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www.ildialogo.org In Italia, un’altra economia,Dalla nostra inviata Geraldina Colotti

Le Monde Diplomatique, ottobre 2012 – Supplemento: “Gratuità”
In Italia, un’altra economia

Dalla nostra inviata Geraldina Colotti

Tutti i giorni migliaia d’italiani vivono fuori dai sentieri battuti dell’economia mercantile. Nel mondo rurale ma anche negli ambienti culturali essi definiscono, con piccoli ritocchi, il legame sociale.
(traduzione dal francese di José F. Padova)


Non soltanto scandali e ruberie: in Italia si coltiva anche l'utopia (Le Monde Diplomatique).
Leggete la lettera che don Patriciello, colpevole di aver chiamato "Signora" una Sua Eccellenza il Prefetto, ha scritto al Prefetto di Napoli, De Martino. JFPadova

Una piccola località sospesa nel tempo, un antico borgo medievale in pietra con l’aspetto di roccaforte: Torri Superiore, situato nella valle del Bevera, ai piedi delle Alpi liguri, ha conservato tracce di vita comunitaria, la sua grande sala collettiva, il suo forno a cielo aperto e la sua rete di centosessanta locali e passaggi dal soffitto a volta. Alla fine degli anni ’70 il villaggio assopito si era brevemente risvegliato, con un’esperienza di utopia comunitaria avviata da un “situazionista” torinese [ndt.: v. it.wikipedia.org ]. Poi, nel 1989, fu preso in mano da un gruppo di giovani che decise di fondarvi un eco-villaggio. Oggi vi sono sedici abitanti, bambini compresi. Essi si dividono i compiti e i profitti, prendono le decisioni attraverso il consenso, pur accettando una certa elasticità individuale (alcuni vivono nella comunità ma lavorano all’esterno). Organizzano attività culturali e sociali e controllano il corso dei lavori di restauro, affidati a piccole imprese locali che applicano la bioarchitettura e fanno uso di materiali naturali.

Dalle strisce di terreno che essa coltiva ai bordi del torrente la comunità ricava una piccola produzione di olio, di legumi e di frutta destinata al proprio consumo. Qui ci si orienta verso l’economia del dono: il modello sono le società di condivisione e di coproduzione ispirate alla teoria del dono di Marcel Mauss [ndt.: it.wikipedia.org ], sulla base del trittico dare-ricevere-scambiare. Alla logica della transazione fra offerta e domanda, sulla quale si fonda il mercato, si preferisce quella della reciprocità e della relazione. E, nel permanente squilibrio proprio della dinamica del dono, si vuole vedere la prefigurazione del processo di formazione dell’ Homo politicus.

Gruppo di acquisti di quartiere, banche del tempo, economia di comunione… le «utopie del ben fare», come le chiama il sociologo Giulio Marcon [ndt.: nonluoghi.info ] (1), hanno una lunga storia. Essa va dal mutualismo alle cooperative bianche (influenzate dai partiti cattolici) o rosse ( vicine ai partiti socialista e comunista) e a ciò che si è battezzato «terzo settore» - che cerca allo stesso tempo di smarcarsi dalla logica del mercato e da quella dell’intervento pubblico.

Si tratta di un «terzo pilastro» dell’economia, di un ambito di sostituzione la cui crescita è proporzionale alla carenza dei beni e servizi pubblici, la quale provoca lo smantellamento progressivo della protezione sociale. Vi si scoprono le traiettorie di solidarietà che hanno accompagnato lo sviluppo dei grandi organismi di regolazione sociale (partiti e sindacati, con le loro differenti proposte) e che oggi, di fronte alla crisi dei partiti tradizionali, interrogano in eguale misura la politica.

Proteggere i beni comuni

«Altra» economia? O fantasma ideologico di rimessa in discussione della proprietà privata, dopo il fallimento del più vasto esperimento di critica dei rapporti di dominio nell’Europa dell’Est? O vicolo cieco di piccolo borghese occidentale che parla di etica perché può permettersi di scegliere i prodotti che consuma? Difficile, comunque sia, ridurre queste pratiche comunitarie a un solo tipo di motivazione.

L’economista e giornalista Roberta Carlini ha cercato di comprendere come queste esperienze si articolino con l’economia e la politica tradizionali attraverso una ricerca sotto forma di viaggio nell’ «Italia che condivide», « Per molti, spiega, l’ “economia del noi” è il solo modo di fare politica partendo dalle proprie condizioni di vita. Per altri è un mezzo fra gli altri per affrontare il problema della protezione e della gestione dei beni comuni, in particolare quello della conoscenza. Per altri ancora è uno strumento che permette di scuotere un sistema economico fondamentalmente inoperante, mentre certuni pensano che sia il solo modo di salvare questo stesso sistema (2)». Per i suoi adepti, l’economia di comunione è un sistema globale di vita e di realizzazione. Per gli «hacktivisti» dei sistemi informatici liberi, è una rivoluzione dei diritti di proprietà e dei rapporti di produzione. Ma per i membri di un gruppo di acquisto di frutta o d’installazioni fotovoltaiche, questo può essere semplicemente un modo un poco più sobrio di consumare.

Consumatori critici

Quattordici anni fa Antonio Cannoletta partecipava così alla fondazione del Gruppo d’Acquisto Solidale (GAS) della Toscana. Un anno più tardi nasceva quello del Newroz, un centro sociale con base a Pisa. «La nostra intenzione, spiega oggi Cannoletta, «era quella di mettere in rete la produzione delle piccole imprese, favorendo il consumo critico e lo scambio solidale, ma soprattutto di sviluppare su scala più ampia forme di partecipazione a questioni di carattere più generale». Un’esigenza morale, quindi, ma anche un’intenzione politica: «È per questo, prosegue il piccolo agricoltore, che noi abbiamo organizzato al Newroz un piccolo mercato eco-solidale, unendolo ad altre iniziative politiche e culturali, legate alle attività del territorio e a quelle di altri centri sociali». I «mercati della terra» non sono solamente luoghi dove si acquista e vende cibo, sono anche nuovi spazi d’incontro fra consumatori e produttori che vogliono scambiare le cose. In seguito sono nati, su scala più larga, i distretti di economia solidale.

«Abbiamo preso possesso di un terreno in una zona periferica semi-urbana. Siamo ottanta famiglie, ognuno di noi fornisce lavoro e condividiamo i prodotti della terra». Questa esperienza sorta dai GAS è connessa a un’altra, battezzata Nuova periferia polivalente - «un progetto, spiega Cannoletta, che ha preso avvio con l’occupazione di qualche terreno per giochi e la creazione di orti operai, concepiti come esperienze di scambio e di solidarietà. In seguito al terremoto che ha colpito l’Emilia Romagna in diversi luoghi, ci siamo messi a vendere, attraverso il GAS, il parmigiano prodotto da una piccola impresa emiliana».

«Cercando di rispondere ad esigenze non economiche, questi organismi, constata Carlini a proposito dei gruppi d’acquisto, si sono trovati di fronte ad alcuni dei gravi problemi strutturali dell’economia italiana: il peso degli intermediari, l’agonia del settore agricolo, i trust costituiti dagli operatori, l’illegalità e il lavoro in nero».

Auspicando di accoppiare consumo e stili di vita giudicati moralmente degni, i GAS si sono ingranditi in modo esponenziale, spinti dalle crisi alimentari e dagli effetti di panico indotti. Oggi se ne contano settecento.

«Mescolare in una banca un chilo di scambio con trecento grammi di reciprocità e di socializzazione. Aggiungere una tazza d’amicizia, tre cucchiaiate di simpatia, due rossi d’uovo di fiducia e ispessire con un sacchetto di gioia. Miscelare bene il tutto con un pizzico di follia, uno di magia e uno di mistero. Spruzzare con colorante. Infornare a giusta temperatura per il tempo adatto. Per finire, insaporire di spontaneità, guarnire con cultura e arte e servire con dolcezza la Banca del Tempo (BdT)». Tale è la «ricetta» che ci confida la sig.ra Rosy D’Amico, Roma. Una banca nella quale non si deposita denaro ma ore, che si scambiano sulla base della reciprocità.

Un tempo di reciprocità

Questa maniera di opporsi alla tirannia dell’orologio e di intessere legami sociali deve molto, in Italia, alla riflessione portata avanti dalle donne sui mezzi per conciliare tempo di vita e tempo di lavoro. Un dibattito che ha preso corpo negli anni ’80 ed è sfociato nel 1988 in una proposta di legge, approvata dieci anni più tardi dal governo di centrosinistra e infine adottata dal Parlamento nel 2000. Le prime banche del tempo nascono all’inizio degli anni ’90 in Emilia-Romagna, sostenute essenzialmente da donne. All’inizio si sviluppano nel centro e nel nord della Penisola, ma molto presto si moltiplicano e si estendono all’intero territorio nazionale, dove sono ripartite in modo ineguale. Se ne contano oggi circa quattrocento, composte all’80% da donne. Lo scambio si svolge, in contesti urbani diversi, sui servizi e l’informazione relativi al fare, al sapere, alla creatività e alle emozioni. Secondo l’inventario, le BdT prendono iniziative innanzitutto culturali (30%), parascolastiche (19%), di assistenza sociale (19%) e di protezione dell’ambiente (10%).

Nelle banche del tempo non vi è circolazione di denaro, e ciò non vuole dire per questo che i prodotti della loro attività non abbiano alcun valore economico. Negli incontri di settore furoreggia il dibattito sulla reale indipendenza delle BdT rispetto alle istituzioni locali e del mercato. Il tempo è scambio contabile o dono di sé? Intervenendo all’incontro europeo «Tempo di reciprocità e d’inclusione sociale», tenutosi a Roma il 28 maggio 2010, il sociologo Alessandro Montebugnoli si è riferito a una società «multiattiva», capace di guardare al di là della «sfera del lavoro remunerato, incorporato nel valore delle merci e dei servizi pubblici, che insieme costituiscono un quadro delle attività professionali».

Alcune «comunità d’intenzioni», ispirandosi ai principi della decrescita, arrivano fino a istituire monete locali alternative o complementari all’euro. Economie alternative o semplice folklore?

(1) Giulio Marcon, Le Utopie del ben fare, L'Ancora del Mediterraneo, Napoli, 2004.

(2) Roberta Carlini, L'Economia del noi. L'Italia che condivide, Laterza, Roma, 2011.




Martedì 23 Ottobre,2012 Ore: 07:30
 
 
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