- Scrivi commento -- Leggi commenti ce ne sono (0)
Visite totali: (254) - Visite oggi : (1)
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori Sostienici!
ISSN 2420-997X

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito

www.ildialogo.org Sudan, catastrofi e stragi,

Sudan, catastrofi e stragi

Articoli tradotti dal tedesco da José F. Padova


 Le tasse, la crescita, l'impresentabile B., la BCE, lo spread...: problemi grandi, essenziali, vitali? 
La risposta potrebbe darla l'articolo allegato.
J.F.Padova

v. anche:
Darfur, cronaca di un genocidio «ambiguo»


Die Zeit, Hamburg

Dall’inviato Andrea Böhm, 23 giugno 2011

La guerra che nessuno vede: la catastrofe sui monti Nuba

http://blog.zeit.de/

(traduzione dal tedesco di José F. Padova)

Mancano ancora due settimane buone alla grande festa per l’indipendenza nel Sudan meridionale, la futura “Repubblica del Sud-Sudan”. L’aeroporto della capitale Juba viene ristrutturato per l’arrivo di dozzine di capi di Stato, muratori passano la malta sui piloni della tribuna d’onore, squadre di spazzini puliscono le strade e indirizzano alle recentissime conquiste tecnologiche: contenitori per rifiuti, ecologici e correttamente suddivisi per carte, plastica e vetro. Ora, queste scene assumono un aspetto surreale, se si pensa che qualche centinaio di chilometri verso nord la guerra è nuovamente scoppiata.

Ciò che molti osservatori da molto tempo avevano temuto è arrivato: mentre il Sud-Sudan si trova vicino al salto per diventare nazione a vitalità limitata, la pace faticosamente pattuita fra Kartum e Juba si dissolve ai margini del vecchio territorio di guerra. Proprio in quelle zone sui confini fra Nord e Sud, di cui appartenenza territoriale e futuro politico sono o non definiti o contestati dalla popolazione: nella regione di confine di Abyei e negli Stati individuali Nilo Blu e Sud-Kordofan.

Per la prima nell’accordo di pace del 2005 è stata prevista dapprima un’amministrazione speciale e in seguito un referendum sull’appartenenza al Nord o al Sud, che fino a oggi non ha avuto luogo. Per i secondi è stata prevista per lo meno una maggiore autonomia all’interno del Nord-Sudan, cosa che si è altrettanto rivelata un’illusione.

Alla fine di maggio l’esercito di Kartum è entrato ad Abyei insieme alle milizie sue alleate. Un dettaglio non senza importanza: l’avanzata era stata preceduta da un’imboscata tesa dall’esercito del Sud Sudan contro le truppe del nord che si stavano ritirando. Una provocazione totalmente irragionevole, che ha fornito al presidente del Sudan, Omar al-Baschir, il pretesto per una devastante dimostrazione di forza. Le conseguenze: dozzine di morti, 100.000 profughi, una città parzialmente devastata e i caschi blu dell’ONU, forniti dallo Zambia, esposti a una figuraccia per essersi barricati nelle loro basi invece di prendere le difese della popolazione civile [ndt.: ma non l’avevamo già visto a Srebrenica?]. La buona notizia: Kartum e Juba [ndt.: la nuova capitale del Sud Sudan] nel frattempo hanno concordato di demilitarizzare il territorio. Adesso dovrebbero entrare in servizio dal’Etiopia forze di pace più energiche. Si può adesso attendere quando alle parole seguiranno i fatti.

La catastrofe molto più grave sta prendendo forma dall’altra parte della futura frontiera fra Nord e Sud, sui monti Nuba. Il popolo dei Nuba aveva combattuto nella guerra civile a fianco del Sud, ma il loro territorio è rimasto a far parte di quello sudanese. I loro combattenti sono rimasti in armi e portano come sempre l’uniforme del SPLA, dell’esercito del Sud Sudan. Tutte le scadenze per la smobilitazione sono trascorse invano. E una volta ancora Kartum ha il pretesto per colpire. Testimoni oculari descrivono quello che il regime di Baschir definisce un legittimo intervento contro forze nemiche armate come una guerra contro la popolazione civile dei Nuba mediante attacchi aerei e “pulizia etnica”. Eminenti attivisti per la pace in Sudan, come l’attrice Mia Farrow, mettono in guardia contro un “nuovo Darfur”. Il Consiglio Ecumenico del Sudan parla di “persone cui si dà la caccia come ad animali”. I capi delle Chiese chiedono il divieto di sorvolo come nel caso della Libia. Il presidente degli Stati Uniti Obama ha preteso un’immediata cessazione delle azioni militari, il ministro degli esteri tedesco Guido Westerwelle, in visita a Kartum e Juba, si dichiara “profondamente preoccupato”.

E le Nazioni Unite? Si mostrano anch’esse preoccupate e  fra l’altro temono per i loro Caschi Blu. Infatti nel Kordofan meridionale le bombe dei velivoli sudanesi cadono veramente ai loro piedi. Kartum inoltre ha minacciato di fare fuoco sugli elicotteri dell’ONU. Molti Nuba poi rinfacciano nuovamente ai peacekeeper egiziani di simpatizzare per il regime di Baschir. Fra pochi giorni tutto questo perderà d’importanza.

Il 9 luglio il Sud diventerà ufficialmente indipendente e nello stesso giorno avrà termine il mandato per la missione ONU in Sudan. Nel Sud (dove sinceramente ha pochi successi da esibire) l’ONU rimarrà con un nuovo incarico e presumibilmente con un apparato ancor più gonfiato. Kartum tuttavia ha già messo in chiaro di non volere alcuna nuova missione e di non voler più tollerare altri peacekeepers. Poiché anche le poche organizzazioni di aiuti umanitari hanno dovuto ritirare i loro collaboratori stranieri dal Kordofan meridionale (fra le altre anche Cap Anamur, che sul posto ha prestato da anni aiuti medici), entro due settimane non vi saranno più testimoni stranieri di crimini contro la popolazione civile.

Rimane la domanda: che cosa spinge Omar al-Baschir a suscitare un grande incendio dopo l’altro, nonostante abbia promesso una secessione pacifica dopo il referendum del Sud Sudan? In Darfur l’aviazione sudanese intensifica nuovamente i bombardamenti, ad Abyei la gente può di nuovo, per l’ennesima volta, sgombrare le macerie delle sue case, nel Kordofan meridionale minaccia una guerra incessante, perché i combattenti Nuba se ne intendono molto di strategia di guerriglia.

“Un bufalo d’acqua ferito”, così lo ha chiamato un rappresentante del governo sud-sudanese. Sotto l’aspetto della politica interna Baschir è sotto attacco, la perdita del Sud ha un effetto più duro di quello che molti avevano supposto. Si tratta evidentemente e soprattutto di ambienti militari, che temono per i loro redditi e per un sistema nel quale tutto il potere e tutte le risorse appartengono al centro e nulla o quasi alle popolazioni nelle periferie del Paese. A Kartum girano ripetutamente voci di colpo di Stato, nei Paesi vicini, Libia ed Egitto, i rapporti di potere sono drammaticamente mutati, per l’élite al potere non brilla alcuna luce. Questo potrebbe spiegare la devastante reazione di Kartum alla provocazione sud-sudanese ad Abyei (ancora un colpo contro la missione dell’ONU, che ha mancato imperdonabilmente l’occasione di chiederne pubblicamente ragione al Sud).

Baschir e i suoi integralisti reagiscono ora spietatamente contro ogni ulteriore ribellione ai margini del loro ormai ristretto territorio. E così, temono gli osservatori, i monti Nuba diventano il nuovo sud in una guerra Nord-Sud.

Tutto questo si sarebbe potuto impedire? Forse. Esperti del Sudan e le ONG hanno fatto suonare da lungo tempo il campanello d’allarme. Ma nessun attore internazionale – e la comunità statale internazionale ha frattanto investito risorse finanziarie e politiche enormi in questa regione di crisi arabo-africana – ha rivolto molta attenzione a questi tre “temi marginali”, Abyei, Kordofan meridionale e Nilo Blu, e altrettanto hanno fatto i media (quindi anche l’autrice di questo blog).

Quanto più è oscura la prospettiva, tanto più assurdi appaiono i pochi barlumi di speranza: il governo cinese ha invitato a Pechino la prossima settimana Omar al-Baschir, colpito da mandato di cattura dal Tribunale Penale

Così del resto Baschir non si sente tanto sicuro nemmeno a Pechino. Prima di partire ha preteso garanzie di non essere arrestato dal suo grande Paese amico e consegnato al Tribunale dell’Aja.

L’Africa è attraversata da frontiere pazzesche, tracciate sul tavolo verde dai padroni coloniali nella lontana Europa, come si ripartiscono i terreni da pascolo con gli steccati. I problemi che ne derivano pesano come macine da mulino appese alla gola degli africani. I confini coloniali devono essere superati, altrimenti l’Africa non ha un proprio futuro ma rimane terreno degli interessi delle “Grandi potenze”, dal quale si possono ricavare materie prime a prezzi stracciati e nel quale si può riversare a buon mercato spazzatura commerciale, per esempio vecchi computer obsoleti, per la cui “offerta” possiamo poi batterci soddisfatti sulla spalla. O gli Stati africani succeduti alle colonie si appoggiano a votazioni popolari per formare Stati nazionali secondo il modello europeo, cosa difficile a causa dei molti popoli sovente mischiati alla rinfusa, o si uniscono in confederazioni di Stati al di sopra delle divisioni regionali, ciò per cui l’Unione Europea per il momento non è un buon modello. Vi è soltanto una terza possibilità: sangue e distruzione.

Dal 2004 vivo e lavoro in un Paese dell’Africa occidentale. Anche qui si sono segnati confini che non corrispondevano a quelli delle singole etnie. Si è trattato, come anche in molti altri Stati, di un autentico ostacolo per lo sviluppo, dopo l’indipendenza raggiunta nel 1960.

Eppure: queste frontiere “arbitrarie” sono oggi un problema limitato e del tutto sicuramente non più la causa principale dello sviluppo economico e politico, in parte stentato, dell’Africa. Inoltre si nota che uno spostamento delle frontiere non è accettato dalla maggior parte degli africani. Quindi, invece di sprecare qui altre energie come “riparazioni”, dovrebbero essere affrontate le cause profonde dei problemi. Esse si trovano fra l’altro, similmente a quelle degli ambienti culturali arabi, nella minorità politica dei cittadini. Anche oggi quindi i problemi possono essere risolti non dall’Europa, ma soltanto dalla stessa Africa, similmente a quanto accade attualmente in molti Stati arabi. E ancora una cosa: il periodo del colonialismo dovrebbe possibilmente essere giudicato con parametri differenziati, altrimenti c’è il pericolo che tutto diventi uno stereotipo.

Der Spiegel, 14 luglio 2011


Sudan – Fossa comune scoperta in una regione petrolifera contesa

http://www.spiegel.de/

Osservatori americani hanno trovato nello Stato federale sudanese del Kordofan meridionale una fossa comune con almeno cento salme. Verosimilmente si tratta di vittime appartenenti alla popolazione Nuba, che avevano combattuto al fianco dei ribelli sud-sudanesi.

(traduzione dal tedesco di José F. Padova)

Kartum – In Sudan anche dopo la secessione del Sud Sudan non c’è pace. Esercito e milizie imperversano nel Paese con la violenza. Osservatori americani hanno ora trovato nello Stato federale sudanese del Kordofan meridionale una fossa comune con almeno cento salme. Sulle immagini riprese dai satelliti il 4 luglio sono chiaramente visibili tre fosse di 26 metri per 5 situate nella regione della capitale provinciale Kadugli, riferisce il Satellite Sentinel Project (SSP) lo scorso giovedì. L’Organizzazione americana, chiamata in causa su iniziativa della star del cinema George Clooney, analizza immagini satellitari del Sudan che si riferiscano a violazioni dei Diritti dell’Uomo.

Richiamandosi a testimoni oculari, lo SSP ha riferito che l’8 giugno almeno cento cadaveri sono stati trasportati dal mercato di Kadugli e dai villaggi vicino a Tilo. L’esercito sudanese assistito dalle milizie alleate aveva perquisito tutte le case della zona e fucilato presunti membri del gruppo ribelle sud-sudanese SPLA.

Religiosi e attivisti dei Diritti dell’Uomo sul posto accusano il governo di Kartum di voler espellere e uccidere nel Kordofan meridionale i Nuba che durante la lunga guerra civile avevano combattuto dalla parte del Sud.

Dal 5 giugno lo Stato federale, ricco di petrolio e confinante con il Sud-Sudan indipendente da sabato, è teatro di sanguinosi combattimenti fra l’esercito del presidente Omar al-Baschir e gli antichi membri del SPLA. Secondo informazioni dell’ONU dall’inizio dei combattimenti fra le 30.000 e le 40.000 persone sono fuggite dalla capitale provinciale Kadugli.

Dopo una guerra civile durata decenni il 9 luglio il Sud-Sudan si è ufficialmente dichiarato indipendente dal Nord. Più del 75% della produzione sudanese di petrolio avviene nel Sud, ma d’altra parte sul posto non vi sono raffinerie e le vie per l’esportazione passano attraverso il Nord. I due Stati si contendono la zona di confine di Abyei. Baschir ha dichiarato che questo conflitto e gli altri ancora in corso sarebbero risolti con “reciproco rispetto”.



Giovedì 22 Settembre,2011 Ore: 16:54
 
 
Ti piace l'articolo? Allora Sostienici!
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori

Print Friendly and PDFPrintPrint Friendly and PDFPDF -- Segnala amico -- Salva sul tuo PC
Scrivi commento -- Leggi commenti (0) -- Condividi sul tuo sito
Segnala su: Digg - Facebook - StumbleUpon - del.icio.us - Reddit - Google
Tweet
Indice completo articoli sezione:
Stampa estera

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito


Ove non diversamente specificato, i materiali contenuti in questo sito sono liberamente riproducibili per uso personale, con l’obbligo di citare la fonte (www.ildialogo.org), non stravolgerne il significato e non utilizzarli a scopo di lucro.
Gli abusi saranno perseguiti a norma di legge.
Per tutte le NOTE LEGALI clicca qui
Questo sito fa uso dei cookie soltanto
per facilitare la navigazione.
Vedi
Info