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www.ildialogo.org A Bruxelles i lobbisti sono i "garanti della democrazia",Di François Ruffin, giornalista, animatore del giornale Fakir, Amiens

Le Monde Diplomatique, giugno 2010, pag.20
A Bruxelles i lobbisti sono i "garanti della democrazia"

Di François Ruffin, giornalista, animatore del giornale Fakir, Amiens

I popoli hanno il suffragio, gli industriali hanno il lobbying : gruppi di pressione che istruiscono gli eletti e ispirano la Commissione Europea…


Quanto pesano gli "affari" a Bruxelles? Molto, secondo l'allegato articolo, il secondo della serie che Le Monde Diplomatique, numero di giugno 2010, dedica al "Trionfo dell'oligarchia". (J.F.Padova)

(traduzione dal francese di José F. Padova)
 
I deputati europei passano, la targa, da parte sua, non si muove. «I grandi problemi devono essere risolti con i discorsi, i dibattiti e i voti, con determinazione, pazienza e devozione». Si può leggere questa frase ai piedi di un albero, all’entrata dell’Assemblea di Bruxelles. «Inaugurata il 6 dicembre 2001 da Nicole Fontaine, presidente del Parlamento Europeo». Ma c’è dell’altro che sorprende, fra la dichiarazione e la firma. Un logo: «SEAP. Society of European Affairs Professionnals. Incorporating Felpa. Fédération européenne du lobbying et public affairs». Si può immaginare una cosa simile a Parigi, Roma o Madrid ? Un omaggio del Mouvemet des entreprises de France [Organizzazione delle imprerse di Francia] all’Assemblea nazionale francese, deposto ai piedi dell’Emiciclo [sta per i banchi a ferro di cavallo della Camera francese]? Oppure le lobby del nucleare che ringrazino il Senato nei giardini del Lussemburgo? La Society of European Affairs Professionnals fra i suoi membri conta dirigenti di Unilever, di Carrefour, di Gaz de France, di Volvo, di Oreal, di Suez… Quanti bei filantropi!. All’indirizzo indicato sul suo sito Internet – 79, boulevard Saint Michel, Bruxelles – ci si trova di fronte a un edificio banale. In portineria il citofono annuncia: «Per la SEAP suonare a Unesda». La società che riesce a collocare il suo logo davanti al Parlamento non ha neppure il suo nome su una cassetta per le lettere! È ospitata dalla Union of European Beverages Associations – della quale sono membri principali Coca Cola, Danone, Nestlé e Unilever.
 
«Questa organizzazione si è costituita nel 1997, nel momento in cui si apriva un dibattito sulla regolamentazione delle lobby», spiega Olivier Hoedeman, dell’associazione Corporate Europe Observatory (1). «Essi sono arrivati predicando l’ “autoregolazione”: la professione stava per emanare le proprie regole, si sarebbe fatta carico della propria etica, non era necessario occuparsene per legge, ecc. Essi hanno difeso lo statu quo e hanno vinto: non rispettano neppure le regole minime ch’essi stessi si erano fissate, dichiararsi come lobbisti prima di introdursi nelle sedi europee. In ogni caso il Parlamento europeo è noto, nell’ambiente universitario, per essere il peggiore di tutti. In particolare perché non vi è sorveglianza pubblica. Qui non c’è il popolo. Non vi è nessuno che dica: “Non ne avete il diritto”. I deputati sono lasciati nel vuoto, lontani dai loro elettori, appoggiati al nulla. E quindi sono le lobby che sostituiscono il popolo!».
 
Per costruire l’Europa Delors ha stretto un patto faustiano
Assente in occasione della nostra visita, Yves Lespinay, presidente della SEAP, ci richiama: «Non abbiamo inaugurato quella targa di soppiatto. Al contrario, tutto è stato fatto nella più totale trasparenza. La sig.ra Nicole Fontaine era presente, certo. E anche il sig. Hans Gert Pöttering, prima che la sostituisse come presidente…». Ecco almeno una vera continuità nell’amicizia. Per il bene di tutti: «I lobbisti sono i garanti della democrazia.» Ma, per esempio, lo interroghiamo, se le associazioni dei titolari e dirigenti d’industria hanno il loro pannello, anche i sindacati dei lavoratori potrebbero avere il loro?
 
«No, perché i sindacati si occupano di un interesse settoriale. Mentre per quanto ci riguarda si tratta della difesa di una professione in senso generale…».
 
«Corporativisti» i sindacati dei metallurgici, dei postali, degli insegnanti e dei ferrovieri, mentre l’interesse degli industriali si confonderebbe per natura con il bene pubblico europeo?
 
Ma questo segnala, comunque, il peso degli affari sul cuore dell’Unione?
 
«Penso comprendiate male la realtà».
 
Jacques Delors, da parte sua, l’ha capito perfettamente. «I dirigenti dell’ERT sono stati ai primi posti nel sostenere le mie idee», spiegava il presidente della Commissione Europea nel 1993. L’ERT, European Round Table of Industrialists, ovvero Tavola rotonda europea degli industriali. Per costruire l’Europa Delors ha stretto un’alleanza con questo gruppo di pressione, che riunisce quarantacinque capitani d’industria, i presidenti-direttori generali di Total, Nestlé, Renault, Siemens, ecc. L’architetto del mercato unico continua le sue rivelazioni: «Dunque, ciò che ho fatto nel 1984 è stato cercare un consenso per difetto da parte dei governi che rifiutavano tutto salvo quest’idea di un grande mercato e ottenere un consenso per via dell’entusiasmo degli industriali (2)».
 
Ed è così che questo socialista ha «rilanciato l’Europa»: non già appoggiandosi sui sindacati o i popoli europei, ma sulla principale lobby padronale. D’altronde le tabelle di marcia concordano: nel gennaio 1985 il presidente dell’ERT (e di Philips), Wisse Dekker, pubblica «Europa 1990: un’agenda per l’azione», documento che propone di abbattere le barriere commerciali e le frontiere fiscali. Nel gennaio 1985 proprio Delors assume le sue funzioni a Bruxells e, davanti al parlamento europeo, comunica la «[sua] idea: abbattere le barriere commerciali e le frontiere fiscali (3). Per fortuna Dekker non aveva depositato un copyright…
 
Una volta realizzata questa prima parte di lavoro, sei anni più tardi il rilancio dell’Unione verrà fatto mediante il medesimo espediente: l’ERT. Ciò che, in gergo eurofilo, si chiama «approfondire». «L’Europa non marcia abbastanza in fretta», dichiara nell’autunno 1991 Jean-Marie Cavada nel suo programma TV di pedagogia destinato al grande pubblico «La marcia del secolo». Questo senso di lentezza, condiviso da molti, irrita quarantacinque grandi industriali europei, che rappresentano tre milioni di lavoratori e che tirano il campanello d’allarme. Essi chiedono più Europa». Con tutta obiettività, il giornalista – passato in seguito al Movimento democratico (MoDem) e poi all’Unione per un movimento popolare (UMP) – spiega: «Questa trasmissione è stata originata dal lavoro di quarantacinque industriali europei, dei quali ecco i nomi dei tre rappresentanti. Si chiama Tavola rotonda europea. Si tratta anzitutto dei signori Jérôme Monod (presidente della Lyonnaise des eaux), Pehr Gyllenhammar (presidente di Volvo, associata come sapete a Renault, associata come sapete a Mitsubishi) e Umberto Agnelli (presidente dell’enorme gruppo Fiat)». Vi è ugualmente invitato un banchiere – senza dubbio per equilibrare la piattaforma: Bernard Esambert, presidente della Finanziaria Rotschild (4)».
 
Il fatto è che in quest’alba degli anni ’90 il blocco dell’Est crolla e, con esso, la «minaccia comunista», contro la quale si è costruita l’Europa. Inoltre gli obiettivi fissati dall’atto unico del 1986 sono stati raggiunti: è sonata l’ora del «rilancio», nel momento in cui si deve tenere, a Maastricht in dicembre 1991, un vertice dei capi di Stato. In questa occasione i padroni contano di muovere bene le loro pedine. Monod enuncia il programma: incaricarsi «dell’educazione, della formazione – che è anche il nostro ruolo», costruire «grandi infrastrutture che attraversano l’Europa», stabilire «la moneta unica». Su tutti questi punti bisogna fare in fretta: non si può andare in giro portandosi in tasca dodici monete, mentre gli americani hanno il dollaro e i giapponesi lo yen».
 
In questa «Marcia del secolo» realizzata in tandem con Bruxelles Delors dà la sua approvazione: «Oggi ho letto il rapporto [dell’ERT], gli industriali invitano i governi ad andare ancora più in fretta e non sarò io a dire il contrario, perché abbiano bisogno di questa spinta salutare , altrimenti tenderemo di nuovo a non seguire il ritmo degli avvenimenti (…). Bisogna ricordare ai capi di Stato e di governo dei Dodici che alla fine dell’anno avranno un incontro importante, perché dovranno disegnare i tratti dell’Europa dell’anno 2000, e che non possono tardare a farlo. Da questo punto di vista potrei dire le cose semplicemente: poiché la storia accelera, occorre di nuovo accelerare. Eravamo passati da 60 a 100 all’ora, ebbene, adesso bisogna correre a 140 (5)».
 
Tre mesi più tardi il contratto sarà stipulato. Dopo di che, da Maastricht ad Amsterdam, dalla strategia di Lisbona al trattato costituzionale, l’Europa ha viaggiato «a 140 all’ora». E nelle direzioni fissate dal padronato. Per la sua più grande soddisfazione: «La pressione europea lavora in pieno per orientare il nostro Paese nel senso di una certa forma di riforma», applaudiva nel 2003 Ernest-Antoine Seillière, ex numero uno di Medef [ndt.: Mouvement des Entreprises de France, una sorta di Confindustria] e oggi presidente di Business Europe, una delle principali organizzazioni padronali europee. Mentre il suo numero due, Denis Kessler, tre anni prima ammetteva: «L’Europa è una macchina per riformare la Francia suo malgrado». Una perfetta «assicurazione sulla vita contro il socialismo», come lo prometteva Alain Madelin dal 1992 in poi.
 
Questa verità è incisa nel marmo e non soltanto all’entrata del Parlamento: «L’Europa sociale non avrà luogo» (6)…
 
(1) Cf. Observatoire de l'Europe industrielle, Europe Inc. Comment les multinationales construisent l'Europe et l'économie mondiale, Agone, Marseille, 2005. (Osservatorio dell’Europa indistriale, Come le multinazionali costruiscono l’Europa e l’economia mondiale)
(2) « Demain l'Europe », Antenne 2, 7 juillet 1993.
(3) Europe Inc., op. cit., p. 61.
(4) Diventerà vice-presidente del Gruppo Bolloré, del Consiglio di sorveglianza del gruppo Lagardière, amministartore delle società Saint-Gobain e Total e ancora membro del Collegio della Commissione delle operazioni di borsa e dell’Autorità dei mercati finanziari.
(5) « La marche du siècle », FR3, 18 septembre 1991.
(6) François Denord et Antoine Schwartz, L'Europe sociale n'aura pas lieu, Raisons d'agir (L’Europa sociale non avrà luogo. Ragioni per agire), Paris, 2009.
 



Mercoledì 23 Giugno,2010 Ore: 16:06
 
 
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