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www.ildialogo.org COMANDAMI DI VENIRE VERSO DI TE SULLE ACQUE, di p. José Maria CASTILLO

XIX TEMPO ORDINARIO – 10 agosto 2014 - Commento al Vangelo
COMANDAMI DI VENIRE VERSO DI TE SULLE ACQUE

 di p. José Maria CASTILLO

Mt 14,22-33
[Dopo che la folla ebbe mangiato], subito Gesù costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, finché non avesse congedato la folla. Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo. La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: «È un fantasma!» e gridarono dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!».
Pietro allora gli rispose: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque». Ed egli disse: «Vieni!». Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma, vedendo che il vento era forte, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?».
Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Davvero tu sei Figlio di Dio!».

1. Questo racconto si comprende nel suo significato profondo se si legge fissando l’attenzione, prima di tutto, alla conclusione finale: il riconoscimento espresso dai discepoli che Gesù è “Figlio di Dio”. Nei vangeli non si dice mai che Gesù sia Dio. Quello che si dice è che lui è “Figlio di Dio”. Ma questo titolo presenta una difficoltà: era un titolo imperiale, cioè era utilizzato dagli imperatori di Roma (H. Inglebert, G. Dagron). Il fatto si complica ancora di più se teniamo conto che nella storia antica della cristologia si è verificato un fenomeno decisivo, consistito nella trasformazione dell’elemento “storico e narrativo”, che conosciamo di Gesù dai vangeli, in quello “ontologico e speculativo”, che è giunto fino a noi reso “dogma di fede” (H. Schlier). Cosa che per noi cristiani ha complicato enormemente la nostra già difficile comprensione di quello che realmente è stato “Gesù in sé” e quello che è “Gesù per noi”.
2. Sapere quello che è “Gesù in sé” presuppone che sappiamo quello che è “Dio in sé”. Ma, se Dio è “il Trascendente”, noi non potremo mai sapere quello che è Gesù in sé: è Dio? L’ontologia di Dio, l’essere di Dio non stanno alla nostra portata. Noi crediamo in Dio. Ma allo stesso tempo confessiamo che non possiamo sapere come è Dio nel suo essere stesso, in sé stesso. Questo appartiene all’ambito del Mistero. Per questo mai potremo affermare: “Gesù è Dio”. Perché, nel dire questo, non sappiamo realmente quello che stiamo affermando, poiché non sappiamo – nel dire “Dio” – quello che questa parola comporta “in sé”.
3. Diciamo, piuttosto, che in Gesù vediamo, ascoltiamo, tocchiamo, sentiamo la “rappresentazione umana di Dio”. Cioè, in Gesù impariamo quello che “Dio è per noi”. E questo è quello che i discepoli hanno definito “Figlio di Dio”, il titolo del «divino» che in quella cultura si utilizzava per designare il Trascendente. E quindi, in Gesù impariamo che Dio ci cerca nella notte, quando ci sentiamo spaventati, quando abbiamo paura, quando ci vediamo abbandonati e persi. Ebbene, in questo terribile tempo di crisi e di così grande sofferenza, non siamo abbandonati. In Gesù Dio ci cerca, ci accompagna, ci ridona la pace e la speranza. È il Dio che si rende a noi presente nell’amico che ci aiuta, nella situazione disperata dalla quale ce la facciamo ad uscire, nella bontà della gente buona che ci aiuta. Questo è il miglior insegnamento che ci dà questo racconto esemplare e di così grande attualità.
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Traduzione di Lorenzo TOMMASELLI da:
- JOSE’ MARIA CASTILLO, La religión de Jesús. Comentario al Evangelio diario, CICLO A (2013-2014), Desclée De Brouwer, 2013, pp. 511-512.



Martedì 05 Agosto,2014 Ore: 20:32
 
 
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