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www.ildialogo.org Brancolamenti postelettorali<br>Poker di menzogne in Sudan,di Jérôme Tubiana, ricercatore indipendente.

Le Monde Diplomatique, luglio 2010, pag. 13
Brancolamenti postelettorali
Poker di menzogne in Sudan

di Jérôme Tubiana, ricercatore indipendente.

(traduzione dal francese di José F. Padova)


Omar Al-Baschir è uno dei (tanti) dittatori che in tutto il mondo esercitano il potere di vita e, sempre, di morte sui loro sudditi, fatti passare per cittadini democratici. Nel caso del Darfur, parte meridionale del Sudan abitata da persone di pelle nera, la morte inflitta dal regime di Al-Baschir mediante i suoi assassini a cavallo ha colpito centinaia di migliaia di innocenti. Credo che per un giornalista o uno storico "vero" (non è il mio caso, io traduco il pensiero di altri, anche se uno mio lo avrei) che si occupa professionalmente di tragedie simili e delle responsabilità che ne derivano, per atti commessi e interventi omessi, il dover constatare la desolante ripetizione di questi delitti porti alla domanda finale: "Chi, che cosa, è l'uomo?". Ne consegue lo strazio, oppure una forse involontaria "rimozione", come abbiamo visto recentemente. "A che serve addolorarsi, indignarsi? Le cose vanno per la strada che la bestialità umana apre davanti a loro". Con il che, la questione è chiusa. Molto "umanamente".
JFPadova

Primo capo di Stato a cadere sotto il colpo di un mandato d’arresto della Corte Penale Internazionale (CPI) mentre svolge le sue funzioni, il presidente sudanese Omar Al-Baschir è stato rieletto il 26 aprile scorso. Anche se le frodi elettorali sono state lampanti, Al-Baschir sembra conservi una sua influenza sul suo Paese e sul continente africano. «Comunità internazionale» e attori locali giocano una strana partita di poker menzognero, col rischio di fare stagnare la crisi in Darfur»
di
Jérôme Tubiana, ricercatore indipendente.
(traduzione dal francese di José F. Padova)

Il capitano Zakaria Ad-Dush alle elezioni generali sudanesi dell’11 aprile non ha votato. La vigilia del voto, questo comandante ribelle del Darfur si trovava al mercato di Birak, nel Ciad, a qualche chilometro appena dalla frontiera. Ancora qualche mese fa, questo ufficiale e i suoi uomini circolavano liberamente sul territorio del Ciad, a bordo di camionette cariche d’armi (1).

Ma oggi egli deve ottenere dall’esercito del Ciad il permesso di venire a Birak, in civile – portando con sé soltanto un revolver nascosto sotto la sua djellaba. Dopo cinque anni passati a combattere per interposti guerriglieri, N’Djamena e Kartum in questi ultimi mesi hanno avviato un avvicinamento apparentemente più sincero dei precedenti tentativi (2). E nel quadro della loro fresca riconciliazione, il presidente Idriss Déby Itno ha fatto al suo omologo sudanese Omar Al-Baschir un bel regalo per la sua campagna elettorale: ha chiesto al Movimento per la giustizia e l’uguaglianza (JEM), al quale Dush appartiene e che il potere del Ciad ha sostenuto per lungo tempo, di lasciare il territorio ciadiano.

Spinto particolarmente da N’Djamena a negoziare col regime sudanese, il JEM ha tentato di guadagnare tempo reclamando un rapporto sulle elezioni. Ma per Kartum la cosa è fuori discussione: ventun anni dopo il colpo di Stato che l’ha portato al potere, Al-Baschir contava su queste votazioni nazionali e multipartitiche per acquistare una nuova legittimità. Come previsto, il presidente ha vinto (più del 68% dei voti). Il suo partito, il Congresso nazionale, ha ugualmente rinforzato il suo dominio sul parlamento – attribuendosi una maggioranza del 73% ed eliminando quasi tutti i partiti tradizionali – e sul «Governo di unità nazionale» proclamato il 15 giugno. E poco gli importano le frodi e il boicottaggio dei partiti d’opposizione; il principale avversario di Al-Baschir si trova altrove, nella persona di Luis Moreno Ocampo. Procuratore della Corte Penale Internazionale (CPI), questo magistrato argentino ha effettivamente ottenuto, nel marzo 2009, che contro il presidente sudanese venisse spiccato un mandato di arresto, per crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi in Darfur.

Ancor prima della proclamazione dei risultati Nafi Ali Nafi – l’influente vice presidente del Partito del Congresso nazionale, del quale è membro Al-Baschir – ha svelato la loro vera posta in gioco: la rielezione del presidente «proverà che le affermazioni contro di lui sono false» e «dimostrerà senza ombra di dubbio che la popolazione rifiuta le posizioni della CPI (3)».

Senza dubbio alcuno il risultato del voto serve alla strategia di Moreno Ocampo, che non ha mai nascosto il suo desiderio di «picchiare il più alto possibile», senza troppo attardarsi sui janjawid, quelle milizie [a cavallo] che Kartum ha armato a partire dal 2003 per venire a capo della ribellione del Darfur (4). Il capitano Ad-Dush ne ha fatto parte fra il 2003 e il 2005, è stato uno dei comandanti dello sceicco Musa Hilal, che dirige le tribù arabe dei Mahamid e oggi è il più famoso dei capi janjawid. «All’inizio del 2004, racconta, ho ricevuto dallo sceicco Musa l’ordine di uccidere tutti gli abitanti di Sura, nell’ovest del Darfur. Alcuni di loro erano armati, ma non erano ribelli. Abbiamo suggerito a Musa di negoziare con i paesani perché facessero uscire fuori i ribelli. Egli ha risposto: “Non ne vale la pena, occorre eliminarli tutti”. Avevamo fra i cinquanta e sessanta autoveicoli, cavalli, armi, cammelli, e fra i cinquecento e i settecento combattenti. Abbiamo ucciso tutti: bambini e madri, vecchi e giovani, civili e ribelli. Trecentoquarantacinque persone».

Il Tribunale penale internazionale ha un considerevole impatto sulle parti presenti in Darfur. Da un lato ha contribuito ad allontanare i gruppi arabi dal governo sudanese. Ma, dall’altro, presentando il conflitto come un «genocidio» delle popolazioni non arabe perpetrato da un regime e dai suoi ausiliari «arabi», inevitabilmente non facilita la riconciliazione fra le comunità.

Al tempo in cui Ad-Dush comandava tremila miliziani a Misteriha, Hilal vi aveva imprigionato l’ omda (5) Ali Khidir, uno dei capi del principale gruppo etnico del Darfur, i Fur. Un anno dopo egli evase e si rifugiò sulle montagne del Djebel Marra, bastione dell’Armata di Liberazione del Sudan (Sudan Liberation Army, SLA), il primo movimento ribelle del Darfur. È stato chiamato la testa del comitato delle tribù del djebel, che cerca di stabilire rapporti con gli arabi che vivono nei dintorni della zona controllata dalla ribellione.

A partire dal 2006 l’omda ha moltiplicato le aperture in direzione di queste popolazioni – con giuramenti sul Corano, l’apertura di mercati comuni e la restituzione di bestiame rubato. «Da quando gli arabi hanno appreso che la CPI avrebbe incolpato Al-Baschir, si fa a chi sarà il primo a negoziare con noi», assicura Mujib Ar-Rahman, il numero due del comitato della tribù. «Qualcuno fra noi si lamenta, non vuole fare la pace con i criminali. Noi rispondiamo loro: “Dimenticate i vostri risentimenti personali, pensate all’interesse generale”».

I ribelli del Djebel Marra in effetti si trovano di fronte a un dilemma. «Quando ero prigioniero», confida l’ omda Khidir, «gli arabi ci trattavano come schiavi. Dopo quello che ho vissuto è difficile negoziare con loro». Se Khidir preferisse che ogni criminale fosse punito, non può trovare un’intesa con gli ex janjawid senza mettere da parte il suo desiderio di giustizia. Quando negoziano, i suoi uomini restano quindi silenziosi sui crimini commessi ed è a questo prezzo che essi giungono a instaurare fragili accordi di coesistenza fra le popolazioni.

In quanto alla riconciliazione vera e propria, essa non è ancora possibile, tanto più che la giustizia internazionale priva gli attori locali dei mezzi tradizionali – le compensazioni e il perdono contro le confessioni – che permettono di riuscirci. Lontano dal terreno degli scontri, la CPI nel presente costituisce soprattutto un’arma nella guerra di propaganda cui si dedicano il governo e i ribelli del Darfur. Nei due campi si interpreta il mandato d’arresto contro Al-Baschir come un sostegno dell’Occidente ai ribelli; ma quando Kartum ne approfitta per chiamare allo scatto d’orgoglio nazionale, questi ultimi riprendono la retorica di Moreno Ocampo per stigmatizzare come «genocidario» un regime con il quale tuttavia essi sono tenuti a negoziare.

Il procuratore non ha esitato nel paragonare i campi profughi del Darfur a campi di sterminio nazisti – facendo implicitamente delle ottanta organizzazioni non governative e quattordici agenzie delle Nazioni Unite che vi lavorano i complici di ciò che ha definito “uno sterminio pianificato” –, nel corso di un’intervista del luglio 2008. «Non hanno bisogno di camere a gas, perché il deserto ucciderà [i profughi]». Come stupirsi se, da allora, uno dei principali capi ribelli del Darfur, Abdel Wahid Mohamed Ahmed Nur, ne trae argomenti per rifiutarsi di trattare con Kartum? Le dichiarazioni più politiche che giuridiche di Moreno Ocampo hanno fornito argomenti ai più radicali. «Se Al-Baschir è accusato, non è la persona con la quale negoziare», affermava nel febbraio 2009. «Credo che i negoziatori debbano imparare ad adattarsi alla realtà. La Corte è una realtà (6)».

Tuttavia il procuratore ha perso la sua scommessa, perché il suo “storico” mandato d’arresto contro Al-Baschir, lungi dal destabilizzare il regime, l’ha incoraggiato a rafforzare la sua presa sul Paese, compreso il sotterfugio delle elezioni.

Un recente rapporto del gruppo di ricerca Small Arms Survey, con base in Svizzera, stima perfino che la CPI abbia congelato la possibilità di una democratizzazione del Sudan: «L’obiettivo del Partito del Congresso nazionale è cambiato, passando dal mantenimento della sua importanza in un sistema democratico alla conservazione del potere ad ogni costo. Le elezioni, che miravano a rendere possibile una maggiore spartizione del potere, sono diventate uno strumento per legittimare Al-Baschir, convinto che essere rieletto e rimanere nel palazzo presidenziale sia la sua migliore protezione contro una cattura (7)». Alcuni osservatori affermano che, senza il mandato d’arresto, il presidente avrebbe potuto lasciare che un altro candidato portasse i colori del suo partito.

Rafforzato dalla sua rielezione, Al-Baschir può sperare che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite congeli i procedimenti giudiziari che lo riguardano, come ne ha il diritto per la durata, rinnovabile, di un anno? È poco probabile che gli Stati Uniti o la Francia, sottoposti alle pressioni delle organizzazioni militanti, gli offrano questa chance. I sostegni del presidente sudanese si trovano soprattutto in Africa: l’Unione Africana in luglio 2009 ha annunciato che i suoi membri non collaborerebbero con la CPI e in Africa sono numerosi i paesi dove ci si meraviglia che le indagini condotte da Moreno Ocampo riguardino esclusivamente questo continente – Darfur, Uganda, Repubblica democratica del Congo, Repubblica Centro-Africana.

Contraddizioni americane
In mancanza di dati incontestabili, perfino la stessa popolarità di Al-Baschir in Sudan è oggetto di pareri molto marcati, con gli avversari del regime che si oppongono a tutti coloro, sudanesi o no, che spazzano via in fretta le irregolarità constatate durante l’organizzazione della votazione, argomentando che il capo dello Stato sarebbe stato rieletto in ogni modo. Eppure alcune di queste irregolarità sono state ben visibili – un video che mostra il riempimento [fraudolento] di un’urna è stato perfino messo in Internet. Secondo alcuni osservatori elettorali le frodi sono state particolarmente importanti in Darfur, dove soltanto il partito al potere ha potuto svolgere realmente la campagna elettorale. Il censimento del 2008 aveva già indicato la volontà di Kartum di lasciare poco spazio alla sorte: la maggior parte dei circa tre milioni di profughi e rifugiati del Darfur non erano stati registrati sulle liste elettorali.

Quale che sia la loro opinione su Al-Baschir, però, i sudanesi si mostrano perplessi di fronte all’incoerenza dell’Occidente che, da una parte, sostiene la CPI e, dall’altra, prende atto del risultato dell’elezione presidenziale formulando critiche minime. Gli osservatori dell’Unione Europea e della fondazione Carter si sono accontentati di sottolineare che le votazioni «non sono state conformi alle norme internazionali». Le contraddizioni sono particolarmente evidenti negli Stati Uniti, dove i fautori della carota, guidati dal generale Scott Gration, inviato speciale americano per il Sudan, e quelli del bastone, condotti dall’ambasciatrice alle Nazioni Unite Susan Rice, non riescono a mettersi d’accordo (8).

Esercitando, nelle settimane precedenti le votazioni sudanesi, forti pressioni sui ribelli del Darfur, in particolare sul JEM, perché addivenissero a una accordo di pace, la «comunità internazionale» ha dato l’impressione di fare il gioco di Kartum. Alla fine i negoziati furono rinviati, ma rimane il rischio che un simile accordo, nel caso i ribelli sottoscrivano una pace al ribasso con un governo rafforzato dalla sua vittoria elettorale, venga poi rigettato sul terreno, come quello di Abuja in Nigeria del maggio 2006 (9).

Una settimana prima delle elezioni un gruppo di mediatori per il Darfur dell’Unione Africana e delle Nazioni Unite dialogava con i rifugiati darfuriani del campo di Kounoungo, nel Ciad, a una cinquantina di chilometri a est di Birak. Si trattava di ascoltare le loro rimostranze e permettere ai loro rappresentanti di partecipare al processo di pace. Per alcune ore i dibattiti sono stati dominati dalle amare constatazioni circa una consultazione alla quale i profughi non avrebbero potuto partecipare: «Tre milioni di persone non sono state censite. In queste elezioni siamo stati dimenticati», constatava un insegnante. «La comunità internazionale non è capace di fermarle? Noi non ci aspettiamo più alcuna pace dalle Nazioni Unite; soltanto Dio può aiutarci, qui e ora presente ».

Sul Darfur si trovano numerosi articoli in: www.ildialogo.org/estero (in tre sezioni), dove è possibile selezionarli con “Trova” –Darfur-.

Ecco qualche link:
Non lasciateci soli, Die Zeit, (2004):
http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/estero/estero130620044.htm

La morte a cavallo, di Georg Brunhold (2004)
http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/estero/estero0209022007.htm

Ordini da Kartum (Musa Hilal) (2005):
http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/estero/estero290320053.htm

Nel Darfur la desolazione, Le Monde Diplomatique (2006):
http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/estero/estero14112006.htm

Cronaca di un genocidio ambiguo, di Gérard Prunier (2007):
http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/estero/genocidioambiguo26032007.htm



(1) Cf « La guerre par procuration entre le Tchad et le Soudan et la "darfourisation" du Tchad : mythes et réalités», Small Arms Survey, Genève, avril 2008,
www.smallarmssurvey.org
(2) Lire Gérard Prunier, «Comment le conflit au Darfour déstabilise le Tcha
d», Le Monde diplomatique, mars 2008.
(3) Agence France-Presse (AFP), 26 avril 2010.
(4) Cf Julie Flint et Alex De Waal, « Case closed : A prosecutor without borders », World Affairs, Washington, printemps 2009.
(5) Capo di una comunità.
(6) Site Foreign Policy, 12 février 2009.
(7) Julie Flint, «Rhetoric and reality : The failure to resolve the Darfur conflict », Small Arms Survey, février 2010.
(8) Site Foreign Policy, 29 janvier 2010.
(9) Concluso il 5 maggio 2006, l’accordo di pace di Abuja prevede il disarmo, posti per i ribelli in seno al potere centrale e regionale, indennizzi per le vittime e contributi per lo sviluppo, un processo di riconciliazione… ma è stato firmato da una soltanto delle fazioni ribelli



Lunedì 02 Agosto,2010 Ore: 13:13
 
 
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