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www.ildialogo.org Una nuova versione del fatalismo in politica<br>La storia sta virando a destra?,Di Rémi Lefebvre

Le Monde Diplomatique, aprile 2011, pag. 3
Una nuova versione del fatalismo in politica
La storia sta virando a destra?

Di Rémi Lefebvre

«I valori dei francesi si sono evoluti verso la destra: troppo poca autoritŕ, troppo poca sicurezza, troppo poca fermezza», dichiarava recentemente Nicolas Sarkozy. Il progetto del Partito socialista non si smarca ancor sempre da questa analisi, che effettivamente č molto comoda per giustificare rinunce politiche delle quali si nutre l’estrema destra.
(traduzione dal francese di José F. Padova)


Il "solito" Monde Diplomatique pone un interrogativo la cui risposta a lungo termine non è scontata, ma che riflette la situazione attuale in Europa (anche la Finlandia ha sterzato, per non parlare del vergognoso straripare dei leghisti in Cantone Ticino). In Francia le cose a sinistra vanno più o meno come da noi, anche se a destra Sarkozy riesce a essere un po' meno ridicolo. L'articolo cerca spiegazioni ma dimentica che, come ogni tsunami che si rispetti, anche l'ondata destrorsa avrà (speriamo prima che poi) il suo devastante ma liberatorio riflusso.
JFPadova

Che sia radicale o riformista, la sinistra non ha tratto profitto dalla crisi finanziaria e dalla revisione del liberalismo economico, che sembrava ormai avviata. Alle elezioni europee del 2009, quando il capitalismo finanziario apparive ideologicamente indebolito, la socialdemocrazia ha registrato una disfatta storica. Dall’altra parte dell’AStlantico un vento destrorso ha soffiato sulle elezioni di medio termine, che hanno visto il partito del presidente Barack Obama perdere la sua maggioranza alla Camera dei Rappresentanti.

Questo arretramento delle sinistre, rispetto alla fine degli anni ’90, ha dato credito alla tesi dello spostamento a destra delle cocietà occidentali, che furoreggia in alcuni ambienti politico-intellettuali e che era stata ampiamente fatta intervenire per spiegare, in termini di egemonia culturale, l’elezione nel 2007 di Nicolas Sarkozy. Lo stesso presidente appena eletto non aveva invocato Antonio Gramsci per felicitarsi di aver vinto la battaglia culturale, presupposto necessario a ogni vittoria elettorale?

Secondo questa griglia d’analisi, gli ideali della sinistra non sarebbero più sulla stessa lunghezza d’onda con l’evoluzione delle società contemporanee, segnate dalla crescita di un individualismo consumistico e dal ritiro sulla sfera privata. Il «senso della storia» annullerebbe in un certo modo i suoi principi, rimandati a una forma di arcaismo e di obsolescenza. In breve, lo spirito del tempo sarebbe a destra.

L’opera di Raffaele Simone, Il mostro mite, ampiamente discusso e commentato tento in Italia come in Francia (1), ha trattato recentemente in modo sistematico questa tesi. Per il linguista e filosofo italiano il medicale indebolimento della sinistra, perfino il suo declino giudicato inarrestabile, sarebbero legati alla cultura della modernità, che egli chiama «mostro mite». Questo sistema economico-ideologico totale, favorevole a una nuova destra incentrata sui media, il consumo, l’individualismo, minerebbe in profondità il progetto della sinistra. Questo studio critico di un intellettuale che rivendica la sua appartenenza al campo progressista emana un pessimismo radicale. Se l’opera è dedicata «a coloro che ancora vi credono», nulla indica che sia il caso per quando riguarda l’autore. La sua tesi solleva problemi reali: il dominio del liberalismo, ritiene Simone, non si fonda solamente sull’aspetto economico, ma piuttosto su una profonda dinamica culturale. Consumare, divertirsi, rimanere giovani: queste permanenti ingiunzioni sono tanto più egemoniche quanto più demoltiplicate dalla tecnologia di Internet. Il capitalismo trae la sua forza dalla sua capacità di foggiare le vite individuali, di creare incessantemente nuove dipendenze e nuovi bisogni. Esso si appoggia sulla cultura del narcisismo: secondo Simone, la passione più stimolata, più eccitata, più suscitata dalla modernità è l’egoismo, vale a dire la concentrazione su sé stessi». La società consumistica partecipa all’attenuazione generale della passione politica e smobilita la classe operaia, che non rivendica più la sua identità, ma cerca di apparire con la borghesia che vorrebbe essere.

La propensione al consumo conduce a una «concentrazione estrema sul presente»; la percezione del futuro si svuota, squalificando il discorso di «progresso». Sotto l’effetto della ipermediatizzazione delle società, la distinzione fra realtà e finzione si attenua – tutto diventa spettacolo – e la razionalità ideologica della sinistra non è più intelligibile.

Queste evoluzioni culturali minerebbero così la pertinenza di ogni progetto di trasformazione sociale. Il terreno si sfila in un certo qual modo sotto i piedi della sinistra. L’autore non elude certamente le debolezze proprie del ramo riformista di questa famiglia: fallimento morale dei dirigenti, mancanza di eredità intellettuale nei partiti, declino del pensiero politico… Questa sinistra qui si è scavata la fossa con l’abbandono della lotta operaia: essa mantiene nascosta fino all’invisibilità la classe operaia, considerata come «impresentabile» e quindi indifendibile.  I suoi principi diventano «generali e vaghi, accomodanti, pronti a diverse conciliazioni e in nulla escludenti altre posizioni». Istruendo il processo alla sinistra italiana, Simone la descrive come edulcorata, in perdita di gradazione alcolica un anno dopo l’altro, per diventare un liquidi «insipido e acquoso».

Ma l’essenziale non c’è. Il declino dipende anche da una «ragione di un’ampiezza storica maggiore e più potente, contro la quale è difficile lottare». «Con l’avvento della modernità globalizzata e consumistica, gli ‘ideali dela sinistra’ – quelli che la distinguono veramente dalla destra – sembrano non essere più all’altezza dei tempi». Di fronte al fun generalizzato e a una cultura dell’immediatezza rafforzata da una forma di «impoverimento della cultura» politica, la sinistra e i suoi principi «sacrificali» non potrebbero combattere. La sua politica verrebbe in qualche modo battuta dallo Zeitgeist, lo spirito del tempo.

Disorientato, il suo discorso non avrebbe più presa nella misura in cui non può più agganciarsi ai desideri individuali.

E la «nuova destra» appare essere più in fase con la modernità. Le sue vittorie elettorali sarebbero meno legate ai contenuti dei suoi progetti politici che alla sua capacità di imporre un pragmatismo adattato ai tratti dominanti dell’epoca. La destra che tradizionalmente difende una linea austera (valori morali a forte connotazione sacrificale) ha optato per il consumismo, talvolta ostentatore. Con l’aiuto dei media, essa si presenta come «una mentalità diffusa e impalpabile, un’ideologia flottante, un insieme di atteggiamenti e di modi di comportarsi che si respira con l’aria e le cui metamorfosi si osservano nelle strade, alla televisione o sui media». La «nuova destra» dipenderebbe così più da una cultura che da una forza politica concreta. Ultracapitalista, predica il successo, la ricchezza, e disprezza le attività intellettuali. Più vicina in apparenza agli interessi immediati dell’individuo contemporaneo, affabile, iscritta nel senso della storia, rimanderebbe la sinistra al suo arcaismo tetro e antiquato.

La lettura di Il mostro mite mette a disagio. Tutto suona allo stesso tempo vero e falso. Simone afferra con grande acume l’atmosfera del suo tempo e la sua capacità di danneggiare o soffocare i valori della sinistra, ma propone una spiegazione grossolana dei suoi meccanismi profondi. Dove vuole arrivare? La sua critica ambigua della modernità prende a prestito tanto al vecchio fondo antidemocratico, perfino reazionario, di un Tocqueville che alle prospettive più critiche ma estetizzanti di un Guy Debord o di un Jean Baudrillard (la critica della «società dello spettacolo» e la de-realizzazione). Simone denuncia l’abbandono da parte della sinistra della classe operaia, negando ogni attualità al marxismo e alla lotta di classe. Il filosofo non delinea veramente i tratti della nuova sinistra che chiama “dei suoi desideri”: essa deve piegarsi all’atmosfera del tempo, disfarlo, liquidarsi?

Pedagogia della rinuncia

La sua analisi conduce soltanto a una forma di pessimismo «declinista» ad oltranza. Egli passa sotto silenzio le nuove forme di resistenza e di radicalità, le iniziative di ridefinizione intellettuale della sinistra o i valori «post-materialisti» che emergono intorno all’ecologia. Il mostro mite deve molto al contesto della vita politica italiana e alla sua «berlusconizzazione», dei quali l’autore generalizza un po’ in fretta i tratti relativi all’insieme delle democrazie occidentali. La filosofia «bling-bling» di Nicolas Sarkozy si inserisce bene nell’aria dei tempi descritta da Simone, ma rincorrendo accanitamente le trentacinque ore non ha forse fatto dell’esaltazione «sacrificale» del «valore lavoro» una delle sue parole d’ordine di campagna elettorale? La destra non magnifica anch’essa il sacrificio del «rigore»?

In Francia la tesi di uno spostamento a destra dei sistemi di valori dei cittadini merita di essere fortemente attenuato. Le preferenze economiche dei francesi, così come appaiono nelle ricerche basate su sondaggi più approfondite del 2007 (2) combinano, secondo i soggetti, liberalismo e antiliberalismo. Alcune proposte di destra incontrano un’eco crescente: limitazione del diritto di sciopero nei trasporti pubblici o effetto disincentivante del reddito minimo d’inserzione  (RMI) sulle ricerche di lavoro [ndt: il RMI, dal 1.6.2009 sostituito dal Reddito di Solidarietà Attiva RSA, è un sussidio sociale per i redditi inferiori a un certo importo]. I valori individualistici della concorrenza progrediscono presso i ceti sociali popolari. Così, il 61% degli operai e il 68% degli impiegati interrogati sono «del tutto» o «piuttosto» d’accordo con l’idea che «si dovrebbe dare più libertà alle imprese».

Nondimeno, chi ha risposto ai sondaggi resta molto attaccato all’intervento dello Stato in economia, alla protezione del mercato del lavoro, alla ridistribuzione (57% degli intervistati nel 2007 sono favorevoli all’idea che sia necessario «prendere ai ricchi per dare ai poveri»). I valori dell’uguaglianza e della solidarietà rimangono quindi potentemente radicati ed è eccessivo diagnosticare un processo di «de-solidarizzazione» all’opera nella società. Se una parte delle categorie popolari si sono girate verso la destra, lo hanno fatto meno per adesione al suo progetto liberistico che per il fatto che essa ha saputo abilmente distogliere le loro aspirazioni a maggiore protezione e ordine sul terreno dei valori. «L’insicurezza economica provocata dal nuovo capitalismo ha condotto una parte del proletariato e delle classi medie a cercare altrove la sicurezza, in un universo “morale” che, da parte sua, non si muoverebbe troppo, addirittura riabiliterebbe i comportamenti più antichi, più familiari (3)».

Il pessimismo di Simone infine è tanto più contestabile in quanto le ultime pagine dell’opera sviluppano una concezione essenzialista dell’uomo, «naturalmente di destra» per egoismo, ciò che non manca di ricordare l’antropologia utilitarista del neoliberismo, del quale l’autore denuncia d’altro canto gli effetti…

Tuttavia, come contestare il fatto che la sinistra non abbia messo la questione culturale al centro del suo programma di lavoro e che essa abbia perso la sua capacità di «dare la sua forma al mondo», per riprendere l’espressione dell’autore? La modernità liberale ha destabilizzato in profondità i suoi presupposti culturali e morali. Tutte le formazioni sociali, perfino le meno coercitive, hanno uno «spirito» indispensabile al funzionamento dell’ordine sociale stabilito, che secerne il consenso soggettivo e quindi la legittimità della quale ha bisogno. Non vi è estensione possibile del capitalismo senza la trasformazione dell’uomo e della sua soggettività. Il liberalismo consiste in un progetto antropologico e culturale che cerca non soltanto di trasformare i modi d’azione dei governanti ma anche quelli dei governati.

La virata a destra che Simone descrive nasce da trasformazioni sociologiche per analizzare le quali egli non si dà gli strumenti, contribuendo così a renderle fatali: declino delle appartenenze soggettive di classe, smobilitazione politica delle categorie popolari legata all’indebolimento organizzativo dei partiti di sinistra, frattura e atomizzazione della società, processi multipli di declassamento sociale , invecchiamento della popolazione, periferizzazione… tante evoluzioni che non producono effetti politici univoci, ma oggi sono piuttosto sfavorevoli alla sinistra, mentre altri, come l’elevazione del livello educativo, potrebbero esserle favorevoli.

D’altra parte, i valori consumistici e liberali tanto più prosperano quanto la sinistra non oppone loro se non il suo vuoto culturale e ideologico. Sminuita, poco sicura della propria identità, offre appigli alla critica di una destra disinibita che cerca di dividere i lavoratori dipendenti e a contrapporre le categorie [sociali] le une contro le altre. In fondo, il discorso sulla «destrizzazione» offre un comodo modello d’intelligibilità delle realtà politiche e sociali ed è tanto meglio accolto in quanto esonera le organizzazioni della sinistra dalla loro responsabilità ideologica nell’indebolimento culturale del progressismo. E giustifica una «ridefinizione» della loro linea con la lro preoccupazione di ritrovarsi maggiormente in fase con l’ «opinione». Fatalista, politicamente orientata, la tesi può alimentare una forma di rinuncia e rafforzare il disarmo intellettuale della sinistra.

Ora, quest’ultima si fonda storicamente su una dinamica di politicizzazione della società, di acculturazione politica, un lavoro permanente di sottrazione a evidenze «naturali» (le disuguaglianze sociali). Si accetta la disfatta tanto più volentieri in quanto si ha rinunciato a dare battaglia.

(1) Le Monstre doux. L'Occident vire-t-il à droite?, Gallimard, coll. «Le débat », Paris, 2010. Cf la revue Le Débat, n°159, Gallimard, Paris, mars-avril 2010.

(2) Cf Etienne Schweisguth, « Le trompe-l'oeil de la droitisation », Revue française de science politique, vol. 57, n°3-4, Paris, juin-août 2007.

(3) Serge Halimi, préface à Thomas Frank, Pourquoi les pauvres votent à droite, Agone, Marseille, 2008.



Lunedě 18 Aprile,2011 Ore: 22:54
 
 
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