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www.ildialogo.org RAGAZZO, DICO A TE: ALZATI!,di p. José María CASTILLO

X TEMPO ORDINARIO – 5 giugno 2016 - Commento al Vangelo
RAGAZZO, DICO A TE: ALZATI!

di p. José María CASTILLO

Lc 7,11-17
[In quel tempo, Gesù] si recò in una città chiamata Nain, e con lui camminavano i suoi discepoli e una grande folla. Quando fu vicino alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei.
Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: «Non piangere!». Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Ragazzo, dico a te, àlzati!». Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre.
Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi», e: «Dio ha visitato il suo popolo».
Questa fama di lui si diffuse per tutta quanta la Giudea e in tutta la regione circostante.
  1. Molte volte si è messo in risalto il parallelismo di questo racconto con quello del profeta Elia che risuscitò il figlio della vedova di Zarepta (1Re 17,7-24) (J. P. Meier). Ma forse più significativo per la nostra riflessione è l’incontro del corteo della vita (Gesù ed i suoi discepoli) con il corteo della morte (il defunto, la madre, vedova e sola con gli accompagnatori desolati del popolo) (W. Grundmann, F. Bovon). Quello che qui è più importante sembra essere non l’esaltare la condizione di profeta, che aveva Gesù, ma come questo profeta andava per il mondo. Mai lasciando un corteo di dolore e di morte, ma esattamente tutto il contrario: dando vita, restituendo speranza a chi l’aveva persa, alleviando il dolore e la sofferenza della gente.
  2. Gesù ha realmente restituito la vita ad un defunto? Non possiamo esserne sicuri. Perché nelle culture dell’Antichità non era strano il caso di racconti che utilizzavano il “genere letterario” della resurrezione di un morto per esaltare l’immagine del personaggio al quale si attribuiva il miracolo. Questo genere letterario continua ad esserci nella letteratura apocrifa ed agiografica (Act. Petr., 26-27; Act. Phil, I, 1-4; VI, 80-85; cf. F. Bovon), cioè nella letteratura cristiana. Questo rende più difficile dimostrare che quest’antichissimo modo di scrivere non abbia potuto avere una qualche possibile manifestazione nei vangeli.
  3. Quello che è fuori dubbio è che i vangeli ci dimostrano che Gesù ha difeso sempre la vita. Ed ha lottato contro la sofferenza delle persone e contro le situazioni di sofferenza e di abbandono che trovò nel suo passare per questa vita. Così lo stesso Gesù ha reso testimonianza al compito ed alla missione che ha affidato ai suoi seguaci. Per questo risulta così penoso dover accettare il fatto storico della relazione che è sempre esistita tra “religione” e “morte”. Per onorare Dio le religioni hanno ucciso molta gente. Per secoli, fino a gran parte del secolo XIX, la Chiesa ha ucciso infedeli, eretici e scismatici. E la penosa storia dell’Inquisizione sta lì a dimostrarlo. E più penose sono state le storie delle guerre di religione, che hanno insanguinato l’Europa, la conquista dell’America, la caccia degli schiavi in Africa, etc. Ed ai nostri giorni basterebbe pensare ai gruppi integristi e fanatici religiosi che sono uno dei pericoli che più ci minacciano tutti nel mondo intero. Tanto più, se crediamo veramente al Vangelo, la Chiesa dovrebbe affannarsi per ottenere che le leggi relative alla sanità, la ricerca scientifica, i progressi in medicina e farmacologia, etc, si vedano protetti e favoriti per difendere la vita in tutte le sue manifestazioni.



Lunedì 30 Maggio,2016 Ore: 17:31
 
 
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