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www.ildialogo.org Nella caverna di Alain Badiou,Di Evelyne Pieiller

Le Monde Diplomatique, gennaio 2011, pagg. 26/27
Nella caverna di Alain Badiou

Di Evelyne Pieiller

(traduzione dal francese di José F. Padova)


Spero mi si perdonerà questo articolo. Di Badiou non so niente più di quanto vi è scritto e di filosofia non mastico molto. L'impulso a tradurlo è arrivato perché, trascinato dal disgusto (per le attuali vicende) e dalla preoccupazione (il futuro di chi ha la vita davanti a sé), leggere parole come "le invocazioni alla moralizzazione del sistema non sono più sufficienti, ... la lotta contro la rassegnazione cerca di procurarsi sogni e armi" (armi di pensiero, ovviamente), e "Allora si comprende meglio perché non è la classe operaia che gli importa, ma il povero ultimo, simbolizzato dagli operai immigrati, e ancor più dai sans-papiers [ndt.: così sono chiamati in Francia i clandestini] – i quali «devono essere onorati, perché a nome di noi tutti organizzano l’affermazione di un pensiero diverso circa la vita umana (10)»", mi ha spinto a riferirne. L'eterno ritorno dell'aspirazione al "principio di uguaglianza" è alla base della mia curiosità. Forse qualcuno, dopo aver letto questo articolo e qualche libro di Badiou, potrebbe spiegarcelo meglio. Forse qualcuno, dopo aver ripulito l'aria dai miasmi, potrebbe cercare di metterlo (pallidamente) in pratica.
J.F.Padova

Quando l’ideale comunista sembrava sorpassato, un filosofo che vi si richiama trova un’eco sorprendente, anche all’estero. Ora Alain Badiou, che s’interroga circa le condizioni della vera uguaglianza, afferma la necessità di una rottura radicale con il consenso democratico.

Dal Philosophie Magazine ai «caffè filosofici» [ndt.: iniziativa sorta qualche anno fa a Parigi: libera discussione filosofica, aperta a tutti, che si svolge in locali pubblici,un poco come un tempo i café litteraires, con orario e argomento precisi e animatore competente. Stanno diffondendosi in tutto il mondo - http://fr.wikipedia.org/wiki/Caf%C3%A9_philosophique ], già da qualche tempo la filosofia esce dalla sua torre d’avorio per ridare un senso alla fatica di vivere. Dapprima coinvolta nel campo, raramente compromettente, della morale, oggi essa lo è anche in quello politico. Segno dei tempi, alcune brecce cercano di farsi strada nella melanconica impotenza suscitata dalla famosa coppia “legge del mercato – fine delle ideologie”.

Nulla di sorprendente quindi nel ritorno della questione dell’impegno, che corrobora la ripresa della curiosità per Jean-Paul Sartre o Albert Camus. D’altro canto, al di là della seduzione esercitata dal vigore di pamphlet del breve [libro] De quoi Sarkozy est-il le nom ? (1),, la risonanza delle opere recenti di Alain Badiou era poco prevedibile: non già perché vi si esprime una critica del capitalismo – che non è più un’anomalia nel nostro disorientato tempo–, ma perché questa è collegata a un elogio del comunismo, «questa vecchia parola magnifica», secondo la sua definizione, che la storia sembrava aver reso sinonimo di fallimento e di dispotismo. L’attuale diffusione di Badiou indicherebbe dunque che le invocazioni alla moralizzazione del sistema non sono più sufficienti, ma che la lotta contro la rassegnazione cerca di procurarsi sogni e armi. Rimane da esaminare ciò su cui si basa questa alternativa radicale della quale egli è oggi l’enunciatore riconosciuto, da pari a pari con il suo grande interlocutore Slavoj Žižek .

Badiou non intende definire un programma, bensì fare uso della filosofia come di una «forza per la destabilizzazione delle opinioni dominanti» e imporne la «pertinenza rivoluzionaria (2)», dimostrando in primo luogo il «legame interno fra il capitalismo dominante e la democrazia rappresentativa (3)». Poiché quest’ultima ammette «avversari, ma non nemici», nessuno può «esservi portatore di un’altra visione delle cose, di un’altra regola del gioco che non sia quella dominante (4)» - vale a dire il rispetto delle libertà individuali, fra le quali quella d’intraprendere, di essere proprietario, ecc. Iscriversi nel dibattito democratico significa accettarne le intrinseche limitazioni, che impediscono di pensare al di fuori di questi valori. Ora, questi valori sono anche quelli del capitalismo. Non può quindi esservi altro come programma politico se non «la definizione gestionale del possibile (5)», il possibile racchiuso nei limiti della proprietà privata… Partiti e sindacati sono votati, logicamente, a essere collaboratori del parlamentarismo capitalistico e la sinistra rivela così la sua «bassezza costitutiva». La libertà di pensiero e di scelta offerta dal liberalismo come dal riformismo è illusoria, fino a comprendere la sua espressione mediante il suffragio universale. Poiché l’individuo è sottoposto alle influenze, agli egoismi, alle ignoranze, la «ricorrente stupidità del numero», altrimenti detta legge della maggioranza, non può essere altro che tirannia dell’opinione.

Niente di rivoluzionario in questo banale disprezzo delle «elite», convinte di essere le sole dotate d’intelligenza. Salvo che Badiou lo giustifica nel nome stesso di un ideale rivoluzionario: quello dell’uguaglianza vera, ciò che implica che «gli altri esistono esattamente come me». Lo ostacola quello che egli chiama «l’animalità»: l’attaccamento a sé, alla propria identità, questo cattivo fondo spontaneamente portato a preferirsi e che si sviluppa nel possesso. Suffragio universale, suffragio degli ego

Qui si ritrova una costante del pensiero di destra, che si appoggia su questa stessa definizione della natura umana come avida ed egocentrica per «naturalizzare» il capitalismo». Badiou, da parte sua, malgrado tutto salva questa povera «specie animale che tenta di superare la sua animalità (6)», accordandole l’attitudine alla trascendenza, vale a dire la capacità di subordinare le necessità egoistiche a principi, a verità che valgono per tutti. D’altronde è qui il fondamento stesso della democrazia, che postula come ogni persona sia dotata di ragione, dipendendo dalla società (in particolare mediante l’insegnamento) fargli avere i mezzi per imparare a farne uso, allo scopo di emanciparsi dalla confusione delle pulsioni e da altri fattori d’opinione. Ma, per Badiou, l’uscita dalla caverna dell’ego non è né progressiva né programmabile. Essa ha luogo nello shock di un incontro con ciò che egli chiama «l’avvenimento». Un atto, storico, artistico o amoroso, all’improvviso fa «apparire una possibilità che era invisibile o perfino impensabile (7)», lacerando il consenso sul valore sovrano attribuito a ciò che singolarizza l’individuo piuttosto che a ciò ch’egli ha di universale. Questo svelamento repentino permette di strapparsi alla «finitezza animale delle identità», di salutare finalmente la fondamentale eguaglianza degli esseri umani: di entrare nella trascendenza.

Questa folgorante apertura di possibilità pone qualche domanda: da dove viene lo staccarsi improvviso dall’errore per salutare la verità? Per quale sorte si è «eletti»? L’attivazione della trascendenza assomiglia stranamente alla «grazia» e l’effetto trasfigurante della verità non esclude l’evocazione di una conversione. Non si può fare a meno di approvare Žižek , grande conoscitore dell’opera di Badiou, quando sottolinea che «la rivelazione religiosa costituisce il suo paradigma inconfessato (8)». L’«ipotesi comunista» sarebbe quindi l’altro nome dell’amore, questa «esperienza personale dell’universalità possibile (9)», al quale il filosofo platonico, dopo aver scritto su san Paolo, ha dedicato un libro di interviste?

Allora si comprende meglio perché non è la classe operaia che gli importa, ma il povero ultimo, simbolizzato dagli operai immigrati, e ancor più dai sans-papiers [ndt.: così sono chiamati in Francia i clandestini] – i quali «devono essere onorati, perché a nome di noi tutti organizzano l’affermazione di un pensiero diverso circa la vita umana (10)». Si comprende anche meglio perché per esistere il comunismo dovrà darsi gli strumenti per «controllare l’influsso dell’identità», sempre minaccioso, a pena di non poter mantenere una società realmente ugualitaria. Ma chi saprà giudicare che una simile scelta, un tale proposito, è portatore d’ineguaglianza, se non un’aristocrazia d’illuminati – i filosofi, detentori della verità? «Senza Idea, il disorientamento delle masse popolari è ineludibile (11)». Certamente dovrà arrivare il giorno, «forse fra mille o duemila anni, in cui la società sarebbe educata, nell’accezione platonica del termine (12)», vale a dire che tutti sarebbero filosofi. Ma aspettando questo Eden, bisognerebbe imporre il bene comune. Questo non sgomenta colui che ha sempre considerato come «il nostro debito verso la Rivoluzione culturale rimane immenso» e approva la domanda di Saint-Just: «Che cosa vogliono coloro che non vogliono né la Virtù né il Terrore», se non la democrazia priva di uguaglianza…?

L’«ipotesi» di Badiou a lungo termine fa quindi alquanto rabbrividire. Nell’immediato, per contro, questo «comunismo» non turba per nulla l’ordine istituito. Gli attacchi contro un suffragio universale «populista» non possono soddisfare gli adepti della «governance», che raramente sono rivoluzionari; il rifiuto di qualsiasi azione nel quadro di un partito o di un sindacato non può altro che rallegrare i detentori del sistema. Ma, soprattutto, l’affermazione spiritualista di una rivelazione della verità assoluta sembra non offrire più altro se non un comunismo sbarazzato dal marxismo, tento ben estratto dalla storia che ne è adornato del fascino poetico delle utopie inoffensive.

(1) Alain Badiou, De quoi Sarkozy est-il le nom ?, Circonstances, 4, Lignes, Paris, 2007.

(2) Alain Badiou, Second Manifeste pour la philosophie, Fayard, coll. « Ouvertures », Paris, 2009.

(3) Alain Badiou et Alain Finkielkraut, L'Explication. Conversation avec Aude Lancelin, Lignes, 2010.

(4) France Culture, 27 février 2010.

(5) Alain Badiou, De quoi Sarkozy est-il le nom ?, op. cit.

(6) « L'hypothèse communiste — interview d'Alain Badiou par Pierre Gaultier», www.legrandsoir.info

(7) Alain Badiou, L'Hypothèse communiste, Circonstances, 5, Lignes, 2009.

(8) Slavoj Žižek , Le Sujet qui fâche, Flammarion, Paris, 2007.

(9) Alain Badiou (avec Nicolas Truong), Eloge de l'amour, Flammarion, coll. «Café Voltaire », Paris, 2009.

(10) Alain Badiou, De quoi Sarkozy est-il le nom ?, op. cit.

(11) Alain Badiou, L'Hypothèse communiste, op. cit.

(12) Alain Badiou et Alain Finkielkraut, L'Explication, op. cit.



Domenica 23 Gennaio,2011 Ore: 16:19
 
 
Commenti

Gli ultimi messaggi sono posti alla fine

Autore Cittŕ Giorno Ora
Federico La Sala Milano 23/1/2011 17.46
Titolo:PERDONATISSIMO!!!
Caro José


CERTAMENTE, PERDONATISSIMO!!! Hai avuto grande intuito e hai fatto molto bene a sobbarcarti l’impegno della traduzione!

E’ più che brava l’Autrice dell’articolo: nella parte conclusiva, mette bene in evidenza il pasticcio e il limite di tutta l’operazione di Badiou. Questi scimmiotta la lezione biblica e non sa nulla né della lezione

-di Kant (http://www.ildialogo.org/filosofia/interventi_1285947518.htm ) così come

-di Dante (http://www.ildialogo.org/filosofia/documenti_1295288360.htm ),

-della nostra “svolta di Salerno”, della nostra Costituzione, e della lezione di don Giuseppe Dossetti (e della “charitas” - http://www.ildialogo.org/Ratzinger/Interventi_1295783420.htm ).

Da parte mia, grazie!!!

M. saluti,

Federico La Sala

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