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www.ildialogo.org I veri motivi per la politica del risparmio,di Herbert Schui

Die Zeit, Hamburg
I veri motivi per la politica del risparmio

di Herbert Schui

(traduzione dal tedesco di José F. Padova)


 Anche in Germania ci si chiede come si possa seguire una politica economica contraddittoria nel suo fondamento quanto quella di Merkel e Schaeuble. Nell'articolo, visibile su Die Zeit Online, un noto economista tedesco dà una spiegazione che si adatta anche, penso io, a quanto ha fatto finora il governo Monti. Qual'è il vero scopo dell' "austerità", sbandierata adesso anche da Napolitano?
JFPadova

Die Zeit, Hamburg
Crisi debitoria
I veri motivi per la politica del risparmio
Negli Stati colpiti dalla crisi i redditi devono diminuire e il diritto del lavoro deve indebolirsi. In maniera del tutto simile si mosse anche il FMI 30 anni fa.
Herbert Schui, economista e politico. Dal 2005 siede al Bundestag per il partito Die Linke [La Sinistra]. È stato per anni professore all’Università per l’Economia e la Politica di Amburgo.
(traduzione dal tedesco di José F. Padova)
http://www.zeit.de/wirtschaft/2012-02/sparpolitik-krisenlaender

Per la Grecia e gli altri Paesi in crisi le condizioni sono dure: devono calare non soltanto le spese statali – per esempio mediante licenziamenti da parte dell’Amministrazione statale – ma anche il salario nel settore pubblico e privato deve essere tagliato radicalmente. Oltre a ciò il diritto del lavoro viene totalmente liberalizzato: la tutela contro i licenziamenti ingiustificati è allentata e ci deve essere una maggior quantità di contratti di lavoro a tempo determinato.

Energici portavoce di questa politica sono la cancelliera tedesca Angela Merkel e il suo governo. Che cosa li spinge? Si lasciano ingannare da una falsa teoria? Dopotutto un’ampia serie di seri studiosi critici fanno riflettere sul fatto che le riduzioni delle spese abbassano ulteriormente il prodotto interno lordo e conseguentemente le entrate tributarie, ciò che ingrossa ancor più il deficit. Oppure la Merkel accetta questo perché persegue altri scopi?

All’inizio del 2005, come candidata alla Cancelleria, la Merkel aveva reso pubblico sul Financial Times Deutschland un saggio molto basilare (“Il principio della libertà individuale”). In quel testo faceva proprio il punto di vista di Friedrich August von Hayek (il più importante alfiere del neo-liberismo): la “storica missione”, propugnata nell’opera di von Hayek “La Costituzione della libertà”, sarebbe per una parte adempiuta con il “crollo delle dittature socialiste”. L’altra parte in cambio è oggi oggetto di violente discussioni. Infatti nella discussione politica i vantaggi dello Stato sociale sono più che mai presi in considerazione in rapporto ai conseguenti problemi di un alto indebitamento dello Stato e di una paralisi delle forze motrici dell’economia. Nel suo articolo Merkel criticava lo “sfrenato smantellamento dello Stato sociale”.

Uno Stato sociale più grande non significa più debiti
Ora, è falso equiparare lo Stato sociale con l’indebitamento. Questo lo dimostra già uno sguardo nella storia. Negli Stati Uniti durante le presidenze di Reagan e dei due Bush l’indebitamento dello Stato aumentò fortemente. Tutti i tre non erano propriamente fautori dello Stato sociale. Al contrario sotto il presidente Clinton, che potenziò lo Stato sociale, l’indebitamento in rapporto al PIL è considerevolmente calato.

Durante il Forum mondiale economico di quest’anno a Davos, in gennaio, la Merkel nel suo discorso ha fatto chiaramente capire di attenersi alle convinzioni a suo tempo formulate: l’Europa è seriamente sul punto di “aprire” il suo mercato del lavoro e di intraprendere altre iniziative per aumentare la crescita. Non solamente misure di risparmio, ma anche riforme strutturali porterebbero più posti di lavoro. “Ma poiché vi è una democrazia il progresso può essere lento. (…) ma noi non ci scoraggeremo nel perseguire questo progetto”.

Quindi la democrazia rallenterebbe il progresso? Quando i diritti in materia di bilancio del Bundestag sono messi in discussione presso il Fondo europeo di sicurezza dei mercati finanziari, all’inizio di settembre la Cancelliera dice alla radio tedesca che noi siamo lieti di vivere in una democrazia e che il “diritto al bilancio è un diritto fondamentale del Parlamento”. Tuttavia non sembra essere contenta di questo. Infatti subito dopo osserva: “Se troveremo vie che formino la comune decisione parlamentare così che ciononostante concordi con il mercato (…)”.

A Davos Merkel prega i leader dell’economia presenti di avere pazienza. Si dovrebbe “dare respiro, lasciare che queste riforme abbiano effetto”. Il mondo degli affari non dovrebbe perdere di vista i vantaggi della democrazia – e “accettare anche con rispetto l’handicap della lentezza”. Quindi cerca comprensione per le manchevolezze – come evidentemente ella le vede – della democrazia, ovvero la sua lentezza. Merkel vuole lavorare per renderla conforme al mercato. Tuttavia la cancelliera vorrebbe preferibilmente nascondere alla pubblica opinione queste sue osservazioni espresse a Davos. Tutte le dichiarazioni qui citate sono state annotate dai giornalisti del New York Times e di Welt Online – non se ne trova traccia nel testo ufficiale del discorso di Merkel.

La democrazia si oppone al progresso sotto forma di un salario più basso e di un mercato del lavoro senza regole, se la maggioranza della popolazione (i lavoratori dipendenti, i pensionati) nel loro interesse ritengono possibile una diversa soluzione. Deve perciò esserci una democrazia un po’ modificata, conforme al mercato? La contraddizione fra l’interesse della maggioranza e le condizioni imposte si manifesta negli scioperi e nelle dimostrazioni – particolarmente impressionanti in Grecia. I governi dei Paesi in crisi rappresentano d’altronde a occhio e croce l’interesse di strati sociali che sono assolutamente d’accordo con le condizioni [imposte] – anche se questi governi, come recentemente in Spagna o Portogallo, sono stati eletti dalla maggioranza. Questo è il conflitto. Non ci si attiene alla politica del risparmio perché effettivamente ridurrebbe il deficit, ma perché mediante essa salario e standard del diritto del lavoro potrebbero essere peggiorati. In generale questo viene giustificato con la nota – mitica – formula, secondo la quale un mercato del lavoro “aperto” e non “incrostato” porterebbe a maggiore crescita.

La politica del risparmio è portata avanti finché il suo reale scopo è raggiunto
Quanto i governi dei Paesi in crisi siano contenti delle condizioni imposte dai loro finanziatori è diventato, per caso, di pubblico dominio all’inizio di febbraio: il presidente del Consiglio spagnolo Mariano Rajoy si è pavoneggiato con il capo del Governo finlandese dicendogli che la riforma del mercato del lavoro gli avrebbe causato uno sciopero generale. E il ministro dell’Economia Luis de Guindos dice al Commissario europeo per gli affari economici e le finanze Olli Rehn che questa riforma del mercato del lavoro è “estremamente aggressiva” ed “estremamente sovvertitrice”. Entrambi hanno ragione.

Ebbene, è falso ritenere semplicemente che il governo tedesco ricatti i Paesi in crisi: la linea del fronte scorre fra gli interessi economici. Qui gli interessi dei lavoratori dipendenti e dei pensionati, là quelli dell’imprenditoria – comprese esplicitamente le imprese della finanza. Ed è anche falso presumere che dietro a tutto questo stia un piano grande e ben elaborato. Piuttosto l’uno consegue all’altro. Tutto è cominciato dal fatto che la Banca centrale europea nel 2009 non ha preso in conto fin da subito un arginamento della crisi. Già allora il premio Nobel Krugman criticò sul New York Times la cocciuta testardaggine del governo tedesco.

La politica del risparmio viene continuata finché il suo effettivo scopo è raggiunto. È dubbio che sia abbandonata a causa di scioperi e tumulti. Può essere che sia presa in considerazione una fuoriuscita della Grecia dall’eurozona, per non mettere in pericolo il successo delle “riforme strutturali” in Italia, Spagna e Portogallo. L’arrendevolezza riduce la prospettiva del successo. E inoltre l’eurozona sarebbe ripulita dagli Stati disinteressati alla Comunità – quindi gli Stati nei quali la resistenza della popolazione è molto marcata.

Alla fine di questo processo si può di nuovo contare sulla crescita economica e l’aumento dell’occupazione, sebbene di livello estremamente basso. Per prima cosa ci si deve attendere nei Paesi in crisi un export crescente e importazioni in diminuzione. Ciò avvantaggerebbe la loro crescita. Tuttavia ciò avviene quando il prodotto interno lordo dei Paesi in crisi diminuisce pesantemente. Per mancanza di proventi le importazioni dei Paesi in crisi si riducono, mentre aumentano le importazioni dei loro partner commerciali, nella misura in cui la loro economia ancora cresce. Una parte delle importazioni dei partner commerciali dell’Unione Europea (e degli altri Paesi) è però costituita dalle esportazioni dei Paesi in crisi, cosa che può probabilmente condurre a eccedenze di export da parte dei Paesi in crisi. Questa fu la strategia del FMI una trentina di anni fa durante la crisi debitoria dei Paesi in via di sviluppo ed emergenti: entrare in una recessione e sfruttare le eccedenze della bilancia commerciale. Inoltre i bassi salari incentivano molto l’export. Circostanza questa attraente per gli investitori diretti, che producono per l’export – non da ultime le imprese cinesi, tanto più che nella stessa Cina i salari aumentano in diversi settori.

In secondo luogo la domanda per consumi è rafforzata, se con redditi calanti le spese per consumi aumentano, non in termini assoluti, ma relativamente al reddito nazionale. Come accade quando la popolazione si impoverisce al punto di non più risparmiare, con la conseguenza di frenare il diminuire del PIL.

Terzo: alla fine a un certo livello vi saranno programmi di spesa finanziati dall’Unione Europea. Già adesso il governo tedesco ha aperto un dibattito al Fondo strutturale europeo per presentare una prospettiva di sviluppo. Effettivamente si tratterà di programmi finanziati dalla Banca europea d’investimenti. Se in conclusione con salari ridotti la crescita aumenta e la disoccupazione diminuisce, ciò verrà messo in evidenza come prova dell’effetto vantaggioso che hanno salari bassi e minore tutela del diritto al lavoro.



Giovedì 22 Marzo,2012 Ore: 14:30
 
 
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