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www.ildialogo.org I socialisti francesi adottano il sistema delle primarie,Di Rémi Lefebvre, professore di Scienze politiche all’Università di Lilla-II.

Le Monde Diplomatique, maggio 2010, pagina 6
I socialisti francesi adottano il sistema delle primarie

Partiti politici, specie minacciata


Di Rémi Lefebvre, professore di Scienze politiche all’Università di Lilla-II.

(traduzione dal francese di José F. Padova)


Nel saggio "Come salvare la sinistra", riportato da Le Monde Diplomatique nell'articolo allegato, si considera l'avanzare dell'idea delle primarie e delle conseguenze che questa forma preelettorale avrà sul partito politico. Interessante: "le primarie italiane hanno conosciuto un grande successo popolare… Che ne è del programma del candidato? «Naturalmente il punto di partenza sarebbe il programma del vincitore delle primarie. Naturalmente, la messa in pratica sarebbe anche qui a sua totale discrezione (pag. 84). Guarda caso, è proprio quanto è successo con le nostre, di primarie. E, guarda caso, di programmi non se ne erano visti, se non dal vago al fumoso. Chissà perché. Che non sia ora di chiederne conto ai beneficiari? E come? (José F.Padova)

Elemento centrale del gioco politico moderno, la forma partito sembra fare acqua da tutte le parti, presa com’è nella morsa fra coalizioni occasionali, avventure individuali e movimenti sociali. Strumento d’educazione, di proposta e di conquista elettorale, teoricamente il partito obbedisce ai suoi militanti. L’irruzione delle primarie nel dibattito francese porta loro un nuovo colpo.
«Pensiamo che se vi sono pochi candidati [alle primarie del Partito socialista francese (PS)], quattro o cinque, possiamo fare uno scrutinio a due turni, senza difficoltà. Al contrario, se ve n’è un gran numero, non vorremmo passare mesi a portare avanti una decina di candidature. Ciò sarebbe poco chiaro, incomprensibile. (…) Prima dell’estate 2011 faremo una specie di prequalificazione (1)». In un passato non troppo lontano il deputato e segretario nazionale del PS incaricato del rinnovamento, Arnaud Montebourg, esaltava l’eliminazione dell’elezione presidenziale a suffragio universale diretto. Il 13 aprile scorso consegnava alla direzione del partito un rapporto sull’organizzazione delle primarie.
I militanti socialisti verranno chiamati ad approvarlo con il voto, il 20 maggio prossimo. Dall’estate 2011 in poi questo procedimento dovrà permettere di designare il candidato socialista – e forse quello di un Partito della Sinistra – all’elezione presidenziale del 2012. Per la prima volta queste primarie «aperte e popolari» riguarderanno tutto il corpo elettorale. Potrà prendervi parte chiunque figuri sulle liste elettorali, versi una quota volontaria destinata ad autofinanziarle e firmi una dichiarazione che attesti la sua adesione ai «valori della sinistra».
Agli occhi dei suoi promotori questo nuovo tipo di designazione offre un efficace strumento per decidere l’ossessionante problema della «leadership», nuova parola-feticcio del discorso socialista e mediatico –, per «togliere il lucchetto» a un partito minato dalle divisioni e per allargare la base di legittimità del futuro candidato. Presentata dai media come una forma di democratizzazione – poiché attribuisce ai simpatizzanti un ruolo che fino ad allora dipendeva dal monopolio degli iscritti –, questa nuova procedura consacra di fatto la depoliticizzazione del dibattito pubblico e la svalutazione della militanza.
Con ogni probabilità la procedura svolgerà funzione di arbitro per i dirigenti, prima di decidere sulle opzioni ideologiche o programmatiche. Essa convalida la delegittimazione di una forma ereditata dal movimento operaio, il partito, il quale, congedato come forma arcaica, si troverà confinato nell’unico ruolo di macchina elettorale. Il PS si adegua così, fin nel suo funzionamento interno, al presidenzialismo della V Repubblica – rafforzato da Nicolas Sarkozy e che questi cercava un tempo di sovvertire. La personalizzazione della vita politica, giudicata intangibile, è di fatto avallata dai socialisti come l’orizzonte invalicabile della democrazia – sull’esempio dell’economia di mercato.
Una lenta decomposizione
Mediante quali meccanismi le primarie sono imposte come «la» soluzione procedurale alla «crisi» che il PS attraverserebbe? È l’attivismo di una coalizione – che associa gli outsider del gioco interno, il «contenitore d’idee» Terra Nova (2) e una parte della stampa di centrosinistra –, come pure la lenta decomposizione organizzativa del partito, la sua ideologizzazione e la sua incapacità a rinnovarsi che hanno reso possibile, pensabile e «imprescindibile» questa nuova modalità di designazione.
Le primarie rafforzano una tendenza già presente alle elezioni del 2007, caratterizzate da un primo scivolamento verso la «democrazia d’opinione» e dall’indebolimento delle logiche partitiche. Consacrata come «presidenziabile» dai media, Ségolène Royal aveva largamente aggirato il partito, squalificando il suo «apparato» e i suoi «elefanti» e imponendosi all’opinione pubblica prima di essere investita dai militanti, che avevano convalidato il verdetto dei sondaggi. Contrariamente alla loro tradizione storica, questi ultimi avevano scelto la portavoce che ottimizzava le loro chance collettive di vittoria e non colei che incarnava le loro preferenze programmatiche o ideologiche. La sig.ra Royal fu così designata senza aver conquistato preventivamente la leadership nel suo partito (al contrario di un François Mitterrand o di un Lionel Jospin) né avervi esercitato eminenti responsabilità.
L’ex ministra traeva la sua forza non soltanto da un’immagine di «verginità politica» accuratamente confezionata e dalla distanza tenuta nei confronti dell’organizzazione socialista, ma soprattutto dalle condizioni di un partito subordinato all’influenza crescente dei sondaggi e sempre più segnato dall’elettoralismo (3). La base militante chiamata a designare il candidato era stata allargata qualche mese prima del voto d’investitura col favore di un’offerta di adesione di 20 euro (ottantamila nuovi aderenti sommersero allora il partito). Questa ondata fu vissuta dai militanti più vecchi e ideologizzati come una forma di consumismo politico e un modo per diluire la base più agguerrita.
La soluzione delle primarie si è imposta a mano a mano che si accreditava, a partire dal 2007, una lettura delle «disfunzioni» socialiste incentrata sulla questione della leadership. In effetti, le loro divisioni interne non apparivano ai socialisti come ciò di cui esse sono sociologicamente e sistematicamente il prodotto: una de-ideologizzazione, una decomposizione delle correnti, diventate coalizioni effimere di interessi locali, sempre meno adatte a strutturare la concorrenza interna, il peso dei notabili, il conseguente indebolimento dell’autorità centrale, la strumentalizzazione personalistica dei media per costruirsi un’identità distintiva (come Manuel Valls), la professionalizzazione generalizzata dell’organizzazione (4) [ndt.: vedi al link http://www.ildialogo.org/. Tutte evoluzioni che rafforzano la personalizzazione, l’individualismo dei dirigenti, l’indisciplina partitica.
Alla conclusione del congresso di Reims del novembre 2008, segnato dalla controversa e contestata designazione di Martine Aubry, e dopo la debacle delle elezioni europee nel giugno 2009, la coalizione dei fautori delle primarie, dagli interessi distinti ma convergenti, si è servita di tutti i mezzi a sua disposizione. I media che esaltano la «modernità» di questa nuova regola accolgono con occhio favorevole una procedura che, durante lunghi mesi, non mancherà di drammatizzare, di girare in spettacolo e di personalizzare una competizione interna una volta confinata dietro le quinte. Essa non può che rafforzare un giornalismo sempre più incentrato sulla «corsa dei cavalli» e incline a evidenziare le «strategie».
Nel 2003 Libération pubblica così una serie di sondaggi che mettono in rilievo il favore per le primarie che cresce nell’opinione pubblica. I quarantenni o i giovani cinquantenni socialisti vi vedono un mezzo per mettere in causa le posizioni consolidate e le gerarchie esistenti, in particolare coloro che non possono appoggiare la loro carriera politica su forti sostegni collettivi o sulle correnti (segue elenco dei personaggi…). Nello stesso modo reagisce chi non può appoggiarsi su una forte popolarità.
I «think-tanks», ai quali le organizzazioni politiche esternano la loro funzione programmatica o che ne contestano il monopolio, concorrono in altro modo alla delegittimazione del partito. Nell’agosto 2009 il presidente di Terra Nova Olivier Ferrand e M. Montebourg pubblicano un saggio sotto forma di arringa per una primaria (5). L’argomentazione mette in opera una retorica modernizzatrice rivolta alla squalifica della forma partitica. Onnipresente, la semantica del marketing politico suggerisce, per esempio, di «testare» i candidati. Versione politica dell’emissione televisiva «L’anello debole», la primaria deve differenziare costoro sulla base «dei difetti degli uni e degli altri (pag. 79). «Occorre essere realisti», vi si può leggere: «per trasformare il sistema politico è necessario vincere l’elezione presidenziale e per vincere questa elezione importantissima e ormai determinante tutte le altre, bisogna integrarne le regole del gioco. (…) Il nostro rifiuto costante delle regole del gioco presidenziale segna la nostra inettitudine per vincerlo» (pag. 31).
Il nucleo della dimostrazione si basa su una posizione, messa in luce da Pierre Bourdieu e Luc Boltanski nella loro analisi critica dell’ideologia dominante, che può essere riassunta in una formula: «la fatalità del probabile»; è necessario volere il cambiamento perché è inevitabile. Bisogna insomma «volere la necessità» (6).
Il sillogismo può essere formulato così: la personalizzazione della vita politica è una pesante tendenza delle democrazie contemporanee, un fenomeno irresistibile tanto quanto lo è la «presidenzializzazione» delle istituzioni. Quindi è necessario immettersi nel corso della storia e adattare la forma partitica (anche se, sotto la copertura dell’adattamento, la si consacra). Per stabilire l’ineluttabilità di questa scelta gli autori drammatizzano la prospettiva del 2012 (la sinistra non può perdere) e invocano esempi stranieri che si presume funzionino come argomento autorevole: le primarie hanno fatto la loro prova negli Stati Uniti, poiché Barack Obama ha vinto; le primarie italiane hanno conosciuto un grande successo popolare… Che ne è del programma del candidato? «Naturalmente il punto di partenza sarebbe il programma del vincitore delle primarie. Naturalmente, la messa in pratica sarebbe anche qui a sua totale discrezione (pag. 84).
Questa offensiva politico-mediatica esorta la direzione socialista e la sig.ra Aubry, molto riservata sulle primarie, ad accelerare il processo. Il 26 agosto 2009, su Libération, Terra Nova lancia una petizione che raccoglie l’approvazione d’intellettuali (Olivier Duhamel, Bernard-Henri Lévy, Alain Touraine...), di dirigenti politici, di politologi mediatici (Roland Cayrol...). A qualche giorno dalla ripresa politica del settembre 2009, mentre l’ingiunzione mediatica si fa pressante, i seguaci di Fabius e gli adepti di Bertrand Delanoë, ancora refrattari qualche mese prima, cedono. Essi precedono di poco la prima segretaria, che incide l’ascesso e, in una tribuna pubblica su Le Monde alla vigilia dell’apertura dei dibattiti all’Università di La Rochelle, si pronuncia a favore di «primarie aperte». Ratificandone la presa di posizione, il 1 ottobre 2009 i militanti approvano in qualche modo il loro spossessamento.
Logica militante o logica mediatica?
Come si svolgeranno le primarie? Saranno veramente concorrenziali? L’apparato non riuscirà a neutralizzarle, ad addomesticarle? Saranno discusse e messe a confronto opzioni ideologiche diverse? I prossimi mesi lo diranno. Ma, incontestabilmente, esse s’iscrivono in un processo (che esse accusano) di svalutazione delle risorse militanti, di trasformazione delle organizzazioni e di ridefinizione del gioco politico.
Il PS è il lontano erede di una tradizione proveniente dal movimento operaio, che valorizza la legittimità militante, e questa rilanciava all’idea d’avanguardia, teorizzata dal marxismo, che fu per lungo tempo una delle matrici ideologiche del socialismo francese. In questa prospettiva, il partito è uno strumento di emancipazione, agli avamposti della società. La illumina, la struttura, l’inquadra, la politicizza, dà ai dominati «la cultura della loro disgrazia», per riprendere l’espressione di Fernand Pelloutier (7). Il PS non ha mai rappresentato in pieno, storicamente, questo modello, ma costituiva una fiction necessaria.
Oggi è questo concetto del partito come crogiolo politico, luogo di delibere, d’educazione e di mobilitazione che si discredita. Il militante in certo qual modo è spossessato delle sue prerogative tradizionali. A che scopo militare in un partito politico se nulla distingue il militante dal simpatizzante? Se scompaiono le frontiere del dentro e fuori dal partito? Se l’opinione pubblica tende a fare il partito (o a disfarlo) e se i media fanno l’elezione?
Incapaci di «rinnovarsi» i socialisti installano e legittimano l’idea che lo stesso Partito Socialista è sorpassato, che se ne può fare a meno. Di più: se non si può cambiarlo, perché non metterlo in liquidazione?
(I)Arnaud Montebourg, France Inter, 13 avril 2010.
(2) Lire Alexander Zevin, «Terra Nova, la "boîte à idées" qui se prend pour un think tank», Le Monde diplomatique, février 2010.
(3) Rémi Lefebvre et Frédéric Sawicki, La Société des socialistes. Le PS aujourd'hui, Editions du Croquant, Bellecombe-en-Bauges, 2006.
(4) Lire «Faire de la politique ou vivre de la politique», Le Monde diplomatique, octobre 2009. Vedi : http://www.ildialogo.org/
(5) Olivier Ferrand et Arnaud Montebourg, Primaire. Comment sauver la gauche, Seuil, Paris, 2009.
(6) Pierre Bourdieu et Luc Boltanski, La Production de l'idéologie dominante, Raisons d'agir - Demopolis, Paris, 2008.
(7) Figure de l'anarcho-syndicalisme du XIX' siècle, il développa les Bourses du travail.


Venerdì 14 Maggio,2010 Ore: 16:53
 
 
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