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www.ildialogo.org Domenica 26a per annuum – B – 30 settembre 2012,di Paolo Farinella, prete

Domenica 26a per annuum – B – 30 settembre 2012

di Paolo Farinella, prete

Con la domenica 26a del tempo ordinario B continua la catechesi sulle condizioni di accesso al Regno di Gesù. Ormai sappiamo che il suo «Regno non è di questo mondo» (Gv 18,36) e con la folla e gli apostoli siamo invitati a convertire il nostro pensiero al pensiero di Dio (= metànoia/capovolgimento del penare/conversione). Due sono i temi fondamentali che la liturgia ci propone: il primo affronta l’eterno conflitto tra istituzione e profezia (1a lettura e vangelo) e l’altro esprime una condanna irrevocabile nei confronti dei ricchi, coloro cioè che del denaro hanno fatto il loro dio a dànno dei poveri e degli operai (2a lettura). Se san Giacomo vivesse oggi, parlerebbe di mercato, di speculazioni finanziarie, di economia globale di stock option e del cuore del capitalismo senz’anima che sono il fondo monetario internazione e la banca mondiale, creati dai paesi ricchi per la difesa della loro economia contro lo sviluppo dei paesi poveri. San Giacomo oggi avrebbe parole di fuoco senza riserve contro queste «strutture di peccato», che in quanto «espressione ed effetto dei peccati personali, inducono le loro vittime a commettere, a loro volta, il male… esse costituiscono un “peccato sociale”»1.

Il linguaggio dell’autore della lettera di Giacomo è simile a quello dei profeti dell’AT (cf Am 6,1-7) e identico a quello che usa Gesù nell’enunciazione delle beatitudini, specialmente nella versione di Luca che riportiamo in nota per comodità di confronto2. Nessuno diventa ricco per propria iniziativa o capacità: la ricchezza che supera la normale decenza è sempre frutto di peccato, di sopruso, di furto, d’illegalità, di frode e di delinquenza. Il mondo di oggi è squilibrato perché le ricchezze della terra che Dio ha dato a tutti gli esseri viventi sono rubate e dilapidate da chi ha mezzi e potere a loro volta conquistati con la complicità e la corruzione. Chi vive onestamente può essere onestamente sereno e può onestamente guardare al futuro proprio e dei suoi figli, ma non può accumulare in un anno il corrispondente di quanto non riescono a produrre, per es. alcuni Stati africani, ricchi di materie prime, ma endemicamente schiacciati dalla miseria.

Un sistema per arricchirsi velocemente, ai tempi di Gesù, consisteva nel non consegnare la paga quotidiana concordata con gli operai (Gc 5,4)3, ma di rimandarla di qualche giorno. Questo sistema moltiplicato per tutto l’anno permetteva di accumulare ingenti sostanze. Gesù dice solo che è un furto e un peccato.

Nota. Questo sistema vige ancora in molte imprese che con la semplice dilazione della consegna dello stipendio, guadagnano ingenti interessi a spese degli operai. Questo sistema oggi si è raffinato perché il capitalismo selvaggio vive di due polmoni: l’industria pesante, cioè il mercato delle armi e le speculazioni finanziarie in borsa, dove con poco rischio si riscuotono ricchezze enormi, come le cronache riportano quasi ogni giorno.

Questo comportamento è condannato dalla Toràh (cf Lv 19,13; Dt 24,15), dai Profeti (cf Ml 3,5; Am 8,4-7) e dagli Scritti (cf Sir 31,4; 34,21-27), cioè da tutta la Scrittura secondo la ripartizione ebraica. La situazione è grave perché il denaro è antitetico a Dio. Non si può essere ricchi e credere in Dio4: sarebbe lo stesso che fare coesistere il giaccio e il fuoco o credere che l’acqua possa scorrere dal basso verso l’alto. Una sola via hanno i ricchi per accedere al Regno: affittarsi un cammello e ogni giorno fare la prova se entra nella cruna dell’ago come prescrive il Signore stesso: «E’ più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio» (Mc 10,25). Finché il cammello non passa dalla cruna, non c’è speranza per i ricchi.

C’è un’aggravante ulteriore: ogni giorno sperimentiamo che i ricchi cercano non la Chiesa, ma il personale che conta, la gerarchia e tra questa coloro che esercitano il potere, a volte anche spregiudicatamente; fanno beneficenza, offrono laute offerte al tempio e agli addetti, dando solo le briciole del loro superfluo (cf Mt 21,1-4) in cambio della benedizione, della presenza solidale o del silenzio: in una parola, più semplicemente, della connivenza dell’ambiente ecclesiastico. Tra le fila del personale ecclesiastico, militano non pochi individui loschi, affaristi, miscredenti che fanno finta di credere, mentre in realtà fanno solo affari con coloro che pagano meglio; essi sono animati solo dall’obiettivo della carriera e dal culto della loro personalità che contrabbandano come «onore a Dio»5. E’ un dato di fatto che la nostra gente sintetizza senza sconti: «lo sappiamo che la Chiesa sta con ricchi, veste come i ricchi, vive la vita dei ricchi». Quando il denaro da strumento, che nelle mani di un prete deve fermarsi solo il tempo necessario prima di raggiungere la sua destinazione, diventa mercato e ossessione, nella Chiesa e per il personale ecclesiastico tutto è possibile, anche l’alleanza con devoti della «ricchezza disonesta» (Lc 16,11). Non scandalizza che i ricchi cerchino l’appoggio della Chiesa, ma che spesso lo trovano con facilità, quando addirittura non sono ricercati. La Chiesa che sta dalla parte dei ricchi di fatto ne accetta la logica, ma tradisce se stessa, il vangelo e il suo Signore che dichiarò «Beati i poveri … ma guai ai ricchi» (Lc 6,20.24)6.

Il Vangelo e la prima lettura hanno un messaggio evidente: descrivono la tensione permanente tra istituzione e carisma, tra struttura e profezia, tra prudenza e coraggio. Durante e per alcuni anni dopo il concilio Vaticano II prevalse la profezia che rinnovò nella Chiesa una «novella Pentecoste»7; ma già durante la fase attuativa del concilio prevalse la paura e cominciò a prendere il sopravvento l’istituzione nella sua forma peggiore: dirigista, chiusa, autoritaria e clericale che culminò nei pontificati di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI che, pur con forme e metodi diversi, riportarono la Chiesa ad un clima e contenuti preconciliari. Basti pensare che dal vocabolario ordinario della predicazione e dei documenti ufficiali è stata espunta l’espressione conciliare «popolo di Dio», sostituita con quella meno compromettente di «Chiesa-comunione»8. Noi oggi vogliamo affermare la nostra totale fedeltà alla Chiesa del concilio Vaticano II che è la Chiesa di Pietro e di Paolo, del concilio di Gerusalemme e di quello di Trento, di Giovanni XXIII e di Paolo VI, la stessa Chiesa che è Madre e Figlia dell’unico popolo di Dio di ieri e di oggi, da Pietro a Benedetto XVI. Essa è la Chiesa che vive oggi, nostra contemporanea della nostra fede e non nei secoli passati. Noi crediamo e speriamo nella Chiesa che verrà: nella Chiesa del concilio Vaticano III o di Gerusalemme II. Non accettiamo, ma in nome della nostra fede, combattiamo il tentativo dichiarato di chiudere definitivamente il concilio Vaticano II come incidente della storia9. Supplichiamo lo Spirito Santo perché non privi mai la sua Chiesa dello Spirito di profezia e del senso dell’Incarnazione del Signore Gesù. Prima però facciamo nostra l’antifona d’ingresso (cf Dn 3,31.29.30.43.42): Signore, quanto hai fatto ricadere su di noi, l’hai fatto con retto giudizio poiché abbiamo peccato contro di te, non abbiamo obbedito ai tuoi comandamenti. Salvaci con i tuoi prodigi e da’ gloria al tuo Nome, Signore, secondo la tua grande misericordia.

Spirito Santo, tu sei sceso dalla nube per parlare con Mosè tuo profeta, Veni, sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu sei sceso in Mosè e nei settanta anziani suoi consiglieri, Veni, sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu hai fatto profetizzare la comunità d’Israele nell’assemblea, Veni, sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu hai invaso anche coloro che erano fuori dell’assemblea, Veni, sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu, Spirito di profezia, invadi la Chiesa con la tua forza, Veni, sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu insegni il timore del Signore che rende saggi e semplici, Veni, sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu ci fai gustare la legge dell’amore, dolce come il miele, Veni, sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu ci liberi dalla schiavitù dell’orgoglio causa di peccato, Veni, sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu chiami i ricchi a convertirsi da mammona alla giustizia, Veni, sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu fai imputridire le ricchezze che non generano comunione, Veni, sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu sei la ruggine e le tarme che corrodono le ricchezze egoiste, Veni, sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu sei il difensori dei poveri e dei loro diritti, compreso il salario, Veni, sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu ispiri i puri di cuore a profetizzare nel Nome di Gesù, Veni, sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu apri i cuori dei miti all’accoglienza e alla mitezza, Veni, sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu c’insegni l’inflessibilità con noi e la misericordia con gli altri, Veni, sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu se il fondamento e il principio della coerenza nella verità, Veni, sancte Spiritus.

E’ inevitabile che nel tempo della storia, la comunità cristiana viva la tensione tra istituzione e profezia, tra sacerdozio e carisma. L’esperienza dell’esodo ci insegna che il sacerdote, come Aronne, se non è in grado di alzare gli occhi dal culto e dai riti, è capace di portare il suo popolo all’apostasia, mentre il profeta, come Mosè, che è immerso nell’alleanza, vive strabico: un occhio a Dio e un occhio al suo popolo per salvare e rinsaldare l’alleanza del Sinai (cf Es 32,1-6.30-35). Nel nostro tempo sembra prevalere l’istituzione che assume le caratteristiche di un «idolo» a cui tutto si deve sacrificare. Dall’altra parte assistiamo alla grande contrapposizione che è la conseguenza della prima: il conflitto ricchi e poveri, messo in luce con termini drammatici dalla seconda lettura. Il denaro è uno strumento per l’esistenza, ma quando diventa l’obiettivo della vita esso è luogo di peccato e di perdizione. In genere nella Chiesa quando prevale il culto dell’istituzione, gli ecclesiastici si alleano con il potere che gestisce il denaro. Oggi vogliamo purificare il nostro cuore per imparare le coordinate a vivere da figlie e figli liberi, autentici e veri testimoni. Lo facciamo

(ebraico)

Beshèm

ha’av

vehaBèn

veRuàch

haKodèsh.

Amen.

(italiano)

Nel Nome

del Padre

e del Figlio

e dello Spirito

Santo.

Il cammino dei profeti è faticoso e spesso contrastato da chi ha altri interessi diversi dal Regno di Dio. Noi oggi vogliamo stare in fondo al tempio come il pubblicano della parabola lucana (cf Lc 18,13) e chiedere perdono per le nostre incoerenze, per le nostre inautenticità. Se abbiamo cercato alleanze di comodo o d’interesse, se abbiamo preferito la protezione dell’istituzione alla scomodità della profezia, chiediamo perdono, ma anche la verità della nostra anima per essere sempre e dovunque profeti dell’Altissimo (Lc 1,76).

[Congruo esame di coscienza]

Signore, quando siamo gelosi dei doni che tu concedi agli altri, abbi pietà di noi, Kyrie, elèison.

Cristo, quando non ti imitiamo nel tuo ministero di servire, abbi pietà di noi, Christe, elèison.

Signore, quando non riconosciamo agli altri la fatica del lavoro, abbi pietà di noi, Pnèuma, elèison.

Cristo, che ti sei fatto garante della dignità di tutti i poveri, abbi pietà di noi, Christe, elèison.

Dio onnipotente, che ha mandato lo Spirito oltre i confini stabiliti dalla Legge e ha chiamato alla mensa della Sapienza coloro che la Legge e il ritualismo avevano escluso, abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduce alla vita eterna. Amen.

GLORIA A DIO NELL’ALTO DEI CIELI e pace in terra agli uomini di buona volontà. Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti adoriamo, ti glorifichiamo, ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa, Signore Dio, Re del cielo, Dio Padre onnipotente [breve pausa 1-2-3]

Signore, Figlio Unigenito, Gesù Cristo, Signore Dio, Agnello di Dio, Figlio del padre: tu che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi; tu che togli i peccati del mondo, accogli la nostra supplica; tu che siedi alla destra del Padre, abbi pietà di noi. [breve pausa 1-2-3]

Perché tu solo il Santo, tu solo il Signore, tu solo l’Altissimo: [breve pausa 1-2-3]

Gesù Cristo con lo Spirito Santo, nella gloria di Dio Padre. Amen.

Preghiamo (colletta): O Dio, tu non privasti mai il tuo popolo della voce dei profeti; effondi il tuo Spirito sul nuovo Israele, perché ogni uomo sia ricco del tuo dono, e a tutti i popoli della terra siano annunziate le meraviglie del tuo amore. Per il nostro Signore Gesù Cristo Gesù Cristo, tuo Figlio che è Dio e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.

MENSA DELLA PAROLA

Prima lettura Nm 11,25-29. Il libro dei Numeri si preoccupa di difendere le istituzioni da ogni contaminazione esterna (cf Nm 12,1-10; 14,16, ecc.), eppure riporta un testo rivoluzionario che potrebbe essere detto a buon ragione anti-istituzionale, rivelando così la tensione costante tra la rigidezza delle istituzioni ufficiali e l’esigenza di un profetismo più naturale e spontaneo. Lo Spirito non è legato al giuridicismo, ma «soffia dove vuole» (Gv 3,8) come affermerà Gesù stesso a Nicodemo, maestro d’Israele, quando volle liberare Dio dalla prigionia della religione chiusa in se stessa. Se dovessimo sintetizzarne l’insegnamento per l’attualità di oggi, dovremmo dire ai credenti: cercate Dio «fuori del campo» e non fermatevi dentro al recinto dei riti perché il Dio di Gesù Cristo è il Dio della vita e non il pezzo pregiato di un museo di antichità.

Dal libro dei Numeri Nm 11,25-29.

In quei giorni, 25il Signore scese nella nube e parlò a Mosè: tolse parte dello spirito che era su di lui e lo pose sopra i settanta uomini anziani; quando lo spirito si fu posato su di loro, quelli profetizzarono, ma non lo fecero più in seguito. 26Ma erano rimasti due uomini nell'accampamento, uno chiamato Eldad e l’altro Medad. E lo spirito si posò su di loro; erano fra gli iscritti, ma non erano usciti per andare alla tenda. Si misero a profetizzare nell’accampamento. 27Un giovane corse ad annunciarlo a Mosè e disse: «Eldad e Medad profetizzano nell'accampamento». 28Giosuè, figlio di Nun, servitore di Mosè fin dalla sua adolescenza, prese la parola e disse: «Mosè, mio signore, impediscili!». 29Ma Mosè gli disse: «Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore porre su di loro il suo spirito!». - Parola di Dio

Salmo responsoriale 19/18, 8.10.12-13.14. Il salmo è un inno a Dio creatore. il creatore del sole (vv. 1-7, mancanti oggi) è anche l’autore della Toràh (vv. 8-15) da cui ne deriva la constatazione che la natura e la Toràh sono espressioni dell’unico Dio. Nell’oriente antico il sole non era solo una divinità, ma anche un simbolo di giustizia perché divide equamente il giorno dalla notte (cf Sap 5,6 e Ml 3,20). Nella notte di Natale il testo viene applicato a Cristo «sole di giustizia» che viene a indicare le vie della pace (cf Lc 1,78; Gv 1,9).

Rit. I precetti del Signore fanno gioire il cuore.

1. 8La legge del Signore è perfetta,
rinfranca l’anima;
la testimonianza del Signore è stabile,
rende saggio il semplice. Rit.

2. 10La legge del Signore è perfetta,
rinfranca l’anima;
la testimonianza del Signore è stabile,
rende saggio il semplice. Rit.

3. 12Anche il tuo servo ne è illuminato,
per chi li osserva è grande il profitto.

13Le inavvertenze, chi le discerne?
Assolvimi dai peccati nascosti. Rit.

4. 14Anche dall’orgoglio salva il tuo servo
perché su di me non abbia potere;
allora sarò irreprensibile,
sarò puro da grave peccato. Rit.

Seconda lettura Gc 5,1-6. L’autore della lettera di Giacomo in questo brano lancia una invettiva in puro stile profetico, come farà anche Gesù nella proclamazione delle beatitudini. Il punto centrale riguarda l’iniqua ricchezza costruita sulle spalle dei poveri fino al punto di non corrispondere il salario agli operai che doveva essere dato alla fine della giornata lavorativa per permettere il mantenimento della famiglia. Rubare il salario significa rubare la vita stessa del povero con il quale anche l’autore della lettera s’identifica come fece Gesù nel discorso sulla fine del mondo (Mt 25,31-45). I ricchi sono avvertiti, anche e specialmente se si dichiarano cattolici: non si può servire due padroni perché è necessario scegliere ora e qui tra Dio e mammona (cf Mt 6,24).

Dalla lettera di Giacomo apostolo Gc 5,1-6

1Ora a voi, ricchi: piangete e gridate per le sciagure che cadranno su di voi! 2Le vostre ricchezze sono marce, 3i vostri vestiti sono mangiati dalle tarme. Il vostro oro e il vostro argento sono consumati dalla ruggine, la loro ruggine si alzerà ad accusarvi e divorerà le vostre carni come un fuoco. 4Avete accumulato tesori per gli ultimi giorni! Ecco, il salario dei lavoratori che hanno mietuto sulle vostre terre, e che voi non avete pagato, grida, e le proteste dei mietitori sono giunte alle orecchie del Signore onnipotente. 5Sulla terra avete vissuto in mezzo a piaceri e delizie, e vi siete ingrassati per il giorno della strage. 6Avete condannato e ucciso il giusto ed egli non vi ha opposto resistenza. - Parola di Dio.

Vangelo Mc 9,38-43.45.47-48 + [49-50 assenti]. Non sappiamo in quale contesto Gesù abbia pronunciato le parole del brano evangelico di oggi perché nessuno dei Sinottici ne ha conservato le circostanze. E’ possibile però ricostruire il testo che dimostra come Mc sia sicuramente quello più primitivo. Esso infatti è costruito in forma concatenata attorno a parole-aggancio per favorire la trasmissione orale. Nella seconda parte sono descritte le condizioni per accedere al Regno del Messia di Nazareth. Esse sono alla portata di ogni persona e costituiscono i fondamenti della relazione e della civile convivenza: ospitalità (v. 41), massima comprensione per chi non conosce tutte le implicazioni della dottrina (v. 42) e inflessibilità solo contro se stessi in caso di cedimento morale (vv. 43-48). La prospettiva aperta da Gesù è un respiro di libertà: tutti sono chiamati a operare miracoli nel suo «Nome» perché nessuno può possedere e imprigionare Dio che sconfina sempre da ogni recinto che vorrebbe contenerlo (vv. 38-40). Il Dio di Gesù Cristo è veramente un Dio che ama vivere «fuori del campo».

Canto al Vangelo cf Gv 17,17. - Alleluia. La tua parola, Signore, è verità: / consacraci nella verità. Alleluia.

Dal Vangelo secondo Marco 9, [30-37: vangelo di domenica scorsa]. 38-43.45.47-48 + [49-50 assenti]

Il brano seguente è di domenica scorsa:

[In quel tempo, 30Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. 31Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell'uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». 32Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo. 33Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». 34Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. 35Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servitore di tutti». 36E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: 37«Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».]

Il brano seguente è di oggi:

In quel tempo, 38Giovanni disse a Gesù: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». 39Ma Gesù disse: «Non glielo impedite, perché non c'è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: 40chi non è contro di noi è per noi. 41Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo [= Mt 10,42: chiunque avrà dissetato… uno di questi piccoli], in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa. 42Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare. 43Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geènna, nel fuoco inestinguibile. [44] 45E se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo: è meglio per te entrare nella vita con un piede solo, anziché con i due piedi essere gettato nella Geènna. 47E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geènna, 48dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue».

Il brano seguente è omesso dalla liturgia:

[49Ognuno infatti sarà salato con il fuoco. 50Buona cosa è il sale; ma se il sale diventa insipido, con che cosa gli darete sapore? Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri».] - Parola del Signore.

Spunti di omelia

Abbiamo riportato anche il vangelo di domenica scorsa perché solo se i due brani si leggono insieme si può capire non solo la tecnica della trasmissione orale, ma anche l’insegnamento di fondo che Mc intenda dare con questo testo. Dividiamo il brano in sette parti, riportando il testo per esteso perché ci aiuta a coglierne la struttura che è basata sul sistema della parola-gancio, molto diffusa in oriente per facilitare la trasmissione orale. Questa struttura dimostra che il brano di Mc tra i Sinottici è il più antico.

Struttura10

Testo

Preambolo-introduzione

 

a)

v. 33

Circostanze ambientali

33 Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?».

b)

v. 34

1a parola: il più grande

(aram. rabà; gr. mèizōn)

34 Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande.

Prima affermazione

 

a)

v. 35

sviluppo: il più grande = il primo

(aram. hachàt; gr. prôtos)

35 Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l'ultimo di tutti e

b)

v. 35

2a parola: il più grande è servo

(aram. talyà11; gr.diàkonos)

il servitore di tutti»

Seconda affermazione

 

a)

v. 36

sviluppo: il servo è bambino

(aram. talyà; gr. paidìon)

36 E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro:

b)

v. 37

3a parola-gancio: nel mio nome12

(aram. bishmî [da shùm];

gr. epì tô onòmati mou)

37 «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato»

Terza affermazione

 

a)

v. 38

sviluppo del nome:

(aram. shemàk [da shùm];

gr. en tô onòmati sou)

38 «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demoni nel tuo nome… «Non glielo impedite, perché non c'è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me:

b)

v. 41

4a parola-gancio: il più piccolo

(aram. qatinà; gr. mikròn)

[qui assente; accenno in: 41 Chiunque vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo…: cf Mt 10,42: chiunque avrà dissetato… uno di questi piccoli] in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa.

Quarta affermazione

 

a)

 

sviluppo del più piccolo

(aram. qatinà; gr. mikròn)

[qui assente: cf Mt 10,42

b)

v. 42

5a parola-gancio: chi scandalizza

(aram. macshkà; gr. skandalìzō)

42 Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, sarebbe meglio per lui che gli passassero al collo una mola da asino e lo buttassero in mare.

Quinta affermazione

 

a)

v. 43-47

sviluppo di: scandalo

(aram. macshkà; gr. skandalìzō)

4 3 Se la tua mano… 45 Se il tuo piede… 47 Se il tuo occhio ti scandalizza

b)

v. 43-47

6a parola-gancio: fuoco

(aram. nourà; gr. pyr)

43 è meglio per te entrare nella vita monco, che con due mani andare nella Geenna, nel fuoco inestinguibile. 45 Se il tuo piede… 47 Se il tuo occhio …

Sesta affermazione

 

a)

v. 48

sviluppo di fuoco

(aram. nourà; gr. pyr)

48 dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue

b)

v. 49

7a parola-gancio: sale

(aram. melhàch; gr. hàls)

49 Perché ciascuno sarà salato con il fuoco.

Settima affermazione

 

a)

v.50a

sviluppo di: sale

(aram. melhàch; gr. hàls)

50 Buona cosa il sale; ma se il sale diventa senza sapore, con che cosa lo salerete? Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri”.

b)

v. 50b

conclusione

? Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri.

Lo schema riportato non fa parte dell’omelia, ma viene offerto all’attenzione all’approfondimento individuale con lo scopo di aiutare a capire che la Parola di Dio ha bisogno di un approccio serio e non superficiale e per entrare nel cuore della struttura di una lingua lontana da noi, ma che contiene la parola di Gesù, vitale per noi. Il testo del vangelo che noi leggiamo è un testo mediato dalla predicazione orale e poi da diversi passaggi prima di arrivare al testo definitivo come è giunto fino a noi. E’ un esempio di come l’esame del testo ci aiuta a ritrovare la forma antica, costruita attorno a parole-gancio concatenate per facilitare la trasmissione a memoria13. Iniziamo la nostra riflessione dalla seconda parte per poi passare poi alla prima che è più impegnativa.

Ancora una volta il contesto di riferimento sono le condizioni di accesso al Regno annunciato da Gesù Messia sofferente. Oltre a quelle che abbiamo già evidenziato nelle domeniche precedenti le nuovi condizioni sono tre. La prima condizione è l’ospitalità nei confronti degli inviati: qui sono i discepoli (cf Mc 9,41) che si presentano in «nome di Gesù». Mt invece li chiama «piccoli» (Mt 10,42), dando così al termine un valore spirituale oltre la sociologia sulla stessa linea delle prima beatitudine: «Beati i poveri in spirito» (Mt 5,3). La seconda condizione è evitare lo scandalo dei piccoli cioè di quei credenti poco addentro alle casistiche della religione e della dottrina (cf Mc 9,42): con essi bisogna essere comprensivi senza addossare pesi su pesi magari gli stessi che gli addetti alla dottrina e ai princìpi non sono in grado di portare (cf Lc 11,46).

La terza condizione d’ingresso nel Regno, è l’opposto della precedente, ma in direzione di sé stessi: bisogna essere spietati con sé e le proprie debolezze morali (cf Mc 9,38-40). Docili e misericordiosi con gli altri, rigorosi con se stessi. Con questa affermazione ritorniamo alla prima parte del vangelo di oggi che affronta il tema della profezia e dell’istituzione. L’esperienza insegna che il profeta è sempre attento alle condizioni del suo popolo, mentre il sacerdote chiuso nel suo ambito di sacralità assume spesso atteggiamenti crociati astratti. Al profeta importa la vita, allo specialista del sacro la dottrina e la morale fisse in se stesse perché testimoni mute e impotenti di una «Volontà superiore» estranea alla vita degli uomini e delle donne. Nessun moralista avrebbe accolto l’adultera con la tenerezza con cui l’accolse Gesù (cf Gv 8,3.11). Quando il sacro prende il sopravvento sul sacramento, cioè sulla dinamica dell’incontro tra l’uomo e Dio, si snaturano i contenuti della fede che diventa religione o peggio strumento di oppressione e luogo privilegiato di ateismo ammantato di gesti religiosi. Non è rado assistere a celebrazioni in cui i sacerdoti si scagliano contro coloro che non partecipano alla vita della Chiesa e non si accorgono che stanno bacchettando proprio coloro che sono presenti.

La relazione che vi è tra il sacro di professione e il sacramento è la stessa che esiste nella differenza tra un rapporto di prostituzione e un incontro d’amore tra uomo e donna. Materialmente i gesti e forse anche le parole sono gli stessi, ma il valore, il contenuto e i sentimenti sono semplicemente opposti. Da un lato abbiamo una finzione d’amore perché comprata per illudersi che una soddisfazione possa riempire un vuoto d’amore; dall’altro abbiamo un contesto di amore che si manifesta nella volontà di amare e di essere amati. Se il sacerdote non è anche profeta corre ogni giorno il rischio di prostituirsi e di fare prostituire il suo popolo.

Molte volte abbiamo detto che non sempre alla religione corrisponde un atteggiamento di fede perché la religione per sua natura è conservativa, ripetitiva, tradizionalista, piena di gestualità e anche di teatralità, mentre la fede, nascendo da un incontro «fisico» tra due persone che si comunicano il cuore, è movimento, tensione, passione, apertura, rischio, voglia di nuovo. Se guardiamo alla Chiesa così come la storia la mostra, noi vediamo questa costante tensione o se si vuole, questo sistematico conflitto che si risolverà solo alla fine dei tempi: il rapporto tra Spirito e Istituzione, carisma e autorità, profezia e struttura. E’ superfluo affermare che oggi viviamo un tempo in cui le istituzioni profane e religiose sono in crisi profonda: un esempio indiscutibile è la mancanza di vocazioni religiose. Secondo la visione della religione «sacrale», essa è segno di mancanza di fede, frutto della secolarizzazione e del materialismo relativista che oscura i «valori religiosi».

Nota storico-teologica

Questa è la visione standard che anche i vescovi, privi un sufficiente discernimento, accreditano. Essi spesso parlano di cattiveria dei tempi. Quasi nessuno di oloro afferma che la cosiddetta «mancanza di vocazioni clericali» possa essere una «profezia» e non necessariamente una spressione di una crisi di fede, un «segno dei tempi» che bisogna interrogare e leggere senza ideologia alla luce della Scrittura, della Storia e del concilio ecumenico Vaticano II. Forse Dio sta parlando (inutilmente?) alla Chiesa perché riformi se stessa dalle radici. Forse Dio sta spingendo per fare capire che è finito un certo «tipo di essere Chiesa» e manda segnali per aprirsi a nuovi orizzonti, come potrebbe essere una Chiesa meno clericale e più sacramentale, meno centralizzata e più comunitaria, meno rituale e più profetica. Non mancano le vocazioni, ma manca la volontà di diventare ingranaggi di un «sistema» che alla fine risulta arido, senza anima e senza amore: cinico e gretto.

Fino al secolo scorso l’istituzione, specialmente quella religiosa, era l’altro nome di Dio. L’autorità era l’incarnazione stessa della volontà divina. La Chiesa s’identificava con l’autorità e ancora oggi nell’uso comune «Chiesa» è sinonimo di «gerarchia», mentre se significa altro, il termine ha bisogno di essere precisato. L’immagine grafica della Chiesa prima del concilio Vaticano II era una piramide: in basso la «società dei cristiani», la cosiddetta cristianità, sopra di essa gli ordini religiosi, più sopra ancora i preti, poi i vescovi, poi i cardinali, i «principi della chiesa» e finalmente al vertice della piramide, splendente nella sua solitudine e ammantato come un faraone sommerso in paludamenti sontuosi, il papa-re, la voce di Dio, l’oracolo della verità.

Di tutto questo non c’è notizia negli scritti del Primo e Secondo Testamento: è il frutto di una lenta e permanete deformazione storica che si è ossidata e incancrenita fino a diventare un «sistema», un ostacolo alla credibilità della predicazione del vangelo. Spesso si vedono vescovi parlare di povertà ripresi dalla tv nei loro sontuosi palazzi, con tappeti, quadri e drappeggi che sembrano un museo e intanto le telecamere giocano perfidamente con lo scintillio degli anelli e delle croci pettorali dorate e con i gemelli d’oro ai polsi. Le parole che dicono scorrono come l’olio sull’acqua, lasciando solo l’impressione triste di essere fuori tempo massimo e fuori della storia e del vangelo stesso.

Un papa, Giovanni Paolo II, in una enciclica, e quindi in un documento solenne di magistero, si dichiara disposto a ridiscutere le forme storiche nelle quali si è sviluppata la funzione del ministero petrino14. Il concilio ecumenico Vaticano II ha operato una radicale e definitiva rivoluzione in un documento dogmatico, la costituzione sulla Chiesa, Lumen Gentium, nella quale dedica l’intero capitolo II alla Chiesa-Popolo di Dio. Il concilio non si limita solo a recupera l’immagine biblica di popolo, ma opera un’operazione copernicana, capovolgendo la piramide e lasciandone intatto l’ordine: l’autorità nella Chiesa non sta in alto, ma alla base perché deve essere il sostegno e la sicurezza del popolo che precede sempre qualsiasi forma di autorità e per questo sta al vertice (cf Ef 2,20 e Gal 2,9). La funzione dell’autorità nella Chiesa ha un solo orizzonte: servire il popolo di Dio e renderne conto nel giudizio universale, in base al principio biblico: «Ogni sommo sacerdote, infatti, è scelto fra gli uomini e per gli uomini viene costituito tale nelle cose riguardano Dio» (Eb 5,1).

Il secolo XX, porta in sé il marchio della più grande rivoluzione operata nel corso della storia del 2° millennio che chiude e con cui apre il 3°: la consapevolezza della coscienza individuale come luogo ultimo di decisione. Questo evento che pochi seppero cogliere ha comportato la fine di ogni delega e l’assunzione in proprio della responsabilità etica delle scelte e dei comportamenti. La persona sta al centro di ogni struttura di pensiero e di sistema e il segno di questo capovolgimento si vede nel fatto che quelli che il codice definiva reati contro la morale diventano attentati contro la persona e così perseguiti, specialmente i reati sessuali.

La contestazione giovanile prima e dei no-global dopo, come ogni contestazione, risiede nel fatto che la coscienza civile da un lato e quella religiosa dall’altro vuole fare parte direttamente delle istituzioni che in qualche modo decidono della vita delle persone. Non più una istituzione astratta e superiore nelle mani di una oligarchia per lo più gerontologica, ma strutture condivise di potere e di gestione del potere. Una spinta decisiva a questo processo fu data dal concilio Vaticano II che ribaltando la teologia e il magistero precedente, ha affermato senza equivoci il primato della libertà religiosa che si fonda sull’inalienabile diritto della coscienza individuale di decidere del proprio destino15.

La Chiesa cattolica da almeno quattro secoli rimane bloccata nell’immobilismo della fissità del suo sistema che dal concilio di Trento, per paura dei «protestanti», diventa inamovibile e parte integrante del carisma dell’autorità. E’ la struttura che più di ogni altra risente dell’impatto di novità a cui non riesce a fare fronte. Le masse si allontanano in massa dalla Chiesa e il cattolicesimo diventa sempre più un additivo folcloristico per distrarsi in alcune occasioni di festa: la gerarchia alimenta il culto esteriore con processioni, giochi, cinema, riti in cui il popolo è passivo e assente anche perché non capisce nemmeno la lingua della liturgia che pure si svolge nella lingua materna. Figuriamoci l’estraneità alla dinamica liturgica che si avrebbe con la sciagurata idea di volere riportare il latino come lingua «ufficiale» della liturgia: si alimenterà una religiosità «misterica» individuale e quasi magica a scapito della coscienza della celebrazione come azione dell’Assemblea che attua e realizza la sacramentalità di tutta la Chiesa universale. Si arriverebbe all’assurdo che durante la celebrazione del «mistero», il prete celebra per conto suo e i presenti, ormai non-popolo, pregano ognuno per conto proprio: e ognuno prega Dio, ma tu ti preghi il tuo e io mi prego il mio.

Il concilio ecumenico Vaticano II è stato la Pentecoste (cf nota Errore: sorgente del riferimento non trovata) che ha scosso la Chiesa da questo torpore semipagano ed esangue: un vecchio ottantenne lasciandosi guidare dallo Spirito e consapevole che la Storia e la Chiesa sono nelle mani di Dio, seppe cogliere la ventata di aria fresca che premeva alle finestre chiuse della Chiesa. Giovanni XXIII aprì quelle finestre e lasciò entrare lo Spirito Santo e la Chiesa come d’incanto da museo impolverato si ritrovò «comunità in cammino»16. Il Concilio Vaticano II, pur essendo un concilio «timido» e molto moderato, incontrò resistenze inaudite da parte chi confondeva le proprie manie con la volontà di Dio e la tradizione della Chiesa, dimostrando così di credere più alla propria visione di vita che allo Spirito Santo.

Il Concilio educò alla libertà dello Spirito e inviò i cattolici nel mondo descrivendolo non come nemico, ma come l’obiettivo dell’incarnazione del Verbo. Abbassò il ponte levatoio che isolava la cittadella della sacralità e pose il tempio di Dio nel cuore del mondo, dove pulsa la carne di Cristo che fa della sua umanità il nuovo tempio della Storia (cf Gv 2,21-22), affermando senza equivoci che chi volesse incontrare Dio doveva passare inevitabilmente attraverso la geografia dell’incarnazione. La storia diventava il luogo dove cercare e vivere la volontà di Dio, dove esercitare il comandamento dell’amore in testimonianza di un Dio dal volto umano venuto a cercare l’uomo senza aspettare che fosse l’uomo a scalare il cielo.

Il concilio ci diede in mano la Scrittura dicendoci che noi ne siamo custodi e artefici, figli, padri e madri perché ogni volta che la leggiamo, la comprendiamo e la viviamo, noi la riscriviamo per l’oggi che è sempre un evento di Dio: «oggi devo fermarmi a casa tua» (Lc 19,5). Il concilio liberò la Chiesa dalla paura ossessiva delle altre religioni e abbandonò definitivamente la teoria degli Ebrei «deicidi» che tanta parte ebbe nella cultura dell’antisemitismo di stampo cattolico. Il concilio presentò le altre religioni, ebraismo e musulmanesimo in prima linea, come luoghi autentici dell’incontro con Dio, insegnandoci che l’unico Dio rivelato in Gesù è un Dio frantumato e disperso in ogni ambito di umanità in ricerca17. Lì lo troveremo, lì lo adoreremo.

La prima lettura di oggi e il vangelo sono il fondamento di quanto abbiamo detto sopra e ci obbligano a prendere coscienza di che cosa oggi è in gioco nella Chiesa. Se è vero che l’autorità nella Chiesa ha la responsabilità del popolo di Dio, è vero anche l’inverso: il popolo di Dio è responsabile di coloro che detengono l’autorità18. L’istituzione di qualsiasi genere è una struttura di sicurezza e di protezione per cui gli uomini tendono a conferirle una valenza sacrale e un valore assoluto. Quando però nella storia entra l’avventura d’Israele che alle culture contemporanee si presenta come il popolo scelto da Dio per una missione universale, egli introduce nella religiosità umana la desacralizzazione dell’istituzione perché il rapporto di vita si colloca a livello di «comandamento», cioè di persone che si ritrovano in una legge, nella Toràh. I comandamenti infatti sono declinati alla seconda persona singola: «Tu». Gesù porterà questo processo di desacralizzazione fino in fondo.

Dio non si cerca più nella sicurezza delle istituzioni, ma nell’avvenimento e nella storia, nella relazione e nella vita. L’uomo scopre che Dio è creatore, provvidenza e paternità: nessuno può mettere più le mani su Dio perché egli si manifesta come «assolutamente Altro», imprevedibile, che sfugge alla fissità delle regole liturgiche e cerca l’adesione del cuore. Il Dio d’Israele è un Dio in cammino. Il messaggio dei profeti in Israele è solo questo: Dio è libero e come ha scelto Israele così può anche ripudiarlo. Se da un lato vi è l’esperienza del Sinai dove si consuma l’alleanza nuziale sancita con la Toràh, dall’altro vi è la tragicità dell’esilio e della diaspora, dove Dio è presente nel suo silenzio e nel mutismo della profezia. Il processo di desacralizzazione delle istituzioni che vengono riportate nell’alveo della fatica umana si deforma, quando Israele nel prendere coscienza di essere il popolo eletto, si chiude in sé, ghettizzando il mondo esterno e rendendosi impenetrabile. Egli si istituzionalizza a sua volta e la categoria di «popolo di Dio» diventa una formula di esclusione e uno strumento di difesa dei privilegi acquisiti, diventando prigioniero di quella stessa Toràh che avrebbe dovuto liberarlo da sé e guidarlo nella missione verso il mondo (cf Gal 3,24-25).

Gesù nella sua breve esperienza terrena si muove liberamente tra le istituzioni del suo tempo, le accetta, le contesta, vi si oppone, le vive senza mai diventarne schiavo. Ufficialmente Gesù è un «laico» e come tale non solo difende le sue prerogative19, ma vive drammaticamente la responsabilità della trasparenza della massima istituzione israelita che era il tempio e in esso il sacerdozio, scacciando i mercanti che avevano trasformato la «casa di preghiera» di Dio in un mercato immondo (cf Mc 11,15-18). Lo shabàt, al tempo di Gesù era considerato come la «grande istituzione divina» risalente addirittura al Dio creatore e consegnato ad Adam: esso identifica Dio stesso per cui era equiparato alla Persona stessa del creatore. Gesù mentre lo osserva lo domina e lo dichiara sottomesso alla dignità della persona perché «il sabato è fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato» (Mc 2,27).

Egli osserva la Toràh: veste con il velo sul capo (tallìt), indossa sulla fronte e sul petto le scatolette con i versetti della Scrittura (tefillìm), porta addosso le frange (tzitziòth; singolare: tzitzìth) per ricordarsi l’osservanza dei precetti e sullo stipite della sua casa ogni volta che entra ed esce tocca e bacia la teca di legno che contiene alcuni versetti della Scrittura (mezuzàh plurale: mezuzòt:) per ricordarsi della Shekinàh/Dimora/Presenza di Dio (cf Dt 6,4-9). Nello stesso tempo non esita a violare il precetto per rispondere alle necessità dei poveri (cf Lc 13,10-14) e ad annullare tutta la precettistica della tradizione condensandola nel comandamento dell’amore (cf Mt 22,40). La persona, ogni persona, per Gesù viene prima di ogni principio dottrinale o morale.

Gesù può fare questo perché afferma la trascendenza di Dio e la libertà del suo Spirito che «soffia dove vuole» (Gv 3,8) senza legarsi ad alcuna istituzione. Probabilmente Gesù nel brano del vangelo di oggi si ispira alla prima lettura: due membri del popolo, già designati, pur essendo fuori del recinto sacro, profetizzano allo stesso modo di coloro che sono «dentro», sconvolgendo gli schemi dei professionisti della religione. La spirito profetico che agisce in Eldad e Medad che si trovano in spazio tecnicamente «profano», abolisce ogni distinzione tra sacro e profano perché Dio non è appannaggio di professionisti, i quali a loro volta non possono né venderlo e tanto meno comprarlo. Dio non parla solo attraverso le strutture preposte alla gestione del «sacro», egli agisce anche attraverso uno che non era dei nostri (cf Mc 9,38). Tutte le istituzioni sono opera dell’uomo che devono costantemente essere rinnovate o abbandonate in un costante confronto con il comandamento di Dio che arriva dalla Parola e dalla Storia, le uniche due coordinate che possono interpretare la fede. Dio non è mai «qua», ma è sempre «oltre» le convenienze, le opportunità, le sacralità, l’ovvio e l’abituale. Egli è sempre nuovo perché è la vita e non si attarda mai su ieri che è passato e come Presenza/Dimora-Shekinàh riempie l’«oggi» della prospettiva del «domani» e del futuro.

Quando Gesù recluta i primi discepoli, egli ebreo di nascita e di tradizione, li sceglie tra gli Ebrei e tutti i primi convertiti sono Giudei fedeli alla Toràh di Mosè. Dopo Gesù nasce un conflitto tra la scuola di Paolo aperta al mondo esterno e quella di Giacomo chiusa nella rigidità della tradizione. Anche se con fatica immensa, prevale la prospettiva di Paolo e in conseguenza nascono nuove istituzioni diverse da quelle giudaiche: nasce la chiesa greca che nel suo patrimonio storico e culturale non ha nulla del giudaismo e della tradizione. I pagani entrano nel nuovo recinto e sono accolti come figli di Dio senza sentirsi imporre pesi diversi da quelli essenziali: confessare Cristo Signore, vivere il convito eucaristico come esperienza privilegiata del «mistero del risorto», riconoscere il ministero dei Dodici.

La Chiesa ha mutato volto e anche contenuti molte volte lungo il corso dei secoli, in un cammino lento e faticoso e spesso drammatico e traumatico, vivendo anche periodi e momenti in cui più che proclamare la signoria di Gesù, l’ha negata con le sue scelte e le sue azioni per un malinteso e falso senso dell’istituzione, come le torture, la violenza, le guerre, i roghi e l’immoralità diffusa. L’istituzione fine a se stessa è uno strumento sclerotico che conduce alla morte e all’oppressione. Sempre. Molti nella Chiesa hanno sofferto ingiustamente, molti sono stati perseguitati, emarginati, distrutti nell’onore e nella dignità, salvo in qualche caso essere riabilitati dopo morte. In una istituzione morente e smarrita di fronte ad un mondo nuovo che sorgeva dalle macerie della guerra, un vecchio, un papa decide di convocare un concilio ecumenico, cioè di riunire tutta la Chiesa perché alla scuola dello Spirito imparasse di nuovo i criteri e il metodo dei «segni dei tempi». Non a caso la parola d’ordine del papa e del concilio fu in quegli anni «aggiornamento».

Nonostante il concilio, viviamo ancora in una Chiesa dove la regola fondamentale è l’uniformità, cioè l’unione esteriore: le chiese d’Europa, di Africa, di Asia, delle Americhe hanno tutte la stessa liturgia, lo stesso diritto, la stessa teologia, gli stessi abiti liturgici. Fotocopia della chiesa e della teologia e della liturgia di Roma. Quando il papa va in viaggio porta tutto da Roma, affermando così che ciò che si fa a Roma è legge per il resto della Chiesa. Non dovrebbe essere così perché la natura, il diritto e la fede esigono che ogni Chiesa possa esprimere se stessa nell’organizzazione, nella liturgia, nella teologia, nel modo di vestire e di essere. Se la gerarchia romana dell’epoca avesse colto «i segni dei tempi» interpretati dal gesuita Matteo Ricci (sec. XVI) e dei suoi successori che in Cina cercavano una «via cinese» per il cristianesimo, forse oggi la Cina sarebbe cristiana, ma nella controversia sui riti cinesi prevalse Roma che impose contenuti e forme «romane» compresi gli abiti liturgici stabiliti dal concilio di Trento. Quando la miopia si confonde con la prudenza, il danno alla Chiesa è enorme e lo pagano i secoli futuri.

L’istituzione più intima che vi è nella Chiesa è la missione, cioè il portare il vangelo ad ogni creatura fino agli estremi confini del mondo (cf At 1,8) e costituisce l’essenza stessa dell’esistenza della Chiesa. La missione oggi è in profonda crisi perché incapace di confrontarsi con la modernità, la libertà di coscienza e i costumi diversificati a causa dell’uniformità in cui per secoli è stata formata e cresciuta. E’ una crisi salutare perché oggi la Chiesa ha sempre una Parola non sua da dire e può rendere un servizio autentico alla verità dell’uomo moderno che bisogno di salvezza come i suoi antenati. Cristo è ieri, oggi e domani (cf Eb 13,8). Per fare questo però è necessario uscire dall’ambiguità delle strutture che alimentano se stesse e nascondono il vero volto della Chiesa che può acquisirlo solo se si purifica e lascia cadere tutte le sovrastrutture che ha accumulato nei secoli e che ne hanno, in parte, deformato la natura.

L’Eucaristia, in questo contesto, è l’istituzione chiave che insegna il metodo della ripresa della missione e offre il senso a tutte le altre istituzioni: essa è un raduno di persone e non una massa di gente indistinta; i credenti ascoltano la Parola e la partecipano nella vita; confessano la loro fede che risplende nella loro vita segnata dalla fraternità; il sacerdote che presiede l’Eucaristia è il servo che lava i piedi e non il padrone che comanda; la comunione al Corpo del Signore rende i partecipanti non uniformi nel vestire, ma uniti nello Spirito e nell’anelito della testimonianza.

L’Eucaristia impone la declericalizzazione dell’Eucaristia stesso perché possa risplendere nella sua luce di raduno universale di popolo di Dio in cammino con tutti i popoli della terra. I laici non sono i detentori della partecipazione ai riti in modo passivo e succube, al contrario sono un popolo di sacerdoti, un popolo di re, un popolo di profeti e una nazione santa (cf 1Pt 2,9) che ha l’obbligo e la responsabilità di annunciare l’alleanza del Dio di Gesù Cristo a tutti gli uomini e le donne di buona volontà. Il concilio ecumenico Vaticano II ha solo iniziato l’opera che deve essere ancora portata a compimento. Questo il nostro impegno nella Chiesa, la nostra fedeltà alla Chiesa, il nostro servizio al mondo; per questo lavoriamo perché avvenga il prossimo concilio generale epr la Chiesa cattolica e il successivo ecumenico per tutte le Chiese cristiane.

Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili.

[Pausa: 1-2-3]

Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli. Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero; generato, non creato; della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo; e per opera dello Spirito Santo si é incarnato nel seno della Vergine Maria e si é fatto uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto. Il terzo giorno é risuscitato, secondo le Scritture; é salito al cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine. [Pausa: 1-2-3]

Credo nello Spirito Santo, che é Signore e da la vita, e procede dal Padre e dal Figlio e con il Padre e il Figlio é adorato e glorificato e ha parlato per mezzo dei profeti. [Pausa: 1-2-3]

Credo la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica. Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati. Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Amen.

Preghiera universale [intenzioni libere]

LITURGIA EUCARISTIACA

Presentazione delle offerte e pace. Entriamo nel Santo dei Santi presentando i doni, ma prima, lasciamo la nostra offerta e offriamo la nostra riconciliazione e concediamo il nostro perdono, senza condizioni, senza ragionamenti, senza nulla in cambio: lasciamo che questa notte trasformi il nostro cuore, fidandoci e affidandoci reciprocamente come insegna il vangelo:

«Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono» (Mt 5,23-24),

Solo così possiamo essere degni di presentare le offerte e fare un’offerta di condivisione. Riconciliamoci tra di noi con un gesto o un bacio di Pace perché l’annuncio degli angeli non sia vano.

Scambiamoci un vero e autentico gesto di pace nel Nome del Dio della Pace.

[La benedizione sul pane e sul vino è tratta dal rituale ebraico]

Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo; dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane e questo vino, frutto della terra, della vite e del lavoro dell’uomo e della donna; lo presentiamo a te, perché diventi per noi cibo di vita eterna. Benedetto nei secoli il Signore.

Preghiamo perché il nostro sacrificio sia gradito a Dio, Padre onnipotente.

Il Signore riceva dalle tue mani questo sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa.

Preghiamo (sulle offerte). Accogli, Padre misericordioso, i nostri doni, e da quest’offerta della tua Chiesa fa’ scaturire per noi la sorgente di ogni benedizione. Per Cristo nostro Signore. Amen.

PREGHIERA EUCARISTICA II (detta di Ippolito, prete romano del sec. II)

La creazione loda il Signore

Il Signore sia con voi. E con il tuo spirito. In alto i nostri cuori. Sono rivolti al Signore.

Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio. E’ cosa buona e giusta.

E veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e dovunque a te, Padre santo, per Gesù Cristo, tuo dilettissimo Figlio.

Signore, sei sceso dalla nube per parlare a Mosè, il cui spirito hai effuso sui settanta anziani che hai consacrato profeti del tuo Nome (cf Nm 11,25).

Per mezzo di lui, tua Parola vivente, hai creato tutte le cose e lo hai mandato a noi salvatore e redentore, fatto uomo per opera dello Spirito Santo e nato dalla vergine Maria.

Il tuo Spirito, Signore d’Israele, si posò su di loro ed essi profetizzarono compresi Eldad e Medad fuori dalla tenda del convegno (cf Nm 11,25-26).

Per compiere la tua volontà e acquistarti un popolo santo, egli stese le braccia sulla croce, morendo distrusse la morte e proclamò la risurrezione.

Benedetto nel nome del Signore colui che viene. Osanna nell’alto dei cieli. Kyrie, elèison! Pnèuma, elèison.

Per questo mistero di salvezza, uniti agli Angeli e ai Santi, cantiamo a una sola voce la tua gloria :

Santo, Santo, Santo il Signore Dio dell’universo. Kyrie, eleison. I cieli e la terra sono pieni della tua gloria. Christe, elèison. Pnèuma, elèison. Kyrie, elèison.


Padre veramente santo, fonte di ogni santità, santifica questi doni con l’effusione del tuo Spirito perché diventino per noi il corpo e il sangue di Gesù Cristo nostro Signore.

La tua Legge, Signore, è perfetta, rinfranca l’anima; la tua testimonianza, Signore della Chiesa, è stabile e ci rende saggi nell’ascolto della tua Parola (cf Sal 19/18,8).

Egli, offrendosi alla sua passione, prese il pane e rese grazie, lo spezzo, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E MANGIATENE TUTTI: QUESTO É IL MIO CORPO OFFERTO IN SACRIFICIO PER VOI.

Tu sei il Cristo, il Pane disceso dal cielo per sfamare il mondo intero (cf Gv 6,41.51.58).

Dopo la cena, allo stesso modo, prese il calice e rese grazie, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E BEVETENE TUTTI: QUESTO É IL CALICE DEL MIO SANGUE PER LA NUOVA ED ETERNA ALLEANZA, VERSATO PER VOI E PER TUTTI IN REMISSIONE DEI PECCATI.

E’ il sangue dell’alleanza uscito dal costato del tuo Figlio, trafitto dalla lancia del soldato (cf Gv 19,34).

FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME.

Annunciamo la tua morte, proclamiamo la tua risurrezione, attendiamo il tuo ritorno nella pienezza dei tempi.

MISTERO DELLA FEDE.

Veniamo nella casa della Sapienza per mangiare il suo pane e bere il vino che ho preparato per noi nella santa Eucaristia (cf Pr 9,5).

Celebrando il memoriale della morte e risurrezione del tuo Figlio, ti offriamo, Padre, il pane della vita e il calice della salvezza, e ti rendiamo grazie per averci ammessi alla tua presenza a compiere il servizio sacerdotale.

Chiunque darà da bere un bicchiere d’acqua nel nome del Signore, perché è di Cristo … non perderà la sua ricompensa (cf Mc 9,41).

Ti preghiamo: per la comunione al corpo e al sangue di Cristo lo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo.

Chi scandalizzerà uno solo dei piccoli del Signore che credono, giudicato davanti al trono della Gloria e davanti agli angeli della Maestà (cf Mc 9,42).

Ricordati, Padre, della tua Chiesa diffusa su tutta la terra: rendila perfetta nell'amore in unione con il Papa …, il Vescovo …, le persone che amiamo e che vogliamo ricordare … e tutto l’ordine sacerdotale che è il popolo dei battezzati.

«Se la tua mano ti èmotivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geènna, nel fuoco inestinguibile» (Mc 9,43).

Ricordati dei nostri fratelli, che si sono addormentati nella speranza della risurrezione e di tutti i defunti che affidiamo alla tua clemenza … ammettili a godere la luce del tuo volto.

Signore del cielo e della terra, seduto in Assemblea con noi, oggi ci chiami i Dodici e dici anche a noi: «Se uno vuoi essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti» (Mc 9,35).

Di noi tutti abbi misericordia: donaci di aver parte alla vita eterna, insieme con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, con gli apostoli e tutti i santi, che in ogni tempo ti furono graditi: e in Gesù Cristo tuo Figlio canteremo la tua gloria.

Tu ci chiami ad essere il sale della terra e per questo ci convochi alla santa Eucaristia che ci impedisce di diventare insipidi stare in pace tutti (cf Mc 9,50).

Dossologia [è il momento culminante dell’Eucaristia: il vero offertorio]

Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a te, Dio, Padre onnipotente, nell'unita dello Spirito Santo, ogni onore e gloria, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Padre nostro in aramaico: Idealmente riuniti con gli Apostoli sul Monte degli Ulivi, preghiamo, dicendo:

Padre nostro che sei nei cieli

Avunà di bishmaià

sia santificato il tuo nome

itkaddàsh shemàch

venga il tuo regno

tettè malkuttàch

sia fatta la tua volontà

tit‛abed re‛utach

come in cielo così in terra

kedì bishmaià ken bear‛a.

Dacci oggi il nostro pane quotidiano

Lachmàna av làna sekùm iom beiomàh

e rimetti a noi i nostri debiti

ushevùk làna chobaienà

come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori

kedì af anachnà shevaknà lechayabaienà

e non abbandonarci alla tentazione

veal ta‛alìna lenisiòn

ma liberaci dal male.

ellà pezèna min beishià. Amen!

Antifona alla comunione (Mc 9,47): «E’ meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geènna».

Dopo la comunione

Una riflessione biblica di Carlo Carretto

Nella Chiesa è troppo facile chiedere agli altri i grandi gesti profetici, la povertà eroica, la condivisione dei beni. Il difficile è chiederlo a noi, è viverlo noi. Ricordo uno scrittore dell'America Latina, famoso per le sue proteste e per le sue pagine bellissime sulla tortura e sulla giustizia sociale, sulla rivoluzione da farsi. Lui stesso mi raccontò che appena giunse la prova, il pericolo di essere arrestato dopo un golpe militare, fuggì dal suo paese col primo aereo portandosi dietro la vergogna per la sua vigliaccheria, perché sapeva benissimo di aver lasciato nel pericolo quelli più indifesi e più poveri. Fratelli, è difficile la testimonianza. Ed è proprio quando non ne siamo capaci che corriamo il pericolo di nasconderci dietro le belle parole! Ascoltate le intenzioni che si pronunciano durante la preghiera dei fedeli nei vari gruppi ecclesiali. Sembriamo tutti eroi, tutti decisi a far spogliare la Chiesa delle sue ricchezze. Ma in noi, i fatti corrispondono a quelle parole? A che punto è il nostro cammino verso la condivisione dei beni? Cosa devo fare per rispondere Concretamente a Gesù che, come a Zaccheo, mi dice: “Scendi presto perché voglio venire a casa tua”? (Lc 19, 5).

Da Rav Riccardo di Segni, rabbino capo di Roma, Il destino dell’uomo tra azioni e stelle

Il Talmud Babilonese (Shabbat 156 b) racconta la storia della figlia di Rabbì Aqivà cui un astronomo caldeo aveva annunciato che sarebbe morta il giorno delle nozze per il morso di un serpente velenoso. Per quanto preoccupata della minaccia la ragazza si sposò; prima di coricarsi si tolse lo spillone d'oro che le reggeva i capelli e lo infilò in una fessura del muro della stanza. Al mattino riprese lo spillone e scoprì che aveva trafitto un serpente velenoso. Il padre chiese se era successo qualcosa di speciale quel giorno e la figlia raccontò che mentre erano tutti occupati nel banchetto nuziale era arrivato un povero, nessuno gli aveva dato ascolto e la sposa gli aveva ceduto la sua porzione di cibo. Per merito di questa buona azione la figlia si era salvata da un destino di morte segnato negli astri. Nell’antichità (ma non solo nell’antichità, anche fino a poco tempo fa) era una convinzione diffusa che il destino dell'uomo fosse scritto negli astri e che gli esperti potevano leggerlo e comunicarlo. Ciò non era considerato magia, ma una sorta di attività scientifica e come tale non condannabile dalla Toràh. In rapporto a queste credenze i Maestri d’Israele reagirono con una certa dose di scetticismo e molti affermarono il principio che almeno per il popolo ebraico non c’è un destino scritto nelle stelle: en mazal le Israel (un destino/sorte per Israele). In ogni caso, anche se fosse scritto, lo si può cambiare con le proprie azioni. È quanto vuole insegnare la storia della figlia di Rabbì Aqivà, che dimostra l’assoluta supremazia della morale rispetto al destino. Come sempre, nell’ebraismo, al centro dell’attenzione c’è la responsabilità della persona che è la vera chiave per comprendere lo svolgersi delle vicende umane.

Preghiamo. Guida e sostieni, Signore, con il tuo continuo aiuto il popolo che hai nutrito con i tuoi sacramenti, perché la redenzione operata da questi misteri trasformi tutta la nostra vita. Per Cristo nostro Signore. Amen.

Benedizione e saluto finale

Il Signore è con voi. E con il tuo spirito.

Sia benedetto il Nome del Signore invocato su di noi.

Rivolga il Signore il suo Nome su di noi e ci doni il suo Spirito.

Rivolga il Signore il suo Volto su di voi e vi doni la sua Pace.

Sia sempre il Signore davanti a noi per guidarci.

Sia sempre il Signore dietro di voi per difendervi dal male.

Sia Sempre il Signore accanto a noi per confortarci e consolarci.

E la benedizione dell’onnipotente tenerezza del Padre e del Figlio

e dello Spirito Santo, discenda su di voi e con voi rimanga sempre. Amen!

La messa è finita come lode, continua come storia e testimonianza.

Andiamo in Pace. Rendiamo grazie a Dio.

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Domenica 26a Tempo Ordinario-B – Parrocchia di S. M. Immacolata e S. Torpete

© Nota: L’uso di questi commenti è consentito citandone la fonte bibliografica

Paolo Farinella, prete – 30-09-2012 – San Torpete – Genova

APPUNTAMENTI

MERCOLEDI 3 OTTOBRE 2012 ORE 17,45 a Genova Palazzo Ducale, presentazione della Rivista MicroMega, numero speciale sul Concilio Vaticano II (a presto i dati completi).

DAL 3 AL 5 OTTOBRE 2012 MOSTRA FOTOGRAFICA «CONTRO IL MURO DELL’ACQUA», Viaggio sulle condizioni di accesso all’acqua nei territori occupati palestinesi alla Biblioteca Berio di Genova.

MERCOLEDÌ 3 OTTOBRE 2012 - SALA CLERICI Biblioteca Berio – 20,15 Incontro pubblico: VENTI DI GUERRA NUCLEARE IN MEDIO ORIENTE: IL PROBLEMA E' SOLO L'IRAN? Interventi di: Giulietto CHIESA giornalista (incerto); Moni OVADIA, attore; Marinella CORREGGIA, giornalista, Khalid RAWASH, medico palestinese; Emilio MOLINARI, Comitato Italiano Contratto Mondiale Acqua.

GIOVEDI 11 OTTOBRE 2012, ORE 17,30 in San Torpete, Piazza San Giorgio in Genova, conferenza di Paolo Farinella, prete «La svolta storica irreversibile del concilio Vaticano II: oggi più che mai». E’ un invito a quanti sono interessati ad una riflessione a voce alta e forte in occasione del 50° Anniversario dell’apertura del concilio Vaticano II contro cui si sono scagliate le forze avverse ecclesiastiche e reazionarie. Per chi ama la Chiesa e la Storia è un dovere di riconoscenza.

VENERDI 12 OTTOBRE 2012, ORE 18,00 A TORINO presso la Libreria «COOP» in Piazza Castello 113 presentazione del romanzo «Habemus papam di Paolo Farinella, prete. Con l’autore presentano Davide Pelanda della rivista «Tempi di Fraternità». Mi accompagna la dott.ssa Maria Cristina Pantone.

SABATO 20 OTTOBRE 2012, ORE 17,30 nella Chiesa di San Torpete, Piazza San Giorgio Genova, Joaquin Palomares, Violino, Le partite per violino di Bach Musiche di J.S. Bach.

GIOVEDÌ 1 NOVEMBRE 2012, ORE 10.00 FESTA DI TUTTI I SANTI – Messa Concertata eseguita dall’Accademia dei Virtuosi Luca Franco Ferrari, Direttore Ciclo Sacro-Profano. Contaminazioni, “travestimenti” e citazioni dal Cinquecento a oggi. 1. Il madrigale Musiche di J. Des Prez.

GIOVEDÌ 8 NOVEMBRE 2012 ALLE ORE 21,00 A PONTEDECIMO GENOVA, presso la sede del Gruppo «Koinè», nella Casa della Beata Chiara (ex Capitanato del Popolo), presentazione del romanzo «Habemus papam di Paolo Farinella, prete. Conversazione con l’Autore, immaginando la Chiesa del futuro.

MERCOLEDI 21 NOVEMBRE 2012 ore 20,00 a CAGLIARI presso la Comunità La Collina di Don Ettore Cannavera, presentazione del romanzo «Habemus papam di Paolo Farinella, prete. E’ presente l’autore con la dott.ssa Maria Cristina Pantone (contatti: Loc S’Otta, 09040 Serdiana CA Tel: 070.743923 -070.742430 e-mail: comunitalacollina@tiscali.it ).

GIOVEDÌ 6 DICEMBRE 2012 ALLE ORE 17,00 nella Chiesa di San Torpete in Piazza San Giorgio a Genova, presentazione del libro L’eresia cristiana di Pier Paolo Pasolini, Edizioni Mimesis, Sesto San Giovanni MI 2010, pp. 184, € 16,00. Presenta l’Autore, Alessio Passeri, che illustrerò gli aspetti salineti della sua ricerca. E’ presente anche il musicologo, prof. Marco Jacoviello, che illustrerà il rapporto di Pasolini con la musica, commentando alcuni “pezzi” del Vangelo secondo Matteo e relativa colonna sonora.

SABATO 24 NOVEMBRE 2012, ORE 17,30 nella Chiesa San Torpete, Piazza San Giorgio, Genova, Ring Around Quartet (Vera Marenco, Soprano – Manuela Litro, Contralto – Umberto Bartolini, Tenore – Alberto Longhi, Baritono) e Enseble 400 (Marcello Serafini – Aimone Gronchi, Viella Maria Notarianni, Arpa, Organo portativo): Ring Around 20 - “Tutte frottole”; Musiche di J. Des Pres, N. Broco, Anonimo (XVI sec.), G. e L. Fogliano, R. Mantovano, Peregrinus da Cesena.

Nel sito: http://www.musicaeculturasantorpete.com/

programma completo della VII edizione (2012-2013) de «I concerti di San Torpete»

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Nel sito: www.paolofarinella.eu su iniziativa di Libertà e Giustizia

Il programma completo per l’anno 2012 della Scuola di Formazione Politica “Giovanni Ferrara”

e inoltre la Liturgia di questa domenica e anche quelle di tutto l’anno

AGLI AMICI DELLA LUDOVICA ROBOTTI

di Paolo Farinella, prete

Avvicinandosi la fine dell’anno, invito i soci dell’Associazione «Ludovica Robotti-San Torpete» a RINNOVARE L’ISCRIZIONE PER L’ANNO 2013 e a prendere in considerazione la possibilità di CONTRIBUIRE IN MODO STRAORDINARIO AL SOSTEGNO DELLE ATTUIVITA’ che sono solo aiuti diretti alle persone e alle famiglie in estremo bisogno.

Non siamo messi bene, perché le richieste aumentano sempre più e le disponibilità sono sempre meno. Ci stringe il cuore a volte di dovere dire di «no» perché la situazione concreta supera ogni nostra possibilità. Quest’anno abbiamo comprato un furgoncino ad un amico che è tornato in Marocco dove ha aperto una piccola attività economica insieme ad un altro. Stiamo assistendo tante famiglie a mettere su casa, avuta con concorso dal Comune: c’è la casa, ma è vuota e bisogna riempirle del necessario.

A differenza degli altri anni, ho notato che nel 2012 le offerte sono diminuite: io penso che sia dovuto alla crisi economica che si aggrava sempre più, ma sono anche convinto che è proprio nei momenti di difficoltà che bisogna essere più solidali perché nei momenti più difficili i poveri sono anche più miseri.

Ricordo che non possiamo rilasciare ricevute per la detrazione fiscale: chi dona alla Robotti «dona a perdere», cioè a guadagnare. Solo le aziende, ditte, imprese con partita Iva possono eventualmente fare un’offerta liberale alla Parrocchia che poi rilascia ricevuta e trasferisce quanto raccolto alla «Ludovica Robotti». In questo caso mettere come causale «Opere caritative istituzionali». Di seguito ecco gli strumenti:

Associazione Ludovica Robotti (non può rilasciare ricevute per detrazione fiscale)

Vico San Giorgio 3-5 R, 16128 Genova

  • Banca Etica: Iban: IT87 D050 1801 4000 0000 0132407 (Bic: CRTIT2T84A)

  • Banca Poste: Iban: IT10H0760101400000006916331 (BIC/SWIFT: BPPIITRRXXX)

  • Conto Corrente Postale N. 6916331: Intestato a: Associazione Ludovica Robotti San Torpete

  • Rivolgersi direttamente in Sacrestia

[Parrocchia S. M. Immacolata e San Torpete. P.za San Giorgio 16128 Genova – CF 95019590108

CODICE IBAN: IT49P0306901400100000032248]

CHI NON PUO’ NON DEVE DARE NULLA E STIA SERENO

1 Cf Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC), Parte terza, art. 8/V, n. 1869; sullo stesso argomento, cf inoltre Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Reconciliatio et paenitentia (2 dicembre 1984), n. 16, AAS 77 (1985) 216; Id., Lettera enciclica Sollicitudo rei socialis, nel ventesimo anniversario della «Populorum progressio» (30 dicembre 1987), nn. 36-37, AAS 80 (1988) 557; S. Bastianel, ed., Strutture di peccato. Una sfida teologica e pastorale, Piemme, Casale Monferrato 1989.

2 «24 Ma guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione. 25 Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi, che ora ridete, perché sarete nel dolore e piangerete. 26 Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi» (Lc 6, 24-26; cf Mt 5,2-10).

3 Cf Mt 20,1-15 dove il padrone della vigna concorda la paga quotidiana con gli operai assunti ad ore diverse.

4 Questa semplice verità bisogna spiegarla all’Opus Dei che della ricchezza e delle condizioni di ricchezza ha fatto il carisma della sua azione.

5 Paolo VI, nel IX anniversario del suo pontificato, il 29 giugno 1972, solennità dei SS. Apostoli Pietro e Paolo, parlando della confusione nella Chiesa e disse che «da qualche fessura [era] entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio». Nella realtà pagana e mondana di un clericalismo essenzialmente ateo che si nutre di esteriorità e vanagloria, «Satana» è l’anelito che macchina per contrabbandare il pensiero di Dio con il proprio e il bene della Chiesa con la propria carriera.

6 Già nel IV sec. Ilario di Poitier metteva in guardia dai pericoli del connubio con i potenti che, comunque, hanno interesse a corrompere il personale ecclesiastico per averlo alleato e non nemico. Per Ilario è preferibile aver eun imperatore persecutore piuttosto che amico: «Noi non abbiamo più un imperatore anticristiano che ci perseguita, ma dobbiamo lottare contro un persecutore ancora più insidioso, un nemico che lusinga; non ci flagella la schiena ma ci accarezza il ventre; non ci confisca i beni (dandoci così la vita), ma ci arricchisce per darci la morte; non ci spinge verso la libertà mettendoci in carcere, ma verso la schiavitù invitandoci e onorandoci nel palazzo; non ci colpisce il corpo, ma prende possesso del cuore; non ci taglia la testa con la spada, ma ci uccide l’anima con il denaro» (Ilario di Poitiers, Contro l’imperatore Costanzo 5).

7 Giovanni XXIII, Costituzione apostolica d’indizione del concilio ecumenico Vaticano II, Humanae Salutis (25 dicembre 1961), Enchiridion Vaticanum, vol. 1, Edizione Dehoniane, Bologna 19687, n. 23*.

8 Oggi l’obiettivo che una parte della gerarchia «di vertice» si propone è il superamento del concilio, dichiarandone conclusa la sua spinta propulsiva per potere recuperare una condizione «ante-concilio». E’ un tentativo antistorico, destinato a fallire, perché nessuno nemmeno il papa può fermare la storia. Anzi, dalla storia stessa sappiamo che il papa e la gerarchia possono solo ritardarne lo svolgimento, salvo poi arrivare in ritardo, come di norma accade. Negli ultimi trent’anni, dai documenti ufficiali del papa e degli organismi che a lui fanno capo l’espressione «chiesa-popolo di Dio», coinvolgente anche in campo sociale e politico, è stata espunta e sostituita da quella più spirituale e disincarnata di «chiesa-comunione».

9 In questa strategia rientra l’ammissione nella Chiesa della Fraternità Sacerdotale San Pio X, fondata dal vescovo Marcel Lefebvre, scomunicato da Giovanni Paolo II (30 giugno 1988) e che ha come scopo il ritorno alla Chiesa del pre-concilio. L’ammissione avviene senza chiedere una adesione formale e priva di riserve del concilio ecumenico Vaticano II. Già dal 2003 la Fraternità ha ricevuto la possibilità di celebrare la Messa esclusivamente con il rito di Pio V, sconfessando così sia il concilio sia i papi Giovanni XXIII e Paolo VI. «In occasione del 3° Capitolo generale, tenutosi dal 2 al 15 luglio ad Ecône in Svizzera, la Fraternità Sacerdotale San Pio X tiene a dichiarare la sua ferma risoluzione di continuare, con l’aiuto di Dio, la sua azione nella linea dottrinale e pratica tracciata dal suo venerato Fondatore, Monsignor Marcel Lefebvre. Camminando sui di lui passi nella battaglia per la difesa della fede cattolica, la Fraternità fa sue le critiche verso il Concilio Vaticano II e le sue riforme così come egli le ha espresse nelle sue conferenze e nelle sue omelie, in particolare nella dichiarazione del 21 novembre 1974: “Noi aderiamo con tutto il cuore, con tutta la nostra anima alla Roma cattolica, custode della fede cattolica e delle tradizioni necessarie alla conservazione di questa fede, alla Roma eterna, maestra di saggezza e di verità. Noi invece rifiutiamo e abbiamo sempre rifiutato di seguire la Roma di tendenza neo-modernista e neo-protestante che si è chiaramente manifestata nel Concilio Vaticano II e dopo il Concilio in tutte le riforme che ne sono derivate”» (Dichiarazione ufficiale della Fraternità diffusa alla fine del capitolo). Il giorno 10 marzo 2009 il papa Benedetto XVI, «motu proprio» ha tolto la scomunica senza chiedere alcun atto preventivo, creando così un «absurdum» giuridico: la Fraternità non è più scomunicata, ma non fa parte della Chiesa perché non continuano a professare le ragioni per cui è stata scomunicata. La confusione nella Chiesa è enorme.

10 Per questo schema riveduto e aggiornato da noi, cf Maertens T. –Frisque J., Guida dell’Assemblea Cristiana, vol. 7, Ellenici, Torino-Leumann 1970, 164-165.

11 In aramaico «talyà» significa sia «servo/servitore» che «bambino».

12 Nella cultura semitica, il «nome» indica la persona, cioè la sua natura profonda. Conoscere il «nome» significa possedere chi lo porta o identificarsi con esso, come qui. Nella creazione, Adam dà il «nome» agli animali esercitando su di essi un potere diretto (cf Gen 2,19-20), ma non dà il nome alla «donna» (cf Gen 2,21-22) che quindi nella volontà di Dio creatore è sottratta al potere maschile. Adam di fronte ad Eva può solo esprimere la sua meraviglia e il suo stupore (cf Gen 2,24).

13 Ancora una volta assistiamo alla divisione liturgica che spezzetta il testo con il centimetro, senza badare al contenuto e alla struttura letteraria: è il segno lampante che non basta essere specialisti in liturgia per scegliere le letture. Per capire il senso del brano di oggi abbiamo dovuto riportare sia il vangelo di domenica scorsa sia aggiungere i vv. 49-50 che sono stati eliminati, senza criterio.

14 «Sono convinto di avere a questo riguardo una responsabilità particolare, soprattutto nel constatare l’aspirazione ecumenica della maggior parte delle Comunità cristiane e ascoltando la domanda che mi è rivolta di trovare una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova. Per un millennio i cristiani erano uniti “dalla fraterna comunione della fede e della vita sacramentale, intervenendo per comune consenso la sede romana, qualora fossero sorti fra loro dissensi circa la fede o la disciplina” [cf Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sull’ecumenismo Unitatis redintegratio, 14]. In tal modo il primato esercitava la sua funzione di unità. Rivolgendomi al Patriarca ecumenico, Sua Santità Dimitrios I, ho detto di essere consapevole che “per delle ragioni molto diverse, e contro la volontà degli uni e degli altri, ciò che doveva essere un servizio ha potuto manifestarsi sotto una luce abbastanza diversa. Ma [...] è per il desiderio di obbedire veramente alla volontà di Cristo che io mi riconosco chiamato, come Vescovo di Roma, a esercitare tale ministero [...]. Lo Spirito Santo ci doni la sua luce, ed illumini tutti i pastori e i teologi delle nostre Chiese, affinché possiamo cercare, evidentemente insieme, le forme nelle quali questo ministero possa realizzare un servizio di amore riconosciuto dagli uni e dagli altri” [cf Omelia nella Basilica Vaticana alla presenza di Demetrio I, Arcivescovo di Costantinopoli e Patriarca ecumenico (6 dicembre 1987), 3: AAS 80 (1988), 714]» (Giovanni Paolo II, Ut unum sint, lettera enciclica 1995, n. 95).

15 «Questo Concilio Vaticano dichiara che la persona umana ha il diritto alla libertà religiosa. Il contenuto di una tale libertà è che gli esseri umani devono essere immuni dalla coercizione da parte dei singoli individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia potere umano, così che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità ad essa: privatamente o pubblicamente, in forma individuale o associata. Inoltre dichiara che il diritto alla libertà religiosa si fonda realmente sulla stessa dignità della persona umana quale l'hanno fatta conoscere la parola di Dio rivelata e la stessa ragione*. Questo diritto della persona umana alla libertà religiosa deve essere riconosciuto e sancito come diritto civile nell'ordinamento giuridico della società» (Concilio ecumenico Vaticano II, Dignitatis Humanae, dichiarazione, 7 dicembre 1965, n. 2); [*Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Pacem in Terris, 11 aprile 1963: AAS 55 (1963), pp. 260-261 [Dz 3961]; PIO XII, Messaggio radiofonico,Con sempre nuova freschezza, 24 dic. 1942: AAS 35 (1943), p. 19; PIO XI, Encicl. Mit brennender Sorge, 14 marzo 1937: AAS 29 (1937), p. 160; LEONE XIII, Encicl. Libertas praestantissimum, 20 giugno 1888: Acta Leonis XIII 8 (1888), pp. 237-238 [Dz 3250-51].2)

16 «Il nostro dovere non è soltanto custodire questo tesoro prezioso, come se ci preoccupassimo unicamente della antichità, ma di dedicarci con alacre volontà e senza timore a quell’opera che la nostra età esige, proseguendo così il cammino che la Chiesa compie da quasi venti secoli» (Giovanni XXIII, Discorso di apertura del concilio ecumenico Vaticano II, Gaudet Mater Ecclesia (11 ottobre 1962), in Enchiridion Vaticanum, vol. 1, Edizione Dehoniane, Bologna 19687, n. 53*.

17 Cf Dichiarazione del concilio ecumenico Vaticano II, Nostra Aetate (28 ottobre 1965) nn. 3-4, in Enchiridion Vaticanum, vol. 1, Edizione Dehoniane, Bologna 19687, 859-868.

18 L’arcivescovo di Genova, Angelo Bagnasco, nell’omelia dell’Eucaristia per l’inizio del suo ministero (24 ottobre 2006), nella cattedrale San Lorenzo ha detto: «Il Santo Padre ha affidato voi alle mie cure di Vescovo – questo è il mio dovere e, da oggi, il senso della mia vita -; ma – nello stesso tempo - a voi affida il Vescovo, in quel dinamismo fecondo che è proprio di una vera famiglia nella quale ognuno – nella fedeltà al proprio specifico compito – custodisce ed è custodito dagli altri, sostiene ed è sostenuto da tutti, serve ed è servito nell’amore» (Angelo Bagnasco, arcivescovo, Omelia, 2). Perché queste parole non siano parole vuote, di circostanza, è necessario che il vescovo «ubbidisca» al suo popolo se da questo vuole essere ubbidito, in un circuito dinamico di comunione e di corresponsabilità davanti a Dio nell’unica Chiesa.

19 In sinagoga, p. es, esercita il suo diritto di leggere la 2a lettura, tratta dai profeti, detta aftaràh, il cui significato forse è lettura che rende esenti, e che si leggeva dopo il brano/porzione/pericope, detto parashàh e tratto dalla Toràh, (cf Lc 4,16-21). L’aftaràh fu inventata dagli Ebrei durante l’esilio, quando era loro proibito di leggere la Toràh (il Pentateuco); essi trovarono il modo per commentare la Toràh, leggendo i Profeti.


 

 



Giovedμ 27 Settembre,2012 Ore: 17:21
 
 
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