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www.ildialogo.org L’orgoglio ferito,Di Peter Sloterdijk

Der Spiegel, 8 novembre 2010 - Dibattito
L’orgoglio ferito

Di Peter Sloterdijk

(traduzione dal tedesco di José F. Padova)


Sono grato a Sylvia Jannuzzi che mi ha segnalato il saggio di Peter Sloterdijk, pubblicato da Der Spiegel lo scorso novembre, la cui traduzione è allegata (il Professore scrive da par suo e ho faticato per dare al saggio, nella nostra lingua, una forma simile all'originale).
"L'orgoglio ferito": per esserlo, ferito, l'orgoglio ci vuole. Le osservazioni dell'A. si riferiscono alla Germania che, non dimentichiamolo, oltre alla Repubblica Federale ha nella sua storia anche altro. Come del resto anche altro abbiamo noi nella nostra. Ma l'orgoglio, l'orgoglio di popolo, l'abbiamo? Con le ultime votazioni e i referendum sembrava essersi accesa una fiamma e subito qualcuno ha comnciato a soffiare per spegnerla. Eppure... Come dice Sloterdijk, la Roma dei Consoli è stata tutt'altro. Ma è possibile che dal rimescolio del DNA dei nostri antenati non sia rimasta una spiralina, piccola, di quello dei formidabili uomini vissuti dal 500 a.C. fino all'Impero? Non sarebbe anche divertente vedere i nostri omuncoli sedicenti politici sbiancare davanti all'ira del popolo? E magari anche andarsene? (J.F.Padova)

Di Peter Sloterdijk, filosofo e rettore della Staatliche Hochschule für Gestaltung a Karlsruhe. Dal 2002 è il moderatore del „Quartetto filosofico“ sulla rete TV ZDF. Sul sito http://www.libreriauniversitaria.it/libri-autore_sloterdijk+peter-peter_sloterdijk.htm si trovano le traduzioni delle sue opere. In questo saggio su Der Spiegel si occupa della ribellione civica contro grandi progetti come la Nuova Stazione Ferroviaria di Stoccarda e il crescente distacco fra politica e popolo.

http://www.spiege.de/spiegel/0,1518,727904,00.html 

1. parte: Sull’estromissione dei cittadini nelle democrazie

Quando, in qualsiasi momento, politici e politologi si fanno idee sulla situazione di una res publica moderna, le reminiscenze si spingono all’antica Roma. Recentemente ciò è accaduto anche allo sfortunato ministro tedesco degli Esteri quando, per criticare lo Stato sociale, ai suoi occhi troppo rigoglioso nel nostro Land [ndt.: i Land formano la RFT], è scivolato sull’idea di paragonare la situazione attuale con le bassezze della decadenza romana. Quali obiezioni con questo egli abbia messo assieme non potrebbe mai essere accertato con precisione. Forse all’ospite del Ministero per gli Affari Esteri erano venuti in mente vaghi ricordi della manipolazione delle plebi ai tempi degli imperatori mediante i giochi gladiatori, probabilmente aveva pensato anche alle indispensabili distribuzioni di derrate alle masse prive di lavoro nelle antiche metropoli. Si tratterebbe di echi di una frettolosa lezioni della storia, che mastica la maggior parte dei liceali tedeschi dell’anno 1961 (fra gli altri, Westerwelle). Ma questi echi non contengono nulla di ciò che darebbe motivo di preoccupazione.

Il riferimento alla decadenza romana nella bocca di un politico tedesco era però non soltanto un sintomo di una cultura superficiale appropriata al rango. Non era neppure un sintomo di mera spavalderia verbale, che avrebbe dovuto fare impressione su un certo tipo di clientela. Esso conteneva una serie di implicazioni pericolose, che l’oratore avrebbe senza dubbio evitato, se ne fosse stato consapevole.

Il sistema romano di pane e giochi era stato nientemeno che la prima forma di ciò che dal XX secolo in poi è definito come “cultura di massa”. Esso simboleggiava il mutamento radicale dalla austera repubblica senatoriale al teatrale Stato post-repubblicano, con al centro un commediante imperiale. Questo passaggio era diventato inevitabile da quando l’Impero romano, dopo la sua conversione a monarchia cesarea, si dedicò sempre più a eliminare Senato e Popolo dalla regolazione delle questioni d’importanza pubblica. Sotto questo aspetto la decadenza romana non fu altro che il rovescio della medaglia dell’estromissione politica dei cittadini: mentre l’amministrazione imperiale si impegolava sempre più in formalità, sul versante del divertimento – specialmente nelle arene tutt’intorno al Mediterraneo e alle feste del ceto elevato nelle metropoli – si imponeva la tendenza all’abbrutimento e alla disinibizione. La convivenza dello Stato dell’amministrazione con quello del divertimento corrispondeva a una condizione mondiale nella quale l’esercizio del potere poteva essere garantito ormai soltanto dalla vasta spoliticizzazione delle popolazioni dell’impero.

Dal complesso di potere romano ai rapporti neo-monarchici

Il gioco con i ricordi di Roma prima o poi va a toccare materie pericolose. Chi cita Roma dice allo stesso tempo res publica, e chi parla di questa non dovrebbe mancare di informarsi sul segreto dei suoi inizi. Se anche i Cesari volevano come sempre ratificare i loro decreti con la sacrosanta formula “Senatus Popolusque Romanus” (SPQR) – era quindi sicuro che entrambe le istanze erano esautorate in misura pressoché totale.

Il “pubblico affaire” dell’antica Europa iniziò con una tempesta amorosa degna di riflessione: il figlio dell’ultimo re romano-etrusco, Tarquinio il Superbo junior, aveva rivolto le sue attenzioni su una giovane matrona romana di nome Lucrezia, dopo aver saputo della sua bellezza e pudicizia dalle vanterie del suo sposo Collatino. Evidentemente non voleva accettare che un sottoposto fosse sotto l’aspetto erotico più felice di sé stesso. Il resto è storia universale grazie a Livio e letteratura universale grazie a Shakespeare. Il giovane Tarquinio penetra nella casa di Lucrezia e la costringe con il ricatto ad acconsentire alla violenza carnale. Dopo essere stata disonorata la giovane donna chiama a raccolta i parenti, racconta loro l’accaduto e davanti ai loro occhi si pugnala a morte. Un’ondata di commozione trasforma ora l’inoffensivo popolo romano di pastori e contadini in una moltitudine rivoluzionaria. Mai più tracotanti saranno tollerati al vertice della collettività. Il nome di re viene bandito per sempre.

Dalla convulsione dei cittadini nasce un’idea gravida di conseguenze. La direzione della cosa pubblica in avvenire sarà effettuata soltanto dai romani e in modo pragmatico e profano. Due consoli si tengono l’un l’altro sotto scacco, la loro nuova, annuale elezione previene qualsiasi ulteriore confusione di funzioni e persone. Sulla base di queste deliberazioni nell’anno 509 a. C. si mette in moto la più intelligente macchina repubblicana che sia stata costruita in tutta la storia dell’umanità; con la successiva aggiunta della carica di tribuno della plebe essa raggiunge un grado insuperabile di efficienza. Ha inizio una storia di successi senza pari finché, quasi un mezzo millennio più tardi, la sovradilatazione del complesso romano di potere costringe al passaggio a rapporti strutturali neomonarchici.

La leggenda di Lucrezia tratta della nascita della res publica dallo spirito della ribellione. Ciò che più tardi si chiamerà opinione pubblica all’inizio è un epifenomeno della collera dei cittadini. Il primo forum si forma dal malcontento delle masse che affluiscono. Il primo ordine del giorno comprendeva un unico punto: il rifiuto di un’infamia da parte di un sovrano. Dalla sua sincrona irritazione per l’alterigia sfrenata di chi esercita il potere la gente semplice ha imparato a volersi chiamare da allora in poi “cittadini”. Il consensus, dal quale tutto ha inizio, ciò che fino a oggi chiamiamo vita pubblica, era l’unanimità civile nei confronti di un oltraggio contro le leggi non scritte della decenza e del cuore.

2. parte: Monologo di un club di autisti

Per ribadire ancora una volta l’elemento determinante: quello che noi ora rielaboriamo con l’espressione greca “Politika” è un derivato del senso dell’onore e dell’impulso di orgoglio delle persone comuni. Per lo spettro degli affetti legati all’orgoglio l’antica tradizione europea dispone del termine thymós [ndt.: vedi anche http://bfp.sp.unipi.it/dida/resp/ar01s13.html : Il thymos designava il principio della vitalità e dunque, in senso fisico, il respiro, come è attestato in Omero, e in senso translato l’animo o il cuore, come sede delle passioni – l’ira, ma anche il coraggio e l'ardore. In questo senso, una persona che ha del thymos può essere detta “animosa”, cioè dotata della capacità e della forza passionale di reagire prontamente]. Sulla scala timotica della psiche umana risuonano molti toni – da affabilità, benevolenza e generosità attraverso orgoglio, ambizione e caparbietà fino a indignazione, ira, rancore, odio e disprezzo. Finché una comunità politica è guidata nel suo fulcro dall’orgoglio, al centro della generale attenzione rimangono questioni di onore e considerazione. Quale bene supremo vale l’inviolabilità della dignità civile. Il pubblico sospetto vigila perché arroganza e avidità, le sempre virulente forze della malvagità, mai abbiano il sopravvento nella res publica.

Dovrebbe essere chiaro perché ai nostri giorni non è innocente parlare di decadenza romana e a essa equiparare l’attuale stato delle cose. Chi parla così si riconosce implicitamente nella concezione o nella paura che anche alla moderna repubblica – così come più di 200 anni fa era uscita dalla collera antimonarchica delle rivoluzioni americana e francese – seguirà a tempo debito una fase post-repubblicana. Tipicamente anche questa sarebbe caratterizzata da un rinnovato accoppiamento di pane e giochi oppure, per usare termini conformi ai tempi, da una sinergia di Stato sociale e industria dell’esibizione. È innegabile che gli antesignani di una simile economia sdoppiata siano già onnipresenti. Non leggiamo forse da un bel po’ di tempo segnali che parlano di involuzione regressiva della vita pubblica verso la mera amministrazione e l’ entertainment – isolamento termico per i Ministeri e casting show per le ambizioni? Il discorso, partito dalla Gran Bretagna, sulla “post-democrazia”, ovvero l’idea che mediante la più elevata competenza di chi decide al massimo livello politico si possa fare a meno della partecipazione dei cittadini [ndt.: fra gli altri D’Alema, v. Umberto Eco su “la Repubblica”, domenica 2 luglio 2011], non ha conquistato, con discrezione, le centrali dei partiti e i seminari sociologici nell’emisfero occidentale? Innumerevoli persone non si sono già messe nuovamente al coperto sotto l’aspetto esistenziale, come un tempo gli antichi stoici ed epicurei, e adattate al fatto che burocrazia, spettacolo e accolite private contrassegnano adesso gli ultimi orizzonti?

Da queste osservazioni si potrebbe ricavare la precipitosa deduzione che nel crepuscolo della seconda era repubblicana le tendenze post-democratiche, che abbiamo chiamato modernità politica, si sarebbero già imposte su tutta la linea. Quindi a noi, abitanti della seconda res publica amissa (della comunità derelitta), non rimarrebbe nuovamente nulla se non l’attesa dei Cesari – e delle loro versioni da quattro soldi, i populisti, a condizione che oggi il populismo fornisca la prova che il cesarismo funziona anche con le comparse. Quindi avrebbe ragione Oswald Spengler con la sua pericolosa suggestione che si dovrebbe essere teorici della decadenza per rimanere, come diagnostici dei tempi, al livello dei fenomeni?

I conti sono stati fatti senza l’orgoglio dei cittadini

Eppure in questa questione siamo meglio consigliati se non ci facciamo trascinare dallo slancio delle analogie. Certamente non mancano segnali che indicano come stiamo andando incontro a situazioni post-repubblicane e post-democratiche, il cui sintomo più significativo, la rinnovata estromissione dei cittadini mediante una rappresentazione dello Stato involuta a mo’ di monologo, si può diagnosticare oggi su un fronte ampio. Che la politica qui da noi si avvicini sempre più al monologo di un club autistico lo dimostra la linea politica attuale del nostro governo nero-giallo [ndt.: allude all’attuale governo Merkel] sulle questioni dell’energia atomica.

Chi però avesse creduto che nella seconda situazione storica post-repubblicana l’estromissione dei cittadini si sarebbe svolta senza tanti intoppi, come avvenne dopo l’avvento dell’antico regime dei Cesari, si vedrebbe smentito: perché gli autori greci classici hanno della persona, come mossa al tempo stesso dalla sua essenza di eros e di orgoglio, una comprensione più profonda e diversa da quella dei moderni, poiché questi ultimi in maggioranza si sono limitati a interpretare la psiche umana sotto l’aspetto della libido, della carenza e della volontà di possesso. Sulla questione dell’orgoglio e dell’onore non viene loro in mente nulla da più di cento anni. Per conseguenza non c’è da meravigliarsi se oggi né i politici né gli psicologi vedono altra via d’uscita, non appena si trovano a che fare con moti pubblici indotti dalla dimenticata componente dell’orgoglio, presente nel nucleo psicologico umano. Chi si guardasse intorno nel panorama delle agitazioni politiche in Europa, in particolare nelle zone di crisi tedesche, capirebbe in fretta una cosa: se oggi l’estromissione dei cittadini, nonostante tutto il dispiego di espertocrazia e cultura della distrazione, non riesce completamente, è perché si sono fatti i conti senza l’orgoglio del cittadino.

Tutto in una volta questi si trova nuovamente sulla scena – il timotico, il citoyen, il cittadino cosciente di sé, informato, che usa la propria testa ed è risoluto a partecipare alle decisioni politiche, maschio e femmina, che protesta davanti al tribunale dell’opinione pubblica contro la fallita rappresentanza delle sue richieste e delle sue consapevolezze nell’attuale sistema politico. È nuovamente qui, il cittadino, che rimane capace d’indignazione perché, nonostante tutti i tentativi di educarlo al “pacco” della libido, ha preservato il suo senso di autoaffermazione e che manifesta queste sue qualità mentre porta la sua dissidenza sulla pubblica piazza. Il cittadino scomodo si rifiuta di essere un onnivoro politico, indulgente e lontano da opinioni “non vantaggiose”. Questi cittadini informati e indignati sono giunti improvvisamente, non si capisce come, all’idea di riferire a loro stessi l’art. 20 capoverso 2 della Costituzione Federale Tedesca, secondo il quale tutto il potere dello Stato ha origine nel popolo [ndt.: lett.: (2) Alle Staatsgewalt geht vom Volke aus. Sie wird vom Volke in Wahlen und Abstimmungen und durch besondere Organe der Gesetzgebung, der vollziehenden Gewalt und der Rechtsprechung ausgeübt.]. Che cosa è entrato in lui, quando interpreta il misterioso verbo della Costituzione “ausgehen”, “ha origine”, “deriva”, come un avviso di uscire dalle sue quattro mura per manifestare ciò che egli vuole e sa e teme. 

3. parte: La regolazione psico-politica della collettività sfugge al controllo

All’origine del senso romano per la collettività era il rifiuto di tollerare più a lungo l’arroganza del potente, divenuta ormai estrema. Anche oggi innumerevoli cittadini vedono il motivo per irritarsi contro l’arroganza dei potenti. Anche se l’arroganza è diventata anonima e si cela nelle pieghe dei sistemi materialmente imposti [dalle autorità] – i cittadini, specialmente nella loro qualità di contribuenti e di destinatari di vuoti discorsi prima delle votazioni, di tanto in tanto avvertono abbastanza chiaramente che gioco si svolge ai loro danni. 

Tuttavia, perché la gente non può starsene tutta insieme tranquilla sulle piazze a lei destinate? Come mai non si può più fare alcun affidamento sulla sua letargia, derivante dal sistema? Nelle democrazie rappresentative i cittadini sono utilizzati dai governi anzitutto come fornitori di legittimità. Perciò vengono invitati all’esercizio del loro diritto di voto a intervalli molto lunghi. Nel frattempo essi possono rendersi utili soprattutto rimanendo passivi. Il loro incarico più considerevole consiste nell’esprimere fiducia nel sistema mediante il silenzio.

Accontentiamoci, per essere gentili, alla constatazione che una fiducia di tale genere è diventata una risorsa esigua. Addirittura i politologi di Corte berlinesi parlano della manifesta alienazione fra la classe politica e la popolazione. Gli esperti arretrano ancora di fronte alla dura diagnosi, secondo la quale la politica dell’utile spoliticizzazione del popolo è davanti al fallimento.

Ai Romani dei tempi dei Cesari riuscì il gioco di destrezza della spoliticizzazione, perché le élite dei tempi imperiali alle richieste della loro cittadinanza per lungo tempo avevano fatto offerte compensative più o meno utilizzabili – nonostante robuste avvisaglie della decadenza post-repubblicana: se ne intendevano su come svegliare nel civis romanus l’orgoglio per le realizzazioni civilizzatrici dell’Impero; vincolarono le popolazioni delle periferie al centro [del potere] mediante il soft power romano; erano sufficientemente astuti per garantire alle masse nelle città la partecipazione al narcisismo teatrale del culto cesareo. A paragone salta all’occhio la goffaggine della nostra classe politica in tutte le cose importanti dell’equilibrio timotico. Essa sovente non ha altro da offrire ai cittadini se non la prospettiva della partecipazione alla sua pietosa scarsezza – un’offerta alla quale di regola la popolazione s’interessa soltanto a carnevale e ai sermoni [politici] del Mercoledì delle Ceneri. Se si chiede in che modo il popolo in senso ampio reagisce alla performance dei governanti, da qualche tempo i sondaggisti annotano il più delle volte: con disprezzo. Inutile dire che questa parola appartiene al vocabolario elementare dell’analisi timotica. Se la denominazione per il polo negativo della scala dell’orgoglio è usata tanto spesso e con tanta forza come finora, dovrebbe divenire comprensibile in che misura la regolazione psico-politica della nostra collettività sfugga ormai al controllo.

Estromissione dei cittadini come professione

Il sogno dei sistemi genera mostri: questo a modo loro sperimentano i governanti, non appena i cittadini insoddisfatti sbarrano la strada ai loro progetti e trafile. Non deve stupire se spontaneamente a disprezzo risponde disprezzo. A Stoccarda e a Berlino, impauriti, si è affrontata la non gradita dissidenza dei cittadini con grandi schieramenti di polizia e con insulti. Quindi ha questo aspetto – la cosa oscura, dalla quale proviene tutto il potere dello Stato? “Contestatori di professione, anarchici del tempo libero, democratici umorali, egoisti attempati, reietti del benessere!”. In questi vocaboli il governo del Land [ndt.: qui il Baden-Württemberg] e i suoi alleati nella capitale hanno riassunto le loro impressioni sulle decine di migliaia che si sono riversate per le strade contro un Grande Progetto che stava sgretolandosi [ndt.: quello della devastante Nuova Stazione delle DB]. Si deve perdonare questa scelta di termini per il motivo che gli oratori si trovavano sotto shock? Al contrario, a questi politici si deve riconoscenza, perché finalmente hanno espresso ciò che pensano dei cittadini. In un modo degno di nota una parte importante della stampa a volte seria era pronta a immedesimarsi nella classe politica in difficoltà: “Cittadini della rabbia”, hanno chiamato recentemente i nuovi contestatori – ciò che sarebbe stata una astuta coniazione, se avesse evocato il ricordo dell’originario rapporto fra indignazione e repubblica. Purtroppo nell’uso attuale essa serve soltanto a scacciare le moleste mosche della dissidenza. Lo si vede comunque: alcuni giornalisti sanno come contribuire con il loro apporto all’opera di estromissione dei cittadini.

La casta spaventata ha risposto con i manganelli e i gas lacrimogeni ai risoluti contestatori popolari che avevano scoperto quanto di discrepante c’è nei piani per la nuova stazione ferroviaria di Stoccarda [ndt.: uno sconvolgimento del centro città con la distruzione di un parco e altri danni]. Il venerando Partito Socialdemocratico Tedesco ha reagito con l’avvio di una procedura di espulsione dal partito di un esperto valido membro il quale, con la presentazione di prove dettagliate, aveva scoperto elementi contrastanti nella politica tedesca dell’immigrazione – e con questo aveva esposto fatti che senza test genetici giustificativi sono più solidi di quelli sostenuti dal governo. In entrambi i casi ciò significa che non si sono rese facili le indispensabili reazioni, la chiusura e l’espulsione. Estromissione dei cittadini come mestiere – ciò è all’occasione ancora più pesante del mestiere di forare a mano dure assi di legno .

Su un fronte più vasto contro il disturbo della routine si vedono i medesimi riflessi da bunker assediato, lo stesso disagio nell’aggressione verbale contro i non competenti, la consueta confusione fra chiusura e fermezza di carattere. 

Su una ottusità tanto devastante si può soltanto effettuare un’analisi del sistema politico e dei suoi paradossi: i Cesari riuscirono, ancora apparentemente quasi per gioco, a legare assieme estromissione e soddisfazione dei cittadini. La moderna democrazia rappresentativa non è di norma in grado di farlo. Quindi ai moderni rimangono aperte soltanto due vie di uscita, delle quali l’una è economicamente rovinosa, l’altra imprevedibile sotto l’aspetto psico-politico: l’estromissione dei cittadini mediante ricompense-premio perché stiano quieti e la paralisi dei cittadini per rassegnazione. Come i premi funzionino lo sa ognuno di coloro che osservano gli attuali dibattiti circa lo Stato distributore di alimenti. Non è neppure anche un mistero come si raggiunga la rassegnazione, la quale sotto un buon governo assomiglia superficialmente alla soddisfazione e si differenzia da essa per lo scoraggiato, rancoroso stato d’animo secondo il cui giudizio quelli che stanno qui al vertice in fondo sono poi tutti uguali. In un clima di tale genere la partecipazione al voto può calare al di sotto del 50%, come è usuale negli Stati Uniti, senza che la classe politica vi veda un motivo per cui preoccuparsi.

4. Parte: Nessun governo del mondo è al sicuro dalla rivolta dei suoi cittadini

L’estromissione dei cittadini per mezzo della rassegnazione è giocare col fuoco, perché questa può in ogni momento commutarsi nel suo contrario, l’aperta ribellione e l’ira manifesta dei cittadini. L’ira, se per prima cosa ha trovato il suo tema, non se ne lascia più distogliere facilmente. Per la classe politica si aggiunge il fatto che la moderna esclusione dei cittadini vuole presentarsi come “inclusione”. La spoliticizzazione del cittadino deve rimanere legata con tanta residua politicizzazione quanta è necessaria all’auto-riproduzione dell’apparato politico. 

Sotto nessun aspetto i cittadini del nostro emisfero sono tanto estromessi come nella loro qualità di contribuenti fiscali. Lo Stato moderno è riuscito a imporre ai suoi cittadini, proprio nel momento della loro più tangibile contribuzione alla collettività, nell’istante del loro pagamento alla cassa comune, il più passivo dei ruoli che si possono attribuire: invece di mettere in risalto la peculiarità di donatore di chi paga e di sottolineare rispettosamente il carattere di donazione che hanno le imposte, i moderni Stati fiscali gravano i loro contribuenti con una umiliante finzione, dicendo di avere nella pubblica cassa debiti massicci, debiti così alti che possono essere ammortizzati soltanto in rate che durano una vita. Essi creano da subito un complesso debitorio che domani e fino al loro ultimo respiro verrà pagato come ciò che chi estromette i cittadini di oggi carica loro sul groppone. Non si dica che la politica odierna non avrebbe più visioni. C’è ancora un’utopia per la nostra collettività: se la fortuna sta dalla nostra parte e tutti fanno tutto ciò che è in loro potere, alla fine riesce perfino l’impossibile, evitare la bancarotta dello Stato. D’ora in poi è questa la stella rossa nel cielo al tramonto della democrazia.

La maggior parte degli Stati speculano contando sulla passività dei cittadini

Dalla crisi finanziaria scoppiata nel 2008 in poi innumerevoli pareri hanno evocato la pericolosità della speculazione sui mercati finanziari. Mai si è parlato della più pericolosa delle speculazioni: la maggior parte degli Stati contemporanei, che non trae alcun insegnamento da qualsivoglia crisi, specula sulla passività dei cittadini. I governi occidentali scommettono sul fatto che i loro cittadini vengano ancora elusi nella distrazione; quelli orientali puntano sulla efficacia indistruttibile dell’aperta repressione. Il futuro sarà determinato dalla competizione fra il modo euro-americano e quello cinese di estromettere i cittadini. Entrambi i metodi partono dalla convinzione che si possa eludere l’offerta di soluzioni della rappresentanza modificando la positiva volontà e buona conoscenza da parte dei cittadini in agire governativo, mentre si conta su una più alta passività dei cittadini stessi. Finora tutto questo è andato sorprendentemente bene: perfino dopo la fallita Conferenza di Copenhagen sul clima del 2009 i cittadini d’Europa in quel fatale dicembre si sono dedicati più volentieri ai loro acquisti natalizi piuttosto che alla politica; essi hanno preferito tornare a casa con le borse della spesa piene invece di coprire, almeno simbolicamente, di pece e piume i loro “rappresentanti” che tornavano a mani vuote, come avrebbero meritato. 

Si può conoscere anche senza predisposizioni divinatorie: speculazioni di tale genere presto o tardi saranno demolite, perché nessun governo al mondo, nell’era della civiltà digitale, è al sicuro dall’ira dei suoi cittadini. Se la collera ha eseguito il suo compito con successo si formano nuove architetture della partecipazione politica. La post-democrazia, che se ne sta davanti alla porta, dovrà aspettare.



Mercoledì 13 Luglio,2011 Ore: 16:14
 
 
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