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www.ildialogo.org IL MISTERO PASQUALE E I GOLGOTA DEL NOSTRO TEMPO,di p. Carmelo Casile e p. Ottavio Raimondo

IL MISTERO PASQUALE E I GOLGOTA DEL NOSTRO TEMPO

(riflessione per la settimana santa e per il tempo di Pasqua.


di p. Carmelo Casile e p. Ottavio Raimondo

pubblicata da Ottavio Raimondo il giorno martedì 27 marzo 2012 alle ore 15.55 ·

Questa riflessione del mio confratello p. Carmelo Casile sostituisce il mio commento per la domenica di Pasqua e quella successiva, la domenica in albis.

Vi chido di rifletterci con attenzione e con disponibilità.

La porta giusta per entrare nelle Parola è la porta della vita.

Il Cristo glorioso ha i segni della passione, i segni dei chiodi.

E allora riflettiamo con san Daniele Comboni su questo Gesù sul quale il missionario è chiamato a tenere fissi gli occhi.

Vi chiedo di soffermarvi in particolare sulle conclusioni schematiche delle ultime due pagine, che hanno questi titoli:

L'adesione fiduciosa e fattiva al Mistero della Croce

!Qualcuno una volta ha detto

L'uomo si distrugge

Perché si instauri l'Ordine Nuovo occorre che emrga...

Verso una "Nuova Pentecoste" ...

Mi sento orgoglioso di avere un confratello come p. Carmelo che ci ha regalato un testo così bello.

GESU' È risorto e vive ... e noi con lui.

auguri.

p. Ottavio


 

IL MISTERO PASQUALE

E I GOLGOTA DEL NOSTRO TEMPO

1. Partecipare e celebrare il Triduo Pasquale

1. 1. Il Triduo Pasquale nella comunità cristiana

La celebrazione del Mistero Pasquale occupa un posto di primo piano nella comunità cristiana, come pure nella vita d’ogni battezzato.

In fatti, il messaggio della Pasqua costituisce l’unica ragione dell’essere della Chiesa: “Se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede e rimanete ancora nei vostri peccati” (1Cor 15, 17).

Il Triduo Pasquale, in cui è annunciato, realizzato e portato nel vissuto della vita quotidiana il Mistero della morte-risurrezione di Gesù (= Mistero Pasquale), è il momento forte della vita della Chiesa. Tutti gli anni la Chiesa celebra la memoria di un Venerdì, di un Sabato, di una Domenica: tre giorni che lei chiama “santi” perché li considera decisivi per la sua stessa esistenza e per la storia del mondo.

La Chiesa, “ricordando in tal modo i Misteri della Redenzione, offre ai fedeli le ricchezze delle azioni salvifiche e dei meriti del suo Signore, in modo tale da renderli come presenti a tutti i tempi, perché i fedeli possano venire a contatto con essi ed essere ripieni della grazia della salvezza“ (SC 102).

Celebrare la memoria, pertanto, non è misurare la distanza tra il presente e un avvenimento passato, ma eliminare questa distanza.

Celebrare la memoria, commemorare, è far rinascere il passato, è far presente il passato. Nel caso del Triduo Pasquale è far presenti i primi tre giorni dell’anno zero della vita della Chiesa, per lasciarsi interpellare e coinvolgere nel Mistero di una Croce, di una Tomba e di una Mensa: i luoghi dove si realizzò e continua a realizzarsi l’incontro pieno e definitivo tra Dio e gli uomini, nel Signore Gesù; i luoghi dove nacque la Chiesa e nei quali continuamente deve rimanere per mantenersi in vita e continuare la peregrinazione fino alla Terra Promessa.

Dio-Amore, infatti, non solo ha creato il mondo, ma è anche entrato nel mondo ed è vissuto nel tempo nella “onnidebolezza”, in quanto non ha niente da opporre al male del mondo se non la sua infinità carità.

La storia registra tra i suoi «grandi» un uomo, che non è soltanto uomo, ma è anche Dio: Gesù di Nazaret. Nella vita di Gesù c'è un momento culminante, la «sua ora». In quest’ora, si sono compiuti degli avvenimenti attraverso i quali operava Dio, per la nostra redenzione. Questi eventi sono la passione, la morte e la risurrezione di Cristo. È il mistero della Pasqua, il «passaggio di Cristo da questo mondo al Padre», ossia la buona novella dell’amore che vince il dolore e la morte.

«La morte di Cristo, accettata per obbedienza d’amore verso il Padre e per amore verso l’uomo, è la suprema attività» (Th. De Chardin), che vivifica la storia; essa, infatti, «non è la povera e oscura sofferenza patita come miseria e insopportabile peso delle tante croci della storia, ma sofferenza d’amore, libertà di un Cuore che accoglie donando, che offre soffrendo, che salva patendo. “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16). “Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con Lui?” (Rom 8,32). “In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il Suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati” (1Gv 4,10)» (B. Forte).

Davanti alla ferita del Cuore di Gesù sempre aperto, rivelazione di Dio-Amore, «viene a tacere il chiasso della protesta e la rinuncia della rassegnazione: in Lui e da Lui si è contagiati ad amare, e perciò anche a fare del nostro dolore, come della storia della passione del mondo, storia di amore, itinerario di speranza, di carità e di giustizia» (B. Forte). L’onnipotenza divina che si è manifestata nella creazione, si manifesta ancor di più nella ricreazione dell’uomo, nella rigenerazione della persona e della società nel perdono e nella pace. Questa rigenerazione è integrale, abbraccia cioè tutte le dimensioni della vita umana, a livello personale e sociale. Dal Cuore di Gesù sempre aperto nasce così la passione per Dio come risposta al suo abbraccio di amore nel Crocifisso-Risorto che ci introduce nella gioia della sua “eternità”, e la passione per l’uomo, intesa come annuncio gioioso della sua salvezza realizzata nella morte-risurrezione del Signore. Da quest’annuncio nasce e si sostiene l’impegno per la liberazione integrale dell’uomo, promovendo i suoi diritti fondamentali, la giustizia e la pace, sottolineando la dimensione sociale del Vangelo, che include la dimensione economica, perché essa è una componente essenziale della vita e fu quindi redenta dal mistero dell’amore del Calvario.

Se ci lasciamo coinvolgere nella «suprema attività» di questa “ora”, nel mistero dell’amore del Calvario, per mezzo della celebrazione del Triduo Pasquale, avremo il coraggio di dire al mondo paralitico ciò che Pietro e Giovanni hanno detto all'uomo paralitico che giaceva alla porta del tempio di Gerusalemme: "Non abbiamo né oro né argento, ma ciò che abbiamo te lo diamo: nel nome di Gesù alzati e cammina" (At 3,6).

1. 2. Il Mistero Pasquale nel vissuto di Oscar Romero

La tensione “vita dopo la vita e impegno per la vita in questo mondo”, propria del Mistero Pasquale, c’è trasmessa da Oscar Romero in questi termini:

«Tutto ciò che spargiamo nel mondo in giustizia, in pace, in parole d’amore, in buon senso, tutto questo lo ritroveremo trasfigurato nella bellezza della ricompensa eterna […] Sin dalla sua risurrezione [Dio] ci sta dicendo che il cristiano è abitante dell’eternità, è pellegrino su questa terra, che egli lavora perché deve darne conto a Dio, e però la sua patria definitiva è dove Cristo vive per sempre, dove saremo felici con Lui […]. Fratelli non siate deboli quando parlate della fede in Cristo. Nessuno ha la forza di un cristiano quando ha fede nel Cristo che vive ed è energia di Dio. Quale guida dell’umanità può dire a tutti i suoi seguaci che vive eternamente? Quale vittorioso del mondo può dare a tuta l’umanità la grande vittoria della sua morte e della sua resurrezione»

1. 3. Il Mistero Pasquale nel vissuto di san Daniele Comboni

La stessa tensione ci è trasmessa da san Daniele Comboni nell’introduzione alla 1ª edizione del Piano (Torino, dicembre 1864, p. 3-4):

“Il cattolico, avvezzo a giudicare le cose col lume che gli piove dall’alto, guardò l’Africa non attraverso il miserabile prisma degli umani interessi, ma al puro raggio della Fede; e scorse colà una miriade infinita di fratelli appartenenti alla sua stessa famiglia, aventi un comune Padre su in cielo, incurvati e gementi sotto il giogo di Satana.

Allora trasportato egli dall’impeto di quella carità accesa con divina vampa sulla pendice del Golgota, ed uscita dal costato di un Crocifisso, per abbracciare tutta l’umana famiglia, sentì battere più frequenti i palpiti del suo cuore; e una virtù divina parve che lo spingesse a quelle barbare terre, per stringere tra le braccia e dare il bacio di pace e di amore a quegl’infelici suoi fratelli” (S 2742-2743).

In questo testo Comboni svela nella Trinità le misteriose Sorgenti, che danno origine e sostengono il suo amore “così tenace e resistente” per l’Africa fino al sacrificio della propria vita. Il profondo “senso di Dio”, vissuto abitualmente da Comboni, diviene qui comunicazione di vita sul Mistero Trinitario in intima connessione con il Mistero Pasquale, cioè con il Mistero del Crocifisso-Risorto e con la sua passione missionaria.

Il punto di partenza della comunicazione di Comboni è il Cuore Trafitto di Gesù, Buon Pastore (Cf S 2742).

La Croce alla quale Comboni aderisce, è la Croce “gloriosa”, cioè quella che è causa della Risurrezione di Gesù. L’immagine di Gesù che domina nella sua vita, è quella del Cristo glorioso, che continua a operare la salvezza del mondo, servendosi della collaborazione umana. Il suo “guardare l’Africa al puro raggio della fede” è “un giudicare delle cose con lume che gli piove dall’Alto”, dove il Risorto sta alla destra del Padre, vittorioso. Si comprende il Mistero Pasquale che è al centro della vita di Comboni, precisamente partendo dalla Risurrezione.

Nel vissuto del Mistero Pasquale in Daniele Comboni, è presente tutta la Sacrosanta Trinità, che è da lui la percepita pellegrina nel cammino degli uomini... Questa percezione che inonda il suo spirito, rende in lui sempre più forte il sentimento di Dio e sempre più saldo il legame di solidarietà con la Nigrizia, fino a farlo suo “sposo” e liberatore; questa percezione è la vena nascosta che dà ragione e forma alla sua “passione” per la Nigrizia, per cui ci può dichiarare con verità che come missionario viene dal cuore della Trinità.

Viene dal coinvolgimento nel dinamismo dello Spirito Santo, “Virtù divina”, che gli rivela nel Cuore Trafitto di Gesù sulla Croce il segno e lo strumento perenne dell’amore salvifico che eternamente sgorga dal cuore del Padre, e la via della solidarietà con la vita di tutti gli uomini. Viene così introdotto nell’inesauribile dialogo e comunione tra il Padre che ama tanto il mondo da decidere di inviare il Figlio, e il Figlio che risponde con la sua obbediente consegna redentrice fino alla fine in Croce, e gli merita il dono di questa stessa “Virtù divina” come fiamma di Carità che sgorga dal suo Cuore Trafitto.

All’essere coinvolto nell’azione salvifica della Trinità mediante questa fiamma di Carità, viene tratto fuori dal “buio misterioso” che ricopre l’Africa e dalla paura del passato in cui “rischi d’ogni genere e scogli insormontabili sgominarono le forze e gettarono lo sgomento” tra le file missionarie. La Nigrizia si trasfigura ora davanti al suo sguardo: comincia a vederla ”come una miriade infinita di fratelli aventi un comun Padre su in cielo”. L’abbraccio di Dio Padre lo esperimenta segnato dalla sofferenza di questi suoi figli africani, e nel bisognoso africano scopre un fratello, che ancora non usufruisce della benedizione del Padre che scaturisce dalla Croce…, per cui ha bisogno di essere incamminato verso di Lui.

Sotto l’influsso dello Spirito Santo, esperimentato come fiamma di Carità che sgorga dal costato del Crocifisso sul Gólgota, sente che i palpiti del suo cuore si fondono con quelli di Gesù e si accelerano. In questa sintonia di cuori percepisce come il Padre, attraverso il suo Figlio incarnato, morto e risorto, ascolta il grido di quella miriade di figli suoi che vivono in Africa ancor “incurvati e gementi sotto il giogo di Satana” ed entra con tutto il suo essere nella loro storia e nel loro dolore.

Questa Carità lo fa sentire figlio amato dal “comun Padre” che si prende cura di lui allo stesso modo che dei suoi fratelli più abbandonati fino alla consegna del suo proprio Figlio; è questa Carità che lo trasporta e lo spinge a stringerli tra le braccia e dar loro il bacio di pace e d’amore; lo spinge, cioè, ad assumere la loro storia e il loro dolore divenendone parte e facendo “causa comune con loro”, anche con il rischio della sua vita.

È un incontro con dei fratelli in cui si cela il volto di Gesù nello sconcertante mistero della sua identificazione con gli esclusi della storia (Mt 25, 42-43). Nei suoi fratelli africani oppressi gli si rivela il volto colpito, dolorante e sfigurato del Crocifisso, che fissa il suo sguardo su di lui e lo chiama ad evangelizzarli e a lavorare per il loro progresso e per la liberazione dalla loro schiavitù. Nello stesso tempo continua a tenere lo sguardo fisso sul Crocifisso, per “capire sempre meglio cosa vuol dire un Dio morto in croce per la salvezza delle anime”.

Comboni, infatti, ha percorso il suo pellegrinaggio missionario tenendo gli occhi fissi nel Crocifisso-Risorto. L’unione con Gesù crocifisso la visse in modo particolarmente intenso nelle varie situazioni e tappe della sua vita missionaria, e ha raggiunto il vertice nell’ultimo periodo della sua vita, consumata sulla breccia in un lento e sempre più martoriato olocausto, che lo rende tanto simile al Crocifisso del Gólgota. La vita del Comboni fu una vita profondamente segnata dal Mistero della Croce; una Croce accettata, cercata e soprattutto amata, conseguenza della certezza della sua vocazione, che ha temprato il suo carattere, lo ha educato alla santità e ha plasmato il suo esuberante zelo missionario. Questa Croce, abbracciata da Comboni come sua sposa indivisibile ed eterna (Cf S 1710; 1733), ha reso la sua vita simile ad una “via crucis”, percorsa coscientemente fino al Calvario, per la redenzione della Nigrizia .

1. 3.a- Il Venerdì Santo di Comboni

Nella tensione morte-risurrezione del Mistero Pasquale, il Venerdì Santo di Comboni è la sua anima sola, vuota, in aridità e angoscia… È la sua anima innamorata-consegnata e senza comprensione, senza compagnia… È la sua situazione di un uomo “solo” disposto a dare mille vite per l’amata Nigrizia; l’esperienza del suo cuore che comincia a battere più rapidamente contemplando l’impeto della Carità che si accese con divina vampa sulla pendice del Gólgota e si effuse dal costato di un Crocefisso; quella “virtù divina” che lo avvince, che gli stringe il cuore e lo spinge tra le braccia della Nigrizia per essere guida-servo della sua rigenerazione…

In Comboni, questa esperienza forte di Dio nel Cuore trafitto di Cristo trabocca nell’esuberanza del dono totale di sé alla causa della rigenerazione della Nigrizia, che così fortemente attira la nostra attenzione. Il nostro Fondatore e Padre, prima di essere un uomo conquistato dalle cose da fare per Dio, è un uomo conquistato e contagiato dal Mistero di Dio, da un Dio-Cuore, manifestato in pienezza nell’Evento della Croce, che associa le vittime del male del mondo alla Pasque Eterna del Risorto.

L'orizzonte in cui Comboni vive il Mistero Pasquale è l'eternità, intesa come esperienza profonda, dinamica e perseverante del Mistero di Dio-Trinità.

Perdendo di vista l’eternità, l’impegno missionario è ridotto a semplice attività filantropica e perde lo slancio divino della sua origine ed il suo significato ultimo, per cui il missionario è il primo a rimanere esposto ad una specie di vuoto e isolamento intollerabile (cfr. Regole 1871, Cap. X).

“La forte e straordinaria presenza della beata Trinità in Comboni, (come appare all'inizio del Piano: S 2742-43), divenne sorgente della sua apertura e spinta missionaria, e così diventò servizio, ministero fino al martirio a quelli che per lui parvero i più poveri e abbandonati del suo tempo, cioè gli Africani dell'Africa Centrale” (Missione in Africa, p. 78).

Nell’esperienza carismatica e spirituale di Comboni, la missione non è una filosofia della vita o un'avventura filantropica causata dai problemi umani degli Africani, ma un'offerta di salvezza, presenza dell'Amore Assoluto, che produce la gioia propria del Regno di Dio, nel costatare che è presenza rigeneratrice dell'uomo oppresso. Il missionario è partecipe di questa gioia, sentendosi amato e inviato da Dio per essere suo strumento in quest'opera di ri-generazione. Far presente in mezzo agli ultimi della terra l'amore rigeneratore di Dio, che sgorga dalla ferita del Cuore di Gesù sempre aperto, ed esperimentare questo stesso amore nella propria vita, è lavorare per l'eternità.

Per tanto, per Comboni lavorare per l'eternità non significa che si dedica alla missione per comprare la felicità eterna per se stesso e per gli africani oppressi, ma che si dedica alla missione aperto alle necessità del mondo nell’ottica di Dio, mirando ad un futuro con speranza di risurrezione, perché sa che le uniche buone sono le mani di Dio, Amore “fontale” e finale di ogni vita umana: abbia successo o insuccesso nella missione, il Padre è sempre con lui ed è l'unico garante del suo Regno. Perciò egli può morire, ma l'opera che il Padre gli ha affidato non morirà. Al di fuori del coinvolgimento nell’Amore Trinitario, senza la dimensione escatologica, la vocazione missionaria di Comboni appare come una casa senza fondamenta e senza tetto.

1. 3.b- L’«Inno alla Croce» e il «Sabato Santo» di Comboni e dell’umanità

Nei diversi viaggi verso Khartoum con le bellezze di una natura vergine, che gli “destano nell’anima l’idea più sublime di Dio”, D. Comboni poteva osservare le rovine di antiche civiltà e dei primordi del cristianesimo in quelle terre, soprattutto “…. Tebe, Karnak, Luxor…” (S 200).

Possiamo ritenere, quindi, che l’“Inno alla Croce” sia stato ispirato a Comboni anche dalla vista delle rovine della città di Tebe e dei vicini imponenti templi di Luxor e Karnak. La città di Tebe della metà del XIX secolo era solo l’ombra di quella che era stata un tempo, ossia appariva come un agglomerato addossato al tempio di Amenofi III, un ammasso di rovine minacciate dalle inondazioni del fiume.

Questo scenario di decadenza è quanto vide Comboni; dai sui Scritti emerge anche che al tempo del suo arrivo in Alto Egitto in questi luoghi c’era una consistente presenza islamica, che interpella lo zelo del Missionario (S 4545; 4550).

Allora, davanti alle “rovine del paganesimo”, davanti ai popoli che ancora non conoscono il Signore Gesù, l’“Inno alla Croce” che Daniele Comboni intona, è una esaltazione della Salvezza universale nella morte in Croce di Gesù e, nello steso tempo, un processo alla “idolatria”.

Il silenzio che avvolge ancora queste “rovine del paganesimo” e le difficoltà che l’annuncio del Vangelo affronta anche oggi, ci rimandano al “Sabato Santo”, un tempo di attesa indefinita che si fa ricerca della Verità, mentre “Dio morto nella carne, è sceso nel regno degli inferi per chiamare Adamo ed Eva, a vita nuova” , affinché in loro tutti quei “pellegrini nella notte” fossero inclusi nella Salvezza e l’ ”attesa” di tutti i tempi fosse colmata.

È il “sabato dei cuori”, un “vivere nella notte”, il “sabato dell’umanità” in attesa di giustizia e pace, perché non si vive più per il “fine” per il quale si è nati e allora si finisce “per lodare, riverire e servire” déi concepiti da mente umana e costruiti da mani di uomo.

In questo “sabato” in cui “l’umana miseria si adopera a togliere la pace del cuore e la speranza di una vita migliore, noi al fianco di Gesù Crocifisso che patisce per noi, tripudiamo in mezzo all’avversa fortuna, mantenendo intatta quella pace preziosa, che solo appiè della croce può trovare il servo di Dio…” (S 343).

2. Il nostro coinvolgimento nel Mistero Pasquale

Nel Triduo Sacro, nei giorni di Giovedì, Venerdì e Sabato Santo, così come in seguito nella Pasqua, ci viene indicata la legge fondamentale della nostra vita cristiana. Questi sono certamente i giorni più importanti dell’Anno Liturgico che vanno, quindi, celebrati con la massima attenzione. Per questo dovremmo prenderci tempo non solo per partecipare nella liturgia, ma anche per approfondirla personalmente nei suoi contenuti e significati. In quest’ottica, potremmo meditare sui simboli della liturgia, come il pane, il calice, la lavanda dei piedi, la Croce, il sepolcro. Tutti essi sono punti di riferimento per la nostra vita e, nello stesso tempo, immagini per la nostra salvezza.

Se in questi giorni accompagniamo Gesù nel suo cammino, percorriamo nello stesso tempo la via della nostra liberazione e realizzazione umana. Questo cammino si sviluppa in quattro tappe: accettazione (Giovedì Santo), abbandono (Venerdì Santo), unificazione (Sabato Santo), rinnovamento (Pasqua).

2. 1. Il Giovedì Santo

La Liturgia del Giovedì Santo si svolge intorno alla dimensione vitale dell’ ”accettazione”. Celebriamo l’inaugurazione dell’Eucaristia. Nell’Eucaristia, Gesù ci accetta in un modo perfettamente intenso. Condividere il pasto con un altro era già per i giudei accettare l’altro, unirsi a lui. Se io mangio con un altro, non posso avere niente contro di lui. Mangio dello stesso pane, bevo dello stesso calice e così mi unisco con l’altro. Gesù raccoglie questo simbolo, ma è Lui stesso che si dà nel pane e nel vino.

2. 2. Il Venerdì Santo

La liturgia del Venerdì Santo è una vera rappresentazione del mistero della nostra salvezza, un vero psicodramma. La rappresentazione comincia con un profondo silenzio. Il sacerdote si stende sul pavimento. Deve prostrarsi davanti al mistero. L’unico modo con cui possiamo celebrare questo mistero della nostra salvezza, è quello lasciarci impressionare e rimanere muti, stupiti…

«Egli si è caricato delle nostre sofferenze […]. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati curati» (Is 53, 4ss).

In queste parole c’è data la chiave di come dobbiamo contemplare la Passione di Gesù: gli scherni e gli oltraggi che soffrì, le sue debolezze e il suo fallimento, il suo abbandono e la sua disperazione, queste sono le nostre ferite e quelle di questo mondo. Ma, nello stesso tempo, queste sono anche le ferite per mezzo delle quali saremo guariti. La storia della Passione è una storia unica della salvezza: la storia della guarigione delle nostre ferite interiori e dei mali che lacerano la convivenza umana; è nella Croce dove si accumulano le nostre ferite e necessità, da essa viene la salvezza al mondo d’oggi.

2. 3. Il Sabato Santo

Anche il Sabato Santo ha una funzione importante nel cammino della nostra realizzazione umana. La Liturgia ci crede capaci di immaginarci per un’intera giornata Gesù morto nel sepolcro. E c’invita a scendere nella nostra tomba, nella nostra profondità, e lì otteniamo l’unificazione con il fondamento del nostro essere, con la radice della nostra vita. Gesù non solo ha esperimentato la nostra morte, ma rimase morto per tre lunghi giorni. Egli non poteva agire né sentire più; era senza vita, isolato da ogni genere di comunicazione. Nel sepolcro, Gesù esperimentò la morte come abbandono totale, come la solitudine più radicale, nella quale non c’è posto per nessuna parola d’amore.

Il Sabato Santo ci vuol assicurare che Gesù è penetrato nella nostra solitudine, nella nostra freddezza, nella nostra rigidità. E lì, dove l’unica cosa che comanda è la morte, l’unica cosa che vive è il suo amore. Lì, dove siamo isolati dalla vita, ci raggiunge Lui con la sua parola d’amore.

Nel Sabato Santo, si tratta del fatto che noi, assieme a Gesù, possiamo scendere nelle nostre ombre e ricuperare e rendere fecondo tutto quanto Dio ci ha dato in dono come possibilità di crescita. Il giorno del Sabato Santo dovremmo affrontare la nostra “situazione sepolcrale” e introdurre nella nostra angustia la fede nella risurrezione.

Nel Sabato Santo si tratta, inoltre, del ristabilimento della storia della propria vita, della guarigione dei ricordi. I monaci dell’Egitto hanno conosciuto un metodo che ci può aiutare per guarire il nostro passato carico di tante ferite. Si tratta di immaginarci che stiamo tre giorni nel sepolcro. Se avessimo il coraggio di rappresentarci questo una volta, che cosa abbandoneremmo nella nostra tomba? Quali pretensioni esagerate che ci mutilano la vita, quali ricordi, quali falsi motivi? Quali pezzi di pietra che avremmo potuto lasciare nella tomba trasciniamo inutilmente con noi? Quanti morti trasciniamo realmente in noi, nel nostro corpo, nei nostri sentimenti? Quante asprezze rimangono come briciole nel nostro stomaco? Tutto questo dovremmo lasciarlo nella tomba. Così, potremmo risuscitare meno preoccupati, più liberi, più naturali.

Dovremmo ripassare tutta la storia della nostra vita d’accordo con le esperienze che ci hanno danneggiato, le ingiurie e maltrattamenti che gli uomini ci hanno inferto, e dovremmo domandarci come abbiamo reagito davanti a queste offese. Forse non abbiamo voluto ammetterle in tutta la loro magnitudine, perché ci hanno danneggiato troppo. E allora abbiamo voluto stringere fortemente i denti e in questo modo ci siamo chiusi in blinde per non dover sentire il dolore. Per questo sono morte tutte queste cose. Adesso ne sentiamo la mancanza e le trasciniamo come pezzi rigidi e morti che in verità non ci appartengono.

Molte persone rifiutano il ristabilimento, la guarigione interiore. E forse scopriamo anche noi che non siamo disposti a lasciarci guarire incondizionatamente da Dio. Non vogliamo lasciarci sfuggire di mano tutte le scuse con le quali ci difendiamo da una trasformazione. Il rifiuto di ascoltare la chiamata di Gesù per uscire dal sepolcro, ci impedisce di cominciare a vivere da risorti e da “cirenei” per i più tribolati di noi in questo mondo.

Se in questi giorni accompagniamo Gesù nel suo cammino, percorriamo nello stesso tempo la via della nostra autentica liberazione umana, che porta all’accettazione di sé e della propria storia in profonda pace. Quest’accettazione è il risultato di una riconciliazione universale (con Dio, origine d’ogni realtà, con se stesso, con gli altri e con gli avvenimenti della propria storia) ed è condizione indispensabile per aprirsi agli altri mediante il dono di sé.

È vero, infatti, che «chi cerca di fare ed agire in favore degli altri, o del mondo, senza approfondire la conoscenza di sé, la propria libertà, integrità e capacità di amare, non avrà niente da dare agli altri. Comunicherà loro nient’altro che il contagio delle proprie ossessioni, aggressività, delusioni riguardanti fine e mezzi e ambizioni, egocentriche» .

Seguendo i passi del Crocifisso-Risorto ognuno di noi, comincia a esperimentare in se stesso il potere dell’amore misericordioso di Dio rivelato in Cristo Crocifisso e Risorto, e raggiunge quell’unità interiore, che lo spinge a darsi ai fratelli, per farli partecipi della sua salvezza. Dall’accettazione di sé in Cristo, dall’abbandono nelle mani di Dio-Padre, nasce il dono di sé per gli altri in Cristo e come Cristo; nasce l’accettazione di sé per Cristo, per l’opera che Egli è venuto a realizzare, seguendolo nella via della Croce, cioè della fedeltà a Dio per la realizzazione del suo Regno, e diviene così partecipe con Lui nella gioia per la salvezza del mondo.

3. La mappa dei Testimoni del XX secolo

In quest’itinerario di liberazione personale e di dono di sé per gli altri siamo accompagnati, fin dalle origine della vita cristiana, da un nugolo di testimoni. Per animarci a vivere con intensità e generosità il Triduo Pasquale di quest’anno, oltre Oscar Romero e Comboni già ricordati per scoprire il senso del Mistero Pasquale, fissiamo lo sguardo sui testimoni più vicini a noi nel tempo, cioè quelli del XX secolo.

LE CATEGORIE     

CONDIZIONE ECCLESIALE       NUOVI MARTIRI

Laici1                                    2.351

Clero diocesano e seminaristi2           5.343

Religiosi                            4.872

Vescovi3                            126

totale                                    12.692

1Sotto la dicitura “laici” si riuniscono i dati relativi a catecumeni, laici, catechisti.

2Sotto la dicitura “clero diocesano” si riuniscono i dati relativi a sacerdoti e diaconi.

3Sotto la dicitura “vescovi” si riuniscono i dati relativi a vescovi, arcivescovi e cardinali.

I CONTINENTI 

AREA GEOGRAFICA  NUOVI MARTIRI

Africa                       746

Asia                         1.706

Europa                      8.670

Americhe               333

Oceania                      126

Ex-Unione Sovietica1     1.111

totale                        12.692

1 Si è preferito inserire l’Ex-Unione Sovietica tra le grandi aree geografiche, perché i dati che si riferiscono a questo contesto sono particolarmente significativi per la storia dei martiri del XX secolo.

3. 1. La commissione

L’elenco dei testimoni della fede del XX secolo è stato redatto da un’apposita Commissione, istituita nell’ambito del Comitato centrale per il giubileo sulla scorta di quanto scritto dal Papa nelle lettera apostolica “Tertio Millennio Adveniente”. Questo gruppo di lavoro, composto da dieci esperti e presieduto dall’esarca degli ucraini di rito bizantino in Francia Michel Hrynchyshyn, ha esaminato tutti i documenti inviati da conferenze episcopali, singole diocesi e comunità religiose. Da questo lavoro è scaturito un elenco di oltre dodici mila nomi, catalogato a seconda del contesto sociale, religioso e politico di appartenenza.

3. 2. I Golgota del nostro tempo

Abbraccia situazioni diverse l’elenco dei testimoni della fede. Ci sono le vittime dei gulag sovietici, dei regimi dell’Est Europa e dell’Albania, dei lager nazisti e del fascismo, della guerra di Spagna. Altri grandi capitoli riguardano l’Asia, con la Cina e il Sud Est asiatico in particolare, il genocidio degli Armeni, le persecuzioni islamiche. L’Africa compare con i morti degli anni dell’indipendenza e quelli di Ruanda e Burundi. Per l’America Latina ci sono i cristiani uccisi in Messico come le vittime della lotta per la giustizia. Infine vanno segnalati i cristiani caduti sotto i colpi di mafie e terrorismo e quelli che hanno dato la vita per la carità.

3. 3. Alcuni nomi significativi

Come detto la lista dei nomi non è stata diffusa dalla Commissione. Da alcune iniziative editoriali realizzati sulla base dei documenti raccolti si sa, però, che tra le figure segnalate, accanto a centinaia di personaggi poco conosciuti, ci sono anche nomi illustri: padre Massimiliano Kolbe, Dietrich Bohöffer, padre Aleksandr Men’, il cardinale Ocampo, i vescovi latino-americani Oscar Arnulfo Romero e Juan Gerardi, Jerzy Popieluszko, i monaci trappisti di Tibherine, solo per fare alcuni esempi. Tra gli italiani non mancano le figure che hanno donato la vita in tempi recenti; sono citati don Giuseppe Puglisi e don Giuseppe Diana, i magistrati uccisi dalla mafia Paolo Borsellino Rosario Livatino e Aldo Moro, come figura eminente di politico cattolico. Ma troviamo anche le sei suore Poverelle di Bergamo, morte missionarie in Congo per rimanere accanto alla loro gente colpita dal virus Ebola. E poi don Isidoro Meschi e don Renzo Beretta, sacerdoti lombardi entrambi uccisi per il loro servizio di prossimità verso i fratelli più deboli. L’uccisione di don Santoro è un fatto della cronaca recente.

3. 4. Consacrati e non, insieme

Non solo sacerdoti o consacrati: è il popolo di Dio in tutta la varietà delle sue espressioni ad essere rappresentato nell’elenco dei testimoni della fede del XX secolo. Nella documentazione raccolta dalla Commissione vaticana durante il ‘900 hanno dato la vita per il vangelo 126 tra vescovi, arcivescovi e cardinali. Per i religiosi, tra consacrati di congregazioni maschili e femminili, si arriva a quota 4.872. Ancora più folto il gruppo rappresentato da sacerdoti, diaconi e seminaristi: ad avere pagato con la morte la scelta di giocare la propria vita nel ministero sacerdotale sono stati in 5.343. Ma è folto anche il gruppo dei laici: la statistica della Commissione parla di 2.351 nuovi martiri di questa categoria dei fedeli, che comprende anche i catecumeni e i catechisti. Va però aggiunto che quest’ultimo gruppo è quello che più d’ogni altro si ritiene stimato per difetto: probabilmente, infatti, sono stati molti i laici che hanno accettato la morte in nome del Vangelo senza che ne sia rimasta notizia.

3. 5. Il drammatico orizzonte del XXI secolo

L’orizzonte del XXI secolo, all’inizio del Terzo Millennio, si presenta drammaticamente segnato da vari fronti martiriali. Meritano particolare attenzione:

3.5.1. L’ecatombe silenziosa degli aborti

In Europa, includendo anche i Paesi europei al di fuori dell’UE, sono quasi 3 milioni all’anno. In Europa l’aborto è la principale causa di mortalità e precede il cancro, l’infarto, e gli incidenti stradali. Responsabile di questa ecatombe è la crisi di valori.

3.5.2. Le violenze sessuali subite dai bambini

Ogni anno 150 milioni di bambine e 73 milioni di bambini sono vittime di violenza sessuale, mentre altri 400 milioni sono testimoni di violenza domestica: è il quadro drammatico che emerge da uno studio delle Nazioni Unite e rispecchia in tutta la sua gravità un fenomeno planetario, che è stato al centro di una speciale sessione di lavoro del Consiglio dei diritti umani, riunito in assemblea plenaria a Ginevra.

Purtroppo, secondo gli esperti dell’ONU, i più piccoli non sono al riparo da violenze nemmeno a casa, a scuola o nei centri sanitari, dove rischiano di essere sfruttati, venduti e abusati, a volte obbligati a contrarre matrimonio forzato e in giovane età.

Per completare questo orribile quadro, si devono aggiungere purtroppo casi di abusi sessuali nei confronti di minori compiuti da ecclesiastici, che in nove anni hanno fatto registrare 300 casi di pedofilia.

3.5.3. La persecuzione dei cristiani e il rifiuto del cristianesimo: la “cristianofobia”

Il termine "cristianofobia" è entrato nelle risoluzioni delle Nazioni Unite circa un anno e mezzo fa all'interno della triade: "islamofobia, cristianofobia, antisemitismo", e da allora ha fatto un certo cammino. Attualmente in una sezione dell'ONU, la commissione per i diritti umani, è in corso una indagine sulla intolleranza nel mondo, e l'indagine riguarda anche la cristianofobia.

Con questo termine si intendono due ordini di fatti: il primo è quello che si riferisce alle persecuzioni; il secondo si riferisce al fenomeno dell'offensiva laicista e secolarista, che si manifesta in vari modi, quando il laicismo invece di essere «quell'elemento di neutralità che apre spazi di libertà per tutti, comincia a trasformarsi in una ideologia che si impone tramite la politica e non concede spazio pubblico alla visione cattolica e cristiana, la quale rischia così di diventare una cosa puramente privata e in fondo mutilata».

La "cristianofobia" in quanto persecuzione in atto di cristiani è oggetto di un libro uscito in Francia e pubblicato in Italia nel febbraio 2010 da Lindau dal titolo “Cristianofobia. La nuova persecuzione”.

Secondo René Guitton, autore del libro e membro del comitato di esperti dell'Alleanza delle civiltà delle Nazioni Unite, il fenomeno della nuova persecuzione dei cristiani è uno dei drammi del XXI secolo. In effetti, secondo le stime di International christian concern, una ong americana tra le più impegnate nella difesa della libertà religiosa dei cristiani, sono duecento milioni le persone che vengono perseguitati per la propria fede.

Sono passati quasi due mila anni da quando fu crocifisso a Gerusalemme Gesù di Nazaret, perché proclamava di essere il Figlio di Dio, Salvatore del mondo. Nel corso della storia i suoi seguaci, i cristiani, sono stati spesso perseguitati e massacrati.

Si pensava che l’avanzare della civiltà avrebbe cancellato i fenomeni di persecuzione religiosa, invece in questo inizio di terzo millennio sono ancora tantissimi i luoghi dove la cristianofobia offende, discrimina, uccide.

In Medio Oriente, le crescenti persecuzioni spingono i cristiani a fuggire dalle terre dove il cristianesimo è nato.

Nel Maghreb, nell’Africa subsahariana e perfino in Estremo Oriente sono ridotti al silenzio e assassinati a migliaia.

Il saccheggio di chiese e abitazioni e la profanazione di cimiteri sono all’ordine del giorno, così come crocifissioni, roghi di persone vive, mutilazioni, decapitazioni a colpi di accetta.

Tutto ciò accade nel silenzio della comunità internazionale, dimentica del fatto che “la libertà di pensiero, di coscienza e di religione” è sancita dalla Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo.

Sono almeno mille i missionari uccisi dal 1980 al 2011

Nel contesto della persecuzione dei cristiani, l’Agenzia Fides, secondo i dati in suo possesso, ci informa che sono almeno mille i missionari uccisi dal 1980 al 2011

In effetti, nel decennio 1980-1989 hanno perso la vita in modo violento 115 missionari. Tale cifra però è senza dubbio in difetto poiché si riferisce solo ai casi accertati e di cui si è avuta notizia.

Il quadro riassuntivo degli anni 1990-2000 presenta un totale di 604 missionari uccisi. Il numero risulta sensibilmente più elevato rispetto al decennio precedente, tuttavia devono essere anche considerati i seguenti fattori: il genocidio del Rwanda (1994) che ha provocato almeno 248 vittime tra il personale ecclesiastico; la maggiore velocità dei mass media nel diffondere le notizie anche dai luoghi più sperduti; il conteggio che non riguarda più solo i missionari ad gentes in senso stretto, ma tutto il personale ecclesiastico ucciso in modo violento o che ha sacrificato la vita consapevole del rischio che correva, pur di non abbandonare le persone che gli erano affidate.

Negli anni 2001-2010 il totale degli operatori pastorali uccisi è stato di 255 persone.

Nell’anno 2011 sono stati uccisi 26 operatori pastorali, uno in più rispetto all’anno precedente: 18 sacerdoti, 4 religiose, 4 laici.

Per il terzo anno consecutivo, con un numero estremamente elevato di operatori pastorali uccisi, figura al primo posto l’AMERICA, bagnata dal sangue di 13 sacerdoti e 2 laici. Segue l’AFRICA, dove sono stati uccisi 6 operatori pastorali: 2 sacerdoti, 3 religiose, 1 laico. Quindi l’ASIA, dove hanno trovato la morte 2 sacerdoti, 1 religiosa, 1 laico. Infine in EUROPA è stato ucciso un sacerdote.

3. 6. Lo stato del pianeta

Se guadiamo poi la situazione dell’umanità d’oggi possiamo dire che la maggioranza delle persone sono “ostaggio” dell’egoismo di una minoranza.

Se noi potessimo ridurre la popolazione del mondo intero in un villaggio di 100 persone mantenendo le proporzioni di tutti i popoli esistenti al mondo, il villaggio sarebbe composto in questo modo:

-    57 Asiatici / 21 Europei /14 Americani (Nord, Centro e Sud America) /8 Africani

-    52 sarebbero donne

-    48 uomini

-    70 sarebbero non bianchi

-    30 sarebbero bianchi

-    70 sarebbero non cristiani

-    30 sarebbero cristiani

-    89 sarebbero eterosessuali

-    11 sarebbero omosessuali

-    6 persone possederebbero il 59% della ricchezza del mondo intero e tutti e 6 sarebbero statunitensi

-    80 vivrebbero in case senza abitabilità

-    70 sarebbero analfabeti

-    50 soffrirebbero di malnutrizione

-    1 starebbe per morire

-    1 starebbe per nascere

-    1 possederebbe un computer

-    1 (sì, solo 1) avrebbe la laurea.

Se si considera il mondo da questa prospettiva, il bisogno d’accettazione, comprensione e educazione diventa evidente.

Prendete in considerazione anche questo:

-    Se vi siete svegliati questa mattina con più salute che malattia, siete più fortunati del milione di persone che non vedranno la prossima settimana.

-    Se non avete mai provato il pericolo di una battaglia, la solitudine dell'imprigionamento, l'agonia della tortura, i morsi della fame, siete più avanti di 500 milioni di abitanti di questo mondo.

-    Se potete andare in chiesa senza la paura di essere minacciati, arrestati, torturati o uccisi, siete più fortunati di 3 miliardi di persone di questo mondo.

-    Se avete cibo nel frigorifero, vestiti addosso, un tetto sopra la testa e un posto per dormire, siete più ricchi del 75% degli abitanti del mondo.

-    Se avete soldi in banca, nel vostro portafoglio e degli spiccioli da qualche parte in una ciotola siete fra l'8% delle persone più benestanti al mondo.

-    Se i vostri genitori sono ancora vivi e ancora sposati, siete delle persone veramente rare, anche negli Stati Uniti e nel Canada.

-    Se potete leggere questo messaggio, avete appena ricevuto una doppia benedizione perché qualcuno ha pensato a voi e perché non siete fra i 2 miliardi di persone che non sanno leggere.

4. Atteggiamenti “pasquali” che danno vita nuova al mondo

La contemplazione e la partecipazione al Mistero Pasquale introducono il cristiano nella comprensione del progetto di Dio sull’umanità. Questa comprensione dà alla coscienza cristiana una dimensione cattolica (= aperta al mondo intero), che diviene nel cristiano una spinta all’azione per l’avvento del Regno di Dio: Regno che è “Vita eterna” già in questo mondo, e proprio per questo è anche affermazione di questo mondo, per mezzo dell’impegno umano in comunione con il Crocifisso-Risorto. Dalla contemplazione e dalla partecipazione al Mistero Pasquale, nascono gli uomini e le donne nuovi per un mondo nuovo.

Se il peccato consiste nel volere essere un super-uomo o donna, allo stesso modo consiste nel lasciare da parte la forza che proviene dal dinamismo della fede nel Crocifisso-Risorto e accettare di essere meno di un uomo, scaricando la propria responsabilità su Dio stesso, gli altri ed i condizionamenti storici, ecc. La grande forza che cambia il mondo risiede nell’«uomo interiore», nel cuore di ciascuno di noi, nel nostro cuore vivificato dalla fede in Dio che ha risuscitato Cristo. Questa fede è un’energia divina, che opera la conversione evangelica della vita; e di conseguenza diviene un fermento di azione, che fa del cristiano un militante convinto, aspettando secondo la promessa di Dio «nuovi cieli e una terra nuova, nei quali avrà stabile dimora la giustizia» (2Pt 3, 13) finché «Dio sia tutto in tutti» (1Cor 15, 28).

Nella misura in cui Cristo Signore diventa il Capo e il modello del «nuovo e universale popolo di Dio» (LG 13), costituito dalla comunità-chiesa e potenzialmente aperto all’umanità intera (GS 22), vengono assunti criteri di vita e di azione che possiamo chiamare “pasquali”, perché nascono dalla comprensione del Mistero Pasquale, che conquista il cuore del cristiano, facendolo esclamare: «Mi amò e ha dato se stesso per me» (Gal 2,20); di conseguenza: «Io lo amo e mi dono ai fratelli, irradiando su di essi la sua bontà verso di me» (Cfr Fil 2, 17; 2Tim 4,6).

Vivere nel dinamismo del Mistero Pasquale, è sintonizzarsi con la logica dell’amore di Gesù, un amore “fino alla fine” che si prolunga nella Chiesa. È saper trasformare ogni situazione, per quanto difficile e penosa, in una nuova possibilità di amare e di evangelizzare.

Tra i criteri “pasquali” di vita e d’azione possiamo segnalare:

4. 1. L’adesione fiduciosa e fattiva al Mistero della Croce

«La croce non ci è tolta, anzi, nello Spirito di Gesù, l'Agnello, siamo chiamati a portare il peso del peccato del mondo (cfr. Gv 1,29) e cioè a combatterlo e ad eliminarlo. Ma quanto più la nostra associazione al Cuore che soffre si fa intima, tanto più percepiamo che la vittoria sul male non è un'utopia, ma una verità in fase di realizzazione. Non pensiamo più al cielo, al paradiso, come a un miraggio lontano e favoloso, ma ci rendiamo conto che la Gerusalemme celeste tanto più si avvicina quanto più lasciamo che il Dio-con-noi ci racchiuda nel suo Cuore.

Egli tergerà ogni lacrima dai loro occhi, non ci sarà più morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate. E Colui che sedeva sul trono disse: "Ecco, io faccio nuove tutte le cose" (Ap 21,4-5)».

4. 2. Qualcuno una volta ha detto:

•    Lavora come se non avessi bisogno dei soldi.

•    Ama come se nessuno ti abbia mai fatto soffrire.

•    Balla come se nessuno ti stesse guardando.

•    Canta come se nessuno ti stesse sentendo.

•    Vivi come se il Paradiso fosse sulla Terra.

(Cfr. 1Cor 7, 29-31).

    4. 3. L'uomo si distrugge:

•    con la politica senza principi,

•    con la ricchezza senza lavoro,

•    con la sapienza senza carattere,

•    con gli affari senza morale,

•    con la scienza senza umanità,

•    con la religione senza fede,

•    con l'amore senza sacrificio (Gandhi).

4. 4. Perché s’instauri l'Ordine Nuovo, occorre che emerga

•    il carattere sacerdotale della politica;

•    il carattere profetico della scienza;

•    il carattere filantropico dell'economia;

•    il carattere sacramentale dell'amore;

•    il carattere epifanico del creato.

 

4. 5. Verso una "Nuova Pentecoste"

(Giovanni XXIII)

Senza lo Spirito santo :

•    Dio è lontano;

•    il Cristo resta nel passato;

•    il Vangelo è lettera morta;

•    la Chiesa una semplice organizzazione;

•    l'autorità una dominazione;

•    la missione una propaganda;

•    il culto un'evocazione;

•    l'agire cristiano una morale da schiavi.     

Ma con lo Spirito santo:

•    il cosmo è sollevato e geme nel parto del Regno;

•    l'uomo lotta contro la carne;

•    il Cristo è presente;

•    il Vangelo è potenza di vita;

•    la Chiesa segno di comunione trinitaria;

•    l'autorità servizio liberatore;

•    la missione una Pentecoste;

•    la liturgia memoriale e anticipazione;

•    l'agire umano è divinizzato.

 

P. Carmelo Casile

Casavatore, Marzo 2012



Giovedì 05 Aprile,2012 Ore: 15:36
 
 
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