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www.ildialogo.org Domenica 30a per annum – B – 28 ottobre 2012,di Paolo Farinella, prete

Domenica 30a per annum – B – 28 ottobre 2012

di Paolo Farinella, prete

Solo quattro domeniche ci separano dalla fine dell’anno liturgico del ciclo B e l’inizio del nuovo con l’Avvento dell’anno C che ci accompagnerà con Lc a diventare discepoli in cammino dietro al Signore che va a Gerusalemme. Oggi, domenica 30a del tempo ordinario – B, partecipiamo all’ultimo miracolo di Gesù, prima di entrare in Gerusalemme, dove faremo ancora alcuni incontri significativi prima di assistere allo «spettacolo» della sua Gloria nella morte e risurrezione1. In un contesto di diffuso anonimato, l’evangelista Mc è il solo tra i vangeli sinottici a tramandare il nome del miracolato, Bartimeo, fatto veramente straordinario nei vangeli: Mt parla di due ciechi anonimi (cf Mt 20,29-34) e Lc di un solo cieco anonimo (cf Lc 18,35-43)2. Ciò ci induce a pensare che forse il fatto ha suscitato scalpore se quaranta/cinquanta anni dopo la morte di Gesù, la comunità conserva il nome del cieco. D’altra parte, l’anonimato assoluto di Mt e Lc sono indizi che questi, a distanza di sessanta/settanta anni, hanno perduto il contesto originario che invece Mc conserva più vivo.

Nota esegetica. In aramaico «bar» vuol dire «figlio» (in ebraico invece si dice «ben») e Timèo è nome proprio del padre del cieco. «Bar-Timèo» significa dunque «figlio di Timeo». In Medio Oriente al tempo di Gesù, i nomi indicavano la funzione sociale di parentela: anche Gesù è conosciuto come «figlio di Giuseppe – Yoshuà bar Yosèph» (Lc 3,23) e in modo dispregiativo come «figlio di Maria – Yoshuà bar Myriàm» (Mc 6,3)3. Ancora oggi anche tra gli arabi una persona è individuato come «figlio di…» qualcuno, padre o madre se orfano; oppure come «padre di…» un figlio. La madre addirittura perde la sua identità personale ed è chiamata solo col nome di «madre di…» Gesù, di Samuele, di Mosè, ecc.

Il racconto della guarigione del cieco oltre al nome dell’interessato, è importante perché riporta uno schema di iniziazione catecumenale alla fede che svilupperemo nell’omelia. L’invocazione del cieco Bartimèo: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!» è parte centrale della spiritualità orientale che va sotto il nome di «Esicasmo»4 che è un metodo spirituale contemplativo. Chi lo pratica cerca la perfezione (deificazione) nella unione con Dio tramite la preghiera incessante, ripetuta continuamente. In un documento del monastero di Ìviron del monte Athos, si legge questa definizione: «L’esicasta è colui che, solo, parla a Dio solo, e lo prega senza posa»5. L’invocazione di Bartimèo è detta «preghiera del cuore» perché viene ripetuta incessantemente fino al punto da uniformare il respiro con le parole. Le formule utilizzate sono tre:

  1. Formula completa: «Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio abbi pietà di me, [peccatore]»

  2. Formula breve, 1a parte: «Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me,[peccatore]»

  3. Formula breve 2a parte: «Figlio di Dio, abbi pietà di me [peccatore]»6.

La prima lettura, tratta dal profeta Geremia, fa da sfondo al vangelo perché parla di «cieco e zoppo» come protagonisti della restaurazione d’Israele. Gli emarginati diventano gli attori primari dell’azione di Dio. Ger 31 è molto importante perché i primi cristiani di origine giudaica non avevano altra Scrittura che l’AT anche per le loro liturgie e non è strano che in alcuni testi, come in questo capitolo, abbiano ravvisato richiami e connessioni con le parole e la vita del Signore7.

La 2a lettura, presa dalla Lettera agli Ebrei, prosegue l’omelia del sacerdote giudeo divenuto cristiano che illustra il sacerdozio di Cristo, presentato come realizzazione e superamento del sacerdozio levitico del tempio. La novità di Gesù consiste nel fatto che egli offre non un sacrificio di animali, ma se stesso ed essendo Figlio di Dio, racchiude in sé la funzione perfetta del sacerdozio: è colui che offre, colui che è offerto e anche colui che riceve l’offerta8. Gesù è un laico e non appartiene alla tribù sacerdotale di Levi, ma nel momento in cui sceglie di offrirsi vittima, egli diventa anche il sacerdote che immola e il Dio a cui la vittima è immolata. E’ la «singolarità» di Gesù di Nàzaret che in lui sintetizza la piena identità e sovrapposizione di due versanti: quello divino e quello umano. Per questo il suo sacrificio ha un valore eterno e non temporaneo come quello del sommo sacerdote che deve essere ripetuto perché compiuto da un uomo mortale. Entriamo anche noi nel Santo dei Santi e lasciamoci conquistare dalla potenza del Nome, chiedendo allo Spirito Santo che ammorbidisca la nostra eccessiva razionalità con l’afflato del cuore. Ci introduciamo con l’anelito del salmista (Sal 105/104,32-4): «Gioisca il cuore di chi cerca il Signore. Cercate il Signore e la sua potenza, ricercate sempre il suo volto».

Spirito Santo, tu sei la sorgente vivificante della gioia della casa di Giacobbe, Veni, sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu sei la guida del «resto di Israele» che segna la storia, Veni, sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu raduni l’umanità in ogni tempo dall’estremità della terra, Veni, sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu trasformi il pianto della prova nella gioia della consolazione, Veni, sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu riconducesti i prigionieri di Sion dall’esilio di Babilonia, Veni, sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu hai mutato le lacrime d’Israele in covoni di grano, Veni, sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu hai fatto grandi cose per noi, facendoci ritornare al Padre, Veni, sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu consacrasti Gesù sommo sacerdote della volontà del Padre, Veni, sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu hai aperto i cieli e hai svelato all’umanità il Nome di Gesù, Veni, sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu offri il sacerdozio di Cristo come espiazione al Padre, Veni, sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu hai guidato Bartimèo sulla strada perché incontrasse Gesù, Veni, sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu hai ispirato Bartimèo ad esprimere la preghiera del cuore, Veni, sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu ispiri un grido più forte quando altri vogliono farci tacere, Veni, sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu sei sostegno e coraggio di chi invoca il suo Nome benedetto, Veni, sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu ci guidi all’incontro con il Servo sofferente di Yhwh, Veni, sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu ci sveli il mistero dell’uomo dei dolori che conosce il patire, Veni, sancte Spiritus.

Invochiamo il «Nome che è al di sopra di ogni altro nome» (Fil 2,9) su tutti i nomi della terra, degli uomini e delle donne, dei giovani e degli anziani affinché ciascuno possa essere il segno visibile della vera natura di Dio che ci convoca e ci riunisce attorno a questo altare per inviarci in mezzo agli uomini. Lo facciamo nella Trinità:

(italiano)

Nel Nome

del Padre

e del Figlio

e dello Spirito

Santo.

Amen.

(ebraico)

Beshèm

ha’av

vehaBèn

veRuàch

haKodèsh.

«La preghiera del cuore» è un atteggiamento interiore di intimità: un identificarsi con Dio attraverso la pratica della ripetizione vocale e mentale per uniformare lo spirito e il corpo in un unico respiro, un unico afflato. Noi occidentali abbiamo perso questa dimensione contemplativa della preghiera che invece gli orientali hanno conservato e coltivato. Possa lo Spirito insegnarci a pregare col cuore e non solo con la mente e la ragione e noi possiamo lasciarci condurre dai sentimenti interiori di unità che ci permettono di conoscere pienamente noi stessi e di riconoscere gli interventi di Dio nella nostra vita. Per tutte le volte che invece di pregare abbiamo parlato con noi stessi, chiediamo oggi la purificazione della mente e del pensiero:

[le prime tre risposte sono in ebraico, le altre in greco]

Signore Gesù Cristo, abbi pietà di noi, peccatori, Ha’adôn, channènu [Signore, pietà di noi]

Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore. Bar-abbà, channènu [Figlio del Padre, pietà di me]

Signore che ascolti chi invoca il tuo Nome Hammashiàch, chazrènu [Messia, aiutaci]

Signore, figlio di Davide, abbi pietà di noi, Ben Dawìd, channènu [Figlio di David, pietà di noi]

Cristo, luce del mondo donaci la vista del cuore, Yeshuàch, shemachènu [Gesù, ascoltaci].

Signore, nel tuo Nome liberaci dal male, Kyrie, elèison. Christe, elèison. Pnèuma, elèison.

Dio onnipotente, noi non possiamo nemmeno pronunciare il Nome di Gesù senza l’assistenza dello Spirito Santo (1 Cor 12,3), veglia tu su di noi perché possiamo essere capaci di annunciarlo con la vita e le parole, abbi misericordia, perdona i nostri peccati, specialmente quelli di omissione, tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen.

GLORIA A DIO NELL’ALTO DEI CIELI e pace in terra agli uomini di buona volontà. Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti adoriamo, ti glorifichiamo, ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa, Signore Dio, Re del cielo, Dio Padre onnipotente [breve pausa 1-2-3]

Signore, Figlio Unigenito, Gesù Cristo, Signore Dio, Agnello di Dio, Figlio del padre: tu che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi; tu che togli i peccati del mondo, accogli la nostra supplica; tu che siedi alla destra del Padre, abbi pietà di noi. [breve pausa 1-2-3]

Perché tu solo il Santo, tu solo il Signore, tu solo l’Altissimo: [breve pausa 1-2-3]

Gesù Cristo con lo Spirito Santo, nella gloria di Dio Padre. Amen.

Preghiamo (colletta). O Dio, luce ai ciechi e gioia ai tribolati, che nel tuo Figlio unigenito ci hai dato il sacerdote giusto e compassionevole verso coloro che gemono nell’oppressione e nel pianto, ascolta il grido della nostra preghiera: fa’ che tutti gli uomini riconoscano in lui la tenerezza del tuo amore di Padre e si mettano in cammino verso di te. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo figli che è Dio e vive e regna con te nell’unità dello Spirito santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

MENSA DELLA PAROLA

Prima lettura Ger 31,7-9. I capitoli 30 e 31 di Geremia sono detti «oracolo della consolazione» il cui nucleo essenziale è stato scritto subito dopo il 622, l’anno della grande riforma religiosa del re Giosìa. La riforma coinvolse non solo le tribù di Giuda e Beniamino (sud), ma anche il regno d’Israele (nord) comprendente dieci tribù con capitale Samarìa riconquistato, nella fase di decadenza dell’Assiria che non riesce più a mantenere il suo impero (cf 2Re 23,15-19; 2Cr 35,18). E’ in questa occasione che nasce la speranza di un ritorno degli esiliati deportati in Assiria nel 721. In epoca successiva quando anche le tribù del sud sono state deportate ed esiliate a Babilonia furono aggiunti i versetti relativi a Giuda (cf Ger 31,23-38). Il brano di oggi appartiene al primo periodo: la restaurazione di Israele. Anche la Chiesa ha bisogna di una riforma permanente perché si converta a Cristo e viva, sapendo cogliere i germi dello Spirito disseminati nella Storia degli uomini. L’Eucaristia è la scuola impariamo a discernere «i segni dei tempi» (Sir 42,18; Mt 16,3) per camminare col passo del Dio incarnato.

Dal libro del profeta Geremia Ger 31,7-9.

Così dice il Signore: 7«Innalzate canti di gioia per Giacobbe, esultate per la prima delle nazioni, fate udire la vostra lode e dite: “Il Signore ha salvato il suo popolo, il resto d’Israele”. 8Ecco, li riconduco dalla terra del settentrione e li raduno dalle estremità della terra; fra loro sono il cieco e lo zoppo, la donna incinta e la partoriente: ritorneranno qui in gran folla. 9Erano partiti nel pianto, io li riporterò tra le consolazioni; li ricondurrò a fiumi ricchi d’acqua per una strada dritta in cui non inciamperanno, perché io sono un padre per Israele, Èfraim è il mio primogenito». - Parola di Dio. Rendiamo Grazie a Dio.

Salmo responsoriale 126/125, 1-2ab; 2cd-3; 4-5; 6. Il salmo appartiene ad un gruppo salmodico che ha un genere particolare, detto «salmi di ascensione» o processionali perché pronunciati dagli esuli di ritorno da Babilonia o dai pellegrini durante la «salita» a Gerusalemme (vv. 1-3cf Ne 5). Con essi si ringrazia per la ricostruzione della città di Sion (vv. 4-6), nel cui tempio risiede la «Presenza/Shekinàh» di Dio. Il ritorno degli esiliati dall’esilio di Babilonia che salgono la scalinata del tempio di Gerusalemme, sono il simbolo delle folle degli ultimi tempi che «salgono» verso il Messia che introduce nella Gerusalemme celeste (cf Gal 4,26; Eb 12,22; Ap 3,12; 21,2). Il salmo è tra i belli di tutto il salterio per eleganza e ricchezza di immagini. Al v. 2b («Il Signore ha fatto grandi cose per loro») si ispira il Magnificat di Maria di Nàzaret per cantare le meraviglie dell’incarnazione del Signore (cf Lc 1,49).

Rit. Grandi cose ha fatto il Signore per noi.

1. 1Quando il Signore ristabilì la sorte di Sion,

ci sembrava di sognare.

2 Allora la nostra bocca si riempì di sorriso,

la nostra lingua di gioia. Rit.

2. Allora si diceva tra le genti:

«Il Signore ha fatto grandi cose per loro».

3Grandi cose ha fatto il Signore per noi:

eravamo pieni di gioia. Rit.

3. 4Ristabilisci, Signore, la nostra sorte,

come i torrenti del Negheb.

5Chi semina nelle lacrime

mieterà nella gioia. Rit.

4. 6Nell’andare, se ne va piangendo,

portando la semente da gettare,

ma nel tornare, viene con gioia,

portando i suoi covoni. Rit.

Seconda lettura Eb 5,1-6. Il tema principale della lettera gli Ebrei è il tema del sacerdozio di Cristo che sostituisce quello del tempio di Gerusalemme. Il brano di oggi è l’introduzione al confronto tra il sacerdozio levitico e sacerdozio di Gesù. L’autore dimostra che Gesù non solo ha tutte le caratteristiche richieste dalla legislazione mosaica per essere sommo sacerdote (vv. 1-4), ma che addirittura supera il sacerdozio levitico. L’autore prova ciò con due citazioni di salmi (Sal 2,7;110/109,4) per dimostrare che Gesù è Figlio di Dio (vv. 5-6). Gesù non è solo un mediatore esterno come può esserlo un uomo (il sommo sacerdote), perché ora Dio stesso è il mediatore dell’umanità «alla maniera di Melchìdesek» (v. 6) di cui non conoscendo l’origine se ne afferma l’eternità. Celebrando l’Eucaristia, l’eternità di Dio che entra nella dinamica del nostra temporalità umana, noi anticipiamo gli ultimi tempi e annunciamo l’alleanza nuova che è l’amore senza condizioni.

Dalla lettera agli Ebrei Eb 5,1-6

1Ogni sommo sacerdote è scelto fra gli uomini e per gli uomini viene costituito tale nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati. 2Egli è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore, essendo anche lui rivestito di debolezza. 3A causa di questa egli deve offrire sacrifici per i peccati anche per se stesso, come fa per il popolo. 4Nessuno attribuisce a se stesso questo onore, se non chi è chiamato da Dio, come Aronne. 5Nello stesso modo Cristo non attribuì a se stesso la gloria di sommo sacerdote, ma colui che gli disse: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato», gliela conferì come è detto in un altro passo: 6«Tu sei sacerdote per sempre, secondo l’ordine di Melchìsedek». - Parola di Dio. Rendiamo grazie a Dio.

Vangelo Mc 10,46-52. Gerico, città biblica a sud-est della Palestina, è il teatro dell’ultimo miracolo di Gesù prima del suo ingresso a Gerusalemme. Marco riporta particolari che Mt e Lc non hanno. Il cieco è forse conosciuto, di lui infatti si conserva il nome «Bartimèo» di cui si dà anche la spiegazione «figlio di Timèo» (v.46). Mc insieme a «Bartmèo» riporta solo un altro nome: «Giàiro», capo della sinagoga, a cui Gesù guarisce la figliola (Mc 5,22-24.35-43). E’ un indizio di un avvenimento che forse ha impressionato molto e di cui si è parlato a lungo, se ancora al tempo dei vangeli, si tramandava così vivo. Il racconto è un piccolo gioiello narrativo di iniziazione alla fede, quasi uno schema sempre valido anche e specialmente ai nostri giorni Riguarda anche noi.

Canto al Vangelo Gv 8,12

Alleluia. Il salvatore nostro Cristo Gesù ha vinto la morte / e ha fatto risplendere la vita per mezzo del Vangelo. Alleluia.

Dal Vangelo secondo Marco Mc 10,46-52

In quel tempo, 46[Giunsero a Gerico.] Mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. 47Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». 48Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». 49Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». 50Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. 51Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». 52 E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada. - Parola del Signore. Lode a te, o Cristo.

Spunti di omelia

Il racconto di guarigione dalla cecità è un classico riportato da tutti è quattro i vangeli, ciascuno secondo la propria prospettiva. Il testo di Mc è il più dettagliato degli altri sinottici (Mt 20,29-34 Lc 18,35-43) e forse più preciso. Da parte sua Gv, vi dedica un intero capitolo e come è suo solito, sviluppa una teologia tutta particolare (Gv 9,1-41). Mc e Lc parlano di un solo cieco, Giovanni di un cieco nato e Mt di due ciechi. Anche l’invocazione del cieco non è uniforme, ma è riportata con varianti:

Mc 10,47:

-

Figlio di Davide,

Gesù,

abbi pietà di me.

Mt 20,30:

Signore,

Figlio di Davide

-

abbi pietà di noi.

Lc 18,38:

Gesù,

Figlio di Davide

-

abbi pietà di me.

Tutti e tre i sinottici sono univoci sia nel titolo «Figlio di Davide» che attribuisce a Gesù una portata messianica che nella richiesta del perdono «abbi pietà di me» come condizione della guarigione. Si differenziano, invece, nell’invocazione del «Nome»:

  • Mc usa il nome proprio «Gesù», dopo il titolo messianico: Figlio di Davide, Gesù.

  • Lc, al contrario, lo pone prima del titolo: Gesù, Figlio di Davide

  • Mt invece lo sostituisce con il titolo pasquale «Signore»: Signore, Figlio di Davide.

Mt è illogico perché usa un titolo «prima della Pasqua» che invece sarà utilizzato solo «dopo» la Pasqua. E’ questo il segno che ormai la comunità legge gli eventi della vita di Gesù alla luce della Pasqua. L’uniformità difforme o concordanza discordante è il segno che queste invocazioni ben presto divennero formule liturgiche delle rispettive comunità usate fuori da ogni contesto storico. L’invocazione riportata da Mc è forse la formula originale.

Un’altra differenza consiste nel fatto che Mc 10, 49-50 sono esclusivi di Mc perché conferiscono a tutto il racconto la portata di una iniziazione alla fede: la guarigione del cieco diventa così lo schema di un rituale di catecumenato: «49 Gesù si fermò e disse: “Chiamatelo!”. Chiamarono il cieco, dicendogli: “Coraggio! Àlzati, ti chiama!”. 50 Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù». Noi esamineremo questo rituale passo dopo passo secondo il metodo sapienziale per imparare anche noi lo stile della conversione.

Il cieco è la comunità dei discepoli che ancora non sanno vedere la vera personalità di Gesù che è già alle porte di Gerusalemme dove incontrerà la morte. Il cieco è ciascuno di noi quando rifiutiamo il «collirio per ungerti gli occhi e recuperare la vista» (Ap 3,18), restando così prigionieri della nostra immagine di Dio.

  1. 46[Giunsero a Gerico.] Mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla.

Il cammino della fede non inizia da una decisione della volontà, ma da un fatto: Dio nella persona di Gesù deve passare per la strada dove noi ci troviamo. L’iniziativa è di Dio, a noi il compito di accorgerci della sua Presenza. Sant’Agostino commenta il racconto di Mt e mette in guardia dal rischio di non accorgersi del suo passaggio:«Ho paura del Signore che passa»9. La partenza di Gesù ha il sapore di un esodo da Gerico a Gerusalemme, alla terra promessa del monte Calvario. Dopo l’esodo dall’Egitto e la traversata del deserto, Gerico è la prima città della terra promessa conquistata da Giosuè non con le armi, ma con un atto liturgico: la processione dell’arca che «circonda» sette volte le mura della città al suono delle trombe (Gs 3,1-17; 6,1-27). Il cammino di fede non è un punto di arrivo, ma un esodo nuovo perché per arrivare, bisogna partire. A volte nella nostra vita di fede ecclesiale, non solo diamo la sensazione di essere arrivati, ma anche di essere piantati nell’immobilismo più degradante. Credere è avere scarpe da montagna per camminare verso una mèta che il Signore indicherà e che noi già conosciamo: vivere in comunione con Gesù di Nàzaret, Figlio di Dio.

  1. 46cIl figlio di Timeo, Bartimeo,che era cieco.

Riportare il nome in un contesto dove quasi tutto è anonimo, può significare che si tratti di un personaggio conosciuto; oppure che il fatto riportato abbia avuto una tale eco che se ne parlava ancora dopo una quarantina d’anni. Di questo «figlio di Timèo» sappiamo tutto: il nome suo, quello del padre e la sua condizione di cieco. Nella Bibbia la cecità è simbolo delle tenebre che si oppongono alla luce. Il profeta Isaia per annunciare la fine della catastrofe del 732 (deportazione a Babilonia) lo annuncia come una guarigione collettiva dalla cecità: «Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse» (Is 9,1)10. Gv descrive la lotta escatologica messianica come lotta tra luce e tenebre: «la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta» (Gv 1,5). Essere figlio e avere un padre non è uno scudo sufficiente per proteggere dalla «cecità». Bartimèo si trova in una condizione che definisce e condizione la sua esistenza: non è una persona perché di lui ci accorge perché «era cieco» e dal contesto si evince che da anche fastidio. Essere cieco non significa solo la privazione di una facoltà, ma è qualcosa di più: significa essere tagliati fuori dall’esistenza perché impone una dipendenza e una provvisorietà senza soluzione, fino alla morte. Spesso si è ciechi, pur vedendoci perché non siamo in grado di leggere i segni dei tempi e di vedere la vita e il suo senso profondo: «Il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. 20Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. 21Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio» (Gv 3,19-21).

  1. 46dSedeva [se ne stava seduto]11 lungo la strada a mendicare.

Il testo greco è più incisivo perché dice letteralmente che se ne stava seduto, e non semplicemente sedeva: come se fosse inchiodato sulla strada, mettendo in evidenza lo stato di immobilismo. La strada che è il luogo del movimento diventa il luogo dell’immobilità: se ne stava seduto, non camminava. Sedere sulla strada significa non vivere, essere alla mercé di tutti e ciò vale anche per la vita di fede perché credere è andare verso qualcuno, non starsene immobili nel recinto di una religiosità che apparentemente assicura sicurezza, mentre al contrario chiude nel proprio narcisismo. La strada era (ed è) il luogo abituale delle prostitute perché la strada che non conduce ad una mèta, è spersonalizzante e dispersiva. Se però si tengono gli occhi del cuore attenti, può essere il luogo dell’incontro decisivo. Non credere è essere inchiodati all’immobilità della vita, ma camminare è stare nel cuore della vita che è movimento e ricerca.

  1. 47Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire.

Bartimèo non vede Gesù perché è cieco, ma «sente» la sua presenza. Gli occhi sono solo un mezzo, la vera vista è quella del cuore. Molto spesso chi ha gli occhi sanissimi è cieco perché guarda, ma non vede. In mezzo alla strada, nel traffico, tra la «molta folla» (Mc 10,46), egli è capace di «vedere», oltre la sua stessa cecità, oltre la barriera della folla: la sua voglia di incontrarlo è tale che rende possibile anche l’impossibile. La sua capacità di ascolto non è solo una compensazione della cecità, ma è la sua stessa sopravvivenza perché attraverso l’ascolto egli può partecipare alla vita della città, dalla quale diversamente sarebbe escluso. Ascoltare per il cieco è vivere. Come fa ad ascoltare la Presenza «diversa» in mezzo alla folla vociante che lui certamente ormai «conosce» bene? Probabilmente si rende conto che sta avvenendo qualcosa al di fuori dell’ordinario. Lo intuisce dal brusio della folla, dai rumori diversi dagli altri giorni, dall’agitazione che sente attorno a sé. Egli percepisce la novità che passa accanto a lui. Se è vero che Gesù deve passare da quella strada e anche vero che il cieco deve ascoltare il suo passaggio. Nulla accade per caso, ma tutto avviene perché ha un senso e noi possiamo coglierne la novità.

Ciò che può essere casuale può essere provvidenziale, se siamo attenti e non siamo superficiali, se siamo «presenti» e sappiamo riconoscere che è «Gesù Nazareno». Bisogna sapere quello che vogliamo, altrimenti andiamo a zonzo e non arriviamo da nessuna parte. Il cieco chiede a quelli che passano che cosa sta succedendo e ora ha un nome: sa che passa «Gesù Nazareno». Il titolo è antichissimo ed è il primo titolo dato non solo a Gesù, ma anche ai cristiani che vengono chiamati inizialmente «nazareni». Ha sentito che è un uomo straordinario, che sta dalla parte degli emarginati e si rivolge all’uomo: non al Cristo, non al Figlio di Dio, ma a «Gesù Nazareno». Ne conosce il nome e quindi è già in comunione con lui prima ancora di incontrarlo. Credere è chiamare il «Nome».

  1. 4b“Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!”.

L’invocazione del cieco è coerente: egli sa per sentito dire … di un uomo, di cui conosce il nome, «Gesù» e anche il paese di origine «Nàzaret», un villaggio della Galilea che tutti riconoscevano come «Galilea delle Genti» (Mt 4,15), cioè territorio pagano. Egli però sa anche che «Gesù – Yoshuà/Yeoshuà» signifca che «Dio è salvezza». C’è nell’aria una percezione indefinibile e forse l’occasione propizia, quella che Paolo chiama il «kairòs» il (Rm 6,10). Il cieco rompe il gracidare della folla, sovrasta il chiasso indistinto e la sua voce, disperata e speranzosa fa risuonare sulla strada il «Nome» della salvezza, Gesù, accompagnato da un titolo messianico: Figlio di Davide! Bartimèo sa che il Messia deve essere «discendente di Davide» e chiamandolo con quel nome, annuncia profeticamente alla folla che l’era messianica tanto attesa da Israele, è qui, tra «la molta folla» che però è sopraffatta dalla sua curiosità e solo un cieco capisce e legge e vede «i segni dei tempi» (Mt 16,3). Bartimèo grida la sua supplica, prendendo su di sé l’anelito del salmista: «A te grido, Signore, mia roccia … Ascolta la voce della mia supplica, quando a te grido aiuto» (Sal 28/27,1-2). La fede è rischiare oltre l’esperienza, aprirsi alla novità.

Il primo grido che si leva dal’uomo «che era cieco», non è la richiesta di guarigione, ma l’invocazione del perdono. Se avesse chiesto di essere guarito, forse nessuno si sarebbe accorto di lui, tanto era scontata la richiesta, ma egli vuole essere visto, vuole raggiungere lo scopo perché sa ciò che vuole: grida che quell’uomo è il Messia (in un certo senso è una bestemmia) e supplica il perdono. Qui troviamo tutta l’ebraicità dell’uomo e della circostanza: la cecità fisica è conseguenza del peccato perché per la teologia del tempo, la cecità e qualsiasi malattia è un castigo di Dio. Egli sa che la guarigione passa dal perdono perché solo Dio salva e può riammettere nella comunità dei redenti. Il povero non ha nulla da difendere e rischia perché ha solo la voce per gridare la sua disperazione e il suo bisogno di perdono: credere è farsi sentire.

  1. 48Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte

Il cieco raggiunge il suo scopo perché la folla capisce che quel grido non è normale e nello stesso tempo contesta al cieco il suo diritto di aprirsi a Dio e vi si oppone. La folla è serpe un ostacolo alla relazione e all’incontro perché vive dell’indistinto e dell’anonimato. Lo sgridano per farlo tacere. C’è sempre qualcuno che mette il bavaglio ad un altro, in nome dell’opportunità, delle convenienze, e anche in nome di Dio. Ciò che più colpisce in questo versetto è il fatto che la folla è la stessa del v. 46, quella cioè che segue Gesù nel suo viaggio. Questa folla, apparentemente «discepola», vuole impedire che il cieco «veda», diventando ostacolo tra il cieco e Gesù. Coloro che seguono, che credono, che frequentano possono essere un ostacolo attivo all’incontro. Quel cieco che essi incontravano ogni giorno davanti alla porta e che forse hanno consolato o commiserato, ora viene emarginato ancora di più «in nome di Dio». E’ come se la folla dicesse: non gridare, taci, non vedi che disturbi la processione? Dobbiamo andare dietro a Gesù, non abbiamo tempo per te che già sei cieco. C’è sempre qualcosa d’importante e di urgente che impedisce di ascoltare le persone e la vita. Il bisogno del cieco è più forte dell’indifferenza della folla: egli grida più forte. La pianta che nasce è più forte della terra che la sovrasta. Il cieco non accetta di essere messo a tacere e grida di più. Se avesse taciuto sarebbe stato complice del suo stesso male. Egli contesta la folla con l’urlo della sua vita: vuole la vista per potere credere. Credere è vedere Gesù in tutto lo splendore della sua umanità. Credere è avere una coscienza sveglia, attente e urlante.

  1. 48“Figlio di Davide, abbi pietà di me!”.

Se il grido è più forte, l’invocazione è la stessa: «Figlio di Davide, abbi pietà di me». Prima bisogna attirare la sua Presenza, poi gli presenterà la sua richiesta. Colui che nella sinagoga di Cafarnao si era presentato come il compimento della profezia del profeta dicendo che era venuto a dare la vista ai ciechi, l’udito ai sordi, a far camminare gli storpi… (cf Lc 4,18-19; Is 61,1-2) ora è preso sulla parola e il cieco lo obbliga a svelarsi: se sei il Messia inizia a darmi il perdono di Dio perché il tuo perdono è il fondamento della guarigione. Credere è essere perdonati. Credere è guarire.

  1. 49 Gesù si fermò e disse: “Chiamatelo!”.

Il grido del povero ha il potere di fermare Dio davanti al bisogno dei suoi figli. Bartimèo da ebreo conosce i Salmi e sa che Dio non può non ascoltare:

  • Sal 4,2: «Quando t’invoco, rispondimi, Dio della mia giustizia! Nell’angoscia mi hai

dato sollievo; pietà di me, ascolta la mia preghiera».

  • Sal 4,4: «Il Signore mi ascolta quando lo invoco».

  • Sal 28/27,1: «A te grido, Signore, mia roccia».

  • Sal 130/129,1-2: «Dal profondo grido a te, o Signore».

Gesù a questo punto si rende conto di tutto: della necessità del cieco e dell’atteggiamento della folla. Da quel grande pedagogo che è, coinvolge la folla che prima era stata d’impedimento. Gesù non si avvicina di persona, ma obbliga la folla a condurglielo. Se si fosse avvicinato lui, la folla sarebbe rimasta inchiodata nella sua colpa di emarginante, fermandosi e comandando alla folla di «chiamarlo», riscatta la folla e la trasforma in strumento di guarigione del cieco. Credere è essere capaci di fermare Dio sulla propria strada e di lasciarsi coinvolgere nel suo disegno di liberazione.

  1. 49Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!».

La folla si trasforma, da ostacolo e impedimento diventa strumento consapevole dell’incontro. Gli stessi che lo sgridavano per non disturbare «l’evento», ora si fanno prossimo, consolano, incoraggiano e aiutano direttamente: «Àlzati»: il greco usa lo stesso verbo della risurrezione di Gesù (cf Mc 14,28; 16,6): «ègheire/sorgi/risorgi/alzati». Chi prima dispensava la morte dell’emarginazione, ora offre la mano per la risurrezione. Un capovolgimento totale di mentalità e di mezzi. Credere è alzarsi dalla propria condizione e lasciarsi accompagnare da chi chiama.

  1. 50Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù .

Il mantello è l’abito più importante dell’individuo in Palestina, specialmente per un povero: serve a coprirsi durante la notte e spesso è la sola proprietà dei poveri. Tanto è importante che, al tempo di Gesù, se uno faceva un debito poteva dare in pegno il suo mantello, ma il creditore doveva consegnarlo al debitore al tramonto del sole per la notte. Poi se lo riprendeva la mattino… e così via fino all’esaurimento del debito (cf Es 22,25-26; Dt 24,12-13). Bartimèo butta via anche ciò che è necessario per la sua sussistenza di fronte a Gesù che chiama. Schizza fuori dalla sua immobilità e butta la sua sicurezza e, nonostante sia cieco, si presenta davanti a Gesù, tra due ali di folla che lo conducono. Anche quando si è schiacciati dal male e si è immersi nell’oscurità e non riusciamo a vedere nulla, è sufficiente ascoltare la Parola per essere capaci di «risurrezione», balzare in piedi e correre. Credere è essere liberi anche dalle necessità e avere gambe buone per correre.

  1. 51a Allora Gesù gli disse: “Che cosa vuoi che io ti faccia per te?”.

La situazione è capovolta: prima era il cieco che pregava, ora è Gesù che prega il cieco. La prova che la nostra preghiera è autentica l’abbiamo quando sperimentiamo che è Dio stesso a pregare noi: «Che vuoi che io faccia?». Nella preghiera noi sperimentiamo la richiesta di domanda di Dio che viene a vedere di cosa abbiamo bisogno. Credere è mettere Dio in condizioni di pregarci per farci «quello che vogliamo».

  1. 51bE il cieco gli rispose: “Rabbunì [= Maestro mio], che io veda di nuovo!”.

Senza mediazione alcuna, il cieco va subito al cuore della questione: vuole la vista. Egli «sa ciò che vuole» e per questo non si perde in parole inutili, ma chiede con supplica affettuosa: «Rabbunì» che in aramaico significa «Maestro mio». Non è più il «Figlio di Davide», ora davanti al cieco c’è la persona che non vede, ma di cui sente la voce che diventa sua perché ascolta con tutto se stesso. Immaginiamo la scena: mentre parla, protende le mani e forse prende le mani del Signore tra le sue. Se lo tocca, lo sente meglio perché si orienta. L’uomo sta di fronte al Figlio dell’Uomo e tutto si relativizza: la umanità, la divinità, la cecità. Accade un evento straordinario: l’uomo isolato sulla strada entra in relazione con il Maestro che passava di là e non a caso. Anche chi legge si accorge che sta accadendo un «nuovo esodo» perché cambia la vita di un uomo e cambia per sempre. A questa consapevolezza affettuosa Gesù risponde in modo singolare.

  1. 52aE Gesù gli disse: “Va’, la tua fede ti ha salvato”.

Bartimèo chiede la vista e riceve la salvezza fondata sulla fede. Apparentemente la risposta di Gesù è fuori tema. Qui il termine «fede» significa avere riposto la fiducia in Gesù e questo genera la salvezza. Se per il cieco la salvezza è vedere, per Gesù vedere significa credere. Gesù non dà altro che se stesso, facendosi sperimentare. Giovanni dirà in modo magistrale che credere è toccare fisicamente il Lògos della vita:

«Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita - 2la vita infatti si manifestò, noi l'abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e che si manifestò a noi -, 3 quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo. 4Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia piena» (1Gv 1,1-4).

Senza l’umanità di Gesù noi non abbiamo accesso alla sua divinità e senza sperimentazione non può esserci visione, come dimostra Bartimèo: per credere deve vedere. Il Nome «Gesù» invocato dal cieco trasforma la strada in tempio e «Dio è salvezza/Dio salva» entra nella storia di un uomo, svelandone il senso e la grandezza. Credere è riceve la totalità di Dio.

  1. 52b E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.

La vista non è la conclusione finale perché come abbiamo già visto, il cieco è iniziato alla fede che gli offre il vero obiettivo: «lo seguiva lungo la strada». Siamo partiti da una strada, simbolo di immobilismo, siamo arrivati ad una strada strumento di movimento. Acquistare la vista produce un movimento verso Gesù e verso nuovi orizzonti che sono già contenuti nella strada che da sé porta e conduce. Da ora in poi il cammino si aprirà solo camminando. Dall’immobilismo della strada al camminare come progetto di vita. E’ la missione. Si acquista un dono non per sé, ma per andare e annunciarlo agli altri con i quali si condivide il percorso, diventando parte viva di una comunità in cammino. Credere è camminare con gli altri verso lo stesso obiettivo, seguendo l’unico Gesù.

Nota. E’ evidente che possiamo dire che Mc con questo racconto, descrive un processo di catecumenato come forse avveniva nella sua comunità. Proviamo a sintetizzare in uno schema questo processo che può esserci utile nella nostra pastorale, fondata sul vangelo:

  1. Gesù passa per quella via. Leggere gli avvenimenti e le persone che incontriamo per «accorgerci» che Gesù sta passando. E’ il tema dell’esodo. Chi sta fermo non incontra alcuno.

  2. Il cieco è l’uomo sulla via della fede: non vede Gesù. Ne intuisce la presenza dai segnali che arrivano dal mondo che lo circonda (avvenimenti).

  3. Lo invoca: il povero nel bisogno non ha nulla da pretendere, ha solo il grido per invocare. Pregare è gridare a Dio la propria cecità. La prima richiesta del grido non è la guarigione, ma il perdono: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt 5,8).

  4. L’ambiente circostante è negativo: la folla cerca d’impedire l’apertura verso Dio. Non esiste comunione nella comunità se prima non c’è un rapporto personale con Dio. Noi mettiamo in comune con gli altri ciò che siamo, sperimentiamo e viviamo. Se non viviamo un rapporto intimo con Dio, netteremo in comune solo banalità e la comunità non può reggersi, ma muore. La folla che è un impedimento all’incontro del cieco con Gesù è una folla che segue Gesù. La folla solo materialmente segue Gesù perché non percepisce la sua presenza salvifica. Può succedere che chi si dice credente può essere un ostacolo agli altri e a Dio. Ci si abitua a tutto, anche ai miracoli che popolano la nostra vita. Potremmo essere assuefatti anche a Dio e diventare pagani e atei anche facendo atti e gesti religiosi. I discepoli erano preoccupati di accaparrarsi i primi posti: accecati dal potere, non potevano «vedere» Dio né il cieco. Discernimento continuo se cerchiamo la volontà di Dio o se non ci siamo costruiti un «dio-idolo» su misura.

  5. Il cieco non si lascia condizionare dall’esterno, ma grida più forte. E’ il coraggio di aprirsi a Dio nonostante le difficoltà. A volte le difficoltà, anche se schiacciano, possono diventare una forza interiore: se l’ambiente ostacola bisogna attaccarsi a Gesù più profondamente perché la posta in gioco è grande: ne vale della vita.

  6. Dio è chiamato e ode il grido del povero. A sua volta lo chiama coinvolgendo la folla superficiale e bigotta che diventa strumento di mediazione tra Dio e il cieco. Essa anzi diventa strumento di risurrezione («alzati!») perché il catechista Gesù la coinvolge trasformando la sua superficialità in partecipazione attiva.

  7. La chiamata trasforma il cieco e trasforma la sua immobilità in un salto di vita: «balzò in piedi», liberandolo da tutto ciò che impedisce il movimento (mantello).

  8. Avviene l’incontro che si compie nel dialogo che instaura un rapporto di vita in una reciproca preghiera: quando preghiamo noi supplichiamo Diuo, ma anche Dio supplica noi. Il cieco ora vede perché crede. La folla credeva di vedere ed era cieca (non si accorgeva del cieco che cercava Gesù), il cieco invece vedeva meglio della folla e ora può credere in lui. Credere è vedere.

  9. Il cieco segue Gesù: è l’uomo nuovo, il discepolo segue il maestro. In forza della sua fede lascia i bordi della strada che lo teneva prigioniero e s’inoltra per un cammino nuovo che è già liberazione e visione.

  10. Credere infine è vedere Lui, camminare dietro di Lui, andare in avanti e in alto insieme agli altri. Credere è passare dalla dall’essere folla all’essere comunità discepola in perenne esodo.

Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili. [Pausa: 1-2-3]


Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli. Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero; generato, non creato; della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo; e per opera dello Spirito Santo si é incarnato nel seno della Vergine Maria e si é fatto uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto. Il terzo giorno é risuscitato, secondo le Scritture; é salito al cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine. [Pausa: 1-2-3]

Credo nello Spirito Santo, che é Signore e da la vita, e procede dal Padre e dal Figlio e con il Padre e il Figlio é adorato e glorificato e ha parlato per mezzo dei profeti. [Pausa: 1-2-3]

Credo la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica. Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati. Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Amen.

Preghiera universale [Intenzioni libere]

Preghiamo (sulle offerte). Guarda, Signore, i doni che ti presentiamo: questa offerta, espressione del nostro servizio sacerdotale, salga fino a te e renda gloria al tuo nome. Per Cristo nostro Signore. Amen.

LITURGIA EUCARISTICA

Presentazione delle offerte e pace. Entriamo nel Santo dei Santi presentando i doni, ma prima, lasciamo la nostra offerta e offriamo la nostra riconciliazione e concediamo il nostro perdono, senza condizioni, senza ragionamenti, senza nulla in cambio: lasciamo che questa notte trasformi il nostro cuore, fidandoci e affidandoci reciprocamente come insegna il vangelo:

«Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono» (Mt 5,23-24),

Solo così possiamo essere degni di presentare le offerte e fare un’offerta di condivisione. Riconciliamoci tra di noi con un gesto o un bacio di Pace perché l’annuncio degli angeli non sia vano.

Scambiamoci un vero e autentico gesto di pace nel Nome del Dio della Pace.

[La benedizione sul pane e sul vino è tratta dal rituale ebraico]

Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo; dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane e questo vino, frutto della terra, della vite e del lavoro dell’uomo e della donna; lo presentiamo a te, perché diventi per noi cibo di vita eterna. Benedetto nei secoli il Signore.

Preghiamo perché il nostro sacrificio sia gradito a Dio, Padre onnipotente.

Il Signore riceva dalle tue mani il nostro sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa.

Preghiamo (sulle offerte). Accogli con bontà, Signore, i doni e le preghiere del tuo popolo, e ciò che ognuno offre in tuo onore giovi alla salvezza di tutti. Per Cristo nostro Signore. Amen.

PREGHIERA EUCARISTICA II (detta di Ippolito, prete romano del sec. II)
La creazione loda il Signore

Il Signore sia con voi. E con il tuo spirito. In alto i nostri cuori. Sono rivolti al Signore.

Rendiamo grazie al Signore nostro Dio. E’ cosa buona e giusta.

E’ cosa buona e giusta renderti grazie e innalzare a te l’inno di benedizione e di lode, Dio onnipotente ed eterno.

Tu, o Signore hai salvato il tuo popolo, il resto di Israele (cf Ger 31,7).

Tu hai creato il mondo nella varietà dei suoi elementi, e hai disposto l’avvicendarsi di tempi e stagioni.

Santo, Santo, Santo il Signore Dio dell’universo. I cieli e la terra sono pieni della tua gloria. Kyrie, elèison.

All’uomo, fatto a tua immagine, hai affidato le meraviglie dell’universo, perché, fedele interprete dei tuoi disegni, esercitasse il dominio su ogni creatura, e nelle tue opere glorificasse te, Creatore e Padre, per Cristo Signore nostro.

Tu, o Signore proclami nella santa Eucaristia: «Io sono un padre per Israele, Èfraim è il mio primogenito» (Ger 31,9).

E noi, con tutti gli angeli del cielo, innalziamo a te il nostro canto, e proclamiamo insieme la tua gloria:

Osanna nell’alto dei cieli. Kyrie, eleison! Christe, eleison! Benedetto nel nome del Signore, colui che viene.


Padre veramente santo, fonte di ogni santità, santifica questi doni con l’effusione del tuo Spirito perché diventino per noi il corpo e il sangue di Gesù Cristo nostro Signore.

Signore, tu fai grandi cose per noi. Grandi cose fai, Signore per noi, ci colmi di gioia (Sal 126/125,2-3).

Egli, offrendosi liberamente alla sua passione, prese il pane e rese grazie, lo spezzo, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E MANGIATENE TUTTI: QUESTO É IL MIO CORPO OFFERTO IN SACRIFICIO PER VOI.

Cristo non attribuì a se stesso la gloria di sommo sacerdote, ma tu, o Padre che gli hai detto: “Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato” gliel’hai conferita per la nostra salvezza (Eb 5,5).


Dopo la cena, allo stesso modo, prese il calice e rese grazie, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E BEVETENE TUTTI: QUESTO É IL CALICE DEL MIO SANGUE PER LA NUOVA ED ETERNA ALLEANZA, VERSATO PER VOI E PER TUTTI IN REMISSIONE DEI PECCATI.

E’ il Figlio di Dio, sacerdote per sempre, secondo l’ordine di Melchisedek» (Eb 5,6).

FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME.

«Ogni sommo sacerdote, è scelto fra gli uomini e per gli uomini viene costituito tale nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati» (Eb 5,1).

MISTERO DELLA FEDE.

Annunciamo la tua morte, proclamiamo la tua risurrezione, attendiamo il tuo ritorno. Maràn, athà – Signore nostro, vieni.

Celebrando il memoriale della morte e risurrezione del tuo Figlio, ti offriamo, Padre, il pane della vita e il calice della salvezza, e ti rendiamo grazie per averci ammessi alla tua presenza per il servizio sacerdotale.

Ascoltando la Parola, sappiamo che è il Signore Gesù, il Nazareno, e anche noi cominciamo a gridare: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!”. Kyrie, elèison! Christe, elèison! Pnèuma, elèison! (Mc 10,47).

Ti preghiamo: per la comunione al corpo e al sangue di Cristo lo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo.

Il Signore Gesù si ferma ci convoca per dire anche noi: «Coraggio! Alzati!» (Mc 10,49).

Ricordati, Padre, della tua Chiesa diffusa su tutta la terra: rendila perfetta nell'amore in unione con il nostro Papa …, il Vescovo …, le persone che vogliamo ricordare … e tutto l’ordine sacerdotale cioè il popolo dei battezzati.

Se le difficoltà della vita ci schiacciano e vogliono farci tacere, noi con l’aiuto dello Spirito gridiamo più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!» (Mc 10,48).

Ricordati dei nostri fratelli, che si sono addormentati nella speranza della risurrezione e di tutti i defunti che affidiamo alla tua clemenza … ammettili a godere la luce del tuo volto.

O Padre, anche noi rivolgi la Parola che è Gesù: “Va’, la tua fede ti ha salvato”. E nella santa Assemblea riacquistiamo la vista per seguirlo sulle strade del mondo (Mc 10, 52).

Di noi tutti abbi misericordia: donaci di aver parte alla vita eterna, insieme con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, con gli apostoli e tutti i santi, che in ogni tempo ti furono graditi: e in Gesù Cristo tuo Figlio canteremo la tua gloria.

Dossologia [è il momento culminante dell’Eucaristia: il vero offertorio]

PER CRISTO, CON CRISTO E IN CRISTO, A TE, DIO PADRE ONNIPO­TENTE, NELL’UNITÀ DELLO SPIRITO SANTO, OGNI ONORE E GLORIA. PER TUTTI I SECOLI DEI SECOLI. AMEN.

Padre nostro in aramaico: Idealmente riuniti con gli Apostoli sul Monte degli Ulivi, preghiamo, dicendo:

Padre nostro che sei nei cieli

Avunà di bishmaià

sia santificato il tuo nome

itkaddàsh shemàch

venga il tuo regno

tettè malkuttàch

sia fatta la tua volontà

tit‛abed re‛utach

come in cielo così in terra

kedì bishmaià ken bear‛a.

Dacci oggi il nostro pane quotidiano

Lachmàna av làna sekùm iom beiomàh

e rimetti a noi i nostri debiti

ushevùk làna chobaienà

come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori

kedì af anachnà shevaknà lechayabaienà

e non abbandonarci alla tentazione

veal ta‛alìna lenisiòn

ma liberaci dal male.

ellà pezèna min beishià. Amen!

Antifona alla comunione (Mc 10,51-52): «Rabbunì [= Maestro mio] che io veda di nuovo!». «Va’, la tua fede ti ha salvato».

Dopo comunione

La preghiera di Gesù e l’esicasmo. Una caratteristica fondamentale del monachesimo del monte Athos e del monachesimo orientale in generale è l’esicasmo – dal greco «hesychìa» che significa «pace/silenzio dell’unione con Dio». Per raggiungere l’esichìa si è affermata, nei secoli, la pratica della «preghiera di Gesù» – se questa espressione non fosse divenuta proverbiale diremmo «la preghiera a Gesù», perché ha la caratteristica di rivolgersi direttamente a Lui. E’ la ripetizione continua della richiesta del cieco di Gerico: «Signore Gesù, Figlio di Dio, abbi pietà di me” – con l’aggiunta di «peccatore» nella tradizione slava. Questa preghiera ininterrotta, cioè ripetuta continuamente ( 10,100,1000, ecc. volte) vuole realizzare l’espressione paolina: «Pregate incessantemente» (1Ts 5,17; Ef 6,18; cf Lc 18,1; 29,36). Innumerevoli generazioni di monaci hanno pregato con questa preghiera. San Simeone il Nuovo Teologo (949-1022) – di poco più giovane di S. Atanasio (920-1003) del monte Athos - viene ritenuto colui che ha insegnato la recita di questa giaculatoria al ritmo del cuore o del respiro, ma, in realtà, il testo che precisa questo metodo, «Il metodo della sacra preghiera e dell’attenzione», è di 300 anni posteriore a lui. Fu San Gregorio Sinaita, morto nel 1346, a stabilire saldamente questa pratica al monte Athos. Dopo essere stato monaco in molti luoghi ed, in particolare, al Sinai, giunse all’Athos, trovandovi la preghiera in declino. Dal monastero di Grigorìu diffuse l’esicasmo. Fu poi San Gregorio Palamas a diffonderlo ulteriormente.

Preghiera dopo la comunione. Signore, questo sacramento della nostra fede compia in noi ciò che esprime e ci ottenga il possesso delle realtà eterne, che ora celebriamo nel mistero. Per Cristo nostro Signore. Amen.

Benedizione e saluto finale

Sia Benedetto colui che è Benedetto in cielo e in terra.

Vi benedica l’Alfa e l’Omega, il Principio e il Fine.

Sia benedetto il Nome del Signore invocato su di noi.

Rivolga il Signore il suo Nome su di noi e ci doni il suo Spirito.

Rivolga il Signore il suo Volto su di voi e vi doni la sua Pace.

Sia sempre il Signore davanti a noi per guidarci.

Sia sempre il Signore dietro di voi per difendervi dal male.

Sia Sempre il Signore accanto a noi per confortarci e consolarci.

E la benedizione dell’onnipotente tenerezza del Padre e del Figlio

e dello Spirito Santo, discenda su di voi e con voi rimanga sempre. Amen!

La messa è finita come lode, continua come storia e testimonianza.

Andiamo in Pace. Rendiamo grazie a Dio

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Domenica 30a del tempo ordinario – B – Parrocchia di S. M. Immacolata e S. Torpete

© Nota: L’uso di questi commenti è consentito citandone la fonte bibliografica

Paolo Farinella, prete – 29-10-2012 – San Torpete, Genova

NOTE

1 L’evangelista Lc descrive la morte di Gesù come uno «spettacolo/teoria»: il testo greco infatti usa il sostantivo «theōrìa» e il participio aoristo attivo «theōrêsantes», dal verbo «theorèō – sono spettatore/considero/contemplo» che a sua volta risale al verbo «horàō – vedo/percepisco/discerno». La morte di Gesù è insieme «manifestazione» pubblica davanti al mondo e «discernimento/valutazione» degli eventi accaduti: [trad. letterale] «Anche tutte le folle che erano convenute per questa spettacolo, dopo avere considerato/contemplato le cose accadute, se ne ritornavano battendosi il petto» (Lc 23,48).

2 Un’altra volta soltanto Mc riporta il nome di un beneficiario dell’opera di Gesù: il capo della sinagoga, Giàiro (Mc 5,22-24.35-43) di cui Gesù guarisce la figlia. Anche in Lc si ha lo stesso schema: oltre ai nomi propri direttamente impegnati nella storia della salvezza (Zaccaria, Elisabetta, Maria, Giovanni, Tiberio Cesare, Pilato, Erode, Lazzaro, Marta, Maria, Clèopa, ecc.), quelli esplicitamente ricordati sono tutti nomi di anonimi, quasi senza storia e di esclusi e reprobi. In una parola: di gentaglia. Tra gli anonimi, Simeone (= colui che ascolta), «uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele» (Lc 2,25-35, qui v. 25) un anonimo di cui nulla sappiamo se non che ebbe il privilegio di accogliere per primo «la Gloria d’Israele», insieme ad una donna, vecchia e insignificante, Anna (= Graziosa) che alla vista del bambino Gesù con sua madre e Giuseppe, «si mise a lodare Dio» (Lc 2,36-38); Giàiro, «il capo della sinagoga» che crede in Gesù, salvatore della sua figliola di dodici anni (Lc 8,40-56, qui v. 41). Tra i reprobi: Levi, il pubblicano e «numerosa folla di pubblicani e di altra gente» (Lc 5,27-32, qui v. 29); Simone (= colui che è desolato), il fariseo che aspetta di cogliere in fallo Gesù che accoglie la «donna peccatrice» (Lc 7,36-50, qui v. 39); «un povero, di nome Lazzaro» (= Dio aiuta) che supplica le briciole della mensa del ricco (Lc 16,19-31, qui v. 20); Zaccheo (probabilmente forma abbreviata dell’ebraico Zakkài = colui che è pulito/puro) che smentisce il suo proprio nome perché «capo dei pubblicani e ricco», il reprobo per eccellenza (Lc 19,1-10, qui v. 2). Tutto questo rientra nella logica del ribaltamento delle situazioni per la quale cf il Magnificat in Lc 1,52-53. Nel vangelo di Giovanni troviamo i fratelli Lazzaro, Maria e Marta, amici intimi di Gesù (Gv 11,1-45) e «Barabba – figlio di padre» a cui Gesù in quanto «Bar-Abbà- Figlio del Padre» si sostituisce salvandolo dalla morte con la sua stessa vita (cf Gv 18,39-40).

3 Per l’espressione «figlio di …» attribuito a Maria, cf Spunti di omelia della Domenica 14a per annum – B.

4 Dal greco «hesychìa» che significa calma/pace/tranquillità e quindi assenza di preoccupazione (in latino è tradotto con quies, pax, tranquillitas, silentiumquiete, pace, tranquillità, silenzio).

5 Gli esicasti, inserendosi nella tradizione biblica, esprimeranno l’esperienza della preghiera contemplativa attraverso l’invocazione e l’attenzione del cuore al Nome di Gesù, per camminare alla sua presenza, essere liberati da ogni peccato e rimanere nel dolce riposo di Dio in ascolto della sua parola silenziosa. La storia dell’esicasmo inizia con i monaci del deserto d’Egitto e di Gaza. «A noi, piccoli e deboli, non ci resta altro da fare che rifugiarci nel Nome di Gesù», dice uno di loro. Si afferma poi al monastero del Sinai, con san Giovanni Climaco. Un esponente di spicco è sicuramente Simeone il Nuovo Teologo. L’esicasmo rinascerà al Monte Athos nel sec. XIV.

6 La parola «peccatore» è un’aggiunta posteriore. La tecnica della «preghiera del cuore» consiste nel ripetere incessantemente la formula, in modo continuo e senza interruzione, cercando di adeguare il respiro alle parole. I padri del deserto permisero di spezzare la formula intera in due per facilitare i monaci fragili che rischiavano di distrarsi con la formula lunga. Tutti i testi dicono però che ciò è una concessione, non un obbligo. La forza di questa preghiera consiste nel concentrare tutta la propria attenzione, forza, energia e sentimenti sulla potenza del «Nome» di Gesù. In Israele, solo nel giorno di Kippur, il sommo Sacerdote poteva pronunciare il Nome «YHWH» entrando nel Santo dei Santi e si riteneva che questo nome avesse un potere magico. Tra i primi cristiani si diffuse la legenda che Gesù poteva fare i miracoli perché di nascosto era riuscito ad eludere la guardia del tempio e ad entrare nel Santo dei Santi, dove copiò il «Nome» di Dio che vi era custodito tenendolo sempre con sé come talismano e forza per operare i miracoli. «La preghiera del cuore» è santa perché ha sostenuto migliaia di perseguitati nei gulag della Siberia, privi di Bibbia, di libri e di qualsiasi altro strumento. L’unico sostegno che essi avevano era la potenza del «Nome» di Gesù a cui si aggrappavano con la «preghiera del cuore» che leniva le torture e alimentava la contemplazione. Nelle religioni orientali vi sono sistemi analoghi come lo yoga, l’atarassia (svuotamento da ogni preoccupazione), ecc. che non si adattano alla nostra mentalità occidentale, molto logica e «cartesiana».

7 Lc, p. es., scrive il cap. 15 del suo vangelo come un midrash e un commento cristiano di Ger 31 alla luce di fatti nuovi compiuti da Gesù (cf il commento che stiamo facendo all’intera parabola lucana sulla Rivista «Missioni Consolata» per gli anni 200-2008. Sinteticamente: Lc 15,4-7 allude a Ger 31,10-14 [la gioia dei radunati]; Lc 15,8-10 si riferisce a Ger 31,15-17 [la donna che cerca ciò che ha perduto: la moneta e i figli]; Lc 15,11-32 allude a Ger 31,9.18-20 [il padre che ritrova il figlio che ama]).

8 Lo esprime molto bene l’orazione sopra le offerte della Solennità dell’Epifania: «Guarda, o Padre, i doni della tua Chiesa, che ti offre non oro, incenso e mirra, ma colui che in questi santi doni è significato, immolato e ricevuto: Gesù Cristo nostro Signore».

9 Sermo LXXXVIII, 1.1-22,25 (qui 14,13), PL 38: «Tìmeo enim Iesum transeuntem et manentem – Temo non solo Gesù che passa, ma anche [Gesù] che rimane».

10 Era usanza che il vincitore di una guerra, accecasse «realmente» i deportati, specialmente i capi, i notabili e coloro che potevano costituire un pericolo. Le donne invece venivano uncinate al labbro inferiore (cf Am 4,1-2) per meglio dominarle con la minaccia permanente di questa atroce tortura.

11 Il verbo greco «kàthēmai» si usa solo nella forma «media» che riflette l’italiano riflessivo o d’interesse per il soggetto: per questo traduciamo «se ne stava seduto» che indica lo «stare da sé o per sé», cioè per necessità o per costrizione.




Mercoledì 24 Ottobre,2012 Ore: 16:27
 
 
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