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www.ildialogo.org Domenica 2a Avvento–C– 9 dicembre 2012 –,di Paolo Farinella, prete

Domenica 2a Avvento–C– 9 dicembre 2012 –

di Paolo Farinella, prete

Se dovessimo sintetizzare questa 2a Avvento – C potremmo usare il binomio «speranza e mistero». Nella prospettiva del «giorno di Cristo Gesù» (2a lettura: Fil 1,7.10), cioè guardando la storia dal suo punto finale, la liturgia di oggi esprime sentimenti in fibrillazione: da una parte la «speranza» di un futuro straordinario rappresentato dall’immagine di un «nuovo esodo» (1a lettura)1 preso in prestito dal 2° Isaia (Dèutero Isaia) e dall’altra il «mistero» di un evento che cambia la storia (vangelo). Da una parte finisce il lutto dell’esilio e la sofferenza della lontananza viene travolta dalla gioia del ritorno come in modo poeticamente sublime esprime il Salmo 126/125 di oggi, uno dei più belli di tutto il salterio. Dall’altra, si annuncia la «voce di uno che grida nel deserto» (Lc 3,6) come svolta della storia perché «la parola di Dio scese su Giovanni», come approfondiremo nell’omelia.

La 1a lettura dice quali sono le condizioni dei dispersi: ieri i deportati ebrei a Babilonia, oggi i cristiani disseminati nel mondo intero che portano dentro questa loro condizione la caratteristica essenziale della loro stessa fede: essere pellegrini e stranieri sulla terra. L’ebreo fu «disperso» per obbligo perché una potenza esterna invase la Palestina e con la forza deportò i prigionieri in terra d’esilio, ma anche per colpa perché l’esilio è letto dalla letteratura giudaica come un castigo per i peccati d’Israele, un allontanamento di Dio da un popolo impuro2. Il cristiano al contrario è «disperso» per vocazione, non solo perché la sua città è la cattolicità nel senso etimologico di universalità, ma è «disperso» in modo particolare nel mondo di oggi in cui tutto contrasta con la logica e le esigenze del vangelo. Il mondo non è cristiano e il Medio Evo non torna più, al contrario i cristiani sono un piccolo sparuto numero disperso ai quattro angoli della terra e dovrebbero svolgere la funzione del sale e del lievito (Lc 12,32; Mt 5,13) . Non sempre ci riescono perché si adagiano in una religiosità da pantofole, drogandosi con l’allucinogeno della civiltà cristiana senza rendersi conto della contraddizione in termini: il Cristianesimo non può identificarsi con alcuna civiltà perché nel momento in cui lo facesse, escluderebbe tutte le altre dalla sua missione. Il vangelo può incarnarsi in ogni cultura, lingua e civiltà, ma non può identificarsi con alcuna. La sua natura è per rivelazione e definizione: «cattolica».

Ciò che per Baruc fu Gerusalemme, oggi per noi è l’Eucaristia. Gerusalemme fu la città ideale e la prospettiva di una comunità fatta di uomini e donne liberi: l’appartenenza alla Città santa dava una identità unica ed era anche garanzia di accesso alla salvezza di Dio. La nostra città è l’Eucaristia che ci raduna dentro la dinamica della sua Parola e ci nutre con il Pane della vita per darci l’identità di «dispersi» che hanno il mondo per propria patria e l’umanità per famiglia. Se per Baruc la scelta era tra Gerusalemme e il mondo straniero che Dio avrebbe annientato per costruire un mondo nuovo, per il cristiano la scelta di fede è obbligata: sull’esempio di Gesù di Nazareth s’incarna nel mondo senza fuggire e senza farsi schiacciare dal sentimento della desolazione. Se si vuole la scelta è tra bene e male, tra impegno e disinteresse. E’ la prospettiva della seconda lettura dove Paolo prega perché i cittadini di Filippi siano immersi nel mondo, ma consapevoli di custodirsi «integri e irreprensibili per il giorno di Cristo» (Fil 1,10).

Con la 2a domenica di Avvento ci avviciniamo al Natale, ma la mèta resta il Regno di Dio perché Gesù è nato una sola volta e ora tocca noi rinascere ogni giorno perché possiamo essere testimoni di un Dio incarnato che viene a noi nel volto indifeso di un bimbo per essere accolto e protetto. Lo Spirito Santo ci guida non alla grotta simbolica del presepe, ma all’incontro con ciò che il presepe significa: l’incontro con la povertà di Dio nella povertà dell’umanità. Acclamiamo con il profeta Isaia l’antifona d’ingresso (cf Is 30,19.30): Popolo di Sion, il Signore verrà a salvare i popoli e farà sentire la sua voce potente per la gioia del vostro cuore.

Spirito Santo, sei il manto di giustizia posto sulla Chiesa-Sposa, Maran-athà! Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, ci togli la veste dell’afflizione per rivestirci di gloria, Maran-athà! Veni, Sancte Spiritus.

Spirito Santo, sei lo splendore che manifesta il Dio che viene, Maran-athà! Veni, Sancte Spiritus.

Spirito Santo, prepari la Chiesa come sposa per l’incontro nuziale, Maran-athà! Veni, Sancte Spiritus.

Spirito Santo, sei la nostra Pace nella giustizia e gloria della pietà, Maran-athà! Veni, Sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu ci convochi alla Parola dall’oriente e dall’occidente, Maran-athà! Veni, Sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu riconduci Israele e la Chiesa alla luce della tua gloria, Maran-athà! Veni, Sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu fai sognare ogni esiliato che torna alla casa del Padre, Maran-athà! Veni, Sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu sei il canto che la nostra bocca scioglie con gioia, Maran-athà! Veni, Sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu fai grandi cose per noi e ci colmi di gioia, Maran-athà! Veni, Sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu sei con noi nell’andare e sei con noi nel tornare, Maran-athà! Veni, Sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu hai iniziato e perfezioni in noi l’opera del vangelo, Maran-athà! Veni, Sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu porti alla pienezza la fede fino al giorno del Signore, Maran-athà! Veni, Sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu ci fai essere irreprensibili per il giorno del Signore, Maran-athà! Veni, Sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu ci conduci a Giovanni che annuncia il Cristo di Dio, Maran-athà! Veni, Sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu sei la voce che ci chiama alla santa assemblea, Maran-athà! Veni, Sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu ci introduci nel mistero della salvezza di Dio, Maran-athà! Veni, Sancte Spiritus.

Seconda settimana di Avvento. Accendiamo come segno visibile il secondo cero per esprimere simbolicamente che il nostro cuore arde andando incontro al Signore che viene e nello stesso tempo si consuma di amore per lui e i fratelli e le sorelle del mondo intero. Ardere e consumarsi è imitare il Dio incarnato che nella sua passione per l’umanità non ha esitato di bruciare nella morte per darci una vita nella pienezza dell’amore.

Preghiera davanti al cero «simbolo di Cristo che viene in Avvento»

1. Signore,

il cero è segno dell’Avvento atteso.

E’ luce che illumina

nelle difficoltà e nelle decisioni.

E’ fuoco che brucia impurità,

egoismo e orgoglio.

2. Come questo cero si consuma nel rito,

sacramento di fuoco interiore,

allo stesso modo, finita la celebrazione,

vogliamo continuare ad ardere

per le strade della vita insieme a te,

insieme ai fratelli e sorelle del mondo.

3. Donaci lo Spirito dell’attesa escatologica

che c’insegni a bruciare

nelle due tendenze del cuore,

perché nel bene e nel male

possiamo amarti sempre, amando

quanti incontriamo sul cammino.

4. E’ Avvento! Il tuo tempo, Signore!

La nostra eternità. Amen! Amen!

La prima settimana di Avvento è passata. Entriamo nella seconda. Guardiamo dentro di noi quali frutti portiamo a questo altare e quale misura di fecondità abbiamo sperimentato nei sette giorni appena trascorsi. Se ci siamo lasciati afferrare dalla volontà di Dio, guardiamo al mondo intero con la simpatia di Cristo e immaginando ogni uomo o donna che vivono nell’attesa di qualcuno o di qualcosa, di un sorso d’acqua o di un pezzo di pane, di una dignità o di una speranza, allora con fiducia invochiamo il Nome santo su tutti

(greco)3

Èis to ònoma

toû Patròs

kài Hiuiû

kài toû Hagìu Pnèumatos

Amèn.

(italiano)

Nel Nome

del Padre

e del Figlio

e del Santo Spirito

L’Avvento è un tempo di «movimento» già nel nome stesso. In questo tempo nessuno può stare fermo o immobile, ma ognuno deve muoversi verso una mèta che deve già conoscere in partenza. Nessuno si avventura in un viaggio senza conoscere l’arrivo. Per noi credenti in un certo verso è l’opposto: conosciamo bene la mèta e l’arrivo, ma spesso sbagliamo la partenza. Sappiamo che dobbiamo morire, crediamo che la vita oltre la morte è una dimensione di gioia e di amore, eppure sbagliamo strada e ci confondiamo spesso. Il tempo di Avvento è ‘opportunità che abbiamo per mettere a fuoco la nostra traiettoria e il passo della nostra marcia. L’esame di coscienza è una tappa, un sorso d’acqua in questo cammino che già ci cattura l’anima.

[Facciamo alcuni momenti di silenzio interiore ed esaminiamo la nostra coscienza]

Signore, quando siamo impazienti e non sappiamo vivere l’attesa, Kyrie, elèison! Christe elèison!

Cristo, quando ti confondiamo con altri interessi o idoli su misura, Christe elèison! Kyrie, elèison!

Signore, quando non vogliamo abbassare i monti del nostro egoismo, Pnèuma, elèison! Christe elèison!

Cristo, quando non sappiamo colmare le valli della nostra tiepidezza, Christe elèison! Kyrie, elèison!

Signore, quando ci smarriamo nel deserto e non udiamo la tua voce, Kyrie, elèison! Christe elèison!

Dio onnipotente, che ha richiamato dall’esilio il suo popolo e lo ha guidato alla Gerusalemme città della gloria per introdurlo nel giorno del Signore Gesù attraverso la voce che invita alla conversione, abbia misericordia di noi perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna. Amen.

Preghiamo (colletta). O Dio grande nell’amore, che chiami gli umili alla luce gloriosa del tuo regno, raddrizza nei nostri cuori i tuoi sentieri, spiana le alture della superbia, e preparaci a celebrare con fede ardente la venuta del nostro salvatore, Gesù Cristo tuo Figlio. Egli è Dio, e vive e regna nellì’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.

MENSA DELLA PAROLA

Prima lettura Bar 5,1-9. Il libro di Baruc riflette l’ambiente e il pensiero dei Giudei della diaspora (infatti non si trova nel canone palestinese) e si può datare tra il sec. II e I a. C. Esso ha un genere letterario disomogeneo e composito: vi si trova il genere penitenziale (1,15-3,8), sapienziale (3,9-4,4), profetico (4,5-5,9) ed epistolare (6,1-72). Il brano odierno è un’antologia non originale che raccoglie e riformula i testi del 2° e 3° Isaia, i profeti della restaurazione escatologica. Lo sguardo interiore e il desiderio degli esiliati sono puntati su Gerusalemme dove sono sicuri di ritornare, quando Dio vorrà, rinnovando ancora una volta l’epopea dell’Esodo. L’Avvento è assumere lo spirito dell’Esodo per prendere coscienza di essere pellegrini verso la «Gerusalemme celeste» (Gal 4,26; Eb 12,22).

 

Dal libro del profeta Baruc Bar 5,1-9.

1Deponi, o Gerusalemme, la veste del lutto e dell’afflizione, rivèstiti dello splendere della gloria che ti viene da Dio per sempre. 2Avvolgiti nel manto della giustizia di Dio, metti sul capo il diadema di gloria dell’Eterno, 3perché Dio mostrerà il tuo splendore ad ogni creatura sotto il cielo. 4Sarai chiamata da Dio per sempre: “Pace di giustizia” e “Gloria della pietà”. 5Sorgi, o Gerusalemme, e sta’ in piedi sull’altura e guarda verso oriente; vedi i tuoi figli riuniti dal tramonto del sole fino al suo sorgere, alla parola del Santo, esultanti per il ricordo di Dio. 6Si sono allontanati da te a piedi, incalzati dai nemici; ora Dio te li riconduce in trionfo, come sopra un trono regale. 7Perché Dio ha deciso di spianare ogni alta montagna e le rupi perenni, di colmare le valli livellando il terreno, perché Israele proceda sicuro sotto la gloria di Dio. 8Anche le selve e ogni albero odoroso hanno fatto ombra a Israele per comando di Dio. 9Perché Dio ricondurrà Israele con gioia alla luce della sua gloria, con la misericordia e la giustizia che vengono da lui. - Parola di Dio.

Salmo responsoriale Sal 126/125, 1-2ab; 2cd-3; 4-5.6. Il salmo appartiene al gruppo del libretto di salmi detti «di ascensione» cioè di salita a Gerusalemme. La città santa è a m. 800 s.l.m. per cui da qualunque parte la si vuole raggiungere bisogna sempre salire. Il salmo, cantato dagli esiliati che tornano da Babilonia (vv. 1-3) intonando un inno per la restaurazione d’Israele (vv. 4-6), è l’opposto del salmo 127/126 («Sui fiumi di Babilonia») che piange la discesa in esilio. L’ingresso nella città santa fa dimenticare ogni dolore e sofferenza (v. 6). Saliamo anche noi sul monte dell’altare che è Cristo il quale ci fa uscire dall’abisso dell’esilio per restituirci la dignità di figli di Dio.

Rit. Grandi cose ha fatto il Signore per noi.

1. 1Quando il Signore ristabilì la sorte di Sion,
ci sembrava di sognare.
2Allora la nostra bocca si riempì di sorriso,
la nostra lingua di gioia. Rit.

2. Allora si diceva tra le genti:
«Il Signore ha fatto grandi cose per loro».
3Grandi cose ha fatto il Signore per noi:
eravamo pieni di gioia. Rit.

3. 4Ristabilisci, Signore, la nostra sorte,
come i torrenti del Negheb.
5Chi semina nelle lacrime
mieterà nella gioia. Rit.

4. 6Nell’andare, se ne va e piangendo,
portando la semente da gettare,
ma nel tornare, viene con gioia,
portando i suoi covoni. Rit.

Seconda lettura Fil 1,4-6.8-11. La comunità di Filippi si trova nella regione della Macedonia in Grecia. Fu la prima città europea visitata da Paolo nel suo 2° viaggio missionario, dove fondò una comunità (cf At 16,12-40; 1Ts 2,2). Vi ritornò di nuovo, una o due volte, nel 3° viaggio (cf At 20,1-6). E’ la comunità del «cuore» di Paolo, quella che non gli creerà mai problemi, ma gli verrà sempre in aiuto in ogni necessità. Tra Paolo e i Filippesi vi è un rapporto affettivo profondo che mai verrà spezzato. La lettera è scritta o da Efeso nel 56 o durante la prigionia di Paolo a Roma nel 62. Secondo l’uso ebraico, Paolo proclama un solenne rendimento di grazie che si compone di una berakà/benedizione (vv. 3-8) e di una epìclesi o invocazione sui doni dello Spirito Santo (vv. 9-11)4. L’Eucaristia che celebriamo è il grande rendimento di grazie che noi pronunciamo sul mondo intero nella luce dello Spirito Santo.

Dalla lettera di Paolo apostolo ai Filippesi Fil 1,4-6.8-11

Fratelli e Sorelle, 4 sempre, quando prego per tutti voi, lo faccio con gioia 5a motivo della vostra cooperazione per il Vangelo, dal primo giorno fino al presente. 6Sono persuaso che colui il quale ha iniziato in voi quest'opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù. 8Infatti Dio mi è testimone del vivo desiderio che nutro per tutti voi nell'amore di Cristo Gesù. 9E perciò prego che la vostra carità cresca sempre più in conoscenza e in pieno discernimento, 10perché possiate distinguere ciò che è meglio ed essere integri e irreprensibili per il giorno di Cristo, 11ricolmi di quel frutto di giustizia che si ottiene per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio. - Parola di Dio.

Vangelo Lc 3,1-6. La solenne cornice che Lc pone al 3° Vangelo, dopo i primi due capitoli, detti «vangeli dell’infanzia» che hanno una struttura particolare sul modello del midrash ebraico, ha lo scopo di collocare il ministero di Giovanni Battista nel cuore della storia umana, qui rappresentata dall’imperatore romano. Lc così conferisce ai fatti narrati una dimensione universale. La predicazione di Gesù che Giovanni prepara è un messaggio che supera i confini d’Israele per rivolgersi alla Storia intera. L’incarnazione di Cristo è un evento che cambia la storia perché v’introduce il germe e la prospettiva della eternità. Il nuovo mondo che Dio instaura sulla terra come premessa e seme del Regno di Dio è illustrato da un nuovo vocabolario: conversione, perdono e salvezza. L’Eucaristia è già un anticipo vissuto, ma non ancora compiuto: viviamo, ma siamo in attesa del ritorno di Gesù per essere testimoni dell’evento finale: «Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio» (Lc 3,6).

Canto al Vangelo cf Lc 3,4.6

Alleluia. Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! / Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio! Alleluia.

Dal Vangelo secondo Luca Lc 3,1-6

1Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturea e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell’Abi-lene, 2sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. 3Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, 4com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia: Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! 5Ogni burrone sarà riempito, ogni monte e ogni colle sarà abbassato; le vie tortuose diverranno diritte e quelle impervie, spianate. 6Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio! - Parola del Signore.

Spunti di omelia

La cornice entro cui si colloca il vangelo di oggi è una cornice solenne di natura storico-geografica che comprende la Palestina e gli attuali Libano e Siria5. L’evangelista Lc aveva iniziato il suo vangelo (cf Lc 1,1-4) con un prologo in cui asserisce di avere fatto indagini accurate e di averle messe in ordine. Lc è un medico e buon conoscitore della lingua greca6. Egli non ha conosciuto Gesù perché appartiene alla seconda generazione dei credenti. Discepolo di Paolo di cui spesso ne incarna l’insegnamento, Lc è l’evangelista della teologia della storia, perché cerca di capire il senso degli eventi alla luce della Pasqua di Gesù Cristo.

Il solenne inizio di Lc 3 toglie il respiro a chi legge e ascolta, anche da un punto di vista letterario perché ci troviamo con sei frasi circostanziali come sfondo della frase principale che è l’ultima:

1Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare,

mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea,

Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturea e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell’Abilene,

2asotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa,

2bla parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto (Lc 3,1-2).

La traduzione letterale di Lc 3,2b deve mantenere il sapore del testo originario che pare una traduzione

Testo greco

Traduzione italiana

Resa in ebraico

Eghèneto rhèma theoû

Avvenne/accadde/fu la Parola di Dio

«Wayyehî debèr-Adonài

epì Iōànnēn

su Giovanni,

el Yochanàn

ton Zacharìou hiuiòn

il figlio di Zaccaria,

ben Zecaryàh

en tēi erêmōi

nel deserto

bamidbar

La costruzione del testo greco ha una struttura talmente ebraica da sembrare una traduzione da questa lingua con una struttura testuale che pone in prima posizione, cioè in preminenza, la solennità dell’evento «Parola» con il verbo della frase principale in prima posizione, dopo una serie di frasi circostanziali, cioè secondarie che fanno da sfondo: i grandi citati sono lo sfondo della storia, non i protagonisti. L’imperatore governa il mondo con saccenteria e per dimostrare la sua onnipotenza ordina un censimento per contare uno ad uno tutti i suoi sudditi: la potenza di Roma è nel numero. Se l’imperatore può contare una ad una la testa dei suoi sudditi, vuol dire che le ha in pugno politicamente. Non solo, ma le conta per spremerle anche di tasse perché nel contesto del potere, i popoli hanno il compito di mantenere i loro sfruttatori. Allo stesso modo, il sommo sacerdote crede di avere il monopolio delle relazioni con Dio e la sua rappresentanza in esclusiva perché appartiene alla struttura ufficiale della religione. L’incredibile accade: «la voce» profetica di Giovanni il Battezzante annuncia la salvezza per ogni uomo (cf Lc 3,6) fuori da ogni controllo imperiale e l’invito alla conversione, cioè al cambiamento dello stile di vita si manifesta e risuona nel deserto, lontano dalle regole di purità del tempio. La Parola scese nel deserto, nella terra di nessuno perché tutti hanno diritto di accedere al cospetto di Dio e nessuna religione può averne il monopolio.

La «Parola» è «Evento», accade come un fatto, un avvenimento sperimentabile. E’ il «dabàr» ebraico che identifica contemporaneamente il «detto» e «il fatto». E’ l’avvenimento imprevisto che avviene e fa la storia, perché in Dio parola e accadimento s’identificano: Dio parla agendo e agisce parlando. La Parola si compie non in astratto, ma su una persona concreta, storica, verificabile: è Giovanni, il figlio di Zaccaria. I nomi non sono messi a casaccio, ma stanno ad indicare che ci troviamo in un contesto sperimentabile: sono persone note e quindi sono anche il riferimento puntuale di una «storia» che sta in mezzo a noi che conosciamo Zaccaria e il suo figliolo, Giovanni. Questa «discesa» solenne avviene e si compie nella cornice dell’onnipotenza dell’impero romano e nel contesto della maestà del tempio di Gerusalemme: Luca impegna due versetti per descrivere lo scenario della grande storia universale e locale, all’interno della quale «accadde la Parola» che irrompe dentro l’onnipotenza dell’impero e della religione che finiscono non per avere un valore in sé, ma solo perché sono relegate a scenario di un «evento» ancora più grande. Ancora una volta, sono i «nomi» di quelli che la cultura corrente definisce «potenti» a fare da cornice e comparse: il potere politico e militare di Roma e il potere religioso sono due comparse; l’autore sembra volere mettere in contrapposizione l’onnipotenza e la fragilità, l’organizzazione e la leggerezza, la forza e la Parola:

Lc 3,1-2a

Lc 3,2b

  1. «1Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare,

  2. mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea,

  3. Erode tetrarca della Galilea,

  4. e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturea e della Traconìtide,

  5. e Lisània tetrarca dell’Abilene,

  6. 2sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa»,

Avvenne/accadde/fu

la Parola di Dio

su Giovanni, il figlio di Zaccaria,

nel deserto

A fronte di una indicazione temporale, di sei indicazioni storiche, di sette nomi di potenti del momento, di cinque indicazioni geografiche, sta nuda e assoluta la Parola che prende corpo in una persona insignificante perché bambino e in un contesto geografico di totale isolamento: il deserto. Dio non abita la potenza grandiosa della politica internazionale dell’impero romano e nella solennità della religione ufficiale del tempio di Gerusalemme. La sua Parola, cioè il suo Progetto di novità, non scende nelle stanze del potere o nel recinto sacro del tempio, ma «nel deserto» (Lc 3,2), prendendo così le distanze dall’uno e dall’altro. Da una parte Roma e tutta la sua potenza e dall’altra il «deserto», il luogo del fidanzamento (cf Os 2) e dell’amore, il regno della solitudine e della siccità. Da una parte i «sommi sacerdoti» e la loro religione, il tempio e la sua sontuosità e dall’altra un bambino e Zaccaria, di cui viene messa in evidenza non la sua condizione di sacerdote, ma la sua natura di padre perché il protagonista è suo figlio Giovanni. Si ha qui un anticipo del Magnificat, quando un’altra protagonista senza potenza e per giunta donna, annuncerà il vangelo della nuova umanità: «ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote» (Lc 1,52-53). I grandi credono di condurre la storia, mentre al contrario sono i poveri che la portano a compimento, caricandosela sulle spalle e vivendola.

La Parola che scende è l’evento che che fa il suo ingresso nella storia degli uomini, richiamando in modo diretto la discesa del Dio sul Sinai. Dopo avere visto le sofferenze del suo popolo dovute alla schiavitù, decide d’intervenire per iniziare una storia nuova: «Ho osservato la miseria …, ho udito il suo grido …, conosco le sue sofferenze … sono sceso per liberarlo» (Es 3,7-8) e per affidargli il nuovo progetto di umanità declamato nella promulgazione della Toràh (Es 19,20).

Siamo nel 29/30 d.C. e il clima in Palestina è denso di attesa per la venuta del Messia, a Qumran gli Esseni si preparano alla battaglia finale tra i figli della luce e i figli delle tenebre, ma l’annuncio della grande novità che arriva che cambierà le sorti dell’umanità è di una forza disarmante che lascia senza fiato: «la parola di Dio scese su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto» (Lc 3,1-2). Non si dice che nasce un imperatore, un re, ma solo che «la Parola venne/scese su Giovanni» (Lc 3,2).

Interessante notare come l’evangelista sia puntuale nel descrivere i confini della Palestina dal sud al nord fino al Libano, fino alla Siria per dire che lo scenario è reale: non si tratta di una discussione, ma di un fatto che è verificabile storicamente. Egli si preoccupa che chi legge non faccia astrazioni, ma s’immerga nella storia universale perché è lì che accade l’evento. La Parola di Dio scende nel contesto delle coordinate della storia universale perché Dio non confinabile dentro confini angusti di una nazione o di una religione.

Accanto alla storia sta la religione, qui simboleggiata dai nomi dei due sommi sacerdoti, uno deposto dai Romani, Anna, e il genero Caifa sommo sacerdote in carica: « sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa» (Lc 3,2). La religione era personificata nel tempio di Gerusalemme e quindi sarebbe stato logico che l’evento di salvezza annunciato da Giovanni Battista fosse avvenuto dentro il suo sacro recinto. Anche qui abbiamo una grande lezione di teologia della storia: Dio non è legato ai confini del sacro che gli uomini hanno delimitato secondo le loro strutture e mentalità. Al contrario, il Dio della Bibbia è sempre un Dio che agisce «fuori del campo». Imperatore e sommi sacerdoti credono di governare il mondo, invece sono soltanto fuori dagli eventi importanti di salvezza perché Dio sfugge al loro controllo e al loro dominio.

Il luogo della discesa della Parola è il deserto che riporta l’eco di una voce che invita alla conversione. Nel deserto c’è silenzio, c’è lo spazio senza confini, c’è l’essenzialità che esclude ogni superfluo, c’è la possibilità di pensare e di essere in compagnia di se stessi. Nel deserto si possono porre le domande importanti della vita e se si attenti alla «voce che grida» nel deserto, si possono avere le risposte e conoscere le condizioni: «raddrizzate i suoi sentieri… i passi tortuosi siano diritti» (Lc 3,5). Il deserto è il luogo dell’eco dove la parola pronunciata ritorna per essere riascoltata e non c’è il rischio del sovraffollamento delle parole che normalmente viviamo. Il deserto è la capacità non di «fare silenzio», ma di «essere silenzio» per lasciarsi abitare dalla Parola che risuona e parla di un impegno costruttivo: «preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! Ogni burrone sia riempito, ogni monte e ogni colle sia abbassato; i passi tortuosi siano diritti; i luoghi impervi spianati» (Lc 3,4-5). Fare diritti i passi tortuosi ha una accezione giuridica perché indica la necessità di un mutamento nella condotta etica e sminuisce un poco l’appello alla conversione che non è un invito alla penitenza o alla mortificazione, ma un appello alla radice del cuore umano che risiede nella «metànoia» che propriamente è il cambiamento dei criteri di valutazioni, dei principi in base ai quali uno giudica e valuta avvenimenti e comportamenti. La «metànoia» ha affinità con la «(metà)-nous» cioè con la mente, il pensiero, la struttura razionale dell’individuo.

Avere trasformato l’appello di Gesù in invito a fare penitenza significa avere stravolto completamente il messaggio perché il passaggio dalla penitenza alla mortificazione, alla rinuncia, alla flagellazione, ecc. è immediato. Abbiamo trasformato il vangelo che è «annuncio gioioso» in codice di mortificazione e di tristezza. Gesù non ha mai parlato di penitenza: nel NT il sostantivo «metànoia – cambiamento di mentalità» e il verbo «matanoèō – cambio mentalità» ricorrono poco meno di 50x che nelle traduzioni vengono rese a volte con penitenza o fate penitenza e a volte con conversione o convertitevi/ravvedetevi. Le versioni sono riduttive dell’intensità del testo originale. L’attesa non è mai una tristezza e nessuna innamorata fa penitenza mentre si prepara a ricevere il suo innamorato perché l’attesa della persona amata può essere ansia, paura, frenesia, ma è sempre gioia frenetica di vedere e accogliere, mai penitenza e tristezza.

Nella 1a lettura, l’invito è perentorio: « Deponi, o Gerusalemme, la veste del lutto e dell’afflizione, rivèstiti dello splendere della gloria che ti viene da Dio per sempre» (Bar 5,1). Gli esuli che tornano sono immersi nella gioia di vedere Gerusalemme e per questo motivo dimenticano le sofferenze patite in terra di esilio. Bisogna operare il passaggio dalla logica della mortificazione alla logica dell’amore. La mortificazione appartiene al regime della religione che crede di comprare Dio attraverso atti di privazione come se Dio si compiacesse del dolore e della sofferenza.

Altra cosa è puntare agli «stili di vita» che devono essere sobri, perché siamo chiamati a condividere con gli altri quello che siamo e quello che abbiamo e per questo non basta privarsi di qualcosa per darla ai poveri, ma è necessario vivere con spirito di povertà e assumersi le responsabilità della cause della povertà. Si è svalutata anche la lingua: il termine «elemosina» in italiano ha assunto il senso di dare qualche spicciolo al bisognoso, perdendo così il senso pregnante che ha in greco dove «eleēmosýnēē viene dal verbo «eleèō/ eleàō» (da cui deriva l’imperativo «elèison» che diciamo nelle invocazioni) che significa «provo simpatia/ho misericordia» e quindi partecipo, condivido con i sentimenti dell’anima.

L’evangelista Lc oggi c’invita ad uscire dal nostro particolarismo e ad affacciarsi alla porta della Storia, sapendo che Dio l’ha scelta come sua dimora per il suo incontro con il suo popolo. Spesso noi confondiamo l’universalità con l’esperienza che noi facciamo del nostro piccolo e la identifichiamo con la nostra esperienza limitata. Cristo viene e si dona agli uomini e alle donne di ogni lingua, razza, tribù, lingua e cultura, senza chiedere a nessuno il passaporto d’origine. Vivere l’avvento significa guardare oltre i confini del mondo e aprirsi alla venuta di Gesù che giunge dall’oriente e dall’occidente, dal nord come dal sud.

Per la nostra vita: quando avremo permesso alla Parola di scendere nel silenzio che custodisce il nostro cuore e le avremo permesso di abitare la nostra anima, allora e solo allora comincerà l’avvento perché ci prepareremo non al rendiconto fiscale e tributario, ma all’incontro con il Signore che è venuto per dirci che siamo amati e lo siamo per sempre.

Professione di Fede (rinnovo delle promesse battesimali)

Nella seconda domenica di avvento, sostiamo ancora una volta alla sorgente del nostro battesimo e rinnoviamo le promesse della nostra fede perché il nostro cammino verso il Natale e la seconda venuta del Signore alla fine della storia sia segnato dalla fiaccola della fede che illumina i nostri passi e dalla decisione che vogliamo vivere coerenti con ciò che abbiamo ricevuto e che vorremmo tramandare. Lo facciamo in comunione con i milioni di cristiani che oggi in tutto il mondo rinnovano la stessa professione di fede.

Credete in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra? Credo.

Credete in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore, che nacque da Maria vergine, morì e fu sepolto, è risuscitato dai morti e siede alla destra del Padre? Credo.

Credete nello Spirito Santo, la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne e la vita eterna? Credo.

Questa è la nostra fede. Questa è la fede della Chiesa. Questa fede noi ci gloriamo di professare in Cristo Gesù nostro Signore. Amen.

Preghiera universale [Intenzioni libere]

MENSA EUCARISTICA

Presentazione delle offerte e pace. Entriamo nel Santo dei Santi presentando i doni, ma prima, lasciamo la nostra offerta e offriamo la nostra riconciliazione e concediamo il nostro perdono, senza condizioni, senza ragionamenti, senza nulla in cambio: lasciamo che questa notte trasformi il nostro cuore, fidandoci e affidandoci reciprocamente come insegna il vangelo:

«Se dunque tu presenti la tua offerta all'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all'altare, va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono» (Mt 5,23-24),

Solo così possiamo essere degni di presentare le offerte e fare un’offerta di condivisione. Riconciliamoci tra di noi con un gesto o un bacio di Pace perché l’annuncio degli angeli non sia vano.

Scambiamoci un vero e autentico gesto di pace nel Nome del Dio della Pace.

[La benedizione sul pane e sul vino è tratta dal rituale ebraico]

Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo; dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane e questo vino, frutto della terra, della vite e del lavoro dell’uomo e della donna; lo presentiamo a te, perché diventi per noi cibo di vita eterna. Benedetto nei secoli il Signore.

Preghiamo perché il nostro sacrificio sia gradito a Dio, Padre onnipotente.

Il Signore riceva dalle tue mani questo sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa.

Preghiamo (sulle offerte). Ti siano gradite, Signore, le nostre umili offerte e preghiere; all’estrema povertà dei nostri meriti supplisca l’aiuto della tua misericordia. Per Cristo nostro Signore. Amen.

PREGHIERA EUCARISTICA III7 - Prefazio della Gerusalemme celeste

Il Signore sia con voi. E con il tuo spirito. In alto i nostri cuori. Sono rivolti al Signore.

Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio. E’ cosa buona e giusta.

E’ veramente giusto renderti grazie e innalzare a te l’inno di benedizione e di lode, Padre onnipotente, principio e fine di tutte le cose.

Deponiamo con Gerusalemme la veste del lutto e dell’afflizione e rivestiamoci dello splendere della gloria viene da Dio per sempre (cf Bar 5,1).

Tu ci hai nascosto il giorno e l’ora, in cui il Cristo tuo Figlio, Signore e giudice della storia, apparirà sulle nubi del cielo rivestito di potenza e splendore.

I cieli e la terra sono pieni della tua gloria della tua santità. Osanna nell’alto dei cieli.

In quel giorno tremendo e glorioso passerà il mondo presente e sorgeranno cieli nuovi e terra nuova.

Santo, Santo, Santo, il Signore Dio dell’universo. Kyrie, elèison, Christe, elèison, Pnèuma, elèison.

Ora egli viene incontro a noi in ogni uomo e in ogni tempo, perché lo accogliamo nella fede e testimoniamo nell’amore la beata speranza del suo regno.

Tu, o Padre, hai deciso di spianare ogni alta montagna e le rupi perenni, di colmare le valli livellando il terreno, perché con Israele anche noi possiamo procedere sicuri sotto la tua gloria (cf Bar 5,7).

Nell’attesa del suo ultimo avvento, insieme agli angeli, ai santi e alle sante del cielo e della terra proclamiamo unanimi l’inno della tua gloria:

Benedetto nel nome del Signore colui che viene, tre volte «Santo». Osanna nell’alto dei cieli. Kyrie, elèison.

Padre veramente santo, a te la lode da ogni creatura.

Grandi cose fa il Signore per noi, colmandoci di gioia (cf Sal 126/125,3).

Per mezzo di Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore, nella potenza dello Spirito Santo fai vivere e santifichi l’universo, e continui a radunare intorno a te un popolo, che da un confine all’altro della terra offra al tuo nome il sacrificio perfetto.

Tu, Signore, riconduci Israele con gioia alla luce della tua gloria, con la misericordia e la giustizia che vengono da Te. Convertici, Signore, e noi ci convertiremo (cf Bar 5,9).

Ora ti preghiamo umilmente:manda il tuo Spirito a santificare i doni che ti offriamo perché diventino il corpo e il sangue di Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore, che ci ha comandato di celebrare questi misteri.

Ci arricchisca Il Signore in conoscenza e discernimento, perché possiamo distinguere ciò che è meglio ed essere integri e irreprensibili per il giorno di Cristo (cf Fil 1,9-10).

Nella notte in cui fu consegnato, egli prese il pane, ti rese grazie con la preghiera di benedizione, lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E MANGIATENE TUTTI: QUESTO È IL MIO CORPO OFFERTO IN SACRIFICIO PER VOI.

Ecco il frutto della giustizia che scende dal cielo: Gesù Cristo, Pane spezzato per i popoli del mondo (cf Fil 1,11).

Dopo la cena, allo stesso modo, prese il calice, ti rese grazie con la preghiera di benedizione, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E BEVETENE TUTTI: QUESTO È IL CALICE DEL MIO SANGUE PER LA NUOVA ED ETERNA ALLEANZA, VERSATO PER VOI E PER TUTTI IN REMISSIONE DEI PECCATI.

Ecco il frutto della giustizia che scende dal cielo: Gesù Cristo, Pane spezzato per i popoli del mondo (cf Fil 1,11).

FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME.

«Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l’unico Signore». Vieni, Signore Gesù! (cf Mc 12,29)

Mistero della fede.

Ogni volta che mangiamo di questo pane e beviamo a questo calice annunziamo la tua morte, proclamiamo la tua risurrezione, attendiamo il tuo ritorno: Maràn, athà – Signore nostro, vieni.

Celebrando il memoriale del tuo Figlio, morto per la nostra salvezza, gloriosamente risorto e asceso al cielo, nell’attesa della sua venuta ti offriamo, Padre, in rendimento di grazie questo sacrificio vivo e santo.

Sotto i sommi sacerdoti Anna e Càifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. (Lc 3,2).

Guarda con amore e riconosci nell’offerta della tua Chiesa, la vittima immolata per la nostra redenzione; e a noi, che ci nutriamo del corpo e sangue del tuo Figlio, dona la pienezza dello Spirito Santo perché diventiamo in Cristo un solo corpo e un solo spirito.

Una voce grida nel deserto del nostro cuore: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! (cf Lc 3,4).

Egli faccia di noi un sacrificio perenne a te gradito, perché possiamo ottenere il regno promesso insieme con i tuoi eletti: con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, con i tuoi santi apostoli, i gloriosi martiri, e tutti i santi e le sante, nostri intercessori presso di te.

Con la forza del tuo Spirito, prepareremo la via al Signore e raddrizzeremo i sentieri del nostro cuore (cf Lc 3,5).

Per questo sacrificio di riconciliazione dona, Padre, pace e salvezza al mondo intero. Conferma nella fede e nell’amore la tua Chiesa pellegrina sulla terra: il tuo servo e nostro papa …, il vescovo …, il collegio episcopale, il clero, le persone che vogliamo ricordare … e il popolo che tu hai redento.

Vieni, Santo Spirito, piega ciò che è rigido, scalda ciò che è gelido, raddrizza ciò ch’è sviato (cf Sequenza dello Spirito Santo).

Ascolta la preghiera di questa famiglia, che hai convocato alla tua presenza nel giorno in cui il Cristo ha vinto la morte e ci ha resi partecipi della sua vita immortale.

Sì, ne siamo certi: ogni essere vivente vedrà la salvezza di Dio! (cf Lc 3,6).

Ricongiungi a te, Padre misericordioso, tutti i tuoi figli ovunque dispersi.

«Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti adoriamo, ti glorifichiamo, ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa, o beata Trinità» (cf Ord. Messa).

Accogli nel tuo regno i nostri fratelli defunti e tutti i giusti che, in pace con te, hanno lasciato questo mondo; ricordiamo tutti i defunti … concedi anche a noi di ritrovarci insieme a godere per sempre della tua gloria, in Cristo, nostro Signore, per mezzo del quale tu, o Dio, doni al mondo ogni bene.

Gloria a te, Santa Trinità, unico Dio, Padre e Figlio e Spirito Santo, Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, Dio dei Viventi.

Dossologia [è il momento culminante dell’Eucaristia: il vero offertorio]

PER CRISTO, CON CRISTO E IN CRISTO, A TE, DIO, PADRE ONNIPOTENTE, NELL’UNITA DELLO SPIRITO SANTO, OGNI ONORE E GLORIA, PER TUTTI I SECOLI DEI SECOLI. AMEN.

Padre nostro in greco (Mt 6,9-13)

Idealmente riuniti con gli Apostoli della Chiesa delle origini, preghiamo, dicendo:

Padre nostro, che sei nei cieli,

Pàter hēmôn, ho en tôis uranôis,

sia santificato il tuo nome,

haghiasthêto to onomàsu,

venga il tuo regno,

elthètō hē basilèiasu,

sia fatta la tua volontà,

genēthêtō to thelēmàsu,

come in cielo così in terra

hōs en uranô kài epì ghês.

Dacci oggi il nostro pane quotidiano,

Ton àrton hēmôn tòn epiùsion dòs hēmîn sêmeron,

e rimetti a noi i nostri debiti,

kài àfes hēmîn tà ofeilêmata hēmôn,

come noi li rimettiamo ai nostri debitori,

hōs kài hēmêis afêkamen tôis ofeilètais hēmôn

e non abbandonarci alla tentazione,

kài mê esinènkēs hēmâs eis peirasmòn,

ma liberaci dal male.

allà hriûsai hēmâs apò tû ponērû. Amên.

Antifona alla comunione (Bar 5,5; 4,36): Sorgi, o Gerusalemme, e sta’ in piedi sull’altura Guarda a oriente e osserva la gioia che ti viene da Dio.

Dopo la Comunione

Da Martin Buber, I racconti dei chassidim

Rabbi Shmelke disse: “È tramandato: ‘Il Messia, figlio di Davide, non verrà prima che le lacrime di Esaù siano cessate’. Ma i figli d’Israele invocano giorno e notte pietà; le loro lacrime saranno dunque piante invano, fino a che anche i figli d’Esaù piangeranno? Ma per lacrime d’Esaù non s’intendono le lacrime che piangono i popoli e voi non piangete; sono le lacrime che voi tutti, uomini e donne, piangete quando desiderate qualcosa per voi e pregate per questo. E in verità il Messia, figlio di Davide, non verrà prima che queste lacrime non siano cessate e voi piangiate perché la Shekinàh è in esilio e perché avvenga la sua redenzione.

Preghiamo. O Dio, che ci hai nutriti con il pane della vita, insegnaci con questo sacramento a valutare con sapienza i beni della terra, nella continua ricerca dei beni del cielo. Per Cristo nostro Signore. Amen.

Benedizione e saluto finale

Il Signore è con voi. E con il tuo Spirito.

Il Signore, il Santo di Israele, ci doni la sua benedizione.

Il Signore, il Padre del Signore nostro Gesù Cristo, ci benedica ora e sempre.

Il Signore tre volte Santo che i cieli non possono contenere, vi dia al sua consolazione,

Il Signore che ha inviato Giovanni il Battezzante, ci colmi della sua tenerezza.

Il Signore che ci convoca alla mensa della Parola e del Pane, ci converta e ci sorregga,

Il Signore sia sempre davanti a voi per guidarvi.

Il Signore sia sempre dietro di voi per difendervi dal male.

Il Signore sia sempre accanto a noi per confortarci e consolarci.

E la benedizione dell’onnipotente tenerezza del Padre e del Figlio

e dello Spirito Santo, discenda su di voi e con voi rimanga sempre. Amen!

La messa finisce come rito, continua nella testimonianza. Andiamo incontro al Signore che viene.

Nella forza dello Spirito Santo rendiamo grazie a Dio e viviamo nella sua Pace.

_________________________

Domenica 2a del tempo di Avvento–C – Parrocchia di S. M. Immacolata e S. Torpete

© Nota: L’uso di questi commenti è consentito citandone la fonte bibliografica

Paolo Farinella, prete –9/12/2012 – San Torpete,Genova

APPUNTAMENTI DICEMBRE 2012 GENNAIO 2013

LUNEDÌ 10 DICEMBRE 2012 ORE 16,30, BIBLIOTECA UNIVERSITARIA DI GENOVA, «Vaticano II: continuità o rottura? La svolta irreversibile». Colloquio sul concilio nel 50° anniversario del suo inizio di Paolo FARINELLA, prete e don Giampiero BOF, teologo di Savona.

MARTEDÌ 11 DICEMBRE 2012 ORE 17,00 in San Torpete, Piazza San Giorgio Genova, INCONTRO INTERELIGIOSO tra Ebraismo (Rav Dott. Giuseppe Momigliano), Islam (Imam Salah) e Cristianesimo (Paolo Farinella, prete). L’incontro è organizzato dal Dott. Gianni Testino del centro alcologico dell’Ospedale di san Martino.

GIOVEDÌ 13 DICEMBRE 2012 ORE 17,30 in San Torpete, Piazza San Giorgio Genova, Franca Fioravanti legge PIER PAOLO PASOLINI dal progetto «PAESAGGI PERDUTI». Nel 90° anniversario della nascita di PASOLINI, LETTURA di TESTI dalle sue opere. Il reading è un omaggio al complesso universo di Pier Paolo Pasolini, un itinerario emozionale che esplora e ricorda la sua poesia civile e la sua poesia della memoria. La profonda passione di Pasolini, attraverso i campi espressivi da lui indagati, è sempre indirizzata verso un fine sacrale dell’arte e della vita, protesa verso una dimensione etica delle relazioni e delle cose. La poesia di Pier Paolo Pasolini si fonde nella voce di Franca Fioravanti. Il reading è stato elaborato dal drammaturgo Marco Romei. Il lavoro su Pier Paolo Pasolini è stato presentato al 18°Festival Internazionale di Poesia, e nella Notte della Poesia. Il video sul progetto «Paesaggi perduti» è visibile in rete: http://www.youtube.com/watch?v=k8QypaiepEI

SABATO 15 DICEMBRE 2012 ORE 17,30 in San Torpete, Piazza San Giorgio Genova, concerto con Luca Scandali, Organo e Mauro Occhionero, Percussioni Rinascimentali e della Tradizione Popolare: «Intabolatura di balli» con Musiche di T. Susato, A. Gabrieli, Anonimi (secc. XVI-XVII), B. Pasquini.

LUNEDÌ 24 DICEMBRE 2012 ORE 21,00 in San Torpete, Piazza San Giorgio Genova

MESSA DELLA VEGLIA DI NATALE.

MARTEDÌ 25 DICEMBRE 2012 ORE 10,00 in San Torpete, Piazza San Giorgio Genova,

MESSA DEL GIORNO DI NATALE

MERCOLEDÌ 26 DICEMBRE 2012 SANTO STEFANO: NIENTE MESSA.

DOMENICA 30 DICEMBRE 2012 ORE 10,00 in San Torpete, Piazza San Giorgio Genova: MESSA

MARTEDÌ 01 GENNAIO 2013 ORE 10,00 in San Torpete, Piazza San Giorgio Genova: MESSA

DOMENICA 06 GENNAIO 2013 ORE 10,00 in San Torpete, Piazza San Giorgio Genova: MESSA

INCONTRI DEL GRUPPO PICCAPIETRA

MARTEDÌ 11 DICEMBRE 2012, ORE 17.30: Genova, Quadrivium con entrata da Piazza S. Marta 2 - Lectio divina nel Tempo di Avvento, guidata da Francesco CAVALLINI SI, Genova.

MARTEDÌ 22 GENNAIO 2013, ORE 17.30: Genova, Quadrivium con entrata da Piazza S. Marta 2 - Carlo MOLARI, teologo e saggista, Cesena parlerà di «Fede e dottrina della fede».



Nel sito: http://www.musicaeculturasantorpete.com/

si trova il programma della VII edizione (2012-2013) de «I concerti di San Torpete»



Nel sito: www.paolofarinella.eu/ : il «Pacco», la Liturgia della domenica e l’archivio dei tre anni.



FINE

1 Il libro di Baruc (v., sotto, introduzione alla lettura di oggi) è un’antologia che sintetizza per gli esuli in Babilonia la predicazione del Deutero-Isaia, il profeta del sec. VII che preannuncia la restaurazione di Israele. Il brano di Baruc riportato dalla liturgia (5,1-9) ha le seguenti fonti: il v. 5 richiama Is 51,17; 40,9; 60,1-4. Il v. 6 si basa su Is 49,22; 60, 4-9. Il v. 7 riprende quasi alla lettera Is 40,3-4 (riportato anche nel vangelo di oggi) e 49,11. Il v. 8 s’ispira a Is 41,19 e 55,12-13, mentre il v. 9 si fonda su Is 40,11; 42,16; 52, 12; 58, 8; 62,10-11.

2 «Quando peccò il primo uomo, la Dimora salì al primo cielo; peccò Caino e salì al secondo cielo; con la generazione di Enoch al terzo; con la generazione del Diluvio al quarto; con la generazione della torre di Babele al quinto; con i sodomiti al sesto e con gli egiziani ai giorni di Abramo al settimo. Al contrario, vi furono sette giusti: Abramo, Isacco, Giacobbe, Levi, Keat, Amram, Mosè con il quale la Dimora discese di nuovo sulla terra, al Sinai, come era sulla terra, all’Eden, prima del peccato (di Adam)» (cf Midrash Numeri Rabbà XIII,4; Genesi Rabbà XIX, 13 =Cantico Rabbà, V,1; cf anche Mishnàh, Pirqè Avot 5,9; Sifre Dt 11,17; cf Lam 4,22.).

3 La traslitterazione in italiano non è scientifica, ma pratica: come si pronuncia.

4 La parola «epìclesi» viene dal greco «epikalèō» e significa: «invoco sopra/a favore di…». Il Catechismo della Chiesa Cattolica così la definisce: «L’“epiclesi” (“invocazione-su”) è l’intercessione con la quale il sacerdote supplica il Padre di inviare lo Spirito Santificatore affinché le offerte diventino il Corpo e il Sangue di Cristo e i fedeli, ricevendole, divengano un’offerta viva a Dio» (CCC n. 1105; cf nn. 1109, 1153, 1238, 1297, 1106, 1624, 1519, 2770, 699). Ancora: «Insieme con l’anamnesi, l’epiclesi è il cuore di ogni celebrazione sacramentale, in modo particolare dell’Eucaristia: “Tu chiedi in che modo il pane diventa Corpo di Cristo e il vino [...] Sangue di Cristo? Te lo dico io: lo Spirito Santo discende e realizza ciò che supera ogni parola e ogni pensiero. [...] Ti basti sapere che questo avviene per opera dello Spirito Santo, allo stesso modo che dalla santa Vergine e per mezzo dello Spirito Santo il Signore, da se stesso e in se stesso, assunse la carne” (San Giovanni Damasceno, Expositio fidei, 86 [De fide orthodoxa, 4, 13]: PTS 12 194-195 (PG 94, 1141.1145)» (CCC, n. 1106).

5 In Lc 3,1 L’ anno indicato può essere il 27/28 o 28/29. Erode Antipa regnò dal 4 a.C. al 39 d.C.; Erode Filippo dal 4 a.C. al 34 d.C. L’ Abilene era una regione a nord e nord-est di Damasco. Il sommo sacerdote Anna esercito il suo mandato dal 6 al 15 d.C., quando fu deposto dai Romani per affermare la loro autorità, nonostante la carica fosse a vita. Gli succedette Caifa (o anche Caiafa) era il sommo sacerdote in carica, genero di Anna, che esercitò dal 18 al 36 d. C.; egli era in carica al tempo degli eventi del vangelo e si scontrò con il cristianesimo nascente. In Lc 3,4-6 cf citazione di Is 40,3-5: in questo modo, soprattutto con il messaggio contenuto nel v. 6, Luca ribadisce l’universalismo della salvezza portata da Gesù e stabilisce un ponte tra le due parti dell’unica opera, vangelo e Atti (cfr. At 28,28). A Roma regna l’imperatore Tiberio Cesare (14-37 d.C.) successore di Cesare Augusto, in Giudea il suo rappresentante, il procuratore Ponzio Pilato. La Palestina, il Libano e la Siria sono ripartite tra la famiglia di Erode che non è ebrea, ma alleata dei Romani dai quali è riuscita a farsi accreditare come famiglia di politici fedeli agli interessi di Roma. Tra tutti si è distinto il capostipite, Erode il Grande (73- 4 a.C.: regnò 40 anni), che alla sua morte divise il suo regno tra i suoi tre figli che sono quelli citati nel vangelo di oggi.

6 Il 3° vangelo (un po’ meno gli Atti) è scritto in un greco colto diverso da quello degli altri scritti del NT più vicini nella forma alla lingua comune parlata. Solo la lettera agli Ebrei lo supera come stile e lingua.

7 La Preghiera eucaristica III è stata composta ex novo su richiesta di Paolo VI in attuazione alla riforma liturgica voluta dal Concilio Ecumenico Vaticano II. Non ha un prefazio proprio, ma mobile e per questo, forse, ha finito per essere scelta, nella pratica, come la preghiera eucaristica della domenica.




Mercoledì 05 Dicembre,2012 Ore: 21:49
 
 
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