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www.ildialogo.org La grande disillusione dei giudici italiani,Di Francesca Lancini, giornalista, Milano

Le Monde Diplomatique, giugno 2010, pagg. 22-23
La grande disillusione dei giudici italiani

Di Francesca Lancini, giornalista, Milano

(traduzione dal francese di José F. Padova)


Il terzo articolo che "Le Monde Diplomatique" colloca all'insegna de "Il trionfo dell'oligarchia" può sembrare ridondante, visti gli scaffali delle librerie italiane pieni di odore di soldi, mani sporche, denari del cavaliere e altre tristezze.
Non lo è: infatti il mensile francese è diffuso a livello elevato nel mondo dell'informazione, della scienza e degli affari e quindi queste notizie, per noi ormai quasi viete (purtroppo con ben poca reazione antivirale), lasciano il segno.(José F. Padova)
Diciotto anni fa i magistrati italiani lanciavano un’offensiva senza precedenti contro la corruzione della classe politica. La loro vittoria ebbe breve durata.
Un gruppo di magistrati guidato da Francesco Saverio Borrelli, procuratore della Repubblica a Milano, nel 1992 si lancia all’assalto del muro della corruzione e porta alla luce un gigantesco sistema di bustarelle fra politici e industriali, presto battezzato «Tangentopoli» (da tangente, denaro sottobanco, e polis, città in greco antico) nel quadro di un’operazione giudiziaria che avrà l’appellativo di «Mani pulite». Miniostri, deputati, senatori, ma anche l’ex presidente socialista del Consiglio Bettino Craxi, cadono sotto il colpo delle condanne penali. Polverizzati, spariscono partiti politici storici come la Democrazia Cristiana (DC) e il Partito socialista italiano (PSI). Attraverso il Paese cresce allora la speranza di un rinnovamento della classe politica.
«Si sono suonate a morto le campane della I. Repubblica, con le sue compravendite pubbliche, le sue spartizioni e le sue partecipazioni di Stato»
Pressappoco vent’anni più tardi magistrati veterani testimoniano e danno la misura di ciò che ha rappresentato questo maremoto, percepito allora come l’innesco di una II. Repubblica (1). Nel suo ufficio al Tribunale di Milano il solo magistrato ancor oggi al suo posto (con Ilda Boccassini, arrivata nel 1995), il procuratore Francesco Greco, conserva nel suo PC una vecchia fotografia del pool «Mani pulite»: «La nostra inchiesta ha suonato le campane a morto per un sistema. La I. Repubblica, con le sue compravendite pubbliche, le sue spartizioni e le sue partecipazioni di Stato, era morta». Uno sconvolgimento che, all’inizio degli anni ’90, ne riflette un altro: l’avvento dell’economia finanziaria, che a poco a poco soppianta quella industriale.
D’altronde il fenomeno supera le frontiere italiane. Durante lo stesso periodo, dall’affaire Urba a quello del Comune di Parigi (2), anche la Francia subisce le scosse degli scandali politico-finanziari. Il grande pubblico scopre le indagini dei magistrati Eric Halphen, Eva Joly, Thierry Jean-Pierre o Renaud Van Ruymbeke e non è più una rarità il vedere uomini politici, tanto di destra quanto di sinistra, sotto interrogatorio dei giudici. Sette magistrati di diverse nazionalità (ai quali si unisce il giornalista francese Denis Robert) giungono a lanciare, nel 1996, l’Appello di Ginevra, mirante a rafforzare la cooperazione giudiziaria europea, in particolare in materia di lotta contro la corruzione.
Oltre a Van Ruymbeke fra i firmatari si trova Gherardo Colombo, un altro protagonista di «Mani pulite». Nel 2007, dopo trent’anni di servizio, egli lascia la magistratura, amaramente: «Le nostre investigazioni hanno costituito un grande progresso per i cittadini, ma il risultato giudiziario rimane molto limitato. La maggior parte dei processi si sono dissolti per prescrizione, quando sul filo degli anni le fattispecie criminose non hanno perduto il loro carattere di delitto [ndt.: vedi le leggi ad personam e gli altri trucchi legislativi].
In effetti, «diverse leggi sono state ritagliate su misura per cancellare il carattere delittuoso del finanziamento dei partiti politici o della falsificazione dei bilanci», spiega Antonio Di Pietro, uno dei magistrati più noti dell’epoca, entrato in politica nel 1996 con il centro-sinistra e attualmente presidente del partito d’opposizione Italia dei Valori (IDV). A suo avviso è la classe politica che porta la responsabilità dell’insuccesso dell’operazione: «Mani pulite» ha svelato migliaia di casi di corruzione, ma, messi di fronte alla rivelazione di questo tumore sociale, i politici hanno scelto di prendersela con i giudici». Un contrattacco del potere politico contro il potere giudiziario, guidato tra gli altri da un certo… Silvio Berlusconi.
Nel 1994, preso nella rete di «Mani pulite», l’industriale Berlusconi, amico di Craxi, entra in scena. L’incriminazione, nel corso di numerosi processi, del capo del nuovo partito di centro-destra Forza Italia, «scatena gli attacchi contro la magistratura e ne mina la legittimità», spiega l’ex procuratore Gerardo D’Ambrosio, diventato senatore della coalizione di centro-sinistra che univa l’Ulivo al Partito democratico. Berlusconi e il suo clan si dedicano allora a fustigare i magistrati, che qualificano come «toghe rosse» e «comunisti».
Tuttavia essi concentreranno la loro azione sul terreno legislativo, in particolare mediante leggi ad personam, dette «leggi della vergogna», che favoriscono le imprese e i gruppi di pressione legati a Berlusconi (3). Leggi che i governi di centro-sinistra (4) che succedono ai diversi governi Berlusconi (5) non ritengono necessario abrogare. «In questo Paese i giudici sono considerati come un intralcio. Coloro che detengono il potere rifiutano qualsiasi controllo. Destra, sinistra, centro. Tutti quanti!», si arrabbia Piercamillo Davigo, già di «Mani pulite», oggi giudice alla Corte di Cassazione. «Secondo i politici andiamo troppo lontano», continua, seduto nel suo studio colmo di libri. «Noi agiremmo come una leucemia: globuli bianchi che aggrediscono i globuli rossi anziché i batteri».
Di Pietro, da parte sua, ricorre a un’altra metafora. «Come Erode, Berlusconi ha scelto di uccidere la giustizia per salvarsi. E come Pilato il centro-sinistra si è sottomesso. A dire il vero, tutta la sinistra era incancrenita dalle bustarelle e dai conflitti d’interesse». Berlusconi può quindi continuare il suo lavoro. Nel 2009 scatena una campagna contro i magistrati, accusati di voler rovesciare il suo governo: i giudici sarebbero responsabili del rigetto da parte della Corte costituzionale della legge Alfano, che garantisce l’immunità dei quattro più importanti dignitari dello Stato.
Dopo di allora, il presidente del Consiglio si vede rinviato sul banco degli accusati sotto il colpo di una triplice accusa (corruzione, appropriazione indebita e frode fiscale in campo televisivo); Fininvest, la holding di famiglia, è condannata nell’ottobre 2009 a versare la somma di 750 milioni di euro per danni e interessi al suo rivale, il magnate della stampa Carlo De Benedetti. Si tratta di un nuovo episodio del’aspra e rocambolesca guerra giudiziario-finanziaria che da più di due decenni oppone i due industriali per il controllo delle Edizioni Mondadori. Quanto all’inchiesta relativa alle pressioni che il capo dell’esecutivo avrebbe esercitato su un membro dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni allo scopo di sospendere una trasmissione politica [ndt.: Innocenzi e Annozero], la Procura di Roma ha rinviato l’affaire al Tribunale dei ministri, istanza incaricata di giudicare i membri del governo e il presidente del Consiglio.
Malgrado gli intralci, le grane di Berlusconi con la giustizia quindi continuano… Le procure di Palermo, Caltanissetta, Firenze e Milano hanno riavviato l’indagine sugli eventuali mandanti politici dell’assassinio dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, nel 1992, e Palermo anche sugli attentati con bombe, nel 1993, contro la Galleria degli Uffizi a Firenze e il Museo di arte contemporanea di Milano (nei quali dieci persone hanno perso la vita). I nomi di Berlusconi e del suo amico e stretto collaboratore dell’epoca, il senatore Marcello Dell’Utri, ricompaiono. Eppure, rinvigorito dal buon risultato delle elezioni regionali, il presidente del Consiglio intende continuare la sua «riforma» della giustizia (6).
«Noi magistrati abbiamo catturato le zebre lente, ma le più veloci galoppano sempre!»
Da un capo all’altro del Paese la corruzione rimane al cuore di molti processi: a Bari, dove la Procura indaga sui servizi sanitari, a Perugia, dove Guido Bertolaso, responsabile della Protezione civile, è sospettato di aver truccato appalti di lavori pubblici, a Milano, dove il consigliere comunale di centro-destra, Camillo Pennisi, è stato sorpreso in flagrante, con le mani piene di banconote appena consegnategli da un imprenditore, e a Roma, infine, dove l’impresa Telecom Italia Sparkle si dibatte in un affare di frode e riciclaggio e Denis Verdini, coordinatore nazionale del partito Popolo della libertà (PDL), è oggetto di un’indagine per corruzione nelle attribuzioni di appalti per l’energia eolica in Sardegna. Questo nuovo caso capita all’indomani delle dimissioni, il 5 marzo 2010, di un membro del governo Berlusconi, il ministro per lo Sviluppo economico Claudio Scajola, sospettato di aver beneficiato di tangenti per l’acquisto del suo appartamento di 180 metri quadrati con vista imprendibile sul Colosseo.
Mentre Di Pietro evoca «nuove Tangentopoli», Greco, da parte sua, constata un’evoluzione di queste indagini: al contrario di quelle di «Mani pulite» non esplorano più i legami fra politica e affari. La frammentazione territoriale ha avuto il suo peso. E numerose leggi adottate in questi ultimi quindici anni hanno reso più arduo il lavoro degli investigatori. «Dieci anni fa il falso in bilancio costituiva il crimine più frequente. Oggi le indagini finanziarie mettono alla luce la speculazione fraudolenta sui beni pubblici. La globalizzazione ha aumentato la corruzione del banchiere a detrimento di quella dell’uomo politico. Finanziati all’epoca a colpi di bustarelle, i partiti oggi beneficiano dei finanziamenti pubblici. Non c’è più bisogno di chiedere denaro agli industriali. La corruzione, più politica, si fonda sullo scambio di favori. Siamo invasi dai fondi segreti. Madre dell’illegalità, l’evasione fiscale mina la democrazia».
Una celebre frase del giudice Davigo spiega questa mutazione della corruzione: «Noi magistrati agiamo contro la criminalità come i predatori del regno animale: contribuiamo a migliorare la specie che bracchiamo. Abbiamo catturato le zebre lente, ma le più veloci corrono sempre. È evidente che coloro che sfuggono ai processi resistono, si rafforzano e diventano sempre più agili».
Il fatto che l’Italia occupi il 63° posto nella classifica dell’organizzazione non governativa Transparency International (7), dopo Cuba e la Turchia, dimostra, secondo Davigo, che la corruzione persiste, malgrado l’operazione «Mani pulite» (8). «Altra anomalia italiana», sottolinea, «l’evanescenza della regolamentazione relativa ai partiti. Un uomo politico può comperare false tessere di partito e rilanciare così la sua carriera. Questo tabù non rischia per nulla di essere rimesso in discussione, tanto la magistratura è indebolita da coloro che le rimproverano di godere di potere eccessivo».
Durante la prima metà degli anni ’90 «Mani pulite» ha stabilito il suo sviluppo sulla debolezza del potere politico. Il centro-sinistra cerca sempre una vera identità e il centro-destra si perde in liti intestine. «Oggi, i partito restano in difficoltà», riassume Greco, «ma la vera crisi deve ancora venire. Rischiamo una situazione analoga a quella degli anni ‘90».
Fondatore del secondo quotidiano nazionale, La Repubblica, Eugenio Scalfari non nasconde i suoi timori: «Gira nell’aria un odore di fine repubblica. Ma non è certo che ciò porti alla fine dell’era Berlusconi, perché i due fenomeni non sono legati fra loro. La II. Repubblica potrebbe portare via colui che vi ha regnato. Ma quest’ultimo potrebbe altrettanto sotterrarla e instaurare una repubblica autoritaria, facendo strame delle garanzie di conservazione dello Stato di diritto e dell’equilibrio dei poteri costituzionali (9)».
Per alcuni il bilancio di «Mani pulite» è deplorevole, poiché gli accusati sono sfuggiti tra le maglie della rete. Eppure, fra il 1992 e ilo 1994, sono stati pronunciati quasi milletrecento capi d’imputazione. E benché la vulgata politico-giornalistica martelli affermando che la maggior parte di questi capi d’accusa sono stati svuotati della loro sostanza, la proporzione delle persone prosciolte non arriva al 5 o 6% (10)».
Nondimeno Di Pietro suggerisce che «gli accusati hanno vinto: il governo, il Parlamento e le altre istituzioni rigurgitano di persone incontrate nei tribunali, durante le udienze. Impedire a coloro che hanno avuto problemi con la giustizia di accedere alle funzioni pubbliche costituirebbe l’unico mezzo capace di bloccare questa calamità: ne siamo ben lontani». Il risultato di questo braccio di ferro tra la magistratura e il mondo politico spiega forse perché il giudice, come il suo collega D’Ambrosio, ha lasciato la prima per avviare una carriera nel secondo. Un cammino seguito ugualmente, con alterne fortune, dai suoi omologhi francesi Haphen, Joly e Jean-Pierre.
(1) Cf Gianni Barbacetto, Peter Gomez e Marco Travaglio, Mani pulite. La vera storia, Editori Riuniti, Roma, 2002 ; e Paolo Biondani, Resistere, resistere, resistere, Micromega, Rome, 2002.
(2) Riguardanti rispettivamente il finanziamento occulto del Partito Socialista e del Rassemblement pour la République (RPR).
(3) Cf Gianni Barbacetto, Peter Gomez e Marco Travaglio, Mani sporche, Chiarelettere, Milano, 2007.
(4) Romano Prodi (1996-1998 et 2006-2008), Massimo D'Alema (1998-1999 e 19992000), Giuliano Amato (2000-2001).
(5) 1994-1995, 2001-2005, 2005-2006 e dal 2008 fino a oggi.
(6) Promulgata il 7 aprile 2010 la legge sul «legittimo impedimento» dispensa Berlusconi e i suoi ministri dal presentarsi ai processi.
(8) Piercamillo Davigo e Grazia Mannozzi, La Corruzione in Italia, Laterza, Roma-Bari, 2007.
(9) La Repubblica, Roma, 25 ottobre 2009.
(10) Gianni Barbacetto, Peter Gomez e Marco Travaglio in Mani sporche, op. cit.


Mercoledì 30 Giugno,2010 Ore: 14:52
 
 
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