho, bianco, superato,di Özlem Topçu e Berndt Ulrich

Die Zeit, Hamburg – Politica – n° 47 / 12
La fine dell’uomo bianco Macho, bianco, superato

di Özlem Topçu e Berndt Ulrich

(traduzione dal tedesco di José F. Padova)


La perdita del potere da parte dell'uomo bianco in quanto bianco, insidiato dalle donne, dagli immigrati di altro "colore", dal resto del mondo. Di questo articolo sono autori un noto editorialista di Die Zeit, Berndt Ulrich, bianco e maschio, e la giornalista Özlem Topçu, donna e turca. Con riferimenti anche a Obama, che è nero e bianco nello stesso tempo, è un nero che ha potere come lo hanno avuto finora i bianchi. Anche qui ci troviamo in uno dei tanti punti incerti di svolta, non sappiamo (ancora) da che parte stiamo andando (o crediamo di dirigere noi stessi).
JFPadova



Siano Mitt Romney o Peer Steinbrück: gli uomini dell’Occidente sono minacciati – dalle donne, dagli immigrati e dal resto del mondo.
Özlem Topçu e Berndt Ulrich
(traduzione dal tedesco di José F. Padova)
leserservice.zeit.de [ndt.: vedi Politik, 3]

Il potere è una questione di testa.
La perdita del potere anche.


Come in questo momento si sentano gli americani bianchi, che avrebbero visto più volentieri Mitt Romney alla Casa Bianca, lo ha già mostrato qualche tempo fa un film di Clint Eastwood, in modo abbastanza preciso. In Gran Torino si racconta del veterano Walt Kowalski, che abita in un misero quartiere di Detroit e ha perso da poco sua moglie. Adesso nella vita non ha più molto, se non bere birra dalle lattine e arrabbiarsi contro gli “occhi a mandorla” del suo isolato. Kowalski ha lavorato in una delle fabbriche più americane che ci siano, la Ford, e adesso deve constatare che nessuno vuole più andare in giro su auto americane. Il suo grande orgoglio è una Gran Torino, che passa la maggior parte del tempo in garage, sotto un telo. Walt si sente subissato dagli stranieri e non riconosce più la sua America. Eppure Walt cambia sé stesso e lo fa perché deve farlo. Si apre ai rapporti con i suoi vicini – anche se brontolando. Kowalski diviene perfino il protettore di questi suoi vicini stranieri, quando sono aggrediti da una banda di asiatici. Clint Eastwood rappresenta tutto questo in modo altamente sensibile, senza falso pathos. Clint Eastwood, il regista e attore, è così, non però il Clint Eastwood uomo politico.
Durante la recente campagna elettorale, al Congresso dei repubblicani, si è intrattenuto con una sedia, la sedia vuota che simboleggiava Obama. Alla sedia Eastwood ha detto cose come «Questo Paese appartiene a noi», «tutti quelli che non hanno fatto il loro lavoro si deve mandarli a casa». Cose dunque che anche l’Eastwood del film ha detto, prima di imparare a voler bene ai suoi vicini di casa.

Questo è il problema dell’uomo bianco – non solamente in America: non può decidersi se deve o no desiderare gli immigrati. Perché essi sovente sono ancora tanto patriarcali quanto egli stesso vorrebbe essere. Oppure se deve respingerli, perché sono stranieri. L’immagine che del mondo ha l’uomo bianco è labile e ogni secondo può crollare, egli non ne è convinto e di quella non convince nessuno.

La perdita del potere è una questione di testa
Questa è la ragione più profonda della sconfitta di Mitt Romney ed è anche la causa per cui la rielezione di Obama equivale alla mancata rielezione di un determinato tipo di bianco e maschio. Per la prima elezione di Obama si poteva ancora parlare di una situazione particolare, perché George W. Bush aveva rovinato l’immagine dei repubblicani e il giovanotto di Chicago emanava tanto intensamente risveglio e speranze di ogni tipo.

Questa volta tuttavia il presidente era già ingrigito, l’economia si trovava in una situazione incresciosa – e ciononostante egli fu eletto. Per la seconda volta, in successione, gli elettori americani hanno infranto una regola: che le minoranze non si possono sommare a una maggioranza. Eppure essi lo hanno fatto ed è possibile che da ora in poi lo facciano ancora.

Nello scorso maggio l’Autorità americana per il censimento ha pubblicato dati che dimostravano come per la prima volta nella storia degli Stati Uniti sono venuti al mondo meno bambini con la pelle bianca di quelli delle minoranze etniche. Gli statistici parlano di un punto di svolta: 400 anni dopo che i primi padri pellegrini inglesi attraversarono l’Atlantico sulla Mayflower, si staccarono dalla Chiesa anglicana e fondarono la loro comunità autonoma nel New England, si prospetta che i WASP (White Anglo-Saxon Protestants) dal 2045 in poi non costituiranno più la maggioranza della popolazione. Per questo motivo i repubblicani già ora, sotto l’aspetto puramente demografico, perdono alle elezioni ogni anno 1,7 punti percentuali rispetto ai democratici. Demografia e demoscopia camminano di pari passo.
I rappresentanti politici di una maggioranza che è sulla via di diventare minoranza non sono quindi consigliati intelligentemente, se oltre a questo fatto si concentrano ancora contro gay e lesbiche, contro le donne emancipate delle grandi città e contro i poveri. Proprio quello che ha fatto Mitt Romney. E per essere proprio arcisicuro ha nominato come vicepresidente Paul Ryan, un uomo esattamente come lui stesso, soltanto un poco più giovane.

E che cosa riguarda tutto questo per gli europei, gli uomini bianchi del Vecchio Continente? Non ancora in misura tanto pesante come per gli americani, nonostante anche qui gli immigrati stiano vistosamente avanzando. Essi hanno bisogno, per mancanza di massa, ancora di uno o due decenni in più che negli USA. Per questo in Europa minaccia gravemente l’uomo bianco una minoranza del tutto diversa, che detto per inciso è una maggioranza: la donna. Con o senza quote rosa le donne sono vicine a mettere fine alla egemonia dell’uomo. Questo è particolarmente evidente attualmente in Germania, non soltanto a causa della Cancelliera. La perdita dell’egemonia si manifesta nel modo più visibile in un uomo: Peer Steinbrück. Egli ha pressappoco l’età di Joschka Fischer e Gerhard Schröder, come loro è un macho di vecchia scuola, dominante, vanitoso, piacione, un poco autoritario, rumoroso, basta così. La differenza è soltanto questa: ai bei tempi di Fischer e Schröder, dieci anni fa, andava tutto ancora molto bene, anche con le donne. Oggi Steinbrück fa l’effetto di essere un po’ fuori tempo [massimo], le donne, particolarmente le giovani, possono combinare poco con lui. Lo si immagina solamente fra Angela Merkel, Ursula von der Leyen e Katrin Göring-Eckardt [le ultime due sono stelle nascenti della politica tedesca], culturalmente in minoranza, privo di chance, foto di gruppo con un uomo. Adesso Peer Steinbrück corre a ogni sorta di incontro femminile, per socializzare, ciò che lo rende nuovamente molto simpatico. Non può più cambiare questo dato di fatto, che in Germania la politica diventa sempre più una faccenda femminile.

Con tutto ciò la graduale perdita di potere dell’uomo bianco a favore degli immigrati e delle donne trova anche una correlazione globale: la dominanza dell’Occidente in questi decenni si avvia alla sua fine, Paesi emergenti come India, Brasile e Cina guadagnano in importanza, sia economica che politica. E la capacità dell’Occidente di trasformare il mondo secondo i suoi desideri mediante interventi militari negli ultimi dieci anni ha bruscamente urtato contro il suo limite.

Il bilancio quindi è evidente, triplice perdita di potere, nei confronti delle donne, degli immigrati, del resto del mondo. È anche deprimente? E se sì, per chi?
L’uomo bianco è prossimo alla fine, tuttavia vi saranno ancora uomini bianchi. Essi possono quindi fare qualcosa, possono reagire alle nuove questioni e in questo campo hanno già iniziato in molti casi. Come Clint Eastwood in Gran Torino. E poi, gli uomini bianchi hanno tempo, infatti il decadimento non sarà così rapido, tanto più che il potere economico come sempre è prevalentemente nelle mani degli uomini bianchi. In quanto a ciò l‘elezione in America spinge solamente la grande politica contro il grande capitale, un conflitto il cui esito è tutt’altro che deciso.

Effettivamente non si estingue un colore di pelle e anche nessun sesso, bensì un aspetto, che tuttavia è vecchio di millenni e che è stato trasmesso centinaia di volte da una generazione a quella successiva. Del tutto ovviamente l’uomo bianco fu a lungo l’unità di misura di tutte le cose e di tutte le altre persone, egli era la norma. Stabilì ciò che è civiltà, era la civiltà in persona e percorse il mondo intero, per insegnarla agli altri. Il suo sguardo «illuminato dall’Ovest» definì ciò che era «Oriente», come funzionava l’Africa o l’Asia, come gli altri avrebbero dovuto evolversi. Egli possedeva il potere di definire gli altri, non avvenne mai che gli altri definissero l’uomo bianco o avanzassero pretese sulla supremazia nel mondo. Gli altri lo veneravano o gli si ribellavano contro, ma lui si mantenne sempre nel centro.

Ma come può, come dovrebbe l’uomo bianco nella sua posizione ormai modificatasi agire nel mondo? Allontanarsi dall’idea di considerare sé stesso la norma, all’inizio sarebbe del tutto sufficiente. Vedere sé stesso come uno fra i tanti, non come uno sopra tutti. È difficile sopportare di uscire dal centro o di esserne scacciato, specialmente poi se è possibile che un nuovo centro non ci sia. Eppure miliardi di persone hanno già dovuto vivere questa esperienza, quindi si può fare.

Chi domanda come l’Occidente, come l’uomo [bianco] con il potere ancora rimastogli e la sua graduale perdita di potere dovrebbe comportarsi, arriva immancabilmente e di nuovo a Barack Obama, che si dovette difendere dall’essere definito un modello e proprio per questo è adatto per esserlo.
Obama nella sua vita ha imparato già presto che cosa significa essere straniero e condizionato dall’esserlo. La sua identità è tanto complessa quanto lo è la stesa America multietnica, egli è una «creazione del mondo», come il suo biografo David Maraniss ha detto in un’intervista. Sua madre, una bianca del Kansas, suo padre un keniano, si sposarono nel 1961, in un tempo in cui il «matrimonio misto» fra bianchi e neri era ancora vietato in molti luoghi. Più tardi Obama crebbe per alcuni anni in Indonesia, sua madre divorziò dal padre di Obama e sposò un indonesiano. Quindi dai sei ai sette anni egli vide già differenti luoghi e persone, come in seguito, ma da adulti, la maggior parte dei suoi compagni di studi a New York avrebbero potuto vedere.

Obama è un nero soltanto dal punto di vista di un bianco, che guarda a sé stesso come puro e che definisce ogni differenza di razza da sé stesso come una diversità di colore. In realtà Obama non è né nero né bianco, eppure è nero e bianco contemporaneamente, è un cristiano credente con un nome islamico: Barack, il Benedetto, Hussein, il figlio del quarto autentico califfo dei musulmani. Da giovane era chiamato «Barry»; poco tempo prima della sua prima candidatura riprese il suo nome originario, con la conseguenza da allora in poi di essere considerato da molti come un musulmano. Un americano del passato, il tycoon immobiliarista Donald Trump, l’anno scorso pretese per settimane che Obama rendesse pubblico il suo certificato di nascita. Nessuno saprebbe da dove l’uomo venga, dove sia cresciuto. Così qualcuno come Obama potrebbe essere effettivamente un vero e proprio americano?

Più tardi, sulla sua via politica verso la vetta, Barack Obama non ebbe alcun modello nero nella Presidenza che lui potesse imitare, in cui potesse identificarsi – fu piuttosto il contrario: l’America delle minoranze ha visto in lui qualcosa che lo rese compatibile con il suo modo di vivere. Per contro Obama fu ed è fuori luogo in ogni retrobottega della Washington dei lobbisti, delle cravatte a farfalla e delle pance soddisfatte, dell’accogliente atmosfera di wiskey e sigari. No, se ci fosse qualcosa da dire contro questa cultura, essa deve sicuramente anche esserci. Soltanto che un Obama con wiskey e sigari avrebbe l’aria di un nero che gioca a fare il bianco. D’altra parte: come primo presidente nero degli Stati Uniti non può mostrare il suo potere con aggressività. Nulla di ciò che egli dice o fa potrebbe ricordare l’aggressività intellettuale di un Malcolm X o la collera dei neri che portò alla luce il Rap politico del tipo Public Enemy contro l’establishment bianco: »Elvis was a hero to most / But he never meant - to me you see / Straight up racist that sucker was« («Elvis fu per i più un eroe / per me era nulla/ quella mezza sega fu semplicemente un razzista della peggior specie»). Si potrebbe quasi amare Obama per la sua insocievolezza.

Negli ultimi tempi egli è stato criticato spesso come inaccessibile e introverso. Ma come avrebbe potuto essere altro? Alla prima donna alla testa della Germania toccò udire per lungo tempo le stesse cose. I Primi non possono essere i più rilassati, non scivolano nelle loro funzioni pubbliche come in una pantofola, procedono a tastoni. In ogni caso questo lo si può imparare anche da Obama: reggere situazioni che si negano a ogni tipo di prepotenza, inventare nuovi modi di comportarsi, anche spontanei, quando i vecchi sistemi non funzionano più.

Virilità in Obama significa, in politica sia interna che estera, accettare i limiti del proprio potere – gli Stati Uniti non sono più la guida del mondo, vogliono e devono sempre più concentrarsi su loro stessi (debiti, disoccupazione, ritiro delle truppe). Si tratta ancor sempre di un potere molto consapevole di sé, ma forse nei suoi momenti migliori esso diviene un poco più saggio, una potenza che è cosciente di come la pursuit of happiness non sempre può svolgersi bene. Una potenza che sa di doversi rinnovare, perché le circostanze sono cambiate. E questo è deprimente? O invece interessante?

Per il nuovo uomo bianco potrebbero dimostrarsi particolarmente difficili le richieste delle donne, che lo vogliono allo stesso tempo assolutamente sensibile e fieramente maschio, l’uno più di giorno, l’altro forse più di notte. La virilità, che li unisce entrambi, è l’ultimo continente sconosciuto che ancora può essere conquistato. Finora è piuttosto disabitato, anche gli ispanici o gli afroamericani o i turchi lo popolano soltanto sporadicamente.

La perdita di potere dell’uomo bianco è ancora sovente accompagnata da malignità, nessuna sorpresa, ha dominato anche abbastanza a lungo. Tuttavia sarebbe meschino e anche un poco stupido prorompere in un contro-trionfo. La rielezione di Obama segna una svolta storica, gli anni dell’ovvio dominio maschile e bianco volgono al termine, molto è accaduto malamente, qualcosa bene, adesso ha inizio qualcosa di nuovo. Per i repubblicani questo vale anche per farla finita con l’ “avanguardia del passato”. Essenzialmente non vi è nulla in contrario a che anch’essi trovino il loro posto nel nuovo mondo. È possibile che nel 2016 gli americani eleggano nuovamente un presidente repubblicano. È molto possibile che il suo nome termini con le lettere “o” oppure “ez”. O che sia una donna.




Mercoledì 05 Dicembre,2012 Ore: 22:32
 
 
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