- Scrivi commento -- Leggi commenti ce ne sono (2)
Visite totali: (345) - Visite oggi : (1)
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori Sostienici!
ISSN 2420-997X

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito

www.ildialogo.org La fabbrica dei dibattiti pubblici,

La fabbrica dei dibattiti pubblici

Un testo inedito di Pierre Bourdieu, sociologo (1930-2002).


(traduzione dal francese di José F. Padova)


  Di Pierre Bourdieu, sociologo e filosofo francese (1930-2002), Le Monde Diplomatique pubblica in gennaio 2012 un testo inedito, tratto da Sur l’État, corso tenuto al Collège de France negli anni 1989-1992.
Pierre Rimbert scrive su Bourdieu:
«Ho avuto la gioia di essere attaccato, spesso assai violentemente, da tutti i grandi giornalisti francesi», spiegava Pierre Bourdieu  nel 1998 alla regista Barbro Schultz Lundestam. «Perché queste persone che si credono soggetti non hanno sopportato la scoperta di essere marionette (1)». Dieci anni dopo la scomparsa del sociologo francese più citato al mondo, il tempo e il riposizionamento ideologico degli editorialisti hanno cancellato il ricordo delle battaglie e l’identità dei protagonisti. La «mondializzazione felice» non si canta più se non a mezza voce, la deplorazione delle disuguaglianze arriva a mobilitare certi banchieri e si rileggono con curiosità gli assalti sferrati contro l’autore di La miseria del mondo.
I suoi torti furono di impegnare gli elementi acquisiti della sua disciplina nelle lotte che segnarono il rinnovamento della critica sociale nella seconda metà degli anni ’90; di opporre una «sinistra di sinistra» ai governi social-liberali in maggioranza in Europa alla fine del secolo scorso; di lanciare con successo – e prima degli altri – una collezione di piccole opere a buon prezzo che proponevano al grande pubblico strumenti intellettuali di «resistenza all’invasione neoliberista» (le edizioni Raisons d’agir). Infine commise la suprema eresia di «richiamare alla prudenza i saggisti chiacchieroni e incompetenti che occupano a tempo indefinito i giornali, le radio e le televisioni (2)». Quindi questi ultimi misero in piedi un rogo. [Segue elenco dei contestatori: Alain Finkielkraut, François Giroud, Alain Minc, Laurent Joffrin , Nicolas Weill, Jacques Juillard, corredato dalle relative invettive].
JFPadova

Le Monde Diplomatique, gennaio 2012 pagg. 1, 16, 17

La fabbrica dei dibattiti pubblici

Da una parte, una situazione economica e sociale eccezionale. Dall’altra, un dibattito pubblico mutilato, ridotto a un’alternativa fra austerità di destra e rigore di sinistra. Come si delimita lo spazio dei discorsi ufficiali, per quale prodigio l’opinione di una minoranza si trasforma in «opinione pubblica»? questo spiega il sociologo Pierre Bourdieu in questo suo corso sullo Stato tenuto al Collège de France e pubblicato in questo mese.

Un testo inedito di Pierre Bourdieu, sociologo (1930-2002).

(traduzione dal francese di José F. Padova)

Un uomo ufficiale [ndt.: autorità] è un ventriloquo che parla a nome dello Stato: egli prende una postura ufficiale – bisognerebbe descrivere la messa in scena dell’autorità –, parla in favore e al posto del gruppo al quale si rivolge, parla per e al posto di tutti, parla come rappresentante dell’universale.

Si perviene qui alla nozione moderna di opinione pubblica. Che cos’è questa opinione pubblica che invocano i creatori del diritto delle società moderne, delle società nelle quali il diritto esiste? È tacitamente l’opinione di tutti, della maggioranza o di coloro che contano, di coloro che sono degni di avere un’opinione. Penso che la definizione patente in una società che pretende di essere democratica, ovvero che l’opinione ufficiale è l’opinione di tutti, nasconda una definizione latente, cioè che l’opinione pubblica è l’opinione di quelli che sono degni di avere un’opinione. Vi è una specie di definizione per censo dell’opinione pubblica illuminata, come opinione degna di questo nome.

La logica delle commissioni ufficiali è quella di creare un gruppo, costituito in modo da dare tutti i segnali esteriori, socialmente riconosciuti e riconoscibili, della sua capacità di esprimere l’opinione degna di essere espressa, e nelle sue forme adeguate. Uno dei criteri taciti più importanti nella selezione dei membri della commissione, in particolare del suo presidente, è l’intuizione, da parte delle persone incaricate di comporre la commissione, che la persona considerata conosca le regole tacite dell’universo burocratico e le riconosca: in altre parole, qualcuno che sappia giocare il gioco della commissione in modo legittimo, nella maniera che va al di là delle regole del gioco, che legittima il gioco stesso. Non si è mai tanto addentro nel gioco quanto lo si è stando al di là del gioco stesso. In ogni gioco ci sono regole e fair play. A proposito del mondo intellettuale, avevo usato questa formula: l’eccellenza, nella maggior parte delle società, è l’arte di giocare con le regole del gioco, facendo di questo gioco giocato con le regole del gioco un omaggio supremo al gioco stesso. Il trasgressore controllato si oppone del tutto all’eretico.

Il gruppo dominante coopta i membri su indici minimi di comportamento che sono l’arte di rispettare la regola del gioco, finanche nelle trasgressioni, regolate, della regola stessa del gioco: la buona creanza, il conservatorismo. È la celebre frase di Chamfort: «Il vicario di Curia può sorridere di un commento contro la religione, il vescovo riderne del tutto, il cardinale aggiungervi il suo motto [irridente] (1)». Più si sale nella gerarchia delle eccellenze, più si può giocare con la regola del gioco, ma ex officio, partendo da una posizione tale che non vi siano dubbi. L’umorismo anticlericale del cardinale è supremamente clericale.

L’opinione pubblica è sempre una sorta di realtà doppia. È ciò che non si può non invocare quando si vuole legiferare su terreni non riconosciuti. Quando si dice «C’è un vuoto giuridico» (straordinaria espressione) a proposito dell’eutanasia o dei bambini-provetta, si convocano persone che lavoreranno con piena autorità. Dominique Memmi (2) descrive un comitato di etica [sulla procreazione artificiale], la sua composizione con persone disparate – psicologi, sociologi, donne, femministe, arcivescovi, rabbini, eruditi, ecc. – che hanno come scopo quello di trasformare una somma di idioletti [ndt.: Zingarelli: l’insieme degli usi di una lingua caratteristico di un dato individuo, in un determinato momento] (3) etici in un discorso universale che riempie un vuoto giuridico, vale a dire che dà una soluzione ufficiale a un problema difficile che scombussola la società – la legalizzazione delle madri in affitto, per esempio. Se si lavora in questi tipi di situazione si deve invocare un’opinione pubblica. In questo contesto la funzione attribuita ai sondaggi si comprende molto bene. Dire «i sondaggi sono dalla nostra parte» equivale a dire «Dio è con noi» in un altro contesto [ndt.: allude al “Gott mit uns”?].

Ma i sondaggi sono fastidiosi, perché talora l’opinione illuminata è contro la pena di morte, mentre i sondaggi sono piuttosto per. Che fare? Si crea una commissione. La commissione costituisce un’opinione pubblica illuminata che istituirà l’opinione illuminata come opinione legittima nel nome dell’opinione pubblica – che d’altra parte dice il contrario o non ha opinioni (e questo è il caso in molti argomenti). Una delle proprietà dei sondaggi consiste nel porre alle persone problemi che esse non si pongono, nel fare infilare risposte a problemi che essi non hanno posto, quindi a imporre risposte. Non è una questione di sotterfugi nella costituzione dei campionari delle domane [dei sondaggi], è il fatto di imporre a tutti domande che si pongono all’opinione illuminata e, per questo, di produrre risposte di tutti su problemi che si pongono a qualcuno, quindi di dare risposte illuminate prodotte dalla domanda: si sono fatte esistere per le persone domande che per loro non esistevano, mentre ciò che costituiva per le persone una domanda è la domanda stessa.

Traduco man mano un testo di Alexander Mackinnon del 1828, tratto da un libro di Peel su Herbert Spencer (4). Mackinnon definisce l’opinione pubblica dando la definizione che sarebbe ufficiale se non fosse inconfessabile in una società democratica. Quando si parla d’opinione pubblica si fa sempre un doppio gioco fra la definizione confessabile (l’opinione di tutti) e l’opinione autorizzata ed efficiente, che è ottenuta come sottoinsieme ristretto dell’opinione pubblica definita democraticamente.

«Essa è quel parere su un soggetto qualsiasi che è mantenuto e prodotto dalle persone meglio informate, più intelligenti e più moralmente qualificate della comunità. Questa opinione è gradualmente diffusa e adottata da tutte le persone con un po’ di educazione e di sentimenti convenienti a uno Stato civilizzato». La verità dei dominanti diviene quella di tutti.

Mettere in scena l’autorità che autorizza a parlare

Negli anni 1880 si diceva apertamente all’Assemblea nazionale [ndt.: v. storia della Rivoluzione francese, fra le altre quella di Furet-Richet] ciò che la sociologia ha dovuto riscoprire, vale a dire che il sistema scolastico doveva eliminare i figli degli strati sociali più sfavoriti. All’inizio si poneva il problema che in seguito è stato completamente rimosso, poiché il sistema scolastico si è messo a fare, senza che glielo si chiedesse, quello che ci si aspettava da esso. Quindi, nessuna necessità di parlarne. L’interesse del ritornare sulla genesi è molto importante, perché vi sono, all’inizio, dibattiti dove si dicono a chiare lettere cose che, in seguito, appaiono come rivelazioni provocatorie dei sociologi.

Il riproduttore della versione ufficiale sa produrre – nel senso etimologico del termine: producere significa «portare alla luce» -, facendola divenire protagonista, qualcosa che non esiste (nel senso di sensibile, di visibile) e in nome della quale egli parla. Deve produrre ciò in nome di quello che egli ha diritto di produrre. Non può non renderla protagonista, non darle una forma, non fare miracoli. Il miracolo più ordinario, per un creatore verbale, è il miracolo verbale, la riuscita retorica; deve produrre la messa in scena di ciò che autorizza il suo dire, ovvero dell’autorità in nome della quale egli è autorizzato a parlare.

Ritrovo qui la definizione della prosopopea che cercavo poco fa: «Figura retorica mediante la quale si fa parlare e agire una persona che si vuole evocare, un assente, un morto, un animale, una cosa personificata». E nel dizionario, sempre un formidabile strumento, si trova questa frase di Baudelaire che parla della poesia: «Saper usare sapientemente una lingua equivale a praticare una specie di stregoneria evocatoria». Gli esperti in materia, coloro che manipolano una lingua erudita, come i giuristi e i poeti, devono mettere in scena l’immaginario referente nel nome del quale parlano e che essi realizzano nella sua forma parlandone; devono fare esistere ciò che essi esprimono e questo nel nome di che essi esprimono. Devono nello stesso tempo produrre un discorso e produrre la credenza nell’universalità del loro discorso, con la produzione sensibile (nel senso di evocazione degli spiriti, dei fantasmi – lo Stato è un fantasma…) di quella cosa che garantirà ciò che essi fanno: «la nazione», «i lavoratori», «il popolo», «il segreto di Stato», «la sicurezza nazionale», «la domanda sociale», ecc.

Percy Schramm ha dimostrato come le cerimonie di incoronazione erano il transfert, nell’ordine della politica, delle cerimonie religiose (5). Se il cerimoniale religioso può trasferirsi tanto facilmente nelle cerimonie politiche, attraverso le cerimonie dell’incoronazione, è perché si tratta, nei due casi, di fare credere che vi è un fondamento del discorso, che non appare come auto-fondatore, legittimo, universale, se non perché vi è teatralizzazione – nel senso di evocazione magica, di stregoneria – del gruppo unito e consenziente al discorso che l’unisce. Da qui il cerimoniale giuridico. Lo storico inglese E. P. Thompson ha insistito sul ruolo della teatralizzazione giuridica nel XVIII secolo inglese – che non si può comprendere completamente se non si vede ch’essa non è semplice apparato che si aggiunge: essa è costitutiva dell’atto giuridico (6). Dire di diritto vestiti modestamente è azzardato: si rischia di perdere la pompa del discorso. Si parla sempre di riformare il linguaggio giuridico senza mai farlo, perché è l’ultimo vestito: i re nudi non sono più carismatici.

L’autorità, o la malafede collettiva

Una delle dimensioni molto importanti della teatralizzazione è la teatralizzazione dell’interesse per l’interesse generale; è la teatralizzazione del convincimento dell’interesse per l’universale, del disinteresse dell’uomo politico – teatralizzazione della credenza del prete, della convinzione dell’uomo politico, della sua fede in ciò che fa. Se la teatralizzazione del convincimento fa parte delle condizioni tacite per l’esercizio della professione di esperto – se un professore di filosofia deve avere l’aria di credere alla filosofia –, si tratta dell’essenziale omaggio dell’autorità-uomo all’autorità; è ciò che occorre accordare all’autorità per essere un’autorità: occorre accordare il disinteresse, la fede nell’autorità, per essere una vera autorità. Il disinteresse non è una virtù secondaria: è la virtù politica di tutti i mandatari. Le scappatelle da curati, gli scandali politici sono il crollo di questa specie di credenza politica nella quale tutti sono in malafede, essendo questa credenza una sorta di malafede collettiva, nel senso sartriano: un gioco nel quale tutti mentono a sé stessi e mentono ad altri, sapendo che si mentono. È questo, l’autorità…

(1) Nicolas de Chamfort, Maximes et pensées, Paris, 1795.
(2) Dominique Memmi, « Savants et maîtres à penser. La fabrication d'une morale de la procréation artificielle », Actes de la recherche en sciences sociales, n°76-77, Paris, 1989, p. 82-103.
(3) Du grec idios, «particulier» : discours particulier.
(4) John David Yeadon Peel, Herbert Spencer. The Evolution of a Sociologist, Heinemann, Londres, 1971. William Alexander Mackinnon (1789-1870) eut une longue carrière de membre du Parlement britannique.
(5) Percy Ernst Schramm, Der König von Frankreich. Das Wesen der Monarchie von 9. zum 16. Jahrhundert. Ein Kapital aus der Geschichte des abendländischen Staates (deux volumes), H. Böhlaus Nachfolger, Weimar, 1939.
(6) Edward Palmer Thompson, «Patrician society, plebeian culture», Journal of Social History, vol. 7, n°4, Berkeley (Californie), 1974, p. 382-405.



Giovedì 26 Gennaio,2012 Ore: 19:08
 
 
Commenti

Gli ultimi messaggi sono posti alla fine

Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 26/1/2012 21.52
Titolo:LA LINGUA DEGLI ESSERI UMANI E LA GRAMMATICA DELLO STATO ....
LA GRAMAMTICA DELLO STATO E LA LINGUA DEGLI UOMINI E DELLE DONNE *




"La grammatica è maschilista"
Le donne francesi vogliono cambiarla

"La cosa grave è che arrivi nelle scuole l’idea di un genere superiore all’altro" Quattromila persone hanno sottoscritto una petizione ripresa da "Le Monde" chiedendo nuove regole
Nei plurali il femminile risulta penalizzato, l’Académie Française però si oppone a ogni riforma

di Anais Ginori (la Repubblica, 24.01.2012) *



«Que les hommes et les femmes soient belles!», che gli uomini e donne siano belle. Nessuno può pronunciare questa frase senza venire immediatamente bacchettato dai puristi della lingua. Eppure è questo il titolo di un appello per riformare la grammatica che sta circolando in Rete, ripreso anche da Le Monde. Da secoli infatti la concordanza dell’aggettivo prevede che il genere maschile prevalga su quello femminile. Si dice "gli uomini e le donne sono belli", non il contrario.

Sembra una di quelle tipiche sfumature che appassionano studiosi e accademici. Invece, secondo i gruppi che hanno promosso la petizione già firmata da oltre 4mila persone, questa regola nasconderebbe un immaginario maschilista duro a morire e avrebbe addirittura conseguenze nella vita di tutti i giorni. «Se neanche nella lingua esiste la parità di genere - spiega Clara Domingues, docente di letteratura e presidente di un’associazione femminista - come sperare che la condizione delle donne faccia progressi in famiglia o negli uffici?».

La forza delle parole. Nonostante pari diritti e dignità per entrambi i sessi siano iscritti nella Costituzione, argomentano le promotrici dell’appello, esiste ancora una grammatica "sessista". «La cosa più grave - si legge nella petizione - è il fatto che questa idea di un genere superiore all’altro venga trasmessa anche a scuola nell’insegnamento del francese ai bambini». Le associazioni militano per un cambio dei manuali nel quale sia prevista la possibilità di accordare aggettivi e participi secondo il genere del nome più vicino. Ad esempio: «Un cappello e una giacca nere». Oppure: «Laura, Giacomo e Paola sono simpatiche».

Femminismo a parte, una grammatica meno schiacciata sul maschile, offrirebbe più libertà nella costruzione delle frasi e sarebbe esteticamente più elegante, aggiungono le promotrici. Contrariamente a quel che si pensa, già nel greco antico e nel latino funzionava così. La petizione è stata inviata all’Académie Française, guardiano della purezza della lingua, con scarse speranze di essere accolta.
L’istituzione fondata nel 1635 dal cardinale Richelieu ha sempre fatto argine ad ogni cambiamento in questo senso. Già dieci anni fa, l’organismo si era rivolto con allarmismo al capo dello Stato. Le socialiste Martine Aubry e Elisabeth Guigou, appena nominate nell’allora governo, avevano osato farsi chiamare "Madame la Ministre". Da allora, ci sono state molte altre ministre e prima o poi l’Académie dovrà registrare la novità.

Per tradizione, si tratta di un’istituzione esclusivamente maschile, sette donne tra i quaranta membri, la prima fu la scrittrice Marguerite Yourcenar nominata solo nel 1980. «Non abbiamo mai seguito le mode. La superiorità del maschile esiste almeno da tre secoli e non ho l’impressione che sia rimessa in discussione nell’uso comune del francese» spiega Patrick Vannier, che si occupa del dizionario dell’Académie. La parità di genere può aspettare, almeno in senso linguistico


* PER APPROFONDIMENTI, VEDI ANCHE IL LINK:


http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/filosofia/documenti_1327419475.htm
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 24/3/2012 12.29
Titolo:INEDITO. Perché le idee non passeggiano nel cielo ...
Cosa succede alla società quando resta solo il potere

Le lezioni di Pierre Bourdieu, scomparso 10 anni fa, ci aiutano a capire l´oggi. Visto che le forme di dominio sono sempre più immateriali e simboliche

Il comando non ha bisogno di esprimersi come tale, ma agisce interiormente e produce sottomissione

Il concetto pascaliano di "imbarco", che ci fa sentire parte di un´impresa anche se non l´abbiamo scelta

di Giancarlo Bosetti (la Repubblica, 24.03.2012)

Il pensiero di Pierre Bourdieu, a dieci anni dalla scomparsa, è ancora "in movimento", eccome, lo ammette con magnanimità, anche Le Monde, che non fu per niente risparmiato dalle critiche terribili del sociologo francese, aggressivo come nessun altro nei confronti del giornalismo dei "cani da guardia" del potere, categoria dalla quale lui escludeva ben pochi.

Infatti la vastissima produzione di questo grande sociologo ha molto da dire, anche in Italia, non solo per la sua straordinaria forza teorica, ma per una ragione più precisa: la ritirata della politica, che concede all´economia, alla ricchezza, alle ineguaglianze molto più terreno che nel secolo scorso, mette a nudo le differenze sociali, le mostra in una luce cruda, ne fa lo spettacolo centrale e urticante della vita pubblica.

È in crisi quel vitale scorrere di idee, di impegno pubblico, di progetti politici e ideologici, quella vasta coreografia di récits, che avvolgeva le differenze, le poneva in una luce congiunturale, ne attenuava il peso, anche perché ne prometteva la riduzione. La desertificazione della politica fa sentire di più il male delle distanze sociali, che sono anche obiettivamente cresciute, e cancella le pur vaghe promesse di qualche rimedio prossimo venturo.

L´obiettivo di Bourdieu è stato quello della decifrazione, misurazione e proclamazione delle relazioni di potere (di dominio) tra gli esseri umani in società: l´oppressione simbolica che rinforza quella materiale, il comando che non ha bisogno di esprimersi come tale dall´esterno perché agisce interiormente e produce sottomissione e adattamento.

La mappa sociale di Bourdieu è un sistema di coordinate che serve a decodificare le differenze, a esplicitare distanze nei redditi, nella cultura, nei consumi, nel linguaggio, nel gusto, nella postura, nel modo di mangiare e bere, nel capitale economico e in quello intellettuale, nel patrimonio di relazioni sociali e nel saper fare incorporato nell´habitus.

L´autore della Misère du monde e della Distinction coglie le differenze nel momento in cui l´ideologia le traveste da scelte o le attenua per non ferire, svela il rimosso della sofferenza simbolica, calcola gli imbarazzi mortali del mercato immobiliare, della casa impresentabile, dell´abito inadeguato, delle parole sbagliate, o della vertigine che separa il gruppetto sofisticato di intellettuali lacaniani dal grossista di provincia che racconta con entusiasmo le sue imprese sessuali.

Oggi una rappresentazione sociologica così pungente delle distanze simboliche, troverà un terreno più fertile di dieci e venti anni fa perché il processo di impoverimento della politica ha messo allo scoperto, senza il colorato make-up dell´ideologia dei grandi movimenti storici, politici o confessionali, le asimmetrie che fanno insopportabili tante differenze di stipendi, di status e di bonus, di opportunità. E non si trattava solo di efficace cosmesi: l´oppressione simbolica e materiale era più sopportabile quando qualcuno sulla scena pubblica ne faceva intravedere la fine, era un po´ più morbida quando la mobilità e le speranze di ascesa individuale o di gruppo erano più realistiche.

Bourdieu partecipò in prima persona alle battaglie politiche per costruire una società più solidale, al riparo dalla violenza simbolica, dalle «esperienze di destituzione» che umiliano e consumano umanità e invitò sempre ad accendere Controfuochi per tenere viva la resistenza contro un potere finanziario, percepito come il «naturale svolgimento delle cose». Ma non fu certo solo un testimone di impegno.

Le sue idee e il suo lavoro, sociologico e filosofico hanno scavato in profondità in diversi ambiti, illustrando con fulminanti illuminazioni e con lavori meticolosi sul campo (la scuola, il potere e le sue istituzioni, la formazione, o meglio «consacrazione», delle élites) come il senso della vita e della morte si produca per ciascuno di noi all´interno della società, come la società stessa sia il più forte competitore di Dio nell´erogare le sfide, gli obiettivi, le poste in gioco, i riconoscimenti che ci tengono al riparo dall´indifferenza e dal vuoto, che alimentano la nostra azione in una corsa permanente, che ci fa sentire dotati di qualche compito e di qualche senso.

Anche la lezione inedita al Collège de France del dicembre del 91 è ispirata dalla filosofia pascaliana dell´"imbarco", di quella "Illusio" che ci tiene in gioco, che ci fa sentire parte di una impresa che ci è data, senza che ci sia stato il momento di deciderla.

L´area dell´impresa è inscritta dentro un "campo" che ci assegna fin dall´inizio concorrenti, alleati, mete e premi, e che ci costringe a strategie di lotta per vincere o semplicemente per sopravvivere. È vero per la carriera di un agricoltore come per quella di un filologo romanzo. Il contesto da cui nascono le idee non è per Bourdieu, come invece era per Marx, quello delle relazioni economiche e delle lotte tra le classi.

Qui l´economia mantiene la sua importanza nel modellare i contesti, ma sono le lotte interne ai singoli "campi" a decidere chi vincerà, nell´arte come nella filosofia. La storia delle idee è la storia di questi campi. E anche le classi non hanno più un profilo oggettivo e deterministico, ma hanno piuttosto il carattere di indicatori di un destino "probabile", sono "classi probabili", che condizionano vischiosamente gli individui, ma non ne definiscono compiutamente l´esistenza.

A risolvere l´enigma sociale del rapporto tra individuo e società, tra oggettività di una posizione sociale, dove è dato in sorte di nascere, e la soggettività di ogni singolo attore è l´invenzione trascendentale dell´"habitus", chiave di volta della costruzione bourdieusana, vale a dire quell´«insieme durevole di disposizioni» attraverso le quali gli individui percepiscono e incorporano i ruoli sociali.

È l´"habitus" a spiegare come e perché le gerarchie sociali godano di una certa stabilità e perché le relazioni di dominio simbolico non siano sempre sul punto di essere spazzate via da una ribellione, individuale o collettiva. Inerzie e strategie che spingono gli esseri umani a interiorizzare le condizioni oggettive, a lavorare di lima e di mediazione tra le aspettative che fioriscono entro di loro e le possibilità effettive alla loro portata. È un´area di adattamenti possibili ma anche di sofferenze estreme e distruttive, quando la frustrazione e la pressione del dominio simbolico superano i limiti di guardia.

La sociologia di Bourdieu continuerà ad alimentare ricerche. Ci sarà utile anche per far luce sulla paralisi della politica. Una migliore visione della sofferenza sociale può aiutarne il risveglio.

_______________________________________________
L´inedito uscito da Seuil

Perché le idee non passeggiano nel cielo

Le teorie nascono da un processo di competizione fra loro condizionato dal momento storico

di Pierre Bordieu (la Repubblica, 24.03.2012)

Per comprendere il processo d´invenzione di cui lo Stato è il risultato, processo cui partecipa l´invenzione della teoria dello Stato, occorrerebbe descrivere e analizzare attentamente le diverse proprietà dei produttori mettendolo in relazione con le proprietà dei prodotti.

Inoltre, tali teorie dello Stato – spesso insegnate nella logica della storia delle idee, tanto che alcuni storici iniziano a studiarle in sé e per sé, senza ricondurle alle condizioni sociali di produzione – sono doppiamente legate alla realtà sociale: non ha alcun senso studiare le idee come se queste passeggiassero in una sorta di cielo intelligibile, senza alcun riferimento agli agenti che le producono né soprattutto alle condizioni nelle quali tali agenti le producono, e in particolare alle relazioni di concorrenza in cui essi si trovano gli uni contro gli altri.

Le idee sono dunque legate al sociale, e d´altra parte esse sono del tutto determinanti dato che contribuiscono a costruire le realtà sociali così come noi le conosciamo. Oggi assistiamo a un ritorno delle forme più "primitive" della storia delle idee, vale a dire una sorta di storia idealista delle idee, come ad esempio la storia religiosa della religione. Questa regressione metodologica tiene conto sì della relazione tra le idee e le istituzioni, ma dimentica che queste stesse idee sono nate da lotte interne alle istituzioni. Dimentica dunque che, per comprenderle del tutto, non bisogna perdere di vista il fatto che esse sono al contempo prodotto di condizioni sociali e produttrici della realtà sociale.

Ciò che sto dicendo è programmatico, ma è un programma relativamente importante, perché si tratta di fare storia della filosofia, storia del diritto, storia delle scienze, studiando le idee come delle costruzioni sociali, che possono essere autonome rispetto alle condizioni sociali di cui sono il prodotto – non lo nego – ma che nondimeno vanno sempre messe in relazione con le condizioni storiche. Ma non semplicemente – come dicono gli storici – in termini d´influenza: esse infatti intervengono in maniera molto più marcata.

Perciò le concessioni che ho fatto alla storia delle idee erano in realtà false concessioni, perché le idee intervengono sempre come strumenti della costruzione della realtà. Esse hanno una funzione materiale: tutto quello che ho detto poggia sull´idea che le idee fanno le cose, che le idee fanno il reale e che la visione del mondo, il punto di vista, il nomos, tutte queste cose che ho evocato cento volte sono costruttrici della realtà, al punto che perfino le lotte più teoriche e astratte, che si svolgono all´interno di campi relativamente autonomi, come quello religioso, giuridico, ecc., in ultima istanza hanno sempre un rapporto con la realtà, sia per la loro origine che per i loro effetti, che sono estremamente potenti.

(Traduzione di Fabio Gambaro(, Sur l‘État, © Editions Raison d´AgirEditions du Seuil, 2012

Ti piace l'articolo? Allora Sostienici!
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori

Print Friendly and PDFPrintPrint Friendly and PDFPDF -- Segnala amico -- Salva sul tuo PC
Scrivi commento -- Leggi commenti (2) -- Condividi sul tuo sito
Segnala su: Digg - Facebook - StumbleUpon - del.icio.us - Reddit - Google
Tweet
Indice completo articoli sezione:
Stampa estera

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito


Ove non diversamente specificato, i materiali contenuti in questo sito sono liberamente riproducibili per uso personale, con l’obbligo di citare la fonte (www.ildialogo.org), non stravolgerne il significato e non utilizzarli a scopo di lucro.
Gli abusi saranno perseguiti a norma di legge.
Per tutte le NOTE LEGALI clicca qui
Questo sito fa uso dei cookie soltanto
per facilitare la navigazione.
Vedi
Info