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www.ildialogo.org Impareggiabili virtù dell’organizzazione<br>Nella fabbrica del movimento sociale,Di François Ruffin (redattore del giornale Fakir, Amiens)

Le Monde Diplomatique, dicembre 2010, pag. 22
Impareggiabili virtù dell’organizzazione
Nella fabbrica del movimento sociale

Di François Ruffin (redattore del giornale Fakir, Amiens)

(traduzione dal francese di José F. Padova)


Due anni fa, in Guadalupa, isola francese dei Caraibi, uno sciopero generale inaspettato e tenace ha costretto l'allora governo di Parigi ad ascoltare e poi cambiare rotta. Il segreto della riuscita? L'organizzazione. Proprio quello che sembra sia mancato ad Amiens durante le proteste per la legge sulle pensioni voluta da Sarkozy. E che invece hanno capito i nostri studenti (dopo il 14 dicembre), che prima di unirsi in corteo hanno studiato, dove e come farlo. Lasciando i Gasparri, Maroni, Urso, ecc. senza munizioni terroristiche. Bravi.
E i nostri operai? Nell'attuale situazione sindacal-marchionnica, sulle gru.(J.F.Padova)

Questo autunno si sono mobilitati milioni di francesi. Operai, insegnanti, ferrovieri, camionisti, personale sanitario ospedaliero e liceali hanno moltiplicato gli scioperi, le manifestazioni e i blocchi stradali. Tuttavia le loro proteste non sono sempre riuscite a coordinarsi. E per raggiungere la massa critica e costringere un governo a piegarsi l’entusiasmo non può sostituire l’organizzazione.

 «Assemblea generale, vai! Assemblea generale alla rotatoria…». Dalle 4 del mattino, martedì 12 ottobre, la zona industriale di Amiens è bloccata. Con le multinazionali Valeo, Goodyear, Dunlop; Procter  Gamble installate qui, si tratta del «polmone economico» della «prima regione operaia di Francia» (Le Figaro, 24 giugno 2008). In un paesaggio lunare di ciminiere, autostrade, reti metalliche, pneumatici fumanti sulla sede stradale, un elicottero volteggia al disopra dei militanti. Ma in questa fine di pomeriggio i ranghi si diradano. Motivo per il quale il dibattito si scatena: stop o ancora?

«Io, un movimento, voglio iniziarlo forte e terminarlo forte», avverte Mickaël Warren, delegato della Confederazione Generale del Lavoro [ndt.: equivale alla nostra CGIL] di Goodyear. «Non sia mai che ciò finisca in misero fallimento, in una ventina [di partecipanti], o in un macello, con i flic [ndt.: spregiativo per poliziotti] che caricano». – «Anche in venti si può tenere duro!», contraddice un altro. – «Che cosa vedo, io, qui?», ringhia Mickaël. «Non vedo salariati, soltanto delegati [di fabbrica]. È uno sciopero di delegati! – E peggio ancora, stasera c’è la partita di calcio! I pagliacci rimarranno davanti al loro televisore!».

Christophe Plet, il segretario dell’unione locale, dà un giudizio salomonico: «Propongo che ci si ritrovi qui alle 22 e, in funzione delle forze, si decida».

Ma alle 10 di sera non è arrivato alcun rinforzo. Sembra che vogliano venire i ferrovieri, sembra. I soli nuovi venuti sono i «blu» [ndr.: i picchiatori], allineati di fronte con caschi e flash-balls [lancia-proiettili di gomma]. Molto più numerosi degli scioperanti. I quali gettano la spugna: in meno di ventiquattro ore il blocco è caduto da solo. E non per sfortuna.

Questa «azione» l’Unione locale CGT della zona industriale l’ha decisa… la sera prima. Di conseguenza, davanti a una simile urgenza, i sindacalisti non hanno redatto alcun volantino per invitare i salariati delle aziende a unirsi ai picchetti, o solamente per ricordare loro il perché di questa «nuisance» [=azione nociva, di disturbo]. Ugualmente, nessun giornale, nessun blog ha avvertito gli altri settori (insegnanti, ferrovieri, studenti) di questa iniziativa. Nessun mezzo d’informazione collega questi universi che, di solito, s’ignorano. E soprattutto, questa occasione mancata: diecimila persone hanno sfilato, oggi, nel centro di Amiens. In questo corteo molti, senza dubbio, sarebbero pronti a prolungare la loro giornata di lotta nella «Zona». Ma durante tutto il percorso il servizio altoparlanti dell’unione dipartimentale CGT non ha segnalato il blocco – preferendo diffondere dischi. E una volta di più, nella manifestazione non si sono distribuiti volantini…

È come se due mondi, separati soltanto da sei chilometri, si dessero le spalle. Senza possibilità di congiungimento fra i «duri» delle fabbriche e, come ironizza un operaio, «i borghesi del centro che si fanno la loro passeggiata».

C’era il carnevale, in questo bel mese d’ottobre, nelle vie di Amiens. Liceali che scendono dal quartiere delle scuole verso non si sa troppo bene dove, i disoccupati che protestano davanti alla sede della Confindustria francese [Medef, Mouvement des entreprises de France] e ne fanno a pezzi le vetrate, professori che bloccano il viale davanti alla stazione, ferrovieri, scatenati, che moltiplicano le operazioni-lumaca [blocchi della circolazione] sulla circonvallazione, i pedaggi gratuiti, una benna di ghiaia rovesciata sulla strada… talvolta questi diversi cortesi s’incrociano, si rinforzano, nei  loro incontri casuali.

Si direbbero un corpo energico, con braccia che battono l’aria, gambe che si agitano, in breve membra piene di vitalità. Ma senza testa per coordinarli. Ogni professione agisce nel suo angolo, senza preoccuparsi della cooperazione. Nessun «delegato» studente che assista alle assemblee generali della zona industriale, e reciprocamente. In nessun momento i gruppi in lotta si ritrovano in un tempo comune: che cosa si potrebbe fare insieme? Come trascinare nella battaglia altri settori? Su quale corporazione fare leva: quelli del gas, gli elettricisti, gli impiegati del comune? Qui, ad Amiens, come ci si organizza per colpire efficacemente il padronato dove gli si può fare più male, vale a dire nel portafoglio? Qui, ad Amiens, come si contrasta nel modo più diretto il governo? Mai queste domande verranno poste, almeno pubblicamente. Manca il tempo per questo, perché tutti e ognuno sono trascinati in un turbine di «azioni». Da qui viene a galla il dubbio: come sperare di vincere? In faccia, il capitale è organizzato a livello planetario, con un calendario di «riforme» fissato in grande anticipo. Mentre i manifestanti non arrivano a organizzarsi a livello di una città – e improvvisano da un giorno all’altro. Come spiegare questa disorganizzazione?

 Tre decenni di rottamazione delle organizzazioni operaie, innanzitutto, non lasciano indenni. In mancanza di forze – e di speranza – si sono perse abitudini: produrre volantini di propaganda, diffonderli all’entrata della fabbrica dove si lavora, convincere uno a uno i compagni, programmare i discorsi da tenere durante i cortei, preparare un meeting comune, ecc.

 Lavoro di costruzione e d’impianto

Pesa ugualmente l’assenza di «strutture», denunciata durante numerose assemblee generali. «Ma che cosa fa l’Unione dipartimentale della Confederazione Generale del Lavoro, le spetta sostenerci!», accusa un iscritto della zona. «Dopo, faremo i conti!». Stessa campana dai ferrovieri: «Stiamo cominciando la terza settimana di sciopero, la terza... Che cosa abbiamo visto in fatto di solidarietà? Niente. Tocca all’intersindacale di mettere in piedi un coordinamento interprofessionale. Ma occorre dirlo, fin dal principio non se n’è visto alcuno! Loro non muovono un dito, i nostri dirigenti!».

Alla fine, nelle teste, domina una forma di spontaneismo. Come se bastasse, perché la vittoria arrivi in cima ai pugni alzati, aspettarsi tutto da un «appello allo sciopero generale», oppure che «tutto esploda». Invece di una paziente fatica, invece di ricostruire strumenti – un’informazione comune, sezioni forti -, reperire quadri, organizzare agende, prevedere rotazioni, ecc.

«Sciopero generale»: questo fantasma ha ossessionato tutto il conflitto. Lanciato durante i dibattiti, graffito sui muri, scandito alla fine dei cortei… Sarebbe bastato, si sente dire, che le Confederazioni lo dichiarassero perché «tutto cambi radicalmente». Effettivamente, riuniti in assemblea generale nella [regione della] Somme, gli insegnanti – con l’approvazione della Federazione Sindacale Unitaria, di Solidaires e della CGT-Educazione – hanno così votato lo «sciopero riconducibile». Senza conseguenze, apparentemente: nei licei gli scioperanti si contavano (quasi) sulle dita di una mano. E a dire il vero, i militanti preferivano non contarli neppure… Allo stesso modo, il blocco della Zona [industriale] non ha provocato disguidi nelle fabbriche, nessun negozio del centro città ha chiuso perché i commessi raggiungevano i cortei. Credere, dopo tutto questo, che il Paese fosse «a un passo dallo sciopero generale» e che sarebbe bastato a Bernard Thibault [ndt.: capo dei sindacati] proclamarlo, è sovrastimare la potenza dei sindacati. È ignorare l’immenso lavoro d’impianto, di costruzione, di contro-informazione che rimane da compiere prima di un movimento d'attacco.

In Francia l’ultimo «sciopero generale» si è svolto in Guadalupa [ndt.: isola delle Antille, territorio metropolitano francese], due anni fa. Lo si è descritto volentieri come una scossa spontanea: un «detonatore» avrebbe dato fuoco alle polveri. Errore di prospettiva. A settemila chilometri da Parigi, i sindacalisti dell’Unione generale dei lavoratori della Guadalupa hanno operato per anni – se non per decenni – per organizzare e costruire il movimento sociale. Fino a ottenere la maggioranza alle elezioni dei probiviri. Fino a costruire l’unità, un’intersindacale sulla linea «azione di massa, lotta di classi». Fino ad allargare il fronte ai partiti, alle associazioni, per fondare il LKP [ndt.: in dialetto locale Liyannaj kont pwofitasyon, vedi a http://www.lkp-gwa.org/crbst_5.html l’impressionante lista dei partecipanti]. Una volta posato questo solido fondamento, non si sono limitati a schioccare le dita soddisfatti: «Non la si decreta dall’alto, una simile decisione», ci spiegava Eddy Damas (1). «Certo, noi l’auspicavamo. Ma fra il 16 dicembre e il 20 gennaio abbiamo diffuso volantini dappertutto, alle corse ciclistiche, nei mercati, all’entrata dei cimiteri. E durante i nostri incontri sul terreno si sentiva la gente che spingeva, che li reclamava. Il frutto diventava maturo…».

Quando ci si organizza, effettivamente, i frutti cadono. Ad Amiens come a Pointe-à-Pitre [capitale della Guadalupa]. Il blocco seguente l’Unione locale della Zona industriale lo decise a monte, il sabato (16 ottobre) per il mercoledì (20 ottobre). Questo termine sembra corto: sono già tre giorni guadagnati. Tre giorni durante i quali un pugno di militanti, consapevoli che il coordinamento soffriva di lacune, si attivano. Con compiti senza merito, ma necessari: su un quadernetto, proprio così, riportare gli indirizzi e-mail, andando in giro da un gruppo all’altro – allo scopo d’indirizzare una lettera d’informazioni che annuncia le iniziative. Passare parola in anticipo, in tutte le assemblee generali, da quella degli studenti all’altra di Solidaires. E, soprattutto, servirsi della manifestazione di martedì come di un punto d’appoggio: verranno diffusi ottomila volantini «Tutti alla Zona!», un comizio improvvisato si svolgerà alla fine del percorso e, andando a coppie qua e là come tanti testimoni di Geova, i coordinatori ufficiosi annoteranno le disponibilità dei manifestanti («Quando potrete salire alla Zona? Alle 4 del mattino? Domani a mezzogiorno?»), ecc. Nulla di formidabile, nessuna idea geniale. Ma questo fai-da-te è sufficiente.

«Questo non lo si è mai visto!», esclama Warnen il giorno dopo. «Mai sulla Zona, mai! Là resteremo fino a venerdì sera! Gliele daremo sode!». Quasi quasi si metterebbe a ballare. Il fatto è che si è appena rotto un isolamento. L’angolo più remoto d’Amiens diventa un luogo d’incontro dall’alba al crepuscolo. A un incrocio, a sera una fanfara darà un concerto. Perfino i delegati si spostano lassù e offrono salsicce. E per la prima volta, trascinato dalla corrente, il segretario dipartimentale [ndt.: il département corrisponde all’incirca alle nostre province] della CGT sale anche lui – e si dichiara favorevole al blocco. La scommessa è riuscita: si realizza la connessione fra la piccola borghesia intellettuale del centro città e gli operai della Zona. E continua.

Dopo una prima notte, i camion sono allineati a decine ai margini della carreggiata, altri fanno inversione di marcia. In mancanza di merci, le catene di produzione di Valeo, Procter & Gamble, Dunlop, ecc., girano al rallentatore – o non girano affatto. Sulla stampa locale la Confindistria (Medef) fa la faccia contrita e ritiene ormai che la riforma manchi di «leggibilità». Poiché i picchetti non mollano, alla prefettura [ndt.: préfecture de police=questura] non rimane che un’opzione: la forza.

Alle 23, quel giovedì, trecento, quattrocento persone, operai, certamente, ma anche studenti, insegnanti, educatori e delegati, sono ancora raccolti alla «rotatoria dello zio Sam», non logori, non stanchi, piuttosto burloni – malgrado le camionette della polizia che stanno loro di fronte. Certo che i poliziotti «ristabiliranno l’ordine». Salvo che, questa volta, gli sbarramenti non sono scomparsi da soli. Ci vorranno i manganelli, i lacrimogeni, l’elicottero, un fuoco d’artificio nella notte per disperdere la folla.

Di fronte al «flusso di lavoratori che Parigi riversa» - questi lavoratori che «al bar» fanno «politica» - il padre Pierre Lhande si preoccupava, nel 1927, che una rivoluzione sociale non compromettesse «le nostre vite, i nostri monumenti, i nostri musei, le nostre biblioteche». A credergli, il sistema era appeso a un filo: «Non manca loro che una cosa: organizzarsi con il favore della libertà di cui godono, in covi che la polizia è del tutto incapace di sorvegliare. Non occupano forse già tutte le posizioni strategiche? (2)».

(1) Leggere «Une flammèche obstinée a embrasé la Guadeloupe» e Fabrice Doriac, «Lame de fond à la Guadeloupe», Le Monde diplomatique, rispettivamente novembre e marzo 2009.

(2) «Le Christ dans la banlieue» [Cristo nella periferia], Plon, citato in  Rouge et Vert, n° 310, Paris, 23 juin 2010.

 



Lunedì 27 Dicembre,2010 Ore: 20:24
 
 
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