- Scrivi commento -- Leggi commenti ce ne sono (0)
Visite totali: (241) - Visite oggi : (1)
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori Sostienici!
ISSN 2420-997X

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito

www.ildialogo.org Una massa con il cervello di un ragazzino di undici anni,

Una massa con il cervello di un ragazzino di undici anni

Dal blog di Le Monde Diplomatique


E' noto come B. considera il popolo, ovvero la "gggente", i telespettatori e quindi tele-elettori sui quali galleggia (per ora): una massa con il cervello di un ragazzino di undici anni. Il (purtroppo) Nostro è tuttavia in buona compagnia, sia per la scarsa considerazione che anche politici di altre nazioni hanno delle persone-popolo, sia per come vivacchia sui sondaggi, i cui dati i sondaggisti manipolano tenendo d'occhio interessi molto particolari. Ne riferisce Alain Garrigou sul solito "Monde Diplomatique".(J.F.Paova)

Dal blog di Le Monde Diplomatique
http://blog.mondediplo.net/2011-04-11-Le-peuple-est-il-un-enfant
lunedì 11 aprile 2011

Il popolo è un bambino?
Di Alain Garrigou (traduzione dal francese di José F. Padova)

Nella polemica sulle rivelazioni di WikiLeaks (1) un ex ministro francese degli Affari esteri s’indignava pubblicamente: secondo lui la politica era come le famiglie, vi sono storie che non si raccontano ai bambini. Ci vuole una certa dose di fatuità per osare questo paragone. Hubert Védrine non si rendeva conto di riprendere la vecchia giustificazione delle élite aristocratiche, quando rifiutavano il diritto dei popoli: non erano altro che bambini. Il trionfo della democrazia, quindi, non ha spazzato via il pregiudizio. Rimangono sempre uomini abbastanza persuasi della loro superiorità per pensare che la politica è riservata a gente come loro. Senza peraltro dubitare un solo istante della loro fede repubblicana. Hubert Védrine  era troppo indignato per velare la sua arroganza con un po’ di discrezione, fornendo quindi buone ragioni per dubitare di una superiorità che egli crede lo autorizzi a manifestare.

Ma i benpensanti aggiungeranno: si tratta di politica internazionale nella quale il segreto è sempre stato legittimato, perché ne va della sicurezza degli Stati e della vita delle persone e perché la nostra epoca piena di pericoli ne giustifica ancor più l’applicazione. I giornali hanno spiegato di aver preso precauzioni. Non si scopre alcuna rivelazione di vitale importanza ma tanto peggio. Chissà se verrebbe alla mente dei suoi sostenitori che la diplomazia segreta ha difetti gravi, tali che il presidente Woodrow Wilson pretese di vietarla nei suoi Quattordici punti del gennaio 1918.

Le relazioni internazionali sono un campo tanto eccezionale? È sufficiente che il popolo deluda le élite perché la sua incapacità sia suggerita se non messa sotto accusa. Se ne è visto spuntare il verdetto con il referendum del 2005 sull’Europa. Si deve ben credere che la posta in gioco fosse alla portata di tutti, poiché era sottoposta a referendum. La classe politica e mediatica d’altra parte [ne] approvò [il testo] al 90% circa. Quando gli elettori si azzardarono a dare la maggioranza al «no», sarebbe stato necessario che questa maggioranza non avesse capito, per respingere il testo. Troppo lungo, ci si rese conto del resto, mal redatto, ecc… Nessuno aveva potuto leggerlo, sottinteso: coloro che avevano votato «no». E i commentatori, tutti a ritrovare i cliché della psicologia delle masse per squalificare un popolo incolto, emotivo e ingannato (2). Il popolo d’altronde si era sbagliato tanto bene che non lo si fece votare di nuovo, come in alcuni Paesi vicini, ma una nuova macinatura del testo denominato Trattato di Lisbona fu ratificata dal Parlamento. Il referendum ha forse ricevuto un colpo mortale in questo gioco di prestigio, nel quale le élite hanno dimostrato di vedere una procedura di ratifica delle loro decisioni. Tuttavia, i medesimi dirigenti stigmatizzarono in seguito la mancanza di senso civico degli astensionisti: inevitabilmente una manifestazione di leggerezza politica. Non è così facile avere un popolo di proprio gradimento, abbastanza attivo per votare ma votare bene, per interessarsi alla politica ma con moderazione. Il timore delle folle rivoluzionarie di un tempo è scomparso, ma il popolo è rimasto infantile, perché delude sempre le élite. Troppo passivo o troppo attivo, mai del tutto all’altezza.

I sondaggi offrono un altro esempio paradossale, dove, con strumenti legittimati come democratici, si rivolgono a un popolo per niente in grado di comprenderli. È facile capire che gli intervistati non sono per forza sinceri e che occorre raddrizzare i numeri chiamati grezzi, quando si può farlo. Serve per le intenzioni di voto, ma questo tipo di sondaggi occupa un posto importante. Si sa che i sondaggisti non vogliono comunicare i numeri grezzi, ma solamente le cifre corrette. Tirannia della trasparenza, osano dire i più esaltati, poco preoccupati della contraddizione, perché si credeva che i sondaggi contribuissero particolarmente alla trasparenza. La trasparenza, bene, ma non quando ci disturba, lo si è capito. Segreto di fabbricazione, ripetono gli altri più prosaicamente, mettendo in rilievo la concorrenza che c’è fra loro. Certamente si tratta di un argomento commerciale, che contraddice la rivendicazione della scientificità. Regola intangibile: un risultato scientifico non è convalidato se non con la pubblicazione di tutti gli elementi della dimostrazione. Non si dice qui che i sondaggi dovrebbero essere posti sullo stesso piano delle medicine, sulla cui composizione non si può immaginare di mantenere il segreto, ma non si vede in che modo la concorrenza potrebbe giustificare una deroga particolare. Il buon senso, quello falso, viene facilmente in soccorso: un grande cuoco non divulga le sue ricette. Occorre non essere lettori di riviste gastronomiche per sostenere questa contro-verità. E i sondaggisti pretendono di fare [buona] cucina? In politica l’argomentazione è per lo meno malaccorta. Per essere, anch’esso, ripetuto così frequentemente, bisogna credere che lo spirito critico sia molto corroso. La vera ragione non sarà rivelata: i sondaggisti temono che i sondaggi perdano credibilità. Che, tutto sommato, vengano riportati a ciò che essi sono.

Se non si trattasse altro che di qualche correzione a margine, il credito dei sondaggi non ne sarebbe danneggiato. Ma se le correzioni sono importanti o se in altre parole direttamente i sondaggi misurano tanto male che occorre correggerne i dati in misura notevole, come è possibile dare loro ancora fiducia? Certamente, si potrebbero consolare i sondaggisti, c’è un’arte della correzione e più la si mette in pratica e soprattutto più lo si fa bene più il loro lavoro è buono. Un buon fai da te con strumenti inadatti non fa al caso loro. Preferiscono il mistero della magia. Come la maggior parte degli umani, i sondaggisti ragionano meno su una filosofia generale e inconfessabile del loro mestiere che sui casi concreti. Come capirà la gente la pubblicazione dei dati grezzi del Front National [ndt.: il partito fascio-razzista dei Le Pen]? Il 7% per arrivare a una cifra di 14%. «La gente non capirebbe», assicurano, che occorre moltiplicare per due quella percentuale per avvicinarsi alla cifra supposta reale delle intenzioni di voto. Cifra reale d’altra parte è una contraddizione, perché le intenzioni di voto non hanno altra realtà se non quella dei sondaggi, soprattutto molto prima delle elezioni e non hanno valore che poco tempo prima. Eppure è sufficiente credere che, molto verosimilmente, i voti del Front National si stabiliscono vicino a questo livello corretto. Quando ci saranno elezioni.

Ecco quindi uno strumento che si giustifica con la democrazia, che pretende introdurre la trasparenza dell’opinione [pubblica] negli affari pubblici e che impedisce al popolo di cittadini e di intervistati di sapere. Certamente, non lo dicono sulla stampa, perché sentono il rischio di confessare il loro pregiudizio su un popolo minorenne. Sarebbe in contraddizione con la loro necessità di avere intervistati consapevoli e informati, che la rappresentatività dei campioni assimilano a tutta la popolazione. Ne hanno troppo bisogno per sembrare disprezzarli. Confessano quindi a mezza voce la loro idea derisoria circa la competenza dei cittadini. Al contrario, in privato non si fanno scrupoli per dire che [i cittadini] non capirebbero. Eterna schizoidia dei commercianti che lusingano i loro clienti e li disprezzano allo stesso tempo. Come sanno i sondaggisti che la «gente», come essi chiamano le persone, non è in grado di comprendere le correzioni? Non finiscono mai di applicare il vecchio concetto, basato sul censo, del popolo-bambino.


Le Monde Diplomatique, gennaio 2011
Il segreto e le fughe
Di Serge Halimi (traduzione dal francese di José F. Padova)

Nell’ottobre 1962 il mondo sfiora le guerra nucleare. Poco prima delle elezioni di metà mandato, il presidente John Kennedy ripete che nessun impianto missilistico sovietico arriverà a Cuba – né vi sarebbe tollerato. Mosca passa oltre, ma senza poter valutare se le dichiarazioni americane mirano a tranquillizzare l’elettorato o costituiscono un vero e proprio ultimatum. Alcune comunicazioni – segrete -  preciseranno le intenzioni dei protagonisti e permetteranno di risolvere la crisi. Gli americani propongono di consentire senza dubbi – ma più tardi e con discrezione – a una delle contropartite che Mosca pretende: il ritiro dei missili della NATO schierati in Turchia. Da parte sovietica, una lettera confidenziale di Nikita Krusciov segnala a Kennedy che un impegno americano a non invadere Cuba in futuro gli permetterebbe di ordinare il ritiro delle sue navi con i missili senza perdere la faccia.

Le rivelazioni di WikiLeaks disturberanno quella diplomazia che, come nel 1962, evita le guerre o piuttosto l’altra, quella che le prepara? Perché le fughe di notizie non sono tutte valutate con la medesima severità. Quando il piano serbo “Potkova” fu inventato dai militari tedeschi per giustificare la guerra del Kossovo, quando il New York Times fece da cassa di risonanza alle balle del Pentagono sulle armi di distruzione di massa, la Casa Bianca non pretse sanzioni particolari.

Alcuni pretendono che la rivelazione della tale o della talaltra visita all’ambasciata degli Stati Uniti avrebbe messo in pericolo la vita di qualche visitatore. Eppure, se il pericolo di una divulgazione fosse stato reale (nessuna vittima di questo tipo è ancora stata identificata), come spiegare per quali motivi il segreto sia stato custodito tanto male? E i rischi politici, allora? Il dirigente socialista francese che nel 2006 confidò a un emissario di George W. Bush che l’opposizione di Parigi alla guerra in Iraq era stata «troppo aperta» (François Hollande) o chi bambineggiò dicendo che i rapporti fra i due Paesi «erano stati sempre migliori quando la sinistra era al potere» (Pierre Moscovici) avrebbero proprio preferito che quelle conversazioni fossero divulgate qualche dozzina d’anni dopo…

Tuttavia un ambasciatore non è un messaggero ordinario. Per mettere in luce la propria efficienza può esagerare l’adesione alle posizioni del suo Paese delle personalità che incontra. Ora, le dichiarazioni attribuite agli interlocutori dei diplomatici americani non sono state autenticate da chi le avrebbe pronunciate. Perché fossero pubblicate è bastato in apparenza che sembrassero di straordinaria verosimiglianza, vale a dire che corrispondessero… a ciò che già si sospettava.

Per quanto riguarda l’implicazione della sicurezza, Robert Gates, gran capo del Pentagono, si mostra sereno: «I governi che trattano con gli Stati Uniti lo fanno perché è nel loro interesse. Non perché ci amano, né perché si fidano di noi, né perché credono che noi sappiamo mantenere un segreto».


Note
(1) Serge Halimi, « Le secret et les fuites
 », Le Monde diplomatique, janvier 2011
(2) « 
Un air de contre-révolution », Le Monde diplomatique, janvier 2006



Luned́ 30 Maggio,2011 Ore: 14:19
 
 
Ti piace l'articolo? Allora Sostienici!
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori

Print Friendly and PDFPrintPrint Friendly and PDFPDF -- Segnala amico -- Salva sul tuo PC
Scrivi commento -- Leggi commenti (0) -- Condividi sul tuo sito
Segnala su: Digg - Facebook - StumbleUpon - del.icio.us - Reddit - Google
Tweet
Indice completo articoli sezione:
Stampa estera

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito


Ove non diversamente specificato, i materiali contenuti in questo sito sono liberamente riproducibili per uso personale, con l’obbligo di citare la fonte (www.ildialogo.org), non stravolgerne il significato e non utilizzarli a scopo di lucro.
Gli abusi saranno perseguiti a norma di legge.
Per tutte le NOTE LEGALI clicca qui
Questo sito fa uso dei cookie soltanto
per facilitare la navigazione.
Vedi
Info