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www.ildialogo.org Trucchi pubblicitari<br>Come i numeri ci manipolano,di Sandra Kaselow (traduzione dal tedesco di José F. Padova)

Der Spiegel, Hamburg – 31 luglio 2010
Trucchi pubblicitari
Come i numeri ci manipolano

di Sandra Kaselow (traduzione dal tedesco di José F. Padova)

I numeri sono univoci, esatti, attendibili e ci fanno fare scelte razionali. Neanche per sogno: noi siamo estremamente facili da manipolare – con i medesimi dati. Nuovi studi danno un’idea di quanto rapidamente la pubblicità può farsi beffe di noi.


Per chi c'era, l'8 settembre 1943 non è giorno che si possa dimenticare... Ma guardiamo invece ai giorni nostri (ormai, alle ore nostre, visto il ritmo che il plurincriminato dà alla lotta per la sopravvivenza, la sua). Leggendo l'articolo che Der Spiegel dedica alla manipolazione pubblicitaria mi ha colpito la frase finale: " E i clienti? Dovrebbero una buona volta stare attenti a quali dati precisi e slogan sono usati da un'azienda". Provate a vederla alla luce dell'affermazione di Fini riguardo agli elettori come clienti della Standa: che l'azienda sia il governo? Non cercate comunque di applicare il teorema di Bayes. "Fare meno calcoli porta a risultati migliori".
JFPadova
I professionisti lavorano per mesi alla loro strategia. Quando hanno finito e la cosa tira bene, il piano è tanto limato quanto adeguato. E all’improvviso tutto sembra facile, univoco, convincente.

Per manipolare il pubblico l’industria della pubblicità ha i suoi metodi. Uno dei sistemi più raffinati è quello di presentare i numeri esatti di un prodotto precisamente in modo tale che questo si trovi in posizione migliore rispetto a quello della concorrenza. I numeri rendono attendibili le campagne pubblicitarie. Perché alla fine i numeri non mentono.

Oppure?

Due studi della rivista specializzata "Journal of Consumer Research" forniscono nuove informazioni su come i medesimi numeri, presentati in modo diverso, vengano percepiti del tutto differentemente. La conoscenza di questa circostanza offre elementi di metodo ai pubblicitari, come pure chance per i consumatori di analizzare criticamente le loro decisioni.

L’ambiente è decisivo
Uno studio di Marcus Cunha e Jeffrey Shulman dell’Università di Washington esamina come la percezione di un prezzo dipende, negli annessi e connessi, dai prezzi dei prodotti similari. Risultato: la suggestione non funziona sempre secondo il medesimo principio – ma dipende dalla strategia pubblicitaria. Secondo gli scienziati vi sono due gruppi di acquirenti, con differenti atteggiamenti fondamentali.

- Gli uni hanno una posizione che i ricercatori chiamano discriminante. Queste persone cercano caratteristiche che distinguono un genere di prodotto da un altro. Se un discriminatore vuole comperare una scarpa da jogging, cerca di circoscrivere esattamente la categoria “scarpe per jogging” e di trovare particolarità che la distinguano, per esempio, da quella delle scarpe per pallacanestro.

- Le altre persone dagli studiosi sono chiamate generalizzatrici. Esse si interessano a qualità che i prodotti di un certo genere hanno in comune. Se un appartenente a questa categoria di acquirenti vuole comperare scarpe da jogging per prima cosa considera approfonditamente ciò che è tipico di una scarpa da jogging.

I ricercatori presumono che le strategie pubblicitarie possano avere influenza su quale comportamento tiene il cliente. Cunha e Shulman hanno prodotto due filmati pubblicitari per un medesimo lettore di MP3. Il primo spot dovrebbe proiettare gli spettatori in un atteggiamento discriminatorio, con lo slogan: “Siete in grado di distinguere un lettore ad alte prestazioni da un altro qualsiasi?” E poi: “Soltanto se possiede le caratteristiche A, B e C un lettore di MP3 è competitivo”. Il secondo spot dovrebbe generare un comportamento generalizzante, con lo slogan: “Che cosa vi aspettate da un lettore di MP3 ad alto rendimento?”, seguito da : “Un lettore MP3 ad alta prestazione ha le caratteristiche A, B e C”.

255 persone in tutto a loro volta hanno visto uno degli spot. Dopo di che hanno valutato in successivi passaggi i prezzi dei diversi apparati. Il prezzo dell’esemplare esaminato rimaneva sempre invariato, mentre gli altri venivano modificati – e la gente si faceva influenzare.

- Chi aveva visto lo spot generalizzante si interessava al prezzo medio e se ne faceva influenzare. Un prezzo medio più elevato di quello degli altri prodotti dello spot ha fatto apparire più pregiato anche il lettore in questione. Lo spettatore fu quindi influenzato nella stessa direzione nella quale erano stati modificati i prezzi.

- Chi aveva visto lo spot discriminante ha stimato i prezzi diversamente da chi ha visto quello generalizzante. Ha posto attenzione specialmente al prezzo più basso e più alto e quando il prodotto più caro è diventato ancora più costoso ha percepito il lettore reclamizzato come il più appetibile. Allo stesso modo in senso contrario. Il potenziale acquirente è stato quindi influenzato nella direzione opposta a quella verso la quale veniva modificato il prezzo.

Cunha e Shulman verificarono i loro risultati in due successivi esperimenti. In entrambi i casi giunsero a risultati simili. Con il che rimane stabilito che il prezzo reale del prodotto non deve mutare – ma a seconda di quale strategia viene messa in atto, in ambito di mercato gli interessati all’acquisto reagiscono alle variazioni del prezzo in modo differente.

La differenza fra dati percentuali e dati assoluti
Tutt’altro fenomeno hanno preso in considerazione Dipayan Biswas della Bentley University, Guangzhi Zhao della University of Kansas e Donald Lehmann della Columbia University – e hanno trovato qualcosa di altrettanto sorprendente circa gli effetti della pubblicità. Essi hanno analizzato le differenti percezioni di numeri percentuali e assoluti.

Un esempio. Che  cosa è maggiore: l’80% di 70 punti – o 56 punti su 70?
La risposta è ovvia, entrambi sono la stessa cosa. Tuttavia le forme con cui sono presentati hanno un effetto diverso.

In Internet, per esempio, nel campo della classificazione e dell’informazione su un prodotto possono essere usati sia valori percentuali (“il x percento di tutti i clienti considerano utile questo articolo”) sia valori assoluti (“il prodotto ottiene dai test x punti su y”). Dipende da come il consumatore dovrebbe reagire.

Ora i ricercatori hanno scoperto che dati percentuali possono indurre a conclusioni errate. Anche qui un esempio: un professore desidera investire 1.000 euro in un fondo pensioni e ha la scelta fra due, Fidelity e Goodlife. Egli vorrebbe scegliere quello che promette la pensione migliore. Si informa presso diverse fonti. La sua prima fonte d’informazioni stima Fidelity migliore e colloca all’80 percento le aspettative di buoni risultati, basandosi su simili valutazioni avvenute in passato. Una seconda fonte considera anch’essa migliore Fidelity, ma stima le sue previsioni corrette soltanto nel 70 percento dei casi.

Poiché è relativamente facile calcolare con percentuali di questo genere, il professore trova il valore medio – proprio come molti consumatori farebbero in questo caso. Sceglie quindi di investire il 75 percento in Fidelity e versa mensilmente 750 euro a questo fondo, mentre a Goodlife vanno 250 euro.

Ma proprio questo è errato.

Il calcolo percentuale, apparentemente facile, ha portato in errore il professore. In realtà egli avrebbe dovuto applicare il cosiddetto teorema di Bayes sul calcolo delle probabilità [ndt.: cerca in Google “Teorema di Bayes” e vedi http://xoomer.virgilio.it/roberto-ricci/articoli/prob/bayes.htm ]. Con il suo ausilio si può determinare come varia la probabilità di un evento se si ricevono nuove informazioni. Il principio è abbastanza intuitivo: il fatto che una seconda fonte di dati sia pervenuta alla medesima valutazione della prima avrebbe dovuto orientare ancor più fortemente il professore verso la Fidelity – anche se la seconda fonte è un po’ meno attendibile della prima. Secondo il teorema di Bayes il professore avrebbe dovuto investire in Fidelity il 90,32 percento. Con il 75 percento egli al contrario non confida abbastanza nel Fondo presumibilmente più efficiente.

Fare meno calcoli porta a risultati migliori
Che ha a che fare questo col problema dei dati assoluti o percentuali? I ricercatori hanno concluso che le valutazioni dei clienti migliorano se si basano non già su valori percentuali, ma su dati assoluti. Ciò si basa evidentemente sul fatto che questi sono più complessi da elaborare dei valori percentuali. I consumatori poco usi al calcolo danno invece ascolto proprio a quello che la prima fonte d’informazione dice loro e conservano nella memoria questi dati. Se la seconda fonte d’informazione si pronuncia in modo analogo, essi tendenzialmente correggono le loro stime verso l’alto. E con ciò arrivano più vicino al risultato corretto che applicando calcoli sulla media di dati percentuali. Nell’esempio adottato, se fossero state comunicate in valori assoluti le indicazioni mirate di entrambe le fonti, probabilmente il professore avrebbe investito in Fidelity più di 750 euro.

Le conclusioni di entrambe le ricerche in teoria possono sembrare inadatte – ma nella pratica si possono applicare in modo eccellente. Per esempio, una campagna anti-sigarette aumenta in efficacia mentre i rischi del fumo vengono espressi in numeri assoluti (“x su y fumatori sono colpiti da cancro ai polmoni”). In questo caso, piuttosto che in presenza di dati percentuali, è più verosimile che questo ammonimento sia percepito correttamente.

Se i pubblicitari al contrario vogliono sminuire l’effetto dei dati possono ricorrere ai valori percentuali – per esempio, le aziende farmaceutiche, che devono indicare i punti deboli delle loro medicine.

E i clienti? Dovrebbero una buona volta stare attenti a quali dati precisi e slogan sono usati da un’azienda.


Giovedì 09 Settembre,2010 Ore: 14:15
 
 
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