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ZEIT ONLINE (Die Zeit, Hamburg)
Ambiente – Carburanti dai vegetali

Gli affamatori

Il combustibile estratto da piante commestibili è la ricetta giusta per il brevetto ecologico? La lobby lo ritiene tale – per garantirsi sovvenzioni miliardarie. (traduzione dal tedesco di José F. Padova)


La patente di ecologico per il biocarburante? Dopo anni di deforestazione e conversione di colture alimentari per produrre carburante, il bilancio è negativo. Il mito aveva infiammato le fantasie e su quello le multinazionali "energetiche" avevano speculato alla grande. Forse è arrivato il momento di ripensarci, anche se ormai, come al solito, il danno è fatto e non sembra facilmente riparabile.
JFPadova


ZEIT ONLINE (Die Zeit, Hamburg)

Ambiente – Carburanti dai vegetali

Gli affamatori

Il combustibile estratto da piante commestibili è la ricetta giusta per il brevetto ecologico?

La lobby lo ritiene tale – per garantirsi sovvenzioni miliardarie.

(traduzione dal tedesco di José F. Padova)

zeit.de

L’etanolo è un liquido chiaro, che dai tempi più remoti provoca confusione mentale. La sostanza, con la formula C₂H₅OH, deve il suo effetto inebriante al suo componente OH, il gruppo degli alcool. Il problema principale è il suo dosaggio. Già pochi millesimi annebbiano il cervello.

Attualmente è l’etanolo che provvede all’annebbiamento globale. Da alcuni anni l’alcool arriva sul mercato in quantità storicamente mai viste – come biosprit, biocarburante, letteralmente: spirito di vita. In dosaggi ora alti, ora ridotti, è venduto in tutto il mondo ai distributori di benzina, sotto denominazioni abbreviative come «E5», «E10», E85», a seconda che il carburante contenga una percentuale del 5, del 10 o dell’85 di etanolo. Insieme all’alcool anche il carburante vegetale mette le ali alla nuova, presunta durevole, mobilità. Il biodiesel da colza, soia o palma dovrebbe migliorare il bilancio ecologico.

I fautori decantano il biocarburante come un miracolo ecologico: garantirebbe ai coltivatori redditi affidabili, eliminerebbe produzione in eccesso, renderebbe indipendenti dal costoso petrolio e per di più proteggerebbe il clima. I suoi critici mettono in dubbio tutto ciò e protestano, perché la produzione di carburante dai vegetali distrugge la biodiversità e le strutture sociali. E soprattutto manda alle stelle i prezzi degli alimenti e sottrae il cibo a milioni di povera gente.

Di fronte all’attuale caduta delle quantità dei raccolti negli Stati Uniti e in Russia [ndt.: causa siccità] il dibattito s’inasprisce. «Via il biocarburante», «Massificazione dell’ambiente», «Distributori di benzina contro piatti di cibo», così suonano attualmente gli slogan. Nel crescente coro dei critici si formano insolite alleanze: politici del Freie Demokratische Partei [partito liberale e laico], come il Segretario generale Patrick Döring e il ministro per lo Sviluppo Dirk Niebel lottano insieme al BUND, a Pane per il mondo e a Greenpeace contro la lobby della bioenergia. La quale a sua volta trova appoggio nel ministro per l’Ambiente Peter Altmaier. Chi ha ragione, in questa sconcertante disputa sullo spirito [ndt.: inteso come alcool], chi tira i fili?

Già la voce fame provoca dichiarazioni contraddittorie. «I carburanti vegetali non sono causa di accresciuta fame nei Paesi in via di sviluppo, contrariamente a opinioni più volte diffuse», afferma l’Associazione tedesca per la bioenergia. «Le cause di malnutrizione sono molto più la povertà, la cattiva gestione governativa, la corruzione, le guerre civili e le condizioni climatiche estreme. Anche il Consiglio per il Biogas spiega: « In certi Paesi né i prezzi dei generi alimentari né la fame hanno qualcosa a che fare con le bioenergie».

Certamente è vero che la fame ha molte cause politiche e sociali, ma l’ampia autoassoluzione, che la lobby delle bioenergie concede a sé stessa, passa sopra alla realtà. Perciò gli esperti usano argomenti diversi.

Per triste esperienza l’Organizzazione mondiale per l’alimentazione mondiale FAO mette in guardia da una nuova crisi alimentare. Il suo capo José Graziano Da Silva, tenuto conto della siccità nel Middle West e dei prezzi record raggiunti dal mais, ha chiesto al governo degli Stati Uniti di abbandonare la produzione di etanolo per il biocarburante. Finora il quaranta percento della produzione USA di mais viene fatto fermentare per produrre carburante e manca come cibo per le persone e mangime per gli animali. Già nel 2007/2008 si è arrivati alla rivolta per fame in Messico (crisi della tortilla), in Africa e in Asia, perché milioni di persone povere non erano in gradi di pagare i prezzi record di mais e grano e dovevano vivere di stenti. Adesso, dopo un ulteriore conflitto nel 2011, avanza minacciosa una terza crisi, di fronte alla quale anche il World Food Progam delle Nazioni Unite ammonisce: «Alti prezzi degli alimentari non soltanto impediscono ai poveri di acquistare cibo a sufficienza, ma rendono difficile anche lo stesso aiuto alimentare».

I poveri non possono neanche ripiegare sui generi alimentari a prezzo più basso. I prezzi di borsa di importanti alimenti per l’uomo e l’animale, come frumento, soia, mais e recentemente anche riso stanno già aumentando. I prezzi degli alimenti inoltre sono sempre più collegati fra loro – se l’uno diventa scarso, sale il prezzo anche dell’altro. E la concorrenza per le superfici coltivabili, limitate, collega inoltre gli alimentari ai prezzi dell’energia.

Quindi il biocarburante entra in gioco come concorrente in modi diversi. Finora l’etanolo veniva prodotto principalmente da mais, frumento e da canna o barbabietole da zucchero, di preferenza dalla materia prima più a buon mercato nella relativa zona. Ma l’etanolo si estrae anche dalla manioca. Perfino il riso arriverà in futuro nei serbatoi, in Brasile sono già progettati tre grandi impianti di distillazione.

I brasiliani procedono nella direzione in cui va l’etanolo – in un legame e in una concorrenza sempre più diretti fra energia e mercato degli alimentari. A Rio o a São Paulo circolano auto a doppia alimentazione, che possono passare dalla benzina pura al puro bioetanolo secondo quale carburante risulta essere il più economico. Il Paese produce annualmente 27 miliardi di litri di etanolo, il cui prezzo risulta essere redditizio in rapporto a quello del petrolio salito a 100 $ USA per barrel (119 litri).

Così i prezzi dei prodotti agricoli seguono quasi automaticamente quelli crescenti del petrolio. «Rapporto bushel-barrel» [ndt.: bushel=35 l e barrel=119 l], è definito nel linguaggio tecnico. L’agganciamento del prezzo dei cereali a quello del petrolio si fonda su un principio semplice: se i prezzi del carburante salgono, si impiegano maggiori superfici di terreno per la produzione di etanolo. Questi terreni agricoli mancano poi per la produzione di sostanze alimentari per l’uomo e per gli animali, le quali aumentano il loro costo a causa della concorrenza fra le rispettive coltivazioni. Infatti gli agricoltori producono preferibilmente ciò che promette loro il maggior guadagno per ettaro.

La correlazione bushel-barrel colpisce doppiamente le persone povere: se sale il prezzo del petrolio esse devono pagare di più per due necessità basilari, l’alimentazione e l’energia. E questa correlazione diventerà sempre più forte, perché non soltanto la Germania, ma anche l’Unione Europea e gli Stati Uniti voglio drasticamente aumentare in futuro la loro quota di biocarburanti. Al più tardi sono in programma rivolte sociali per fame.

Ma il pieno del serbatoio prodotto sui campi è sensato almeno dal punto di vista ecologico? Anche qui aumentano le voci critiche – con buoni argomenti. Infatti questa espansione richiederà gigantesche superfici agricole. Per la Germania il progetto è particolarmente spinoso: dovrebbe coprire il suo fabbisogno supplementare mediante ingenti importazioni.

Poiché sovente il bioetanolo non può presentare un bilancio positivo di effetto-serra e per di più danneggia l’ambiente, l’Accademia nazionale [tedesca] della Scienza, dopo un’approfondita analisi, ha da poco giudicato che la bioenergia non potrebbe fornire alla Germania alcun contributo durevole alla trasformazione energetica. Di conseguenza non dovrebbe essere perseguito alcun ulteriore ampliamento. L’Unione Europea dovrebbe ripensare il suo piano di trasferire per il 2020 il dieci percento di tutti i carburanti a carico della biomassa. In concreto nello studio per i nuovi carburanti si legge: «La produzione di bioetanolo dagli zuccheri e dall’amido, come pure di biodiesel dalle piante oleifere, sul piano locale e globale è in concorrenza con la produzione di sostanze alimentari. Perciò «sarebbe difficile giustificare questi metodi in zone fittamente popolate come l’Europa centrale o la Cina». Per questo la Cina ha già vietato la produzione di etanolo da vegetali commestibili.

Si dovrebbe pensare che il giudizio del massimo istituto scientifico tedesco induca alla riflessione gli strateghi dell’energia di Bruxelles. A una richiesta di conoscere ciò che il Commissario europeo competente per l’energia, Günther Oettinger, avrebbe da dichiarare circa le critiche dell’Accademia scientifica tedesca, il suo ufficio stampa risponde così: «Studi diversi portano a conclusioni diverse, dipendenti dalle opinioni». La Commissione europea afferma di lavorare «attualmente a una valutazione delle conseguenze in tema di biocombustibili comprendendo le variazioni indirette sull’impiego dei terreni agricoli». I commissari responsabili Oettinger e Hedegaard «presenteranno al più presto le loro proposte».

La promessa di presentare «al più presto» le proposte è vecchia di molti mesi. Nel sottofondo c’è una controversia irrisolta su come in generale valutare la persistenza di combustibili biologici.

Piante fornitrici di energia per il piatto, il trogolo e il serbatoio

Soia: è il più importante seme oleifero nel mondo. Due percento del raccolto serve all’alimentazione umana.

Colza: è il più rilevante fornitore di biodiesel. La superficie di coltivazione locale [tedesca] in 30 anni si è quasi centuplicata.

Olio di palma: proviene in gran parte dall’Asia, serve in massima parte come nutrimento. Come biodiesel è fortemente controverso.

Mais: nutre persone e animali. Questa graminacea serve in misura crescente come fonte di etanolo e biogas.

Barbabietola da zucchero: sotto forma di zucchero industriale è spesso oggetto di estrazione di etanolo. Fornisce foraggio e in misura crescente biogas.

Frumento: è importante come cereale da pane e per l’ingrasso di animali. Vi si estrae anche etanolo.

Canna da zucchero: fornisce zucchero per uso domestico e sempre più anche etanolo; in questo caso dà il migliore bilancio climatico.

La lobby dei biocarburanti fa ricorso anche ai certificati di compatibilità ambientale. Eppure gli attestati valgono poco. Essi non tengono conto del fatto che la produzione di biomasse può portare a indirette variazioni dell’utilizzo dei terreni agricoli (ILUC, Indirect Land Use Change). Il terreno in Brasile o Indonesia, sul quale crescono ora soia, mais o palme da olio per la sete di etanolo delle auto tedesche, può essere così coltivato già da molto tempo prima. Ma in altri luoghi sono state estirpate foreste pluviali, prosciugate paludi, dissodati pascoli, per creare superfici agricole che servono adesso per la produzione di energia.

Queste alterazioni indirette sono notoriamente difficili da valutare, perché un cambiamento nella produzione in Brasile o in Indonesia può portare anche alla conseguenza che ora nella lontana Africa sempre più terreno passi sotto l’aratro per placare il fabbisogno di cibo dei sudamericani o dell’Asia orientale. In Africa dal 2000 più di 130 milioni di ettari di terreno hanno cambiato proprietario – ciò che corrisponde a tre volte e mezza la superficie della Germania. Territori immensi sono stati acquistati da investitori o affittati per decenni, senza che fossero rese pubblici importanti presupposti di base, come le condizioni ambientali (dove disponibili) o piani per lo sfruttamento dell’acqua.

Numerosi studi, effettuati per conto dell’Unione Europea, mettono in guardia circa il fatto che gli effetti dell’ILUC possono essere imponenti. In tal modo l’espansivo impiego in Europa di bioetanolo da oggi al 2020 può causare a livello mondiale la distruzione di superfici la cui grandezza supera della metà quella del Belgio. Soprattutto per il biodiesel da palma, soia e colza i bilanci dell’emissione di gas a effetto serra non corrispondono più agli impegni presi, l’ effetto sarebbe nullo o addirittura negativo.

Se si prende in considerazione il fatto che un bilancio ecologico deve prendere in considerazione non soltanto la protezione del clima, ma anche quella delle specie, del suolo e delle acque come pure il consumo idrico nei Paesi aridi, diventa chiaro che: una certificazione seria è una mission impossibile. Per questo l’Unione Europea dovrebbe attaccare al chiodo i suoi piani di espansione bioenergetica e nel dubbio dare la precedenza alla produzione di alimenti, secondo il modello dell’etica cinese.

Eppure ciò che più conviene ecologicamente non è accettabile sotto l’aspetto politico. Una politica incatenata alle sue sovvenzioni è giudicata per il suo successo dimostrabile ed è accanitamente prigioniera di concezioni superate.

Proprio le carenze nella protezione del clima della concezione del bioetanolo agitano già adesso la lobby dell’auto. Questa aveva puntato sul fatto che i suoi prodotti con elevati consumi sono alimentati con un carburante biologico che emette poco CO₂. Anche grazie a questo indiretto salvataggio del clima i fabbricanti di auto hanno potuto concordare che i loro veicoli per il 2015 dovrebbero emettere in media 130 grammi di CO₂ per chilometro – originariamente erano stati richiesti rigorosamente 120 grammi al chilometro. Chi deroga a questi impegni deve pagare alte ammende. Se ora il bioetanolo si dimostra un flop, tutto deve essere nuovamente ricalcolato.

In ogni caso deve essere riaperta una storia ingloriosa. Quando in aprile del 2009 l’Unione Europea emise la sua direttiva sulle energie rinnovabili e quindi sulla politica espansiva del bioetanolo, la prima grande sollevazione per la fame così provocata aveva già avuto luogo. Ci furono molte discussioni su come il problema del crescente antagonismo fra il piatto e il serbatoio potesse essere trattato. Come soluzione del dilemma valgono severe prescrizioni circa la durevolezza della produzione di carburanti biologici della seconda generazione: questi non devono risultare da prodotti agricoli commestibili, bensì da sostanze di scarto come paglia o residui del legno.

Un progetto per la fluidificazione della biomassa era l’impianto proposto dall’ azienda Choren a Freiberg in Sassonia, al quale erano cointeressati VW, Daimler e Shell. Il progetto fu insignito nel 2008 con premi (ben remunerati) per l’ecologia, assorbì molti milioni di sussidio – e nel 2011 fece fallimento.

Certificazione controversa, soluzioni tecniche a grande distanza – come si è potuti arrivare a questo boom politico del carburante ecologico? Il presunto etanolo non inquinante era la base di una visione che ebbe inizio già nel 1998. Il suo scopo consisteva, similmente a quello della legge sulle energie rinnovabili nel campo elettrico, nella modernizzazione ecologica anche nel settore della mobilità.

Che la cosa fosse possibile in via di principio sembrò indicarlo in un primo momento il biodiesel: grazie a elevati privilegi fiscali si era formato un mercato, marcatamente rivolto al ceto medio, del carburante ecologico prodotto e lavorato su base regionale. Tuttavia poiché soprattutto le imprese di trasporto approfittavano dei pochi distributori di carburanti forniti di biodiesel puro, si rese necessaria una riforma, anche per motivi fiscali. Uno scopo era quello di fare partecipare tutti ai benefici degli eco carburanti e miscelare estensivamente questi vantaggi con benzina e diesel – totalmente nel senso di “oli minerali” – e di industria dell’auto. In effetti la sostanza è distribuita in modo decentralizzato, ma il potere su di essa è centralizzato e globalizzato. E ciò porta conseguenze.

In sempre maggiore misura Argentina e Indonesia inondano il mercato con biodiesel a buon prezzo e con ciò rovinano gli affari ai restanti 22 stabilimenti locali di produzione. Gli argentini con le sovvenzioni statali hanno arato gigantesche superfici di pascolo e coltivano la soia. Invece di esportare i semi ne ricavano carburante diesel, cosa che aumenta la redditività nel Paese.

Per l’industria europea dell’olio minerale la provenienza del carburante è indifferente, poiché compera a basso prezzo etanolo d’importazione, sia dall’Argentina che dall’Indonesia. Non ha importanza se esso è estratto dalla soia o dalla palma da olio, dalla colza, dal mais e da canna o barbabietola da zucchero.

Già è scoppiata una guerra del biodiesel. La Spagna ha imposto un divieto d’importazione per il biodiesel argentino. Anche i tedeschi minacciano di eliminare per via legale la concorrenza richiamandosi alla dubbia compatibilità ambientale e alle sovvenzioni dello Stato [argentino].

Poiché sempre più si accentua lo scontro intercontinentale in materia, per tutto quanto il settore il pessimo bilancio ecologico del suo prodotto e la sua reputazione come affamatore potrebbe significare il classico colpo alla nuca. Allora l’industria automobilistica dovrebbe installare l’ecologia nei suoi veicoli, invece di riempire con essa i serbatoi. Dirk Niebel ha evidentemente compreso perché i cinesi hanno vietato il bioetanolo. Egli chiede di «decidere eticamente ciò che è più importante: l’alimentazione della popolazione mondiale o il veloce spostarsi in auto in Germania».

Ecco un elenco dei titoli di articoli pubblicati si Die Zeit in materia di ecologia energetica, settore biocarburanti:

  • 13.9.2012: L’Ufficio federale per l’Ambiente esige automobili più parsimoniose e più lente

  • 11.9.2012: L’Unione Europea si distacca dal carburante di origine vegetale alimentare

  • 27.8.2012: Mai più frumento nel serbatotoio

  • 23.8.2012: Eclissi solare

  • 23.8.2012: ”Smettere sarebbe un cortocircuito

  • 31.82012: Gli affamatori

  • 18.8.2012: Il biocarburante etanolo E10 non ha mai funzionato

  • 11.8.2012: La siccità record causa la caduta dei raccolti negli Stati Uniti

  • 26.7.2012: Fermate la follia della bioenergia

  • 25.4.2012: ADAC [l’ACI tedesco]: La vendita di carburante etanolo E10 ancora sempre sotto le aspettative

  • 19.4.2012: Cattivo umore degli ecologisti

  • 22.2.2012: Dobbiamo andarcene via dal petrolio

  • 13.2.2012: Acqua: il petrolio del futuro

L’elenco continua per altre 4 pagine, a partire dal 9.10.2008 con: Il killer del clima, vestito di verde

 




Sabato 29 Settembre,2012 Ore: 06:36
 
 
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