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www.ildialogo.org POLITICA E BANCHE,(traduzione dal tedesco di José F. Padova)

Die Zeit, Hamburg
POLITICA E BANCHE

Una rappresentazione teatrale dell’impotenza


(traduzione dal tedesco di José F. Padova)

I principali responsabili della crisi sono al tempo stesso i suoi vincitori. Angela Merkel e i suoi colleghi non hanno nemmeno iniziato a mettere in moto lo scontro per un nuovo ordinamento del settore finanziario.


Die Zeit si occupa (si preoccupa) del permanere ai loro posti e con invariata capacità distruttiva dei "boss" della finanza (cor)responsabili della crisi economica attuale e probabilmente al lavoro per causarne un'altra peggiore, vedi Grecia e quindi euro. L'autorevole settimanale punta qui il dito sulla passività della politica di fronte alle grandi banche, ne spiega le ragioni e conclude con un invito che non tutti seguiranno (c'è da impegnarsi).
Se pure vi fosse bisogno di confermare quanto sopra: ancora ieri il Corriere della Sera elencava i grandi, decisivi provvedimenti allo studio in America per tagliare le unghie alle banche. Peccato che concludesse così:
"... Ora la vera domanda è: che possibilità ci sono che, a un anno e mezzo dal crollo di Wall Street, questa complessa riforma veda davvero la luce? Democratici e repubblicani hanno lavorato seriamente per un mese ad un accordo bipartisan. Che è saltato non per dissensi in campo finanziario, ma per i riflessi politici dello scontro sulla sanità, con la destra decisa a bloccare tutto fino alla conclusione della «battaglia sulla salute» e i democratici determinati, invece, ad andare avanti.
Dodd vuole portare la legge in aula al Senato entro aprile e avere la riforma in vigore entro il 2010. Non facile in un anno elettorale, ma - a differenza di quella sanitaria - la riforma dei controlli su Wall Street non ha troppi nemici tra gli elettori.
Massimo Gaggi"

(José F. Padova)

http://www.zeit.de/meinung/2010-03/schauspiel-der-ohnmacht

La messa in scena è come sempre impressionante: ecco che la cancelliera tedesca si indigna per la «vergogna» che proprio quelle banche, “che ci hanno portato alla rovina”, della catastrofe debitoria della Grecia fanno un affare e promette un “nuovo ordinamento per i mercati finanziari internazionali”. Ecco che il capo dello Stato francese Nicolas Sarkozy strilla di una “degenerazione del capitalismo” ed esige, come un tempo soltanto facevano gli attivisti di Attac [ndt.: Associazione per la Tassazione delle Transizioni finanziarie e per l'Aiuto ai Cittadini], l’ “imposizione fiscale sulla speculazione” contro la “pazzia furiosa dei mercati finanziari”. Ecco qui il primo ministro del Lussemburgo Claude Junker, in nome di tutti i governi dell’Eurozona, minacciare che agli speculatori si mostreranno gli “strumenti di tortura” e lo stesso presidente americano Barack Obama tuonare contro i “bonzi di Wall Street” e come un ragazzo di strada ostentare di essere “pronto alla lotta, se quella gente la vuole”. Così sembra del tutto chiara la promessa dei governanti, in Europa e negli Stati Uniti: l’addomesticamento dell’industria finanziaria a favore del resto dell’economia gode della massima priorità e i responsabili fanno tutto quello che serve “perché una simile crisi non si ripeta”, come ha assicurato Angela Merkel.

Eppure questo teatro è profondamente falso. In realtà Merkel, Obama e i loro combattivi colleghi non sono andati avanti su questa strada di un solo passo. Lo sfoggio moralistico delle loro promesse è in rapporto inversamente proporzionale con le misure realmente prese e sposta l’attenzione su un fallimento della politica che minaccia, presto o tardi, di fare a pezzi l’intera rete dell’economia globale.

Sono trascorsi quasi tre anni da quando, con l’esplosione della bolla immobiliare americana, le prime banche, come la IKB tedesca o il gigante finanziario svizzero UBS, subirono perdite per miliardi. E al più tardi a partire dalla caduta di Lehman Brothers nel settembre 2008 e dalle azioni di salvataggio del restante mondo bancario, costate miliardi, è ben chiaro che la deregolamentazione dei mercati dei capitali ha prodotto un “mostro” distruttivo, come ha deplorato il presidente della Repubblica Federale Tedesca Horst Köhler. A causa di ciò in tutto il mondo per lo meno 100 milioni di persone hanno perso il loro lavoro. Il danno economico è più grande del valore complessivo di tutti i beni e i servizi prodotti negli Stati Uniti in un anno e per la sua parte l’indebitamento pubblico è ora una minaccia.

Ciononostante fino a oggi nessuno dei responsabili è stato chiamato alla resa dei conti. Al contrario: i massimi artefici della crisi sono adesso perfino i vincitori e si attribuiscono di nuovo stipendi milionari a due cifre. E diventa sempre più evidente che lo sviluppo perverso del mondo finanziario globale ha messo nelle mani di una piccola cricca, ai piani di comando di circa 15 conglomerati monetari globali, un potere che si sottrae a qualsiasi controllo democratico.

Il tutto ha avuto inizio dal fatto che i monarchi delle banche hanno dettato essi stessi le condizioni in base alle quali, con i denari delle imposte, sono stati salvati i loro conglomerati finanziari. In Germania la situazione si è spinta al punto che il rappresentante dell’economia monetaria, il capo della Deutsche Bank Josef Ackermann, ha potuto concordare personalmente i punti chiave [del salvataggio] con l’inconsapevole Cancelliera e col suo sovraccarico ministro delle Finanze. Successivamente lo studio legale Freshfields, attivo su piano mondiale nel settore finanziario, ha redatto il relativo progetto di legge che poi, a mo’ di golpe, è stato portato avanti in Parlamento a colpi di frusta. Le cose sono andate del tutto analogamente a Londra, Parigi o Washington. In tale modo si è impedito fin dall’inizio che i creditori, con buone disponibilità monetarie, degli istituti finanziari pericolanti, quindi proprio coloro che avevano investito denaro nelle speculazioni farlocche, dovessero pagare anche per il risanamento – cosa che è ovvia per qualsiasi altro fallimento. Lo scardinamento di questo principio basilare dell’economia di mercato ha reso molti gruppi finanziari, come Unicredit o JP Morgan e soprattutto Deutsche Bank e il primo della classe di Wall Street Goldman Sachs, i più grandi beneficiari della crisi da loro stessi provocata.

Così la sola Deutsche Bank ha ricevuto per il salvataggio dell’assicurazione USA AIG, ai cui cercatori di bonus i banchieri tedeschi avevano rifilato i loro rischi derivanti dalle speculazioni ipotecarie americane, più di dieci miliardi di dollari. Per le altre operazioni di salvataggio la banca ha incassato una somma di denaro per lo meno equivalente e di altrettanto hanno approfittato i colleghi di Goldman Sachs. Intanto erano proprio questi giganti del denaro alla testa della commercializzazione di quei “pacchetti di crediti” tossici che ancor oggi devastano i bilanci dei loro clienti. Ma c’è di peggio: mentre quelli della Goldmann e della Deutsche sistemavano i crediti fasulli presso i colleghi meno furbi delle casse di risparmio o dei fondi pensione, gli strateghi commerciali sempre delle stesse finanziarie fin dall’autunno 2006 preparavano la rovina proprio di questi investimenti. Quando si verificò la caduta del valore dei titoli da loro stessi commercializzati, guadagnarono ancora una volta – una pratica inaudita, che nel resto dell’economia sarebbe semplicemente impensabile. I fabbricanti di beni di consumo garantiscono per danni causati da prodotti difettosi perfino se non sussiste alcuna colpa. Ma qui senza alcun scrupolo sono stati venduti prodotti dei quali i venditori dovevano sapere quali gigantesche perdite avrebbero causato ai loro clienti.

Già solamente questo episodio documenta che la comunità dei banchieri d’investimento e dei loro collaboratori delle agenzie di rating e degli hedgefunds si è sviluppata come una società parallela, per la quale non valgono le norme e i valori della società normale. Nello stesso tempo fino a oggi riesce loro di manipolare a piacere il processo politico attorno ai loro affari. Simon Johnson, ex economista capo del Fondo Monetario Internazionale, descrisse il saccheggio delle casse dello Stato per il sostegno del sistema bancario come un ”Silent coup”, un colpo di Stato silenzioso, da parte di una piccola cricca di manager finanziari contro le regole di base dell’economia di mercato e della democrazia.

La base di questo potere è la pura e semplice dimensione. Nessun governo può mai lasciare fallire conglomerati finanziari che amministrano investimenti fino a duemila miliardi di dollari, perché ciò distruggerebbe il sistema dei pagamenti e causerebbe incalcolabili danni. Questa implicita garanzia di Stato procura loro non soltanto illimitato credito a basso prezzo e quindi una grave distorsione della concorrenza. Contemporaneamente in caso di crisi rende i governi ricattabili e già la minaccia di una possibile riduzione dei crediti è sufficiente a rendere docile ogni governo. L’unica via d’uscita dal problema del ”too-big to-fail” [troppo grande per fallire], così arguisce Johnson, sarebbe la radicale riduzione dei conglomerati finanziari a importi di bilancio di 100 miliardi di dollari come massimo, equivalenti a circa un decimo dell’attuale dimensione della Deutsche Bank. Al di là di questo limite non vi sarebbe più alcun vantaggio economico gestionale basato sulla dimensione, ma esclusivamente un potere economico che conduce all’abuso. In modo del tutto simile argomentano anche Mervyn King, capo della Banca d’emissione britannica, l’ex capo della Federal Riserve Paul Volcker e l’attuale direttore della FED Richard Fisher, tutti quanti professionisti specializzati insospettabili di inclinazioni per l’estrema sinistra. E non da ultima anche la cancelliera tedesca ha dichiarato che nessuna banca dovrebbe “più essere tanto grande da poter ricattare gli Stati”. Questo sarebbe il “punto più importante”.

Eppure Merkel e i suoi colleghi non hanno neppure dato inizio alla necessaria guerra di potere. Invece di ciò nei loro vertici finanziari, pomposamente messi in scena, si sono dedicati alla comoda strategia di rendere il sistema sicuro dalle crisi mediante migliori regolamentazioni e funzionari addetti alla vigilanza. Inoltre si sono fatti formulare dai loro funzionari norme melodiose, come suppergiù la pretesa che non ci debbano più essere prodotti finanziari, mercati e società finanziarie prive di regolamentazione. In più tutti i protagonisti dovrebbero in futuro costituire quote maggiori di capitale proprio come cuscinetto anticrisi e giocare meno d’azzardo sul credito. Tutti inoltre hanno poi delegato alle commissioni internazionali di tecnocrati, come la Commissione di Basilea per la Supervisione bancaria o la Commissione Europea. In quelle sedi le medesime persone, che prima chiaramente hanno fallito, adesso dovrebbero negoziare, libere da qualsiasi controllo parlamentare, un consenso fra 27 Stati riguardo alle nuove regole della sorveglianza. Poiché gli Stati e le loro banche sono colpiti ogni volta in misura diversa, questo procedimento è un invito alla lobby della finanza per mettere i funzionari nazionali gli uni contro gli altri tanto a lungo che il compromesso risultante rimarrebbe completamente inefficace.

Un saggio di questa stupidaggine politica lo forniscono le linee guida dell’Unione Europea per la regolamentazione degli hedgefund e delle agenzie di rarting. Entrambi nulla cambieranno al business model di queste forme imprenditoriali, coinvolte in criminose faccende di insider trading e di truffa organizzata con titoli fasulli. Le note valutative, più volte dimostrate false, delle agenzie di rating sono fino a oggi parte costitutiva, fissata per legge, della regolamentazione bancaria. E proprio nel commercio dei cosiddetti credit default swap (CDS), in quelle strategie d’affari distruttive, che il fallimento Lehman per primo ha reso un evento in grado di distruggere il sistema, non è accaduto assolutamente nulla.

Per questo gli “speculatori” possono sempre assicurarsi contro le perdite di prestiti che essi stessi non possiedono minimamente, proprio come se fosse permesso l’acquisto di assicurazioni contro gli incendi su immobili di gente estranea. Questo è inutile sotto l’aspetto politico-economico, ma farebbe diventare gli incendi dolosi un affare esplosivo. Esattamente questo organizzano gli hedgefund, sempre ancora non regolamentati, in combutta con le banche d’investimenti e con le agenzie di rating, nei confronti della Grecia. Per prima  cosa si sono coperti con tali pseudo-assicurazioni (nel gergo del settore: “CDS nudi”) sui prestiti greci presso Goldman & Co., che per questo ottennero grassi premi assicurativi. Poi, all’improvviso, le agenzie di rating retrocessero la solvibilità dei greci, nonostante sapessero da molto tempo prima che le finanze statali di Atene erano gestite male e le statistiche taroccate – dopotutto ne erano ufficialmente a conoscenza. In seguito a ciò i prezzi dei CDS per i titoli greci si raddoppiarono, perché adesso gli effettivi titolari dei prestiti volevano assicurarsi contro la perdita di valore. E una stampa economica compiacente diede una mano a fomentare ancor più la paura, come ai vecchi tempi schematizzando “i mercati” col massimo di violenza, alla quale la politica deve adeguarsi. I fondi intascarono proprio allora un guadagno del 100 percento. Ora però gli alti premi assicurativi segnalavano più alti rischi, il che rendeva più onerosi gli interessi pagati per i debiti di Atene, e adesso gli analisti di Moody’s hanno giusto in mano di che precipitare definitivamente la Grecia nella bancarotta. Se essi abbassano un’altra volta il pollice, la Banca Centrale Europea, secondo le sue sorpassate regole, non può accettare i prestiti greci in garanzia e la conseguente, forzata vendita in massa di questi titoli spingerebbe i tassi dei premi tanto in alto che l’accresciuto servizio del debito [ndt.: termine tecnico per costo degli interessi passivi] manderebbe in fumo tutti gli impegni di risparmio di Atene.

Tutto questo è così bizzarro che gli oppositori della riforma in seno all’Amministrazione si vedono adesso costretti a rappresentare una volta ancora la vecchia messa in scena. Quindi ecco il ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble che dice una parolina sul divieto, richiesto già dall’autunno 2008, dei “CDS nudi” e i direttori della Banca Centrale Europea che prendono in esame la messa al bando delle agenzie di rating dal regolamento ufficiale. Nello stesso tempo tutti gli interessati rimandano una volta di più al coordinamento internazionale e ci si deve attendere che anche l’ escalation, intenzionalmente messa in opera, della crisi dell’euro nulla verrà a cambiare nelle pratiche commerciali distruttive. Nello stesso tempo la Banca delle Banche di emissione a Basilea, i cui economisti avevano predetto con precisione anche la crisi precedente, mette ora in guardia sul fatto che “le imprese finanziarie ritornano ai comportamenti aggressivi dei tempi precedenti la crisi” e operano una “assunzione di rischi eccessiva”.

Questo fallimento della politica dimostra che in gioco vi è molto più della congiuntura e delle finanze statali. Quanto più a lungo gli oligarchi della finanza mettono in ridicolo i governi, tanto più la democrazia degrada in uno spettacolo di impotenza, che trascina i cittadini nelle braccia di pericolosi populisti. Colpa di questo è anche l’inerzia dei molti che certo si arrabbiano, ma in ogni caso limitano la loro partecipazione democratica alla prossima votazione. “L’insegnamento più importante della crisi dovrebbe essere che non possiamo più concedere alcun influsso politico alle banche, dobbiamo rompere il potere di Wall Street”, richiede Johnson. Con ciò i soli governi sono evidentemente sotto eccessiva pressione. È arrivato il momento di coinvolgersi. Chi manca a questo ottiene presumibilmente già ben presto la crisi che si merita.


Mercoledì 17 Marzo,2010 Ore: 12:19
 
 
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