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www.ildialogo.org Musulmani in Europa o europei musulmani?,Di Andrea Dernbach

Der Tagesspiegel online – 4 maggio 2010
Musulmani in Europa o europei musulmani?

Di Andrea Dernbach

(traduzione dal tedesco di José F. Padova)


L'integrazione dell' "altro" è un problema anche in Germania, dove oltretutto vivono più di 4 milioni di cittadini di origine turca. Recentemente si è svolta a Wuppertal una conferenza sul tema dell'identità. Purtroppo su questo argomento (che da noi non è neppure ai primordi di una vera riflessione politica, sia del governo che dell'opposizione) non sono riuscito a trovare altro di più approfondito. Accontentiamoci.(José F.Padova)

http://www.tagesspiegel.de/


Millî Görüş, comunità islamica conservatrice, discute su vecchie e nuove identità.

Berlino – Secondo l’Ufficio federale per la difesa della Costituzione è la quinta colonna di un aggressivo programma islamico di infiltrazione: la “Comunità islamica Millî Görüş” [ndt.: Islamische Gemeinschaft Millî Görüş (Punto di vista nazionale in tedesco/turco) è un'organizzazione islamica turca presente soprattutto in Germania, ma anche in Francia, Paesi Bassi, Austria ed in altri paesi europei].funge da polo d’attrazione. Il ministro dell’Interno ha perciò escluso la Federazione centrale dei Consigli islamici dalla Conferenza tedesca sull’Islam. Almeno per quanto riguarda la fascia direttiva colta della Comunità islamica Millî Görüş e le giovani leve degli intellettuali europei, in questi giorni se ne vede l’orientamento a Wuppertal, dove si è svolto un incontro per un simposio su “vecchie e nuove identità”.

Nel discorso di accoglienza degli organizzatori è stato detto che vi sarebbe chi vede la presenza dei musulmani in Europa come una perdita ma anche chi vi collega nuove possibilità. Si spera che entrambe le posizioni siano oggetto di discussione. Evidentemente non è stata organizzata la materia per la discussione, mancava del tutto la critica da parte islamica. “Da questo genere di manifestazioni mi aspetto impulsi, indicazioni su nuove possibilità di rapporti”, ha dichiarato una giovane biochimica belga al Tagesspiegel. “Sapete, in ogni caso la mia vita quotidiana è già piena di critiche all’Islam”. Si vorrebbe tirarsi un poco fuori dal “discorso della diffidenza”, è detto più tardi nella conferenza di Oğuz Üçüncü, segretario generale della CIMG [ndt.: funzionario islamico di nazionalità turca, operante in Germania]. Perciò ha a che fare ad alto livello: il ministro dell’Interno Thomas de Maizière ha motivato l’esclusione del Consiglio islamico dalla Conferenza sull’Islam con le indagini aperte contro costui.

Naturalmente ci sono state riflessioni su sé stessi. Così lo storico di Istanbul Mustafa Macit Kenanoğlu ha messo in guardia da istituzionalizzazioni identificative con riferimento agli Osmanli [ottomani], la cui celebre tolleranza per le minoranze religiose aveva pur avuto i propri limiti. Essi avrebbero loro concesso soltanto diritti minori e per di più solamente nel caso fossero state disposte ad accettare la priorità del diritto islamico. In nessun caso sarebbero stati accettati gli atei e così anche l’immagine dei sultani ottomani amanti della giustizia e della pace sarebbe messa in cattiva luce. Werner Schiffauer, antropologo delle culture presso l’Università Viadrina [di Francoforte sull’Oder] e buon conoscitore dell’Islam conservatore in Germania, più tardi ha sostenuto che il “neo ottomanesimo” potrebbe certo offrire sicurezza ai giovani nel quadro di una grande tradizione, se dall’esterno fossero colpiti da ristrettezza e bisogno. Tuttavia il “neo osmanismo” fallirebbe se ci si fosse meglio informati.

Che cosa allora, invece di questo? Ovvero: “Chi siamo noi”? Le risposte più realistiche a questi problemi di fondo, sempre mutevoli, vengono da Birgit Rommelspacher, professoressa all’Istituto Superiore Alice Salomon di Berlino: noi siamo molti. Tutti, non soltanto i musulmani. “Ogni persona si identifica in molteplici modi”. Nel suo ruolo famigliare, nella religione, nelle convinzioni politiche. E in dipendenza dell’età e della situazione sociale hanno cambiato perfino le “identità multiple” che mantengono ogni persona in molteplici relazioni sociali o ne hanno modificato il loro significato. La “culturizzazione”, ovvero la determinazione della persona su una – religiosa o etnica – delle sue molteplici appartenenze, nega questa molteplicità e segna le persone come straniere, “the others”, diverse. Il migliore rimedio contro questo “essere altro”, dice Rommelspacher, è l’eguaglianza politica, sociale, economica. Per questo le minoranze devono battersi, però con una lobbying sobria, che da parte sua impedisca di entrare nella trappola del “noi contro loro”.

Le domande della platea al palco permettono tuttavia di riconoscere che questa (op)posizione determina ulteriormente la vita quotidiana. E se non fosse necessaria nulla più di una campagna per [adeguare] la società di maggioranza? Si dovrebbe piuttosto convincere ad accettare la molteplicità, chiede una giovane donna, con un foulard sul capo come quasi tutte le donne in sala. Altre domande erano suggestive e artificiali, ma in esse si poteva riconoscere un’autentica frustrazione. Perché non si parlava per nulla della storia musulmana dell’Europa, perché si conoscono gli studiosi musulmani del Medioevo, come Ibn-Raschid (Averroè), soltanto sotto i loro nomi latini?

Poiché si tratta del potere, ha risposto la sociologa americana Pamela Irving Jackson. E gli afro-americani negli Stati Uniti hanno indicato che vale la pena di lottare per avere la propria parte di storia nei libri scolastici. Il suo collega, di Toronto e abitante a Berlino, Y. Michal Bodemann, suggerì l’esempio della diaspora ebrea: non isolarsi. Precedentemente sul podio era stato ricordato da parte turca il cliché del “potere degli ebrei” E Bodemann: “Preoccupatevi meno del jewish power, osservate come voi stessi siete di parte”. Consenso da parte di Üçüncü, che nel suo intervento ha puntato il mirino su razzismo e othering [essere altri] nelle sue proprie fila. Allora è stato chiesto se “i tedeschi” avessero in genere moralità, amassero i loro figli. “Trovo queste domande immorali”. Del resto la società di maggioranza lotta per l’identità e risponde volentieri alla domanda “Chi siamo noi?” indicando ciò che non si è. “Voi avete in parte le stesse difficoltà che noi abbiamo”.



Domenica 09 Maggio,2010 Ore: 08:32
 
 
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