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www.ildialogo.org La produzione del convincimento politico,di Alain Garrigou

Le Monde Diplomatique, martedì 27 marzo 2012
La produzione del convincimento politico

di Alain Garrigou

(traduzione dal francese di José F. Padova)


 Sondaggio: "Speciale tipo di analisi dell'opinione di gruppi sociali intorno ad argomenti vari, spec. politici" (Devoto-Oli, Dizionario della lingua italiana, pag. 2266, 2., part.). Detto così sembrerebbe un'algida attività scientifica, particolarmente esercitata da esperti di statistica. Invece no: sia eseguirli, sia usarli, sono azioni che influiscono profondamente sulla vita pratica collettiva. Dovrebbero servire ai politici per fissare una rotta, che dopo anni o decenni di navigazione conduca nel porto desiderato. Servono invece per mantenere il potere, settimana dopo settimana (o giorno), e quando si va a scoglio pagano nave e passeggeri, perché  i responsabili sono già lontani sulle scialuppe. 
Come si produce il convincimento politico è l'oggetto dell'articolo accluso.
JFPadova

Le Monde Diplomatique, martedì 27 marzo 2012
La produzione del convincimento politico
Alain Garrigou
(traduzione dal francese di José F. Padova)
http://blog.mondediplo.net/2012-03-27-La-production-de-la-croyance-politique

L’elezione presidenziale del 2012 sarà senza dubbio contrassegnata da una crescita del numero dei sondaggi. Probabilmente meno importante però dell’aumento avvenuto durante la precedente elezione quando, in parte a causa dell’innovazione introdotta con le primarie socialiste, i sondaggi contabilizzati erano passati da 193 nel 2002 a 293 nel 2007. Essa è già segnata da un notevole cambiamento nel loro uso, sempre meno strumento di conoscenza e sempre più strumento tattico per modellare l’opinione pubblica.

Il teorema di Thomas [William I. Thomas, 1863-1947] ha quella semplicità sconcertante che rischia di lasciarci dubbiosi e increduli: «Quando le persone considerano certe situazioni come reali, esse sono reali nelle loro conseguenze» (1). Per metterne in luce la portata il sociologo Robert K. Merton evocava la disavventura della Last National Bank quando il suo direttore Cartwright Millingville, reso curioso da un’atmosfera inconsueta [regnante in banca], scopriva che i suoi clienti, messi in allarme dalle voci di una sua insolvenza, avevano appena ritirato i loro averi, provocando così il fallimento della banca stessa (2). Detto con altre parole, non era l’insolvenza che provocava il fallimento, ma erano le voci che creavano l’insolvenza. La crisi del 1929 offriva l’immagine di un effetto di credenza mediante la profezia auto-realizzatrice. Quello della finanza è, più di qualunque altro settore, il brodo di coltura di questi fenomeni, come una volta di più l’ha dimostrato la crisi dell’autunno 2008.

Quanti commentatori non hanno così messo in rilievo la cecità degli economisti, incapaci di prevedere la crisi? Uno di essi, Nouriel Roubini, vi ha perfino guadagnato un’aura d’indovino, perché sarebbe stato il solo a prevederla. Senza dubbio vi è stato reale accecamento presso un certo numero di neoliberisti dottrinali, i quali credono sempre che il mercato autoregolandosi escluda necessariamente ogni tipo di crisi. Essi vi si agganciano come fanno quelle sette millenariste che aspettano la fine del mondo e, non vedendola arrivare, ne posticipano la scadenza per non doversi ricredere. Tuttavia, malgrado le apparenze, non tutti gli economisti sono così stupidi. Alcuni vedevano molto bene avvicinarsi la crisi finanziaria innescata, fra le altre cause, dai subprime. Non glielo si chiedeva e, se sollecitati dai media, non lo dicevano pubblicamente ma dicevano il contrario nelle conversazioni private. Talvolta precisandone il calendario e i meccanismi. In pubblico essi annunciavano prospettive brillanti e celebravano la fiducia.

Gli economisti sanno bene che in pubblico la parola può operare secondo il teorema di Thomas e in particolare come profezia auto-realizzatrice. Essi non potevano parlare francamente per paura, per compiacere ai media e ai loro proprietari o ancora perché ricevono remunerazioni da imprese private (3). I giornalisti specialisti in economia, poi, da parte loro, rischiavano molto più, vale a dire il loro posto di lavoro, senza che si sappia se, confessando a cose fatte di non aver potuto parlarne pubblicamente (4), essi cercassero di correggere una spiacevole impressione o di giustificare la loro autocensura. Nella sfera delle perizie di carattere economico imperversa il conflitto d’interessi, una forma di corruzione difficile da combattere, in quanto gli esperti tengono bene in conto il teorema di Thomas.

La gamma dei meccanismi operanti sul convincimento è molto ampia, come testimoniano le conseguenze sui titoli degli Stati delle classificazioni fatte dalle agenzie di rating circa il livello dei tassi d’interesse. L’economia non ne è il solo terreno d’azione. La “classificazione di Shanghai” delle università mondiali deve proprio a essi la sua notorietà. All’origine strumento per uso domestico diretto a orientare gli studenti cinesi, è stato promosso a classificazione internazionale prima di far nascere altre classificazioni, giustificate dalla critica ma anche dall’obbligo di non essere sottoposti a una classificazione straniera. Basta ancora osservare l’interesse dei professionisti della sanità per i palmarès [o albi d’oro] degli ospedali, che come si sa hanno effetto sulla preferenza accordata loro dai pazienti e quindi sulla loro redditività. Nulla di veramente nuovo, se ci si riferisce per esempio alla classificazione del 1855 sui vini di Bordeaux, inizialmente ideata per la Fiera universale del 1855, ma che serve ancor oggi come riferimento per i consumatori e determina in parte le quotazioni [dei vini stessi].

Oggi la produzione di numeri va ad aggiungersi a questi meccanismi di oggettivazione, attraverso i quali la convinzione dà forma alla sua consistenza. La loro apparente esattezza e la fede scientistica contribuiscono effettivamente alla loro forza sociale. Comprendendolo intuitivamente, i governanti sorvegliano le statistiche ufficiali – sulla disoccupazione, i prezzi, il debito, ecc. – talora con la tentazione di controllarle. A forza di manipolazioni opportuniste, nell’opinione pubblica si è alla fine diffuso un certo scetticismo. Il successo dei sondaggi si spiega ampiamente con la loro capacità, anche se limitata, perfino condizionale, di modellare le convinzioni.

Profezie
Frequentemente la questione degli effetti dei sondaggi è posta male, tanto è difficile eseguire un esperimento comparativo – con e senza – che permetta di individuare le diversità. Come si può far votare una metà della popolazione senza e l’altra metà con i sondaggi? Occorrerebbe almeno poter confrontare gruppi sufficientemente numerosi in condizioni di laboratorio. Quasi impossibile. In ogni caso, non lo si è mai fatto su una scala sufficiente e in condizioni reali di esposizione lunga e ripetuta a informazioni diverse. Temendo di trovarsi nella posizione di accusati, i sondaggisti si sono sempre rifiutati di ammettere che i sondaggi hanno influenza sul voto e aggirano di traverso la competizione politica leale. Oggi, tuttavia, ammettono volentieri di pesare sulla selezione dei candidati alle elezioni. Senza dubbio è difficile negare troppo brutalmente le evidenze. E poi, la tesi dell’inanità non è per nulla sostenibile: se i sondaggi non sono altro che istrumenti di conoscenza senza effetti sulla realtà, a che servirebbe farli? La passione della conoscenza? In ogni caso, tutto questo non convincerebbe per niente coloro che li pagano, i dirigenti politici e le grandi società che non hanno se non scopi intellettuali.

La domanda era anche mal posta perché, seguendo una meschina concezione positivista, si riteneva che la conoscenza del reale non avesse su di esso alcun effetto. Tutta l’esperienza accumulata nel mondo lo smentisce. I numeri dei sondaggi sono senz’altro meno brutalmente efficaci delle note di rating diffuse da Standard & Poor’s o da Moody’s, ma sono attesi, temuti o sperati.

Al punto che a volte il timore non è molto distante dal diventare un ricatto contro i dirigenti politici. Perché [fare] tanti sondaggi, se non per agire sulla realtà? Senza saperlo, i fruitori dei sondaggi agiscono secondo un sapere pratico che trasforma la condizione del teorema di Thomas: il teorema diventa un precetto. Tutto questo non differisce per niente dal passaggio da scienza a tecnologia, poiché quest’ultima utilizza scoperte scientifiche, per esempio le proprietà di una molecola, per mettere a punto tecniche di utilizzo delle proprietà di quelle molecole. Conoscere porta allora a cercare di provocare effetti. Il parallelo con le scienze naturali si ferma qui. In effetti, i convincimenti non sono proprietà chimiche.

Nell’incerto universo della politica, gli spin doctor si presentano come stregoni che dispongono di una specie di martingala [http://www.sportytrader.it/martingala.htm] o capacità di raddoppiare la posta in gioco. Occorre certamente che credano in ciò che vendono, è necessario tanto più in quanto vendono indicazioni, perfino trucchi, fondati su un poco di scienza e su molta intuizione. Essi possono tanto meno dubitare quanti più motivi hanno per farlo. Nel loro spazio di concorrenza essere sicuri [di sé] è una qualità indispensabile. «La formula di Thomas», così chiameremo il dispositivo performativo che mira a creare l’opinione [pubblica] enunciando [la formula stessa], in modo giusto o errato, ma sempre allo scopo, dicendolo, di fare accadere ciò che si desidera, e allora si parla di profezia autocreativa, o il contrario di ciò che si dice, e si parla allora di profezia autodistruttiva. Nel primo caso i sondaggi performativi cercano di attivare l’effetto bandwagon  (prendere partito per il vincente) [ndt. : chiamato anche l’effetto del gregge] annunciando il progresso di un candidato per incrementarlo o perfino per crearlo ex novo. Essi fanno affidamento sulla voglia di credere alla buone notizie e, annunciandole, contribuiscono a produrle. Sia i candidati che gli elettori preferiscono la prospettiva della vittoria. Inversamente, mostrare la flessione di un candidato rischia di provocarla o amplificarla spingendo gli elettori a interrogarsi sulla pertinenza di un loro sostegno diretto a un candidato abbandonato da altri e con sempre meno chance di vincere. Probabilmente è proprio questa dinamica di fuggifuggi che i candidati temono di più. Non vi è meccanica univoca quando un’evoluzione negativa, come quella dei voti di scarto, serve al contrario a mobilitare le energie intorno al candidato minacciato secondo l’effetto di underdog [detto anche del perdente]. Come potrebbe la politica sfuggire a questi timori e a queste speranze di approfittare dei sondaggi – o almeno di non esserne danneggiati? Si possono immaginare altri obiettivi per quei sondaggi che negli Stati Uniti sono chiamati push polls e che non hanno bisogno di essere tanto grossolani come i loro modelli, anche se addirittura presi come sotterfugi. È sufficiente che siano indirizzati a modificare la realtà.

L’intervento dei sondaggisti
Molto antica, la strategia performativa va a prestito dall’arte divinatoria. I calcoli politici riempiono la storia degli oracoli dell’antichità quando, tutt’attorno al Mediterraneo e in altri continenti, furono le poste delle lotte politiche e spesso di manovre corruttive. Si narra che gli aruspici, i quali leggevano nelle viscere degli animali sacrificati, non potevano incontrarsi senza scoppiare in grandi risate. Si può avere dubbi su questa ironia. Oggi, i sondaggisti ne sono privi. In qualche decennio essi hanno aggiunto a questo mestiere quelli di consiglieri politici e di commentatori. Questo accumulo ha fatto della loro una professione pericolosa. Essi non fanno più soltanto sondaggi, ma li commentano ai giornalisti o ai cittadini. Le cose vanno più veloci. Forti della famigliarità derivante da questa collaborazione, sono essi stessi diventati commentatori patentati della politica. Talvolta spiegano di saper mantenere bene chiusa una paratia stagna fra i ruoli, insomma che bisogna fidarsi di loro.

Se si dà per certo che i sondaggi sono diventati uno strumento per creare l’opinione [pubblica], per accompagnare le campagne elettorali come cartelloni, manifesti e slogan, si rischia molto di sentire questo ritornello rituale: prima, era lo stesso o peggio. E di citare su questo punto, come su altri, François Mitterrand, il cui fantasma tiene ancora deste le buone anime conservatrici. L’impiego manipolatorio dei sondaggi era ben presente in tempi prossimi o lontani, quando erano distillati con l’alambicco dagli uomini del presidente. Jean-Marc Lech, direttore di Ipsos, rivelava che il consigliere per la comunicazione di Mitterrand non provava scrupoli nel comunicare alla stampa i risultati di sondaggi confidenziali pagati dell’Eliseo: «Jacques Pilhan non si poneva il problema morale della manipolazione (5)». Qualcuno quindi sostiene che non c’è niente di nuovo sotto il sole, o che Mitterrand e i socialisti ne avevano già fatte di peggiori. Senza dubbio il fenomeno era bene avviato, come conferma il passaggio di Jacques Pilhan al servizio di Jacques Chirac nel 1995. Nel frattempo si è passati dal fai da te al sistema.

I commentatori accordano eccessiva importanza agli individui presi singolarmente, per quanto potenti siano, quando si tratta di spiegare il posto sempre più grande occupato dai sondaggi nella politica e i loro impieghi per la manipolazione. L’affaire dei sondaggi dell’Eliseo non ha messo in discussione i sondaggi, i sondaggisti e le loro procedure per caso. E anche coloro al cui servizio essi sono. La sera del primo turno delle elezioni presidenziali del 1995 Nicolas Sarkozy accusava: «Senza i sondaggi sarebbe stato fattibile». Sugli schermi di France 2 se la prendeva con Pierre Giacometti, sondaggista, commentatore e consigliere di Jacques Chirac. In questo modo egli attribuiva molta importanza ai sondaggi nella vittoria e nella sconfitta. Lo confermò in seguito riferendosi ai servizi del sondaggista accusato – e mortificato – per l’elezione del 2007 e in seguito durante tutto il suo quinquennio. La smania di Sarkozy per i sondaggi è largamente condivisa e non è interessante se non come rivelazione della trasformazione dell’azione politica in generale.

Tutti i dirigenti politici hanno fatto ricorso ai sondaggi. Tutti non li pagano. Anche i più scettici sono obbligati a osservare queste misure che, siano esse esatte o no, fissano più o meno la moralità dei fautori, l’accoglienza da parte dei giornalisti e servono quindi inevitabilmente come valutazioni di prestazioni. Altri sono particolarmente attenti, più sovente dentro i partiti di governo. Quando Lionel Jospin era primo ministro, la sondaggiomania regnava al vertice dello Stato. Indubbiamente occorre collegare questa situazione all’evoluzione stessa di un partito di sinistra, che nutre ancora qualche confuso scrupolo, ma si allontana dal modello militante (6). I partiti politici, sempre più professionalizzati, fanno uso crescente dei sondaggi nel movimento di razionalizzazione della politica. I mezzi dello Stato, utilizzati più o meno discrezionalmente per l’impresa di parte, accentuano l’orientamento bonapartista dell’esercizio del potere presidenziale, riunendo l’autorità forte e l’approvazione popolare. Non vi è molta differenza fra un plebiscito, il cui contenuto è lanciato nel momento propizio per ottenere l’approvazione del potere che ne ha avuto l’iniziativa, e i sondaggi ordinati dal potere o dai suoi amici, pubblicati dalla stampa di parte unicamente se i risultati sono favorevoli.

Fare dire e fare credere
Durante i primi anni del quinquennio i sondaggi hanno martellato l’idea di una assenza d’alternative, facendo sondaggi sulle intenzioni di voto che ponevano in testa il presidente in carica davanti a non-candidati e non-presidenti della Repubblica per una scadenza elettorale ancora lontana; ripetendo dall’8 giugno 2007 in poi un’altra domanda obliqua come: «Secondo voi l’opposizione se fosse al potere agirebbe meglio dell’attuale governo?» (barometro Ifop Paris-Match), le cui risposte sono inevitabilmente negative, poiché aggregano gli avversari e gli scettici. In occasione di una conferenza-stampa (14 dicembre 2009), Nicolas Sarkozy ha evocato significativamente una domanda di sondaggio per suggerire di chiedere: «E se ci fosse stato qualcun altro in quel posto, avrebbe fatto meglio?». La domanda non offre una scelta simmetrica: è difficile preferire un«altro», misterioso e vagamente minaccioso, alla persona che ha un nome e che, nel caso specifico, pone la domanda.

Come definire il sistema di persuasione che mira a produrre l’adesione? Quando lo storytelling, questa arte di fabbricare storie delle quali mal si conosce l’effetto, non è che una sfaccettatura del dispositivo (7), si tratta di una combinazione più complessa e potente che associa il potere, la stampa e i sondaggi. Lo storytelling suggerisce effettivamente una spiegazione magica: le buone storie sarebbero efficaci perché semplici e si indirizzerebbero alle emozioni. Per applicare il metodo i candidati «tentano di svelarsi, di creare un’intimità e di fare confidenze al loro uditorio per apparire in una relazione di famigliarità […], utilizzano il pathos per rivolgersi alla sensibilità dell’uditorio e giocare sul registro delle passioni e dei sentimenti (8)». La seduzione esercitata dalle storie semplici e famigliari si rivolge soprattutto a cittadini lontani dalla sfera politica, i quali la percepiscono precisamente secondo gli schemi meno politici (9). Così questo storytelling si indirizza verso gli elettori più spoliticizzati per vincere le elezioni.

Ma gli elettori, spoliticizzati o no, come conoscerli e anche sapere che cosa raccontare loro, se non li si divide in segmenti ai quali rivolgere discorsi ad hoc? Occorre quindi indagare su di essi, sapere chi sono, quanti sono e a che cosa essi sono più o meno sensibili. Hanno anche prosperato i metodi qualitativi, i focus group o i verbatim estratti da quelle interviste. Ora, sono le stesse persone quelle che vendono i sondaggi e le interviste qualitative. Poi bisogna concepire proposte politiche che si indirizzino meno alle emozioni, che è difficile negare anche se sono allo stesso tempo semplicistiche e tanto poco esplicative quanto lo è, secondo il medico di Molière, la virtù soporifera per spiegare gli effetti dell’oppio. Occorre ancora tentare di modella l’opinione [pubblica].

È possibile distinguere qualcuno dei meccanismi mediante i quali i sondaggi influenzano i convincimenti e, condizionatamente, la realtà secondo la formula di Thomas. Un primo procedimento passa quasi inosservato grazie alla sua banalità:quando i sondaggi sulle intenzioni di voto ripetono a sazietà, molti anni prima, che il favorito di un’elezione presidenziale èn il candidato uscente, tendono a trasformare la profezia in evidenza. Non basta affermare con sicurezza che è assurdo misurare intenzioni di voto tanto lontane dalla scadenza, a forza di ragionamenti logici sull’esistenza stessa di intenzioni di voto, a forza di esempi precedenti che dimostrano quanto questi sondaggi siano smentiti all’avvicinarsi della scadenza e perfino a forza di informazioni riservate da parte dei sondaggisti che conoscono bene la mancanza di valore di ciò che vendono. Niente da fare! E allora si sa che un obiettivo politico è raggiunto: produrre la convinzione.

Molto tempo prima dell’elezione presidenziale del 2012 il convincimento era stato tenuto vivo a colpi di titoloni, come quello ripetitivo «Sarkozy largamente in testa al primo turno nell’ipotesi di una [elezione] presidenziale» (OpinionWay-LeFigaro-LCI, 20 giugno 2009). Tale fu lo scenario che si potrebbe avvicinare al dogma dei neoliberisti: There is no alternative (TINA). È stato necessario abbandonarlo di fronte alla ripetizione di stime di popolarità, che restituivano l’idea di un’impopolarità record e più ancora dai cattivi risultati elettorali. Gli insuccessi possono portare a concludere che l’arte degli spin doctor è fragile. Essi si oppongono vicendevolmente e, inevitabilmente, alcuni sono dalla parte del vincitore e altri da quella del vinto. Fragile, la loro arte lo è tuttavia obiettivamente. Semplicemente non vi sono soluzioni miracolose e alternative. Di fronte a essi nessuno propone un’arte superiore. I consiglieri stessi hanno dovuto adottare una nuova rotta: si è imposta una storia di riconquista. Su uno sfondo quasi caricaturale i sondaggi suscitavano nuovi titoloni ripetitivi, un elenco dei quali, molto incompleto, dà un’idea significativa:

Sarkozy risale la china (La Tribune, 14 juin 2011); Nicolas Sarkozy risale la china (Le Point, 14 novembre 2011) ; Hollande in ribasso, Sarkozy risale (Ifop-L’Express, 16 novembre 2011); Egli rosicchia il suo ritardo (20 minutes, 17 novembre 2011); Perché Sarkozy risale (Ifop-JDD, 19 novembre 2011); Si stringe lo scarto fra Sarkozy e Hollande (Le Parisien, 20 novembre 2011); Hollande staccato nei sondaggi, Sarkozy risale  (Sud Ouest, 21 novembre 2011); Sondaggio: lo scarto fra Hollande e Sarkozy si restringe leggermente (Le Parisien, 20 décembre 2011) ; Presidenziali: lo scarto si restringe fra Hollande e Sarkozy al primo turno (France 24, 8 janvier 2012); Lo scarto fra Hollande e Sarkozy si restringe (Les Echos, 9 janvier 2012).

Non si può ripetere il medesimo titolo senza contraddirsi: dove dovrebbe essere Nicolas Sarkozy a forza di «risalire», «rosicchiare», progredire? Sarebbe necessario non ne fosse il caso, o almeno lo si facesse meno intensamente, quando è necessario ripetere mese dopo mese la medesima «informazione». Ogni volta gli indici che permettono di affermare una rimonta sono stati fragili (il verdetto poggiava su un’evoluzione infima e non significativa) e provvisori (la salita era seguita da una discesa della quale non si faceva cenno). Occorreva aver dimenticato i titoli precedenti per dare un credito ancorché minimo ai medesimi titoli [pubblicati ultimamente]. Ma quale lettore se ne sarebbe ricordato, acquistando il suo giornale? Nel caso specifico, l’amnesia è un grande elemento di efficacia sulle convinzioni: un titolo ripetuto e dimenticato non è un titolo ma il reale. Che cosa c’è di più solido e affidabile che propinare la realtà delle cifre a questo reale? Le risorse dei push poll attribuiscono allora la consistenza dei numeri alla riconquista. Non vi è neppure bisogno del trucco, quando essi registrano grossolanamente evoluzioni meccaniche. Così è sufficiente che, avvicinandosi alla scadenza elettorale, essi facessero vedere un aumento delle intenzioni di voto a favore di Nicolas Sarkozy, a mano a mano che la sua candidatura non costituiva più un mistero e che gli intervistati di destra – chi avrebbe creduto che fossero diventati tanto rari? – si radunavano in fine. È una mossa abile quella di trasformare un’evoluzione necessaria in uno scenario di riconquista. Passati dalla certezza della rielezione alla sua improbabilità, i consiglieri di Sarkozy hanno dovuto escogitare il nuovo scenario. La riconquista non è altro che una figura classica dello storytelling, un racconto semplice e universale. Si è dovuto semplicemente adattarlo alle condizioni pratiche della competizione elettorale. Per prima cosa rifare un ritocco per il primo turno prima di pensare a rifare quello del secondo. Fatto notevole, i commentatori presero in considerazione soltanto i risultati prospettati del primo turno, lasciando da parte quelli del secondo, sempre sfavorevoli. Ogni cosa a suo tempo. Il successo non è assicurato ma non può prodursi se non gli si crede. Una declinazione del teorema di Thomas: perché una situazione sia possibile occorre che la si creda possibile.

La storia raccontata convince meno per le sue caratteristiche interne di seduzione che per l’autorità di chi racconta e, qui, per quella certa autorità della realtà, poiché essa viene da quelli che la producono, gli elettori “sondaggiati”, che tanto meglio garantiscono la riconquista quanto più si presume che ne siano gli autori. Tutto questo sarebbe soltanto banale, una normalità delle strategie politiche, se questa maniera di produrre il convincimento ponesse qualche problema di principio. L’efficacia si fonda in effetti sull’opacità e il diniego. Così il semplice riportare alla luce suscita dinieghi più o meno vivi. I sondaggisti protestano con veemenza quando si evocano semplicemente gli effetti dei sondaggi, senza neppure parlare dei loro scopi politici. In tutta sincerità. Il diniego prende per forza la forma di sospetto politico di ritorno. In tutta sincerità. Essi non subirebbero alcuna influenza politica, le loro critiche invece si. È pur vero che vi sono anche ragioni politiche per criticare, perché un simile sistema di produzione della convinzione si fonda su risorse materiali, finanziarie e sociali importanti e quindi disuguali. Occorrono mezzi finanziari per ordinare i sondaggi e strumenti per diffonderli e commentarli e tentare d’imporre, senza o con poco coordinamento, quel consenso che impone il convincimento collettivo. Soltanto un candidato che gode della collaborazione di istituti di sondaggio e di un potente sostegno mediatico può farlo. I sondaggisti effettuano push polls, nel caso specifico sondaggi dei quali è difficile conoscere fino a che punto sono esatti o falsi ma il cui lassismo metodologico, tanto per non essere crudeli, svela come siano concepiti in totale assenza di rigore, al solo scopo di servire il proprio campo politico. In seguito i media, pubblici o privati, li accompagnano pubblicandoli sotto titoli più o meno esatti, più o meno tendenziosi. Se fossero stati sfavorevoli, i risultati sarebbero stati taciuti o confinati nella cronaca breve. In questo universo di razionalità strumentale non è vietato imbrogliare rispetto a principi ufficialmente dichiarati, di metodo e di veridicità, per vincere. In caso di riuscita non si tratta altro che di un semplice anticipo di verità.

Note
[1] Thomas, W. I. and Thomas D. S., « The Child in America : Behavior problems and programs », Knopf, 1928, p. 572.
[2] Robert K. Merton, Eléments de méthode et de théorie sociologique, Plon, Paris, 1962.
[3] Renaud Lambert, « Des économistes à gages », Le Monde diplomatique, mars 2012.
[4] Per esempio, Jean-Marc Sylvestre. Allora era necessario giustificare la sorprendente storia della crisi finanziaria, pubblicata soltanto due mesi dopo il suo esplodere pubblico. Dati i termini temporali di pubblicazione, si immaginano le svolte e le correzioni all’ultimo istante che si sono dovute fare. Una giustificazione estrema non era meno necessaria, dopo che gli autori ebbero a lungo vantato le virtù del mercato che si regola da sé. Cf. Olivier Pastré, Jean-Marc Sylvestre, Le vrai roman de la crise financière, Perrin, Paris, novembre 2008.
[5] Jean-Marc Lech, Sondages privés, Stock, Paris, 2001, p. 182-183.
[6Cf. Rémi Lefebvre, « Partis politiques, espèce menacée », Le Monde diplomatique, mai 2010 et La société des socialistes. Le PS aujourd’hui, Editions du Croquant, Bellecombe-en-Bauges, 2006.
[7] Christian Salmon, « Une machine à fabriquer des histoiresLe Monde diplomatique, novembre 2006 et Storytelling, La machine à fabriquer des histoires et à formater les esprits, La Découverte, Paris, 2007.
[8] Virginie Martin, « Des émotions au service d’une stratégie de séduction », Revue française de marketing, décembre 2009.
[9] Pierre Bourdieu, La Distinction. Critique sociale du jugement, Minuit, Paris, 1979 et Daniel Gaxie, Le Cens caché, Seuil, Paris, 1978.


Martedì 12 Giugno,2012 Ore: 15:37
 
 
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