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www.ildialogo.org Il metodo Sarkozy in un vicolo cieco,di Denis Muzet

Le Monde, 10 maggio 2010, online l’11 maggio 2010
Dibattito

Il metodo Sarkozy in un vicolo cieco

di Denis Muzet

(traduzione dal francese di José F. Padova)


"... Proprio quando si sarebbe potuto pensare che avrebbe condotto al “ciascuno per sé” la crisi ha avuto l’effetto contrario. Essa ha raddoppiato l’attenzione per gli altri, portando a ritrovare il calore umano nel nostro prossimo, nelle associazioni, sul lavoro. ... Il quarto anno del mandato di Nicolas Sarkozy si apre così su un paradosso: mentre la governance nazionale è alle corde e quella mondiale non ne può più, nasce e s’afferma nel nostro Paese un formidabile desiderio di politica, che sta a ognuno fare, vivere e attuare."
Le Monde, con l'articolo di Denis Muzet, ci offre della nostra "condition humaine" attuale una disamina attenta agli sviluppi sociali, dell'informazione, in definitiva della democrazia, non solamente francese.
L'unico commento che posso arrischiare: leggere, riflettere, agire.(José F. Padova)

Denis Muzet – fondatore dell’Istituto Médiascope, che presiede dal 1982, poi dell'Observatoire du débat public nel 1997. insegna Sociologia dei media e della politica all’Università Paris-I-Panthéon-Sorbonne. Ha pubblicato "La Mal Info" [La mala informazione] (L'Aube, 2006), "La Croyance et la Conviction" [La credenza e la convinzione] (L'Aube, 2007) et "Le Téléprésident" [Il telepresidente] (L'Aube, 2008).

Testo originale: http://www.lemonde.fr/

L’anniversario dell’elezione presidenziale del 2007 è l’occasione per ritornare sulle principali trasformazioni della nostra società, nei suoi rapporti con politica e mezzi d’informazione mentre il sarkozysmo [ndt.: equivalente francese del berlusconismo, in tutti i sensi] è in piena azione. La prima cosa che colpisce l’osservatore è la formidabile accelerazione dei tempi mediatici. Le notizie del giorno si succedono le une alle altre e cancellano ancora più velocemente quelle del giorno prima.

Con la generalizzazione dell’informazione come flusso ininterrotto e la crescita dei mezzi d’informazione continua – TV, radio, internet, Twitter…-, la durata di vita dell’attualità è sempre più corta, di qualche ora piuttosto che di qualche giorno. È il regno dell’ “istantaneismo”. Come orizzonte principale non abbiamo più altro che il tempo reale.

Questo movimento è stato largamente alimentato da ciò che viene chiamato “iperpresidenzialismo”. La moltiplicazione delle apparizioni del capo dello Stato nella sfera pubblica, fino ad attribuirgli quasi il dono dell’ubiquità, ha amplificato questa accelerazione del tempo, ciò che è il marchio del sarkozysmo. Abbiamo parlato di “strategia presenzialista” per definire questa organizzazione di una quasi permanente presenza presidenziale nello spazio mediatico e l’effetto placebo che si presume la sua azione provochi.

Tuttavia – occorre essere onesti – questo movimento supera il quadro nazionale. Dovunque nella nostre società il dominio del tempo reale nutre una forma di atrofia temporale. La “memoria viva” dei francesi è diventata corta e non va al di là di un anno. Al ritmo in cui vola l’attualità, gli anni di Jospin, e perfino quelli di Raffarin, sembrano appartenere alla preistoria. E allora, che dire degli anni di Mitterrand?

Il tempo lungo è come cancellato. È impressionante constatare che altro non si trova nella parola pubblica – politica, sindacale e anche padronale –se non pochi progetti o riferimenti all’azione di medio-lungo termine, eccettuate le grandi scadenze elettorali come quella presidenziale del 2012. Vi sono anche poche prospezioni storiche, se non in occasione di grandi commemorazioni (la caduta del muro di Berlino) o per la scomparsa di una personalità (Philippe Séguin), che autorizzino un veloce flash-back, rapidamente digerito, per i nostri tempi cerebrali disponibili.

Simultaneamente alla compressione del tempo si assiste, sotto l’effetto di una crisi planetaria, a un allargamento dell’orizzonte spaziale. La crisi, le crisi – alimentare, finanziaria, climatica… - hanno rafforzato nei nostri compatrioti la presa di coscienza della globalizzazione. Nel pianeta interconnesso hanno imparato a sorvegliare ciò che accade all’altra estremità del mondo – negli Stati Uniti, in India, in Afghanistan, in Islanda ormai –, per timore di essere colpiti dalle nuove minacce. Compressione del tempo e planetarizzazione delle percezioni vanno di pari passo: la storia si dissolve nella geografia.

Come fossero sottoposti al ritmo dell’iperattività sospinta al più alto livello, i grandi dirigenti nazionali sembra abbiano integrato la scomparsa di qualsiasi orizzonte temporale e rinunciato a ogni sforzo teso a dare una prospettiva alla loro azione. Non ci si prende più il tempo per spiegare; o, più esattamente, salva qualche eccezione, il tempo assegnato agli attori invitati dai dominanti media “istantaneisti” è diventato troppo corto per permettere la pedagogia dell’azione pubblica, perfino mentre i dossier divenivano più complessi. Vi è qui una dannosa abdicazione alla democrazia. Nei nostri sondaggi si nota un degrado delle condizioni in cui si assimilano le informazioni che, nella grande caffetteria dell’”info”, al pubblico vengono sempre più fornite ridotte in briciole.

Mai il concetto di “mala informazione” è stato più idoneo per descrivere la trasformazione del nostro rapporto con l’informazione. Con la crisi il “rumore di fondo” dell’informazione è aumentato, al punto che il nostro ecosistema mediatico se ne è ritrovato alterato. Poiché si tratta anche di una crisi dell’informazione. Certamente, ogni crisi vede accelerarsi la circolazione di quest’ultima, ma oggi l’orizzonte che il gentiluomo desideroso d’informarsi deve sorvegliare è diventato mondiale. Da ogni parte egli è bombardato di notizie più brevi e meno comprensibili, una meno dell’altra. La sua comprensione ne è sommersa.

Gli avvenimenti sono sempre meno appresi come sono, se non in modalità interconnessa: nello svolgersi quotidiano dell’attualità che lo travolge, il cittadino si trova a cavalcare molti fatti disgiunti fra loro e tenta di collegarli, alla ricerca dei pezzi smarriti del puzzle dell’informazione, al prezzo di connessioni spesso errate.

Nello stesso tempo il 2009 ha visto Nicolas Sarkozy disperdersi su tutti i fronti, proiettandosi in tempo reale su ogni soggetto, senza curarsi della loro gerarchia o, più precisamente, avendo come solo criterio gerarchico la pressione dei media e dell’opinione pubblica. Così facendo non soltanto non ha più dominato l’agenda mediatica, ma con le sue disordinate iniziative ha rafforzato il senso di confusione.

Mentre nel 2007 teneva la sua agenda sotto controllo, oggi sia lui che i suoi ministri penano nello spiegare i loro progetti più complessi – scudo fiscale, riforma territoriale… - al punto di dover rinunciare ad alcuni di essi. Tassa sulle emissioni di carbonio, dibattito sull’identità nazionale… non si contano più gli argomenti che passano attraverso la botola della pedagogia cittadina. La governance [
modalità di negoziazione tra sfera pubblica, privata e/o altri attori caratterizzata da un complesso network di interdipendenza a diversi livelli di autorità] mediatica istantanea ha raggiunto il suo limite e oggi si rivela un vicolo cieco. Non vi sono più piloti sull’aereo del buon senso.

Vi è di che dare ragione a Jacques Pilhan, che raccomandava l’inserimento dell’azione nella sfera della pazienza e dei tempi lunghi. Certuni tuttavia si vantano di praticare lo storytelling [Storytelling è una metodologia e disciplina che usando i principi della retorica e della narratologia crea racconti influenzanti in cui vari pubblici possono riconoscersi. Lo storytelling è oggi massicciamente usato dal mondo dell'impresa, dal mondo politico, e da quello economico per promuovere e posizionare meglio valori, idee, iniziative, prodotti, consumi]. Ma non si tratta di questo. In questo Paese non vi sono più grandi racconti. Risultato: la porta è aperta a ogni hold-up del senso comune [con il termine hold-up in economia ci si riferisce ad una situazione nella quale due parti stiano per effettuare una transazione che richieda investimenti specifici da una parte o dall'altra].

Dopo le trappole tese al buon senso, messe in opera da Olivier Besancenot [politico francese esponente del Partito Anticapitalista] vi sono quelle messe in atto dalla famiglia Le Pen, che ormai funzionano. La nostra società pencola pericolosamente verso il populismo e la sua versione mediatica degenerata, il “pipolismo” [ndt.: dalla pronuncia popolare del termine inglese people=pipol], fino a contaminare una parte della sinistra e del centro destra. Si assiste a una desolante rinuncia della politica al suo ruolo di pedagogia della complessità. Mancandogli la comprensione di quello che accade intorno a lui, al cittadino non resta altro che tentare di spigolare un po’ di
significato nelle mitologie che scorrono sugli schermi dei media, ai quali ogni giorno consacra più della metà del suo tempo libero.

Ma gli è giocoforza constatare che su quel versante non trova alcun aiuto. La crisi economica ha amplificato un movimento che si può osservare sull’insieme del decennio: il racconto del caos globale, aperto dagli attentati del settembre 2001. Nel 2009 i lanci di missili nucleari in Corea del Nord, il disastro dell’Airbus di Air France, gli attacchi dei pirati al largo della Somalia, l’influenza A; nel 2010 il ciclone Cinzia e la nube di cenere di un vulcano islandese hanno completato negli animi l’installarsi di un immaginario della catastrofe.

Dopo un periodo di speranze aperte dall’elezione presidenziale del 2007 si assiste a un ritorno in forze delle tesi “decliniste”. Tuttavia l’individuo, quando lo si interroga sul suo destino, dice di essere piuttosto fiducioso. Nonostante i diffusi racconti della catastrofe, ognuno sente bene, in modo confuso, che sta per nascere qualcosa di nuovo. Questo qualcosa deve essere cercato dalle parti del pianeta. La crisi è vissuta come una forma di polluzione, come la manifestazione, nell’ordine economico e sociale, di una deleteria evoluzione del mondo. Essa ha messo in luce l’imperiosa necessità di prendersi cura del pianeta. E anche l’imperiosa necessità di curare i legami sociali. Agli occhi dei nostri compatrioti nessuno deve essere abbandonato sul bordo della strada, men che meno i nostri fratelli della Guadalupa o i salariati di Heuliez o di Total [ndt.: aziende in difficoltà] a Dunkerque.

Proprio quando si sarebbe potuto pensare che avrebbe condotto al “ciascuno per sé” la crisi ha avuto l’effetto contrario. Essa ha raddoppiato l’attenzione per gli altri, portando a ritrovare il calore umano nel nostro prossimo, nelle associazioni, sul lavoro. Si è imposta, sotto l’effetto di una forte attenzione mediatica sui suicidi nell’impresa [ndt.: allude agli oltre 30 avvenuti in France Telecom], la presa di coscienza che il rapporto sul lavoro si era deteriorato. Nel Paese sale un’immensa attesa, sociale e qualitativa, là dove le risposte del governo – come pure tutto sommato dell’opposizione – la maggior parte delle volte sono apparse opportunistiche, centrate principalmente sul quantitativo.

L’aspirazione a prendere in considerazione, nel valore del prodotto di una comunità, le dimensioni dello sviluppo di sé o della felicità, come ha suggerito Joseph Stiglitz, non è mai stata tanto grande. Sale anche l’attesa di più armonia sociale intorno all’immagine del “tutti insieme”, forgiata col favore dei grandi scioperi del 1995. Questa rappresentazione si diffonde a livello del nostro Paese come anche del mondo intero. Dappertutto si celebrano le virtù del collettivo, rappresentate dal movimento dei produttori di latte o dei marinai-pescatori.

Si aspira a un’azione plurale, nel campo sindacale e in quello politico, il cui successo è testimoniato dalle liste rosso-rosa-verde alle regionali. Simmetricamente tutto ciò che viene percepito come suscettibile di infrangere l’unità o di minacciare un tessuto sociale reso fragile dalla crisi è oggetto di denuncia: lo comprova il dibattito sull’identità nazionale, nato morto [ndt.: si tratta di uno dei cavalli da battaglia di Sarkozy, inventato per distrarre dai problemi profondi].

Si manifesta anche una forte attesa di moralità, di cui è stata espressione la polemica sull’ingresso di Jean Sarkozy alla presidenza dell’Epad [ndt.: e qui da noi il Trota Bossi assessore regionale a 10.000 euro al mese?]. È sintomatico constatare che oggi l’individuo si volge verso lo Stato meno per domandargli di garantire la sicurezza pubblica e più per richiamare al rispetto da parte di ognuno di regole e di valori; come se il senso dell’impotenza pubblica fosse tale che non resta altro, come soluzione, se non il richiamo alla moralità individuale.

Perché – ed è un’altra forte tendenza di questi tre anni – la fiducia nella politica è precipitata. Sommersi da una crisi che non hanno visto venire e della quale sono addirittura apparsi come i corresponsabili, i governanti del mondo intero sono stati scossi. Nonostante la sua capacità di ottenere dall’Europa un piano di salvataggio delle banche, nell’autunno 2008 il capo dello Stato [Sarkozy] vi ha perduto la sua credibilità. Si è chiusa la parentesi dell’illusione del potere recuperato dalla politica, aperta dalla campagna elettorale del 2007.

Ma non inganniamoci: agli occhi dei nostri concittadini è l’insieme della classe dirigente, destra e sinistra in mucchio, che è impotente di fronte alle sfide poste alle nostre società, che ormai superano il quadro nazionale. Ecco perché nel marzo scorso l’astensione è stata tanto alta.

Fatto più grave per la nostra democrazia, si assiste a un incremento della distanza fra il popolo e il potere.  Fra i “potenti” e i “piccoli” la frattura si è allargata. Il sentimento di un “due pesi, due misure” si estende, come hanno dimostrato i casi Charles Pasqua [ndt.: ex ministro dell’Interno, pluricondannato per vari reati, http://it.wikipedia.org/wiki/Charles_Pasqua ] o Jean Sarkozy, mentre al contrario Tony Musulin [ndr.: ha rubato 12 milioni di euro a una banca, senza colpo ferire] appare come un eroe salvatore…

Alla ricerca di riferimenti per una crisi del senso comune, nei nostri sondaggi i francesi si dicono perplessi. Sono prede dello smarrimento, presi fra il desiderio di rivolta e quello di curvare la schiena. Tuttavia, delusi dalla politica come viene praticata su scala nazionale, mantengono la speranza. Davanti a loro si aprono tre vie essenziali per ricuperare la loro politicizzazione.

I francesi, innanzitutto, sono i migliori agenti di una ri-politicizzazione. Di fronte alla crisi essi contano principalmente soltanto su loro stessi. Davanti all’accertata impotenza degli attori collettivi, l’individuo intende agire meno mediante la sua scheda di voto che attraverso i suoi consumi. Perché se non vi è più molto potere d’acquisto il cittadino ha ancora il “potere d’acquistare” e intende utilizzarlo per introdurre senso comune attorno a sé: consumare meno, consumare meglio, in modo più ragionevole, durevole, più sociale e solidale. In tutti i campi si moltiplicano gli esempi. La necessità che c’è, per lottare contro la crisi, di coniugare l’economico, l’ecologico e il sociale sta emergendo negli animi.

In seguito i francesi si volgono verso gli eletti locali. In nome della prossimità, certamente, ma anche perché il sindaco, il deputato, il consigliere generale o regionale sono ai loro occhi le ancore di salvataggio sul sociale, l’educazione, il lavoro. Ma vi è un terzo elemento. Sale l’attesa di governance mondiale. Non già un G8 o un G20, gretto ed egoista, ma un “G tutti”.

Nel 2009 il vertice di Copenhagen, nonostante il suo fallimento, quello di Pittsburg e il tentativo di stabilire regole limitative dei bonus sono altrettanti segnali, fra altri, che confermano l’urgenza di prendere decisioni ambiziose sulla scala dell’intero pianeta, se si vuole stroncare i movimenti che, in tutti i campi, lo trapassano e lo sconquassano.

Il quarto anno del mandato di Nicolas Sarkozy si apre così su un paradosso: mentre la governance nazionale è alle corde e quella mondiale non ne può più, nasce e s’afferma nel nostro Paese un formidabile desiderio di politica, che sta a ognuno fare, vivere e attuare.

Denis Muzet



Mercoledì 19 Maggio,2010 Ore: 11:41
 
 
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