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www.ildialogo.org Un popolo su misura,Di Alain Garrigou

Le Monde Diplomatique, 28 marzo 2011 – Le blog diplomatique
Un popolo su misura

Di Alain Garrigou

(traduzione dal francese di José F. Padova)


Ecco una definizione che Max Weber dà del popolo: "un padrone dominato dai suoi dirigenti che non hanno altra legittimità se non quella di servirlo". E il sondaggio è uno degli strumenti per addomesticare il "padrone".
Il paradigma della misura [effettuata con i sondaggi] consiste in effetti nell’oggettivare il popolo nelle sue categorie, strati, segmenti utili, vale a dire utili per controllarlo. Insomma, un popolo misurato senza posa diventa un popolo su misura. Questo trasforma la percezione stessa di popolo
Per fortuna l'uso spropositato che alcuni fanno dei sondaggi ("Ho il 78% dei consensi!", "Il Pdl è al 59%"), se pur si tratta di veri sondaggi, hanno reso i cittadini che ancora ragionano diffidenti e cauti. Se ne occupa Le Monde Diplomatique nell'articolo allegato.
(J.F.Padova)

http://blog.mondediplo.net/2011-03-28-Un-peuple-sur-mesure

È partita [la campagna elettorale] per il 2012. I sondaggi fioriscono sul percorso di una campagna permanente. Una ripetizione un poco tediosa. Non serve alla democrazia. Certamente, questa espressione non è più diretta di quella dei “corpi intermediari” che George Gallup voleva relegare. I sondaggi pongono le domande che fanno coloro che li pagano. Essi finiscono con il soffocare qualsiasi dibattito d’idee e di progetti, tanto fanno della politica una lotta di persone fra loro. È una corsa di cavalli, una misera contrapposizione di candidati riportati ai loro ego, ai loro sorrisi, alle loro vite private. Sicuramente hanno programmi, hanno forse perfino convinzioni che vanno al di là delle loro persone. La telenovela li cancella. È un momento in cui l’apparenza elimina la sostanza.

Nessun fondatore della democrazia rinnegherebbe l’ideale di un popolo di cittadini autonomi, che fanno una scelta di destini e non una scelta di persone alle quali affidare il proprio destino. Indubbiamente i più prudenti vi mettevano condizioni di idoneità. I più entusiasti sognarono finanche un mandato imperativo, impossibili da realizzare. I sondaggi in massa tirano la politica verso il contrario, verso la consegna di sé all’autorità, alla fiducia cieca nei capi. Non è paradosso minore che lo strumento dell’espressione diretta dei fondatori dei sondaggi contribuisca fino a tal punto a ripristinare un’autocrazia plebiscitaria. Accoppiati a istituti come l’elezione del principe, essi contribuiscono a riportare i cittadini a uno status di minorenni. Perché è forse altro il domandare se si è favorevoli o non favorevoli, che futuro si vede, se si ha più fiducia o meno fiducia in un tale o in una tale? E chiedere per che persona si voterebbe se l’elezione avesse luogo domani, sapendo che l’elezione non avverrà domani e che non si conoscono nemmeno i nomi dei candidati fra i quali si dovrà scegliere…?

Si può per lo meno sperare di riportare i sondaggisti a un uso più rispettoso della gente e della democrazia. Sarebbe una tale fortuna che quella professione imponesse a sé stessa una disciplina. Vane speranze, se ci si fida dell’azione delle istanze professionali europea (Esomar) o francese (Syntec), che non sono state in grado di lottare efficacemente contro le derive, vale a dire contro la logica del profitto, che è quella di ogni impresa economica. Allora è necessario rivolgersi alle regolamentazioni pubbliche, anche se la prima legge [ndt.: recente e molto discussa perché inefficace] ha dato la dimostrazione del proprio fallimento. Si deve soprattutto rivolgersi dalla parte dei cittadini critici. Ora, se il sondo-scetticismo è ampiamente diffuso, spesso è anche mal basato, per esempio quando si approvano i sondaggi «buoni» e si disapprovano quelli «cattivi», secondo se piacciono o disturbano. Alla cittadinanza è necessario il lavoro di educazione scientifica.

Non si pretenderà di convincere i riluttanti, i quali affermeranno ancora una volta che «gli altri» l’hanno fatto prima, che hanno fatto peggio, perfino che è sempre stato così. Nessuno è più cieco di chi non vuole vedere. Quanti sono coloro che preferiscono farsi abbindolare piuttosto che rinunciare alla loro opinione? Gli intenti reconditi sono trasparenti e i dinieghi miseri. Occorre tuttavia accogliere un’obiezione. Non è quella del «niente di nuovo sotto il sole» perché, giustamente, la razionalizzazione del lavoro politico, con i suoi metodi e i suoi costi sempre più importanti, dimostra a sufficienza che le cose cambiano. Al contrario, gli obiettivi ai quali pretendono di rispondere i metodi razionalizzati del marketing politico vengono da lontano. Alexis de Tocqueville l’aveva formulato con sottigliezza a proposito dell’introduzione del suffragio universale identificando «uno sforzo immenso per addomesticare il nuovo padrone». Si trattava allora di formare i cittadini alla disciplina elettorale. Non era evidente [l’idea] di abbandonare le pulsioni alla rivolta e di moderare le passioni. Noi ne siamo il prodotto. Ciò non bastava. E ancora, come ottenere sempre il consenso? Ripudiare il “padrone” mediante la forza è diventato difficile. Rimaneva la persuasione. Addomesticare l’antico padrone [ndt.: l’A. evidentemente allude al “popolo”], questo è il programma che si sono dati gli specialisti della propaganda, l’efficacia del quale dipende innanzitutto dal diniego di questa propaganda, ovvero dei processi grossolani e talvolta sottili utilizzati fino alla nausea dalle dittature.

Si comprende che lo sviluppo della riflessione in mero marketing abbia dato ai suoi strateghi la certezza di possedere la formula. Certezza indubbiamente necessaria per convincere clienti e vendere; certezza sostenuta da nuovi strumenti. La misura, questa è la chiave del’addomesticamento dei dominati secondo quest’altra espressione paradossale di Max Weber, che sussume il paradosso democratico: un padrone dominato dai suoi dirigenti che non hanno altra legittimità se non quella di servirlo [ndt.: il grassetto è mio]. Vi è una certa continuità fra l’operazione elettorale, che consisteva nel contare i voti per istituire il numero come sovrano e le operazioni di marketing, che insinuano il numero in tutte le cose, con la segmentazione della popolazione in categorie, obiettivi, clientele, per meglio indirizzarsi a ognuna. Fino al discorso intimo e falsamente personalizzato dello storytelling, che smentisce l’operazione di oggettivazione mediante la quale è stato costruito per meglio afferrare le attese, per esibire in seguito il massiccio consenso al quale sarebbe difficile e un poco impudente resistere.
[da Wikipedia: Storytelling è una metodologia e disciplina che usando i principi della retorica e della narratologia crea racconti influenzanti in cui vari pubblici possono riconoscersi. Lo storytelling è oggi massicciamente usato dal mondo dell'impresa, dal mondo politico, e da quello economico (storytelling management) per promuovere e posizionare meglio valori, idee, iniziative, prodotti, consumi. Vedi: http://it.wikipedia.org/wiki/Storytelling_(narrativa)].

Tanto l’assuefazione degli elettori può passare per essere una condizione necessaria di lotta politica pacificata, quanto la formula è un pericolo per la democrazia. Essa ha come presupposto che si reintroduca nel cuore della competizione elettorale il meccanismo del censo, non sotto la sua forma legale di limitazione del diritto di voto ai soli ricchi, ma come capacità di erigere il denaro ad arbitro della performance. Questo non si è ancora realizzato, si obietterà a ragione. Neppure nei Paesi dove la plutocrazia elettorale è la più avanzata, come negli Stati Uniti. Non basta (ancora?) spendere fortune in pubblicità elettorale per vincere. Occorrono anche metodi più sottili, come non mancherebbero di fare notare gli spin doctors. Dimenticando quasi che si fanno pagare anch’essi e contribuiscono alla crescita del ruolo svolto dal denaro.

I metodi razionalizzati del marketing politico rappresentano un altro pericolo, quello dell’oggettivazione. Il paradigma della misura consiste in effetti nell’oggettivare il popolo nelle sue categorie, strati, segmenti utili, vale a dire utili per controllarlo. Insomma, un popolo misurato senza posa diventa un popolo su misura. Questo trasforma la percezione stessa di popolo. L’oggettivazione va di pari passo col cinismo. Bisogna ascoltare gli spin doctors parlare dei cittadini: inevitabilmente i manipolatori disprezzano i manipolati.

La formula ha una sua obiettiva fragilità perché non procede da una conoscenza ben sofisticata, anche se si richiama alla scienza. Sono piuttosto ricette approssimative che occorre magnificare, per venderle meglio e che si vendono in mancanza di altro. Se i professionisti disponessero di utensili migliori per addomesticare il popolo, li adoprerebbero. Il distacco dei rappresentanti in rapporto ai rappresentati, unito alla professionalizzazione della politica, accentua al contrario il bisogno di metodi razionalizzati volti a guadagnare consensi. Meno contatti diretti e concreti hanno con i cittadini, più i politici hanno bisogno di ricorrere ai sondaggi, più è loro necessario far uso della pubblicità e più devono razionalizzare la loro relazione con i rappresentati.

Un’altra fragilità è condizione essenziale per il dominio: la sua opacità. Mai un dominio è più efficace di quando è smentito come dominio e si fregia della volontà divina, della natura e oggi del diniego stesso della separazione fra i dirigenti e il popolo. È sufficiente scoprire i meccanismi del dominio perché esso perda la sua efficacia. Indubbiamente sono la specificità e il valore della democrazia che permettono queste operazioni di dissacrazione, ma è anche una peculiarità di ogni democrazia il minacciarli in nome della libertà, un nome per designare il dibattito, ma anche il diritto di reintrodurre la potenza del denaro nei dibattiti e di limitarli – se non proibirli. Si comprende meglio perché i soggetti sensibili e coloro che vi si arrischiano siano esposti alle minacce. Essi svelano e quindi sono pericolosi. Occorre almeno trattenerli. Mediante la guerra delle idee, assicurano i loro avversari per fare credere a un combattimento leale, ma soprattutto mediante tutti i mezzi di cui dispongono con esclusiva, il denaro e lo Stato. Le poste in gioco sono troppo importanti perché se ne faccia a meno. Per lo meno, le critiche scientifiche sanno quello che rischiano e non devono lagnarsene, salvo apparire ingenui. Almeno sono un poco rassicurati dal sapere che servono a qualcosa.


Venerdì 01 Aprile,2011 Ore: 14:48
 
 
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