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www.ildialogo.org BEN ALI IN FUGA DALLA CRAXI AVENUE,di Daniela Zini

Tunisia un avvertimento per altri Paesi
BEN ALI IN FUGA DALLA CRAXI AVENUE

di Daniela Zini

“E quando l'ombra dilegua e se ne va, la luce che si accende diventa ombra per altra luce, e così la vostra libertà, quando spezza le sue catene, diventa essa stessa catena di una grande libertà.”
Khalil Gibran
Tunisia infine la libertàCosa passa nella testa dei dittatori?
È una domanda che si saranno, forse, poste e riposte le milioni di vittime delle dittature.
E molti tunisini si saranno, sicuramente, posti la domanda su cosa passasse nella testa del loro dittatore, che aveva iniziato così bene ed è finito così male.
Troppo male!
Anche i più forti, hanno il loro momento di défaillance, quando l’ora suona, è difficile cambiare il corso del destino!
Zine al-Abidine Ben Ali (1936) lo ha compreso a sue spese.
È così che le manifestazioni contro la disoccupazione e la vita dura nelle regioni interne, che erano state pacifiche prima di degenerare, hanno trionfato su ventitre anni di regno. Quelli che l’ex-capo di Stato aveva qualificato “éléments hostiles à la solde de l’étranger, qui ont vendu leur âme à l’extrémisme et au terrorisme, manipulés depuis l’extérieur du pays par des parties qui ne veulent pas le bien à un pays déterminé à persévérer et à travailler”, lo hanno costretto a lasciare il potere e all’esilio.
A tre anni dalla fine del suo mandato, che doveva spirare nel 2014, Ben Ali, che ha beneficiato della riconoscenza di una nazione per aver concorso alla rinascita nel Paese, se ne è andato dalla porta di servizio.
Il nemico non dorme mai!
Quanto è accaduto al presidente tunisino Ben Ali non è frutto del caso. È la rivincita degli integralisti e dei fedelissimi di Habib Bourguiba (1903-2000), che non gli hanno mai perdonato, quel 7 novembre 1987.
Quando, quel sabato mattina del 7 novembre, Ben Ali, allora primo ministro, faceva valere l’articolo 57 della costituzione (1) – che faceva di lui il successore automatico e legale del presidente, in caso di vacatio del potere – e deponeva il “padre della nazione”, il molto malato Habib Bourguiba (1903-2000),  la Tunisia era in ginocchio economicamente – una inflazione del 10% e un debito estero che raggiungeva il 46% del PIL – e sull’orlo di un’implosione violenta.
Gli integralisti islamici, che si erano infiltrati in tutti gli ingranaggi del regime Bourguiba, durante la sua agonia, erano a due passi dal prendere il potere, uno scenario temuto dalla maggioranza dei tunisini di espressione laica. Il colpo di Stato contro Bourguiba era progettato per il 9 novembre 1987.
Per Mezri Haddad fu semplicemente “un atto di salubrità pubblica”.
“Officiellement âgé de 84 ans, Bourguiba s’endort quand il reçoit un hôte étranger; sous l'influence de ceux qui guignent la présidence, il chasse le lendemain le ministre qu’il a nommé la veille, il admet le remaniement ministériel proposé par son Premier ministre pour se rétracter quelques heures après… Pire que tout, il exige la révision du procès de l’intégriste Rached Ghannouchi (et la condamnation à mort de ce dernier):
“ Je veux cinquante têtes (…) Je veux trente têtes (…) Je veux Ghannouchi.”
Mezri Haddad, Non Delenda Carthago, Carthage ne sera pas détruite. Autopsie de la campagne antitunisienne
Tuttavia, nel loro libro Notre ami Ben Ali, i giornalisti Nicolas Beau e Jean-Pierre Tuquoi danno un’altra versione degli eventi:
“Sept médecins dont deux militaires, sont convoqués en pleine nuit, non pas au chevet du malade (Bourguiba) mais, là encore, au ministère de l’ntérieur. Parmi eux se trouve l’actuel médecin du président, le cardiologue et général Mohamed Gueddiche. Ben Ali somme les représentants de la faculté d’établir un avis médical d’incapacité du président. “Je n’ai pas vu Bourguiba depuis deux ans.” proteste un des médecins.
“Cela ne fait rien! Signe!” tranche le général (Ben Ali).”
 
Quello stesso 7 novembre, nel suo primo discorso programmatico alla radio nazionale, Ben Ali aveva annunciato:
L’époque que nous vivons ne peut plus souffrir ni présidence à vie ni succession automatique à la tête de l’État desquels le peuple se trouve exclu. Notre peuple est digne d’une vie politique évoluée et institutionnalisée, fondée réellement sur le multipartisme et la pluralité des organisations de masse.” 
Il discorso era piaciuto alla stragrandemaggioranza dei tunisini che si erano strettiattorno all’“uomo del cambiamento”.
La stampa mondiale aveva salutato “la rivoluzione del gelsomino”. Difficile accusare gli opinionisti occidentali di eccesso di zelo, sapendo che i più feroci oppositori al sistema dello Stato-Partito avevano, quasi unanimemente, applaudito l’avvento del nuovo potere a Cartagine.
Ciò detto, le promesse di democratizzazione della vita pubblica, una crescita continua del PIL, un tasso di natalità controllato e una condizione invidiata delle donne non sono una garanzia assoluta di successo. Dopo una schiarita democratica di due anni (1987-1989), che aveva visto sbocciare una stampa libera, il regime di Ben Ali si mostrò nel suo vero volto.
Verso la metà degli anni 1990, il potere tunisino si attaccò a ciò che restava della sinistra politica. Dopo aver messo i sindacati e la stampa al passo, il potere scivolò, a poco a poco, verso il dispotismo. Anche il limite legale di tre mandati presidenziali finì per saltare con il referendum del 2002, che modificava la costituzione. Dal 1987, Ben Ali e il suo partito hanno raccolto, regolarmente, più del 90% dei voti, alle diverse scadenze elettorali. Forte di un controllo stretto della società, avrebbe potuto, teoricamente, continuare a governare fino al 2014.
Il paesaggio mediatico tunisino è uno dei più arretrati del mondo arabo e musulmano. La maggior parte dei giornali, sia pubblici sia privati, cantavano le lodi del beneamato presidente e del suo partito. La televisione e la radio pubbliche abbeveravano l’uditorio di litanie per la gloria di questo capo che riceveva, spiegava, ordinava, disponeva, tutto il giorno.
Sul fronte politico, i partiti dell’opposizione reale – escludo dalla analisi “l’opposizione cosmetica” che serviva, essenzialmente, a far apparire democratico il regime – erano sotto stretta sorveglianza e i loro rappresentanti oggetto di una repressione costante. Le organizzazioni indipendenti, quali la Ligue Tunisienne de Défense des Droits de l’Homme, hanno vissuto saghe politico-giudiziarie e sono state regolarmente minacciate di chiusura. L’università e il principale sindacato del Paese, culle della contestazione, negli anni 1970 e 1980, erano più o meno rientrati nei ranghi.
Una delle rare armi, di cui disponevano gli oppositori al regime, era lo sciopero della fame.
Quanto alla giustizia, era, totalmente, infeudata al potere esecutivo.
Il modello tunisino, tanto vantato dai politici occidentali come un bastione contro l’integralismo, non era che un bluff.
Creando un vuoto politico e culturale intorno a sé, il potere non poteva che fare il gioco di tutti gli estremismi. La reislamizzazione della società tunisina, non molto tempo fa una delle più laiche del mondo musulmano, ne è una illustrazione.
Vi è un elemento psicologico importante nella rapida trasformazione di Ben Ali in dittatore. I tunisini erano stati sorpresi del cambiamento alla guida dello Stato, il 7 novembre 1987. Non avevano partecipato a questo processo. Questa non-partecipazione popolare al cambiamento, aveva portato Ben Ali a sentirsi il salvatore del Paese e a trasformarsi in decisore unico per tutto ciò che atteneva alla vita politica, economica, sociale e culturale di 10 milioni di persone. Abbracciando la carriera di dittatore, Ben Ali, si metteva in una disposizione psicologica molto particolare: in quanto presidente, non era lui al servizio del popolo, ma il popolo a porsi al suo servizio, senza protestare per quanto fosse deciso per lui al Palais de Carthage. Ma Ben Ali non ha, neppure, avuto l’intelligenza di perseverare nella sua carriera di dittatore, attenendosi a una applicazione minimale della legge e consentendo una preservazione, altrettanto minimale, degli interessi dello Stato. L’assenza o piuttosto lo spregio per questa preoccupazione fondamentale nell’esercizio del potere ha fatto in modo che Ben Ali precipitasse dallo status di dittatore a quello di padrino, attento più al benessere del suo entourage che alle dure condizioni di vita delle centinaia di migliaia di disoccupati.
È molto corrente, in dittatura come in democrazia, che un uomo di potere faccia beneficiare il proprio entourage di alcuni vantaggi.
È una debolezza umana, si sa!
Ben Ali non avrebbe focalizzato su di sé tutto questo odio, se si fosse limitato a seguire questa regola banale, vale a dire se si fosse limitato ad avvantaggiare il suo entourage nei limiti “ragionevoli”, impedendo di utilizzare i legami parentali per abusare dei beni pubblici e privati.
Lasciando la briglia sul collo ai membri della propria famiglia e della famiglia della propria moglie, Ben Ali li incoraggiava, volontariamente o involontariamente, a trasformarsi in veri predatori che, più hanno possibilità di fare razzia, più hanno voglia di affondare i denti.   
In una parola, come direbbe il popolo, più mangiano, più hanno fame.
Il silenzio imposto dal vertice dello Stato alle istituzioni pubbliche e ai singoli privati, vittime delle depredazioni della propria famiglia e della famiglia della propria moglie, ha reso Ben Ali agli occhi del popolo sempre meno presidente e sempre più padrino, al centro di un vasto traffico di influenza che ha trasformato, di anno in anno, dei poveruomini in miliardari.
Questo per quanto attiene alla sfera pubblica.
Quanto a ciò che accade dietro le quinte, solo Dio e alcuni sanno.
L’indifferenza o l’incapacità di Ben Ali a rispondere ai bisogni dei disoccupati, sempre più numerosi, senza dimenticare il dilagare della corruzione tra i molti funzionari dello Stato, hanno finito per avere ragione della pazienza del popolo.
Alla sua prima fronda seria, la dittatura mafiosa è crollatacome un castello di carte.
Il cambiamento non è offerto al popolo tunisino.
Il popolo tunisino lo ha reso possibile, pagando un prezzo altissimo: il sangue di decine di suoi figli nel fiore dell’età.
I tunisini sono, oggi, a un crocevia, con una occasione d’oro tra le mani.
Sono, perfettamente, in grado di utilizzare questa buona occasione per imporre alla propria classe politica piccolissime cose, molto semplici, il treppiede della democrazia:
-         la libertà di stampa
-         l’indipendenza della giustizia
-         l’alternanza al potere.
Ma possono anche, a Dio piacendo, far fallirequesta occasione unica e affondare,di nuovo, in un altro mezzo secolo di dittatura.
La scelta è tra la luce e l’oscurità, tra la dignità e l’ossequiosità.
Personalmente, sono ottimista.
Il mio ottimismo mi deriva dalla storia di questo Paese.
La Tunisia ha avuto la prima Costituzione del mondo arabo, nel 1861.
È stato il primo Paese del mondo arabo e molto prima di molti paesi occidentali a garantire i diritti fondamentali alla donna.
Può essere il primo Paese arabo a dotarsi di un reale sistema democratico, vale a dire a gettare nuove basi costituzionali, attraverso l’elezione di una assemblea costituente, che dia al Paese una nuova costituzione. Una nuova costituzione che dia meno potere al presidente della Repubblica e rafforzi quello del parlamento e dell’autorità giudiziaria, unico modo per sbarrare, definitivamente, la strada al culto della persona e all’abuso del potere.
Una tale prospettiva richiede tempo.
Richiede stabilire una scala di priorità.
E la priorità delle priorità, oggi, è ristabilire l’ordine civile, conditio sine qua non per il passaggio all’ordine democratico.
Habib Bourguiba si era cucito addosso una costituzione su misura, come ci si confeziona un abito dal sarto, che assicurava poteri esorbitanti all’esecutivo, vale a dire al presidente della Repubblica, a discapito del parlamento e dell’autorità giudiziaria, che, dall’indipendenza fino al 14 gennaio 2011, non hanno mai né criticato e neppure solo discusso una decisione presidenziale.
Per più di un secolo, i poteri legislativo e giudiziario si sono visti esautorare ogni potere reale, accettando, passivamente, di svolgere il ruolo di cinghie di trasmissione della volontà dell’esecutivo, obbedendo, senza discutere, agli ordini e contentandosi di recitare il ruolo di figuranti sulla scena pubblica. 
È confortante vedere la vitalità dei tunisini che scendono, quotidianamente, in strada, per gridare la loro collera e reclamare le dimissioni del governo di transizione. 
È rassicurante vedere la determinazione dei tunisini che scendono, quotidianamente, in strada, per non lasciarsi scippare il rovesciamento pacifico della dittatura.
Questi uomini e queste donne che manifestano hanno figli, fratelli e sorelle che studiano, hanno parenti che hanno bisogno di lavorare, hanno loro stessi un lavoro che li attende o sono alla ricerca di un lavoro – e né studi né lavoro sono pienamente possibili senza il ritorno alla vita normale – ma avvertono il rischio di veder vanificati la loro conquista e il loro sacrificio da parte di apprendisti-dittatori.
La differenza con il cambiamento del 7 novembre 1987 è sostanziale.
L’occasione è storica e potrebbe non presentarsi più, se fallisse.
La Tunisia non la fallirà.
Note:
(1) Article 57 - En cas de vacance de la Présidence de la République pour cause de décès, démission ou empêchement absolu, le président de la Chambre des Députés est immédiatement investi des fonctions de Président de la République par intérim pour une période variant entre 45 jours au moins et 60 jours au plus.
Il prête le serment constitutionnel devant la Chambre des Députés ou, le cas échéant, devant le bureau de la Chambre des Députés.
Le Président de la République par intérim exerce les attributions dévolues au Président de la République sans, toutefois, pouvoir recourir au référendum, démettre le gouvernement, dissoudre la Chambre des Députés ou prendre les mesures exceptionnelles prévues par l’article 46. Durant cette période, il ne peut être présenté de motion de censure contre le gouvernement.
Durant cette même période des élections présidentielles sont organisées pour élire un nouveau Président de la République pour un mandat de cinq ans.
Le nouveau Président de la République peut dissoudre la Chambre des Députés et organiser des élections législatives anticipées conformément aux dispositions du deuxième alinéa de l’article 63.
Constitution de la République tunisienne du 1er juin 1959
Daniela Zini
Copyright © 25 gennaio 2011


Marted́ 25 Gennaio,2011 Ore: 19:28
 
 
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