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www.ildialogo.org CI SONO ANCH’IO,di p. Ottavio Raimondo – Suor Giuseppina Barbato

III domenica di avvento - 11 dicembre 2011
CI SONO ANCH’IO

di p. Ottavio Raimondo – Suor Giuseppina Barbato

Ci sono anchioLo Spirito del Signore è su di me (I lettura: Is 61,1-2.10-11)

Siate sempre lieti (II lettura: 1 Ts 5,16-24)

Ci fu un uomo mandato da Dio (III lettura: Gv 1,6-8.19-28)

Il mondo in cui viviamo

“Noi viviamo in un mondo scandaloso che rifiuta l’appello di Dio ad una vita in pienezza per tutti…

“Noi ci impegniamo a perseguire un’alleanza globale per la giustizia nell’economia e per l’ecologia nella casa di Dio, la natura,…

“Riconosciamo che ci siamo lasciati conquistare dalla cultura del consumismo e della competitività egoista e avida dell’attuale sistema economico e che questo, troppo spesso, ha permeato la nostra stessa spiritualità.

“Confessiamo il nostro peccato nell’aver abusato della creazione e nell’aver mancato di svolgere il nostro ruolo di custodi e amici della natura.

“Confessiamo come nostro peccato che la mancanza di unità all’interno della famiglia delle chiese cristiane, ha influito negativamente sulla nostra capacità di essere pienamente al servizio della missione di Dio.

“Crediamo, in obbedienza a Gesù Cristo, che la chiesa è chiamata a confessare la fede, a testimoniare e ad agire anche se le autorità e la legge degli uomini lo proibiscono e anche se ne dovessero derivare punizioni e sofferenze. Gesù è il Signore” (dal documento finale delle Chiese riformate riunite a Accra (Ghana) dal 30 luglio al 13 agosto 2004).

La Parola che ci è donata

L’uomo inviato da Dio ormai 2000 anni fa è Giovanni il Battista. L’uomo o la donna inviati da Dio oggi siamo noi, ognuno di noi.

Sia per Giovanni come anche per noi sono attuali tre caratteristiche che troviamo nella parola che ci è donata.

La prima: Giovanni il Battista si inserisce nello scontento esistente nei confronti delle istituzioni. Denuncia le autorità, ogni tipo di autorità, anche quelle religiose, e favorisce l’emancipazione del popolo loro sottomesso. Le istituzioni sono incapaci di accogliere la luce. La missione del Battista pertanto non è quella di Elia il restauratore e il riconciliatore. Il Battista come persona e con il suo battesimo è colui che rompe con il passato e apre la porta al nuovo.

La seconda: Giovanni si definisce “voce”. Lui non prepara la venuta del Messia ma invita il popolo a togliere gli ostacoli, a preparare e ad accogliere il Messia.

La terza: Lo sposo è il Messia “colui che è già tra di voi”. “Slegare il laccio del sandalo” è un gesto che era compiuto da chi non se la sentiva di prendere in moglie la vedova di un parente che non aveva lasciato figli. Slegargli il laccio del sandalo è obbligarlo a rinunciare al suo diritto. Né Giovanni né noi possiamo prendere il posto del Messia: saremmo usurpatori.

Ci pensiamo su

Il coraggio delle chiese riformate riunite a Accra ci spinge a prendere atto della realtà in cui viviamo, a confessare il nostro peccato e a credere nella missione di accogliere la luce che è venuta per illuminare le donne e gli uomini di ogni tempo.

Ci stringiamo per sentirci ed essere un solo corpo e un solo spirito. Solo così avremo la capacità di avvicinarci ai tanti Giovanni Battista di oggi non per coglierli in fallo o per fermarli. Ci avvicineremo per dire loro: ci sono anch’io, ci siamo anche noi per rompere con un sistema di morte, per essere voce e per coinvolgere tutti nel togliere gli ostacoli alla realizzazione del Regno di Dio attraverso l’annuncio di Gesù, lo sposo. Se manca Gesù manca lo sposo e se manca lo sposo non c’è festa, non c’è vita, non c’è futuro.

“Non è per nulla facile avvicinarsi e dire che ci sono anch’io. Succede nella vita di ogni giorno ciò che vivo nel mio lavoro – diceva un giovane in un incontro di quartiere –. Il mio capo mi guarda per vedere se sbaglio o se vado troppo lentamente. Non mi aiuta mai. Ma lo capisco: se mi aiutasse si sporcherebbe le mani e macchierebbe la sua camicia bianca con i gemelli d’oro. Le sue mani e la sua camicia sono più importanti di me. Per quanto mi riguarda voglio dire a tutti i Giovanni Battista di ogni: ci sono anch’io”.

“Ci sono anch’io” come voce che annuncia che lo sposo è Gesù, colui che “sta” in mezzo a voi ma che non conoscete.
Beato chi le mani se le sporca e beato colui al quale non importano né camicia né gemelli d’oro. Beati coloro che condividono con i Giovanni Battista di oggi.

Daniele Comboni: 1000 vite per la missione

Daniele è nato a Limone sul Garda il 15 marzo 1831. Fin da ragazzo si entusiasma per le missioni e, appena può, decide di consacrare ad esse tutta la sua vita. Ordinato sacerdote nel 1854, tre anni dopo prende parte ad una spedizione di missionari diretti in Sudan. Nel 1864 stende il “Piano per la rigenerazione dell’Africa”. Il 12 agosto 1877 viene consacrato vescovo, il primo vescovo dell’Africa nera. Il 10 ottobre 1881 le fatiche e le febbri stroncano la sua vita a Khartoum. Aveva appena compiuto 50 anni.. Le basi della sua opera sono deboli. Muore dicendo: Io muoio ma la mia opera non morirà”. La sua personalità di uomo inviato da Dio per la rigenerazione dell’Africa, emerge anche da due sue affermazioni: “All’età di 17 anni giurai di consacrare tutta la mia vita all’apostolato dell’Africa Centrale; né venni mai meno, per variare di circostanze, al mio voto; e da quel punto non altro voli che prepararmi a così santa impresa” (Gli Scritti, 4083) E in seguito scriverà: “Durante i 100 momenti ardui della mia vita, cioè nelle molte difficoltà, ciò che non mi fece venir mai meno alla mia vocazione, ciò che mi sostenne il coraggio a star fermo al mio posto fino alla morte, fu la convinzione della sicurezza della mia vocazione” (Gli Scritti 6886)

p. Ottavio Raimondo – Suor Giuseppina Barbato



Luned́ 05 Dicembre,2011 Ore: 17:44
 
 
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