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Quando l’Africa reinventa la cittadinanza locale

Articolo di Le Monde Diplomatique, settembre 2011, Supplément Aubagne. Traduzione di José F. Padova


 Perché sempre più "Le Monde Diplomatique"? Quasi ogni giorno cerco sui principali quotidiani e settimanali tedeschi, francesi e spagnoli articoli e commenti di ampio respiro, che approfondiscano la visione forzatamente superficiale che la valanga quotidiana di notizie ci dà di questo nostro mondo. Nel mensile francese ho trovato un'impostazione attenta ai fenomeni sociali, economici, politici e ambientali di moltissimi Paesi, esaminati e approfonditi con l'impegno che ebbe "Il Mondo" di Pannunzio, anni '60. 
Ecco quindi l'ennesima traduzione dall'ambiente francofono. Questa volta africano, di un'Africa che non conosciamo abbastanza e che propone modelli sui quali riflettere.
J.F.Padova

Quello che è accaduto a Roma, unica città dove la sacrosanta manifestazione contro lo strapotere della finanza ha avuto conseguenze tragiche, richiama molto i fatti di Genova 2001. In dieci anni le cosiddette forze dell'ordine (l'Ordine delle Banche?) non hanno identificato né preventivamente messo fuori gioco i violenti e neppure hanno difeso i cittadini inermi dalle loro sprangate (quando non hanno manganellato gli inermi stessi). Ciò che invece si è fatto per i tifosi di mano pesante. Il giochino sembra su misura: ai Potenti dà fastidio la contestazione, quindi addossare la responsabilità dei disordini ai Movimenti va a pennello. E qui ha forse ragione il Divo, quando diceva: "A pensare male si fa peccato, però...".

Le Monde Diplomatique, settembre 2011, Supplément Aubagne

Quando l’Africa reinventa la cittadinanza locale
Nelle città africane in corso d’impoverimento nuove pratiche sociali scompigliano i rapporti di potere.
Mamadou Bachir Kanoute, coordinatore di Enda Ecopop, Dakar, Senegal (il gruppo Ecopop è stato creato nel dicembre 1990 all’interno dell’organizzazione internazionale Enda Terzo Mondo per sviluppare un approccio alternativo allo sviluppo urbano, basato sulla mobilitazione e la valorizzazione delle potenzialità dell’economia popolare urbana e dei gruppi sociali marginalizzati che su questa basano la loro sopravvivenza).
(traduzione dal francese di José F. Padova)

In Africa mettere in comune le risorse per farne uso pubblico è l’attività più limitata. Da nessuna parte i prelievi fiscali e parafiscali eccedono il 17% del PIL (in generale, il 10%), mentre in America latina ammontano a circa il 20-25% e nei Paesi occidentali raggiungono il 40-50%.

La spese delle collettività locali africane non rappresentano più del 3,5% dei bilanci pubblici. Inoltre sono destinate per l’80, perfino per l’85% ai costi di funzionamento (salari degli agenti municipali, carburante, ecc.) e alla soddisfazione della domanda sociale (sicurezza, inserimento socio-economico, fra l’altro).

Eppure, dopo la democratizzazione del continente durante gli anni ’90, le popolazioni s’impegnano sempre più nella gestione delle loro città. È così che in Africa il «budget partecipativo» ha fatto la sua comparsa all’inizio degli anni 2000. Nel 2010, in occasione del Vertice delle Città d’Africa, a Marrakesh, si contavano cinquantatre collettività territoriali che avevano adottato questo metodo. In febbraio 2011 il Forum sociale mondiale di Dakar ne recensiva centocinquantatre, ovvero un centinaio di nuove adesioni. Il Senegal, il Camerun e il Madagascar sono le punte di questa evoluzione.

Antananarive [capitale del Madagascar] ha responsabilizzato il Fondo di sviluppo locale per incoraggiare un movimento che riguarda cinquantanove comuni nel 2011 e trecento in prospettiva per il 2013.

Il movimento si estende progressivamente a tutto il Continente. In Camerun sono coinvolte una cinquantina di città. Nella Repubblica democratica del Congo sei municipalità, i cui sindaci sono peraltro nominati dallo Stato centrale, stanno sperimentando il budget partecipativo già in opera nella capitale Kinshasa e nel Kivu meridionale. Nell’Africa anglofona i motori trainanti sono il Sudafrica e il Kenya. Il Mozambico e il Capo-Verde, con sei città, fanno parte del movimento nell’Africa di lingua portoghese.

Il budget partecipativo permette un migliore conferimento delle risorse comunali ai bisogni essenziali delle popolazioni, soprattutto di quelle più svantaggiate. In questo modo in Madagascar le industrie per l’estrazione mineraria sono state costrette a rendere pubbliche le royalties che versano allo Stato. Le risorse finanziarie così recuperate sono state concentrate sui fabbisogni di aule scolastiche, ambulatori e, in un piano più generale, alla migliore applicazione degli Obiettivi del millennio per lo sviluppo.
[Ndt.: si tratta degli obiettivi adottati a New York da 189 Stati impegnati a raggiungerli entro il 2015. Essi sono:
1. ridurre la povertà estrema e la fame;
2. garantire l’istruzione primaria per tutti;
3. promuovere l’uguaglianza delle persone e l’autonomia delle donne;
4. ridurre la mortalità infantile;
5. migliorare le condizioni di salute materne e infantili;
6. combattere il virus dell’immunodeficienza acquisita, la malaria e le altre malattie;
7. garantire un ambiente umano durevole;
8. costruire una partnership mondiale per lo sviluppo
]

Nelle città africane, spesso segnate da una rottura della coesione sociale, il metodo del budget partecipativo favorisce l’equilibrio fra i quartieri cittadini centrali, che sono considerati come una vetrina e sono oggetto dell’attenzione di tutte le autorità, e i quartieri periferici sovrappopolati. Costituiti da tuguri privi di tutto, non beneficiano di adeguati servizi sociali di base. La città di Dakar ha così istituito un fondo comunale di sviluppo e solidarietà, destinato a raccogliere le sfide urbane, come il lavoro ai giovani, la promiscuità, l’insicurezza, il degrado dell’ambiente, l’aggravarsi della vulnerabilità delle famiglie. Nella formulazione e nell’assunzione di responsabilità per le necessità dei cittadini si può notare un miglioramento nell’inclusione sociale dei gruppi vulnerabili e/o emarginati costituiti da giovani e da donne.

Sul piano politico il budget partecipativo accresce la trasparenza della gestione comunale, che suo tramite acquista una maggiore credibilità agli occhi della popolazione. Così molti comuni africani hanno adottato il principio «debitorio», che obbliga gli eletti a rendere conto di ciò che fanno agli elettori. In Mali e Senegal esistono in particolare i «giorni del dialogo», durante i quali il sindaco porta il suo ufficio in piazza e dedica la giornata a discutere con i cittadini. A Dakar il sindaco si sottomette all’interrogatorio da parte dei cittadini mediante l’emittente-radio comunitaria e, attraverso Internet, mantiene anche il dialogo con gli emigrati. Si tratta di una importante questione per l’Africa, dove gli emigranti contribuiscono più dell’aiuto pubblico allo sviluppo del loro comune di origine.

Per questo l’istituzionalizzazione del processo di budget partecipativo rimane una sfida. Nel Madagascar, dopo una sperimentazione in nove comuni pilota, il governo incoraggia l’estensione del processo a cinquanta comuni per l’esercizio 2011 e prevede di estenderlo in trecento comuni nel 2012. In Senegal il ministro della Decentralizzazione e delle collettività locali si è detto a favore della promulgazione di una legge al riguardo; in Mozambico le direttive per un modello di budget partecipativo sono elaborate dal governo.

Effettivamente, in gran parte dei Paesi la legislazione è in ritardo sull’applicazione pratica. L’esempio più palese è quello della Repubblica democratica del Congo, dove le autorità locali sono ancora nominate e non elette e quindi devono rendere conto soltanto all’Amministrazione centrale che le ha insediate. Nei Paesi dell’Africa francofona, in cui i testi di legge sono ispirati dalla Francia, si nota una frattura fra quelli, la maggior parte, datati dagli anni ’80, periodo dell’ottenimento della loro indipendenza, e le attuali aspirazioni dei cittadini che reclamano l’approfondimento della democrazia. Quindi è necessario il ritocco.

i processi partecipativi si rivelano molto volatili: molti si perdono in seguito alle alternanze [politiche] locali, altri non resistono alle prime difficoltà incontrate nell’applicazione pratica. Effettivamente si tratta di una spartizione di potere fra autorità dotate della legittimazione che le urne conferiscono e altri generi di forze che si sono imposte sul terreno sociale, comunitario, ecc. I processi sono quindi molto mutevoli. Inoltre esiste una manifesta contraddizione fra la volontà di decentralizzazione affermata dai governanti e la debolezza, perfino l’assenza, del trasferimento delle risorse concomitanti.

infine, una delle maggiori sfide rimane quella del controllo e della valutazione delle esperienze fatte. La compartimentazione delle iniziative, spesso legate a microprogetti ad hoc, non coordinati, non facilita certo questo processo. Appare necessario rafforzare gli scambi fra Paesi africani e fra l‘Africa e il resto del mondo.



Mercoledì 19 Ottobre,2011 Ore: 14:23
 
 
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