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Trionfo dell’oligarchia

Una serie di articoli sul numero di giugno de "Le Monde Diplomatique".
(traduzione di Josè F. Padova)


Sul numero di giugno de "Le Monde Diplomatique" una serie di articoli si occupa dei vari aspetti di una delle degenerazioni della democrazia: l'oligarchia. Storia vecchia, si potrebbe pensare all'Atene del 400 a.C, o magari all'Italia del 2010. Però sempre determina e distorce la nostra vita.
Sotto il titolo: "Triomphe de l'oligarchie" trovo:
- La meccanica clientelare
- Dal popolo e per le banche
- A Bruxelles i lobbisti sono "i garanti della democrazia"
- La grande disillusione dei giudici italiani
- Alle Baleari la fabbrica della corruzione
- In Norvegia, prossimità, trasparenza e... ingenuità
- Il salario della politica
Cominciamo con il clientelismo, studiato in Francia e Argentina ma molto applicato anche da noi. Qualcuno ricorderà Achille Lauro che distribuiva la scarpa destra, la sinistra l'avrebbe data dopo il buon esito dell'elezione. Il tocco geniale della fantasia.
Josè F. Padova
Le Monde Diplomatique, giugno 2010
Trionfo dell’oligarchia
La storia della democrazia poggia sulla separazione progressiva del potere politico da quello economico? Per lungo tempo soltanto i più ricchi hanno potuto votare ed essere eletti. Le lotte per l’instaurazione del suffragio universale e poi per un’indennità parlamentare dimostrano che ci sono voluti decenni per allentare questo monopolio.
Certo, i rapporti incestuosi fra denaro e politica non sono mai del tutto scomparsi, come lo conferma la ricorrenza della corruzione e del clientelismo. Anche se questi ultimi sono stati combattuti dalla giustizia a favore di un rinnovamento delle elite, e perfino da governi preoccupati di imporre una «trasparenza» in materia.
Nel tempo in cui uomini miliardari trionfano alle elezioni, come in Italia, in Cile o a New York; in cui gruppi di pressione, a Bruxelles e altrove, fanno prevalere gli interessi dei loro clienti su quelli della collettività, o in cui capi di Stato e ministri rivaleggiano nell’imporre misure d’austerità prima di “vendersi” alle banche, è ancora possibile governare senza servire le classi abbienti?
 
La meccanica clientelare
di Laurent Bonelli
Le Monde Diplomatique, giugno 2010, pag. 19
(traduzione dal francese di José F. Padova)
 
Sulla lista dei rapporti inconfessabili mantenuti fra il denaro e la politica il clientelismo incombe la corruzione. Passi il fatto che, ancora nel 1902, Louis Ollivier, deputato di Guingamp, racconti: «Alle ultime elezioni avevo preparato buoni da quattro soldi che i miei galoppini distribuivano agli elettori, del mio partito e avversari, e questi buoni erano rimborsabili in consumazioni al bar (1)». Nel 2009 i «doni in denaro» furono il motivo invocato dal Consiglio di Stato per invalidare l’elezione di Serge Dassault come sindaco di Corbeil-Essonnes…
 
Lo scambio personalizzato di favori, di beni e di servizi contro un appoggio politico e contro voti rientrerebbe ormai nel campo dell’anomalia. Per la maggior parte dei politologi e dei giornalisti politici che percepiscono gli elettori come attori razionali, che scelgono il loro campione in funzione delle loro preferenze individuali, questa pratica non può provenire altro che da sistemi predemocratici. Essa rinvierebbe tanto alla storia delle società occidentali, quanto al presente di paesi percepiti come «meno avanzati» in materia di costumi politici, come lo si è potuto sentire recentemente a proposito della Grecia e più invariabilmente sull’Africa, il mondo arabo o l’America Latina.
 
Oltre al loro etnocentrismo, queste analisi nulla dicono circa i modi ordinari di funzionamento della politica, vale a dire i meccanismi mediante i quali si costruiscono e si perpetuano le forme di lealtà politica. E poiché il disprezzo sociale non la cede in nulla al disprezzo culturale, forse queste rappresentazioni sono più diffuse a proposito delle classi popolari. Lo schema sarebbe semplice: chi è impoverito darebbe il suo voto in cambio della soddisfazione dei suoi bisogni immediati. In questo modo distribuzione di cibo, di abiti, di posti di lavoro, di denaro, ecc., basterebbe per fare eleggere un candidato.
 
Ora, che se ne sa concretamente di questo scambio? Il sociologo Robert King Merton negli anni ’50 ha dimostrato come funzionavano le «macchine politiche» nei quartieri per immigrati degli Stati Uniti e che rapporti d’interdipendenza esistevano fra il boss (l’uomo politico) e le sue clientele (2). Da parte sua, Javier Auyero ha condotto un’indagine etnografica in una bidonville (villa miseria, vedi http://it.wikipedia.org/wiki/Villa_miseria) della periferia di Buenos Aires, in Argentina (3), dove ha studiato le struttura e la riproduzione dell’organizzazione del Partido justicialista [ndt.: peronista], del quale è uno dei feudi. Questa formazione politica, fondata nel 1947 dal generale Juan Domingo Perón, governa il Paese praticamente senza interruzioni dal 1989 e fra i suoi ranghi conta la maggior parte dei governatori regionali.
 
Le diversità fra le politiche condotte dall’attuale presidentessa della nazione argentina, Cristina Fernandez de Kirchner, o da suo marito Néstor Kirchner (2003-2007), e quelle che aveva attuato Carlos Saúl Menem (1989-1999) – tutti tre membri del PJ – impediscono qualsiasi classificazione secondo i criteri sinistra-destra. La linea ideologica del partito riflette lo stato dei rapporti di forza fra i suoi principali baroni, la cui base è regionale.
Secondo Auyero la villa si organizza in unità di base (unidad básica, UB) collegate a militanti politici – come, nel caso specifico, Matilde, ex segretaria politica del PJ del distretto confinante e attuale consigliere comunale, o Cholo, impiegata del Comune. Ogni UB si incarica dei trasporti collettivi per partecipare ai meeting e alle manifestazioni e in queste occasioni distribuisce pane, chorizo, zucchero, latte in polvere, riso, birra, come anche T-shirt e berretti con i colori del PJ. Alcune hanno perfino dei musici. Ma il loro ruolo va ben oltre. I loro locali accolgono concerti o spettacoli per i bambini e talvolta vi si trovano cibi e medicine. Cholo lavora anche per un programma di distribuzione di prodotti alimentari, il Plan Vida [Piano vita], messo in piedi dalla moglie del governatore della provincia. Ogni mattina consegna viveri a delegati di caseggiato (manzaneras), che a loro volta li distribuiscono fra le famiglie del vicinato.
 
Anche se non sempre sono militanti, queste delegate sono essenzialmente reclutate dai responsabili delle unità di base (punteros), tanto che rispondono «naturalmente» alle loro richieste. Come dice una di loro: «Quando vi sono manifestazioni, Matilde ci invita. (…). Da parte nostra siamo incaricate di invitare le persone che sono nel Plan Vida e ci portiamo dietro tutti quelli che possiamo». Un’altra rincara: «Non si può dire no (…) perché si è amiche» (pagg. 126-127). Lo scambio politico qui scompare dietro le relazioni fra individui ed è preso nella trama dei legami personali, perfino familiari, poiché i punteros appartengono al medesimo ambiente sociale dei loro vincolati. Unica differenza, l’impegno dei primi favorisce la mobilitazione di rapporti e risorse inaccessibili ai secondi; un capitale sociale che li aiuta a risolvere una quantità di problemi concreti del quartiere e dei suoi abitanti mediante «una mediazione politica personalizzata» (pag. 229).
 
Tuttavia questa definizione abbastanza classica del clientelismo non riflette che una sola faccia del potere di questi mediatori, che offrono ugualmente un quadro d’interpretazione del mondo sociale, un’ideologia. Matilde, Cholo e i loro omologhi reinventano nel quotidiano la tradizione peronista e il suo movimento, in particolare l’attenzione rivolta alla classe operaia. I governi Perón (1946-1952 e 1952-1955) avevano notevolmente migliorato la condizione di quest’ultima e i sindacati sono stati sempre una componente centrale del movimento giustizialista. Ma nel contesto contemporaneo di precarietà e vulnerabilità dei lavoratori non è più tanto in gioco la loro fierezza quanto la loro dignità. Una dignità che garantisce loro il PJ, distribuendo beni di prima necessità. Il passaggio dalla rivendicazione politica alla carità è tanto più impercettibile quanto è sempre più posto sotto il segno della «giustizia sociale», nella cui continuità sembra iscriversi: « Chiche » Duhalde, la moglie dell’ex governatore, non rivendica il fatto di marciare sulle tracce di Evita Perón, l’ex first Lady?
 
L’antropologo Marcel Mauss ha dimostrato che è meno importante ciò che si dà del modo in cui lo si fa (4). La forza dei punteros, mediatori «fra il flusso dei beni e dei servizi provenienti dal potere municipale e il flusso di appoggi e di voti che viene dai “clienti”» (pag. 111) risiede precisamente nella loro capacità di inserire questi doni in un universo di significati che iscrive gli individui in una storia collettiva. In altri termini, essi dimostrano negli atti la capacità della politica di modificare concretamente le condizioni dell’esistenza, segnalando chiaramente ciò che questi cambiamenti devono all’«ideologia peronista», anche se ampiamente ricostruita.
 
La stabilità del sistema si basa così sulla forza dei legami personali fra i punteros e alcuni abitanti del quartiere. Questo spiega il sostegno popolare al presidente Menem, che pure fu istigatore di forsennate politiche di liberalizzazione dell’economia del Paese. Colpendo in primo luogo i più deboli, queste politiche hanno indebolito i loro circuiti di aiuto reciproco e solidarietà, a meno che, come Matilde o Cholo, avessero accesso ai circuiti ufficiali di distribuzione di beni e servizi. Da qui un paradosso apparente: con un adeguato inquadramento, le politiche più sfavorevoli alle classi popolari rafforzano talvolta il sostegno dal quale traggono vantaggio, fra loro, coloro che le hanno promosse…
 
Che lezioni trarre da questo esempio argentino? A causa dei legami di dipendenza che esso instaura fra un boss politico e i suoi “clienti”, è difficile collegare il clientelismo agli ideali democratici… Perciò questo rapporto è sotteso da una certa reciprocità. Parafrasando Karl Marx, i baroni peronisti sono dominati dal loro dominio (politico). Per garantirsi un sostegno essi devono perpetuare le strutture d’inquadramento dei punteros nelle villa. Questo impone nello stesso tempo di apportare un aiuto materiale ai loro abitanti (viveri, medicine, ecc.) e di integrarli nell’universo simbolico del Partido justicialista (nei discorsi, nella storia, nell’dentità).
 
In Francia la situazione è migliore? Il voto è di certo largamente individualistico, ma i tassi di astensionismo o di non iscrizione sulle liste elettorali raggiungono culmini proprio fra le classi popolari, che sono praticamente scomparse dall’universo di riferimento dei principali partiti. Ora, in questi  ambienti, l’interesse per la politica è intimamente legato alla traduzione dell’esperienza quotidiana in progetto politico che effettuano i militanti. La cui legittimità in questo campo si basa tuttavia sulla loro capacità di risolvere i problemi pratici dei gruppi ai quali essi si rivolgono. Una capacità largamente dipendente dalle risorse che essi possono muovere e quindi dal loro accesso più o meno privilegiato alle diverse istituzioni redistributive…
 
(1) Citato da Alain Garrigou, Le Vote et la Vertu. Comment les Français sont devenus électeurs, Presses de la Fondation nationale des sciences politiques, Paris, 1992, p. 139.
(2) Robert King Merton, Éléments de théorie et de méthode sociologique, Armand Colin, Paris, 1997, p. 126-139.
(3) Javier Auyero, La Política de los pobres. Las prácticas clientelistas del peronismo, Manantial, Buenos Aires, 2001.
(4) Marcel Mauss, Sociologie et anthropologie, Presses universitaires de France, Paris, 2004.


Mercoledì 16 Giugno,2010 Ore: 10:30
 
 
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