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www.ildialogo.org SEI STATO FEDELE NEL POCO, PRENDI PARTE ALLA GIOIA DEL TUO PADRONE!,di p. José Maria CASTILLO

XXXIII TEMPO ORDINARIO – 16 novembre 2014 - Commento al Vangelo
SEI STATO FEDELE NEL POCO, PRENDI PARTE ALLA GIOIA DEL TUO PADRONE!

di p. José Maria CASTILLO

Mt 25,14-30
[In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:] «Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».

1. La parabola dei talenti non è una storia di paure e di minacce. Né una terribile meditazione sul giudizio di Dio. E men che mai è un preavviso per la resa dei conti che dovremo avere
con Dio perché tutto quadri, secondo le grazie e di talenti che ognuno ha ricevuto in questa vita. Se la nostra relazione con Dio fosse stata così, staremmo facendo di Dio “un poliziotto” o “un giudice con viscere di giustizia severa ed esigente”. Un Dio così non merita il nostro affetto. Né ci insegna ad essere affettuosi. Un Dio così sarebbe il gran maestro di giustizia o una specie di “ispettore del Fisco”, il cui incontro sarebbe più terribile che spiacevole. In tal caso la parabola servirebbe non per formare il cristiano ma per deformare Dio nella mente del cristiano.
2. La parabola dei talenti non è l’argomento della paura, ma l’argomento della lotta contro la paura. La chiave di questa storia sta nel penoso finale che ha avuto quello che ha ricevuto un solo talento. La disgrazia ed il fallimento di quest’individuo sono stati proprio nella paura. La paura blocca e paralizza, ci fa crollare nell’inutilità, non produciamo nulla. Restituiamo a Dio quello che ci ha dato. Non abbiamo perso nulla. Ma neanche guadagniamo nulla. Diamo a Dio quello che è suo, cosa che in realtà è non dargli nulla.
3. Ma il problema non sta nella produttività. Dio non ha bisogno di quello che noi possiamo produrre. Dio non è un negoziante. Quello che Dio ci dice è che, se abbiamo paura di Lui, questa sarà la nostra rovina. Il Dio della paura non esiste. È un’invenzione umana. Perché la triste e pura verità è che noi uomini abbiamo bisogno della paura. La paura di un Dio che ci toglie da dosso il peso insopportabile della libertà (F. Dostoevskij). Un Dio che ci fa paura, per questo stesso motivo ci dà sicurezza. E, per godere di questa sicurezza, ci sottomettiamo, come un gregge, a chi ci giuda e ci impone di nuovo il suo giogo. Questo ci libera dal kaos, che è «disordine», e ci sentiamo tranquilli nel kosmos, l’«ordine» che ci viene imposto dalla violenza del Dio della paura, al quale restituiremo tranquilli il nostro «talento», quel talento che abbiamo sotterrato come fondamento della nostra sicurezza. Ed anche della nostra sterilità nella vita.
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Traduzione di Lorenzo TOMMASELLI da:
- JOSE’ MARIA CASTILLO, La religión de Jesús. Comentario al Evangelio diario, CICLO A (2013-2014), Desclée De Brouwer, 2013, pp. 707-708.



Lunedì 10 Novembre,2014 Ore: 17:21
 
 
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