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www.ildialogo.org Domenica 24<sup>a</sup> tempo ordinario – B – 16 settembre 2012 –,di Paolo Farinella, prete

Domenica 24a tempo ordinario – B – 16 settembre 2012 –

di Paolo Farinella, prete

Con la domenica 24a del tempo ordinario B, giungiamo ad una tappa fondamentale del vangelo di Marco già presentato come «vangelo dei catecumeni». Nella domenica 4a del tempo ordinario B, abbiamo scritto:

«Il percorso che ci propone Mc è semplice… Egli ci prende per mano e ci accompagna lungo un cammino di catecumenato facendoci assistere a quello che Gesù insegna e opera (= detti e fatti). Il vangelo di Mc è il primo incontro con il Signore e per questo si dice che è il vangelo dei catecumeni: coloro che si apprestano a diventare cristiani. La domanda che percorre il Vangelo è: Chi è Gesù? Se saremo catecumeni di Mc, passeremo di stupore in stupore e impareremo a conoscere sempre più profondamente Gesù di Nazareth che si rivela a noi Messia e Figlio di Dio. Mc ci aveva promesso il «Vangelo, cioè Gesù Cristo, cioè il Figlio di Dio» (1,1) e infatti ci ha condotti ad incontrare e a conoscere Gesù che con autorità parla e agisce1. La prima mèta di questo cammino catecumenale è Mc 8,29 nella città di Cesarea, là dove faremo la prima professione di fede insieme al discepolo Pietro: «Tu sei il Cristo». Anche noi con gli apostoli saremo discepoli di Gesù per giungere alla seconda mèta del nostro catecumenato che è Mc 15,39 sul Monte Calvario, la dove «vistolo spirare in quel modo, il centurione romano esclamò: Veramente quest’uomo era Figlio di Dio». Ai piedi della Croce, un pagano, il centurione che in quanto romano è rappresentativo dell’umanità intera, ci svela la vera personalità del Figlio di Maria (Mc 6,3): non è solo il «Vangelo», non è solo il «Cristo», egli è il «Figlio di Dio». Chi coglie la vera personalità di Gesù non è un discepolo, ma un pagano che ha appena assistito al miracolo per eccellenza: «vistolo morire in quel modo». Ecco il segreto della fede e di ogni catecumenato: noi incontriamo Dio solo se lo vediamo morire al modo di Dio, cioè senza rivendicazioni, senza recriminazioni, ma con amore e per amore, perdonando anche coloro che lo uccidono. Questo è Gesù, il Figlio di Dio. La mèta del catecumenato è la Croce, è là che ritroviamo la verità su noi, quella su Dio e la pace che ansio-samente cerchiamo. Ogni processo di fede che non porta alla Croce è una passeggiata nel parco pubblico».

La liturgia odierna ci trasferisce a Cesarea di Filippo2, tappa fondamentale per il cammino di fede: il catecumeno diventa discepolo, superando le opinioni della gente e disponendosi all’incontro con Gesù, Messia e Salvatore, la cui figura e personalità è descritta dal 3° canto di Ywhw riportato nella prima lettura (cf Is 50,4-9). Un discepolo del profeta Isaia, a distanza di un secolo (v. più sotto, introduzione alla 1a lettura), ci presenta la figura misteriosa del «Servo Sofferente», mettendoci sull’avviso che Gesù di Nàzaret è un Messia che viene in modo inimmaginabile: non è un Messia potente, «il Dio degli eserciti», ma un Messia provato, figlio della sofferenza e della persecuzione: un Messia scandaloso. Per questo è fedele fino in fondo perché confida nel Signore, affidandosi alla sua giustizia e alla sua difesa. Storicamente, dietro la figura del Servo probabilmente si fondono due personaggi: il popolo d’Israele come «personalità collettiva» e il profeta Geremia come individuo che bene esprimono la vocazione di Israele come «figlio primogenito» (personalità individuale: cf Es 4,22) e anche «popolo di Dio» (personalità collettiva). Gesù nei vangeli si riferisce al Servo sofferente una sola volta (cf Lc 22,37), ma la tradizione da sempre ha identificato la sua vita con quella di questo misterioso personaggio descritto da Isaia, fino al punto che la liturgia assume il 4° carme (cf Is 52,13-53,12) come descrittivo della morte espiatoria del Figlio di Dio, scegliendolo come lettura propria del Venerdì Santo3.

La seconda lettura ci porta dentro il cuore del dibattito della Chiesa primitiva, dove si confrontano due linee: quella di Paolo aperta la mondo futuro e alla novità della Pasqua cristiana e quella di Giacomo fissa sul passato e attenta alla tradizione mosaica. San Paolo vive una vita penosa perché è perseguitato dentro la Chiesa nel senso che non è accettato come «apostolo», ma il suo ministero è messo in dubbio e osteggiato specialmente dalla comunità di Gerusalemme, retta da Giacomo, a cui la nostra lettera si ispira (cf Gal 2,4-5). Paolo predica la libertà in Cristo superando il legalismo della circoncisione e dell’osservanza dei precetti che avevano trasformato il giudaismo in una pratica di religiosità materiale.

Forse in alcune comunità, come p. es. a Corinto, le parole di Paolo sono prese alla lettera, come scusa di un libertinaggio senza freno (cf 1Cor 6,1), fino al punto che in nome della libertà irresponsabile i cristiani di Corinto arrivano a vantarsi che uno di loro conviva come marito della propria matrigna (cf 1Cor 5,1-3). Paolo assente da Corinto, interviene drasticamente con la scomunica perché ciò che accade a Corinto non è lecito nemmeno tra le nazioni pagane (cf 1Cor 5,4-5). Forse è a questa tensione che vuole rispondere l’autore della lettera di Giacomo, mettendo in evidenza più le scelte concrete di vita che non i principi su cui esse si basano.

La fede non può limitarsi ad una dichiarazione d’intenti, ma deve diventare linfa che nutre la vita di ogni giorno verificata nelle scelte concrete. Possiamo dire in termini moderni che la religione si nutre di atteggiamenti, mentre la fede si nutre di vita. Per cogliere questa dimensione ci disponiamo a professare la nostra fede con Pietro e gli apostoli, verificando anche noi l’immagine e la conoscenza che abbiamo di Gesù. Lo facciamo prendendo a prestito le parole del sapiente d’Israele che ci aiuta ad affidarci allo Spirito Santo che con la sua luce e la sua forza illumina e sostiene. Antifona d’ingresso (cf Sir 36,18-19): Ricompensa coloro che perseverano in te, i tuoi profeti siano trovati degni di fede. Ascolta, Signore, la preghiera dei tuoi servi e del tuo popolo Israele.

Spirito santo, tu consacri il «servo» nell’obbedienza alla volontà di Dio, Veni, sancte Spiritus.

Spirito santo, tu sostieni la fedeltà fino al martirio del «servo di Yhwh», Veni, sancte Spiritus.

Spirito santo, tu rendi irrevocabile ogni decisione che riguarda la fede, Veni, sancte Spiritus.

Spirito santo, tu raccoglie sempre le invocazioni di quanti t’invocano, Veni, sancte Spiritus.

Spirito santo, tu spezzi le funi di morte che opprimono chi spera in te, Veni, sancte Spiritus.

Spirito santo, tu insegni a camminare alla presenza del Signore Dio, Veni, sancte Spiritus.

Spirito santo, tu sostieni giorno e notte chi invoca il nome del Signore , Veni, sancte Spiritus.

Spirito santo, tu illumini la vita con la fede e riempi questa con la vita, Veni, sancte Spiritus.

Spirito santo, tu animi e sostieni l’identità di Cristo professato nella fede, Veni, sancte Spiritus.

Spirito santo, tu formuli nel nostro cuore la domanda decisiva su Cristo, Veni, sancte Spiritus.

Spirito santo, tu sei la roccia su cui poggia la fede in Gesù Signore, Veni, sancte Spiritus.

Spirito santo, tu ci accompagni a perdere la vita sul vangelo per ritrovarla, Veni, sancte Spiritus.

Pietro a nome del gruppo dei Dodici dichiara apertamente la sua fede, distinguendosi dalle opinioni correnti e comuni: «Tu sei il Cristo» (Mc 8,29), ma immediatamente dopo cerca di distogliere il Messia dal suo compito: «[Pietro] si mise a rimproverarlo» (Mc 8,32), perdendo la sua identità di discepolo per assumere quella di «satana» (Mc 8,33): tu sei Cristo/tu sei satana. Pietro vuole un Messia a sua immagine e la sua fede si ferma alle apparenze o alle convenienze. Ogni volta che la Chiesa sostituisce la via della croce di Cristo con altri percorsi di compromesso con la sapienza del mondo, magari per avere vantaggi immediati, diventa «satana» ed è di ostacolo al vangelo perché pensa secondo gli uomini e non secondo Dio (cf Mc 8,33).

Vogliamo entrare nella dinamica del pensiero di Dio e lasciarci sedurre dalla sua volontà perché ci educhi a pensare come il Figlio/Servo per essere testimoni credibili ed audaci. Lo facciamo portando nel cuore l’anelito di verità e di amore che c’è nell’umanità tutta e in ciascuno di noi,

(ebraico)

Beshèm

ha’av

vehaBèn

veRuàch

haKodèsh.

Amen.

(italiano)

Nel Nome

del Padre

e del Figlio

e dello Spirito

Santo.

Se guardiamo al mondo che ci circonda e a quello che osserviamo più lontano, non possiamo non prendere atto che un mare di sofferenza e di morte annega l’umanità intera. Si direbbe che la morte è l’obiettivo «scientifico» perseguito con costanza e fermezza: tutto ruota intorno alla morte e al suo mercato di armi che consumano ingenti risorse che potrebbero essere destinate allo sviluppo e alla pace. La guerra a sua volta spinge i figli più poveri ad emigrare in occidente che però li respinge e li lascia morire in mare, contravvenendo così ad ogni etica e principio di diritto. In questo abisso di sofferenza, Cristo si è sepolto nella figura del Servo, che diventa così la sua premessa e il suo anticipo. Chiediamo perdono al Signore per tutte le volte che diventiamo complici di questo mondo ingiusto che vive e prospera sulla miseria e sulla morte dei poveri e degli ultimi. Chiediamo di essere partecipi della croce di Cristo, facendoci cirenei di quanti hanno bisogno nel mondo e accanto a noi.

Signore, per tutte le volte che ci lamentiamo per i nostri piccoli contrattempi, Kyrie, elèison.

Cristo, che per fedeltà al Padre non ti sei sottratto al dolore e alla persecuzione, Christe, elèison.

Signore, che ti sei identificato nei poveri e negli emarginati di ogni tempo, Pnèuma, elèison.

Cristo, che esigi la fede in te come testimonianza e condivisione di vita, Christe, elèison.

Dio onnipotente che nel Servo Sofferente e nel profeta Geremia ci ha dato l’immagine anticipata del Cristo Crocifisso, abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna. Amen.

GLORIA A DIO NELL’ALTO DEI CIELI e pace in terra agli uomini di buona volontà. Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti adoriamo, ti glorifichiamo, ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa, Signore Dio, Re del cielo, Dio Padre onnipotente [breve pausa 1-2-3]

Signore, Figlio Unigenito, Gesù Cristo, Signore Dio, Agnello di Dio, Figlio del padre: tu che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi; tu che togli i peccati del mondo, accogli la nostra supplica; tu che siedi alla destra del Padre, abbi pietà di noi. [breve pausa 1-2-3]

Perché tu solo il Santo, tu solo il Signore, tu solo l’Altissimo: [breve pausa 1-2-3]

Gesù Cristo con lo Spirito Santo, nella gloria di Dio Padre. Amen.

Preghiamo (colletta). O Padre, conforto dei poveri e dei sofferenti, non abbandonarci nella nostra miseria: il tuo Spirito Santo ci aiuti a credere con il cuore, e a confessare con le opere che Gesù è il Cristo, per vivere secondo la sua parola e il suo esempio, certi di salvare la nostra vita solo quando avremo il coraggio di perderla. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, Servo Sofferente che vive con te nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

LITURGIA DELLA PAROLA

Prima lettura Is 50,5-9a. Il profeta Isaia vive nel sec. VIII a. C. Un secolo più tardi, una scuola di pensiero che approfondisce e sviluppa il suo insegnamento descrive un misterioso «servo di Dio» in quattro poemetti4 che probabilmente hanno come modello sia Israele come popolo sia la vita sofferente e perseguitata del profeta Geremia, icona del popolo oppresso. Il termine «servo» (ebr.: èbed,) nella Bibbia è un titolo onorifico, riservato a colui che rappresenta un sovrano. Il profeta che parla in nome di Dio è il suo «servo» per eccellenza. La chiesa primitiva vi ha intravisto la figura del Cristo che, colpito e crocifisso, offre la sua vita in espiazione dell’umanità. Nel 3° poemetto, proposto oggi, leggiamo il programma del metodo non-violento del «Servo» di fronte alla violenza che lo circonda e sovrasta: sembra un fallimento agli occhi dei violenti, ma davanti a Dio è la vittoria dell’amore incondizionato. Per noi oggi la figura del «Servo» è Gesù che si fa «obbediente fino alla morte e alla morte di croce» (Fil 2,7-8), anche per noi, qui e adesso, attraverso l’Eucaristia.

Dal libro del profeta Isaia Is 50,5-9a

5Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro. 6Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi. 7Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso. 8È vicino chi mi rende giustizia: chi oserà venire a contesa con me? Affrontiamoci. Chi mi accusa? Si avvicini a me. 9aEcco, il Signore Dio mi assiste: chi mi dichiarerà colpevole? - Parola di Dio.

Salmo responsoriale 116 [114-115], 1-2; 3-4; 5-6; 8-9. Salmo di ringraziamento dopo la salvezza da un pericolo grave. La parte riportata nella liturgia (vv. 1-9) ci presenta il salmista nel tempio che «racconta» al Signore la sua angoscia (vv. 1-4) per poi passare ad esaltare la bontà divina che lo ha soccorso (vv. 5-8). La parte che manca nella liturgia invece riguarda la fiducia che l’orante ripone in Dio (vv. 10-14) a cui corrisponde la benevolenza di Dio (vv. 15-19) che risponde con il suo aiuto. Il salmo, unico nel testo ebraico, e diviso in due dalla Bibbia greca, detta la Lxx e dalla Bibbia latina di san Girolamo. La nostra liberazione dall’angoscia nasce dalla Pasqua di risurrezione che ci apre sempre alla dimensione della speranza cristiana che predispone il nostro cuore «a raccontare» le sue gioie e i suoi dolori al Signore della Pace.

Rit. Camminerò alla presenza del Signore nella terra dei viventi.

1. 1Amo il Signore, perché ascolta
il grido della mia preghiera.
2Verso di me ha teso l’orecchio
nel giorno in cui lo invocavo. Rit.

2 . 3Mi stringevano funi di morte,
ero preso nei lacci degli inferi,
4ero preso da tristezza e angoscia.
Allora ho invocato il nome del Signore:
«Ti prego, liberami, Signore». Rit.

3. 5Pietoso e giusto è il Signore,
il nostro Dio è misericordioso.
6Il Signore protegge i piccoli:
ero misero ed egli mi ha salvato. Rit.

4 . 8Sì, hai liberato la mia vita dalla morte,
i miei occhi dalle lacrime,
i miei piedi dalla caduta.
9Io camminerò alla presenza del Signore
nella terra dei viventi. Rit.

Seconda lettura Gc 2,14-18. Forse è il passo più importante delle lettera di Gc. Certamente è quello che ha fatto discutere di più mettendo in evidenza la tensione tra fede ed opere che Lutero risolse strappando la lettera e affermando la necessità della sola fede come fondamento della giustificazione in base a Gal 3,11 che afferma: «il giusto vivrà per la fede». E’ innegabile che in questo rapporto tra fede ed opere Gc si trova su posizioni opposte a quelle di Paolo. Forse Gc vuole rispondere agli abusi che si verificavano in qualche comunità come, p. es., Corinto che usava le affermazioni di Paolo come pretesto di una libertà senza limiti. Anche da prospettive diverse, Paolo aperto al nuovo e Giacomo ancorato all’antico sono ambedue «servi» del Vangelo. Per noi non esistono questi problemi perché sappiamo che credere è compiere l’opera del Padre che è il Signore Gesù, il pane disceso dal cielo (cf Gv 6,29).

Dalla lettera di Giacomo apostolo 2,14-18

14A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha opere? Quella fede può forse salvarlo?
15Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano 16e uno di voi dice loro: «Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi», ma non date loro il necessario per il corpo, a che cosa serve? 17Così anche la fede: se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta. 18Al contrario uno potrebbe dire: «Tu hai la fede e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, e io con le mie opere ti mostrerò la mia fede». - Parola di Dio.

Vangelo Mc 8,27-35. Il brano di oggi è il punto di arrivo nel cammino del catecumeno che il vangelo di Marco si propone di accompagnare fino alla maturità della fede che si avrà nell’ultima tappa ai piedi della croce, quando un pagano, il centurione, ci rivelerà la vera natura di Gesù crocifisso: «Veramente quest’uomo era il Figlio di Dio» (15,39). In questa tappa intermedia con la dichiarazione di Pietro: «Tu sei il Cristo» (Mc 8,29), entriamo nella dinamica della speranza d’Israele e riconosciamo in Gesù il Messia che raduna il popolo liberato. Fino ad ora Gesù ha imposto il silenzio sulla sua natura messianica, adesso invece esige una dichiarazione ufficiale da parte dei suoi discepoli:«ma voi chi dite che io sia» (Mc 8,29). La fede non è condivisione di opinioni, ma comunione di vita e di vita piena. Quel Pietro che proclama «Tu sei il Cristo» (Mc 8,29) è lo stesso che quattro versetti dopo è chiamato da Cristo «Satana» (Mc 8,33) perché il suo pensiero sul Messia non corrisponde al pensiero di Dio. Se la fede non è incarnata nella vita, diventa solo religione di comodo. Anche noi oggi non possiamo sfuggire alla domanda: Ma tu chi dici che io sia? chi sono io per te?

Canto al Vangelo Cf. Gal 6,14

Alleluia. Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore, / per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, / come io per il mondo. Alleluia.

Dal Vangelo secondo Marco Mc 8,27-35

In quel tempo, 27Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». 28Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa e altri uno dei profeti». 29Ed egli domandava loro: «Ma5 voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». 30E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno. 31E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. 32Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. 33Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini». 34Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. 35Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà». - Parola del Signore.

Tracce di omelia

Nella domenica 21a del tempo ordinario del ciclo A celebrata lo scorso anno, abbiamo commentato il brano di Mt 16,13-23, passo parallelo al vangelo odierno, che riporta quello che comunemente viene chiamato «il primato di Pietro». Il brano di Mc è più originale perché più primitivo, mentre quello di Mt è più articolato teologicamente e adattato alle esigenze catechistiche del primo evangelista. Per una riflessione più puntuale del senso del brano rimandiamo pertanto all’omelia di quella domenica. Oggi ci limitiamo a sottolineare gli aspetti essenziali del vangelo di Mc da cui anche Mt dipende.

Nell’introduzione abbiamo anticipato che siamo ad un punto cruciale del cammino di fede: da catecumeni che hanno sperimentato con stupore ed emozione «le parole e le azioni» di Gesù, diventiamo discepoli, cioè instauriamo un rapporto d’intimità e di confidenza che introduce ad un aspetto più profondo della vera personalità di Gesù. Quando abbiamo iniziato il nostro cammino catecumenale con Mc non sapevamo nulla di Gesù. Oggi sostiamo a Cesarea per una tappa importante: riconosciamo che Gesù è «il Cristo». Questo titolo rivela una «cristologia bassa», ancora nell’ambito giudaico, perché si riferisce all’attesa messianica di Israele che vede nel Messia non necessariamente il Figlio di Dio e Dio egli stesso. Il Messia/Cristo6 è un inviato da Dio sulla linea di Mosè e dei profeti, certamente superiore ad essi, ma sempre un essere umano.

Gesù stesso sonda il terreno per vedere dove si situa la consapevolezza degli apostoli. Il metodo di Gesù è circolare, parte da lontano per giungere al loro cuore e per fare loro accettare la sua vera identità di Messia sofferente. Gesù non si lascia mai imprigionare dalle folle, di cui conosce la psicologia e la fragilità, ma va dritto all’essenza delle cose. Egli, ancora in territorio pagano, viaggia per villaggi andando alla ricerca delle persone, non aspettando che esse vengano a cercarlo, come era costume dei rabbini dell’epoca. Lungo il cammino interroga i suoi discepoli, chiedendo loro di riferire l’opinione che la gente si è fatta di lui come «Rabbi itinerante». E’ il primo sondaggio di cui abbiamo documentazione. Forse Gesù sta facendo un bilancio a medio termine e vuole verificare l’efficacia del suo operato e della sua predicazione. Gli apostoli riferiscono correttamente le «opinioni» che non sono univoche: non c’è da stare allegri, nonostante gli stupori, nonostante i miracoli, nonostante la moltiplicazione del pane, attorno a Gesù regna una grande confusione.

Nota teologica. All’inizio del terzo millennio, la confusione regna anche nella Chiesa dove pullulano gruppi e gruppetti, ciascuno con la pretesa esclusiva di rappresentare il «vero cristianesimo», ma inevitabilmente tutti finiscono per avere una visione ideologica della fede e di Gesù. Opus Dei, Comunione e liberazione, Neocatecumenali, Rinnovamento dello Spirito, Milites Christi, Legionari di Cristo, Legio Mariae, e, al di sopra di tutti, Lefebvriani. Tutti costoro danno la sensazione che «interpretano» il messaggio evangelico alla luce del loro ideale e non il contrario. Con linguaggio esegetico si direbbe che fanno «eis-egesi», cioè immettono «dentro» il loro contenuto e stirano la Parola di Dio a supporto della loro ideologia. Non è un caso che nessuno di questi gruppi, che di fatto hanno occupato la «chiesa come struttura», non hanno alla loro base una esegesi fondata, ma si accontentano di una rilettura «spirituale» dei testi biblici, secondo le loro necessità e bisogni. Essi diffondono una immagine di Gesù o edulcorata, o disincarnata o talmente spiritualizzata da farla diventare evanescente. Per loro sono più importanti regole, forme, principi, strutture, dominio spirituale delle persone. Solo la scuola della Parola di Dio, ascoltata senza preclusioni e senza condizionamenti, ci aiuta a scoprire il volto di Dio, a farcene innamorare e a incontrarlo. L’Eucaristia è uno di questi momenti, non l’unico, dove eccelle l’aspetto della fede che si chiama «relazione».

Cosa pensa la gente? «Giovanni il Battista; altri dicono Elia e altri uno dei profeti» (Mc 8,28). I personaggi ricordati dalla folla hanno una caratteristica comune: sono tutte persone morte: il Battista, Elia e i profeti. Tutti morti. La folla non respira il presente e non è in grado di guardare la futuro. Gesù ha appena sfamato una folla immensa, ha anche conservato le riserve di pane, preoccupandosi per le generazioni future e la mitica «gente» parla di lui come di un «morto»: è uno dei tanti che ha fatto del bene, un uomo del passato che passa a sua volta. E’ il fallimento totale del giovani Rabbi. A questo punto Gesù cambia atteggiamento e intervista i suoi discepoli per sapere se anch’essi si trovano sulla stessa lunghezza della folla. Tutti e tre i Sinottici riportano lo stesso testo: «Ma voi, chi dite che io sia?» (Mc 8,29; Mt 16,15; Lc 9,20), traducendo correttamente il greco, perché nella domanda bisogna mettere in evidenza la preposizione avversativa «ma» (v. più sopra nota Errore: sorgente del riferimento non trovata). L’intento di Gesù, infatti, è quello di verificare se c’è contrapposizione tra l’opinione della folla e la consapevolezza degli apostoli. L’importanza di un «ma».

Nella nostra vita manca un «ma», cioè la collocazione sul versante della fede consapevole contrapposta alle seduzioni del mondo che si presentano sempre come opinioni rispettabili di collaborazione. Occorre il discernimento, specialmente nel rapporto con il potere politico ed economico che, cercheranno sempre di avere la «Chiesa» dalla loro parte e si dichiareranno alleati, mentre in realtà sviliscono il cuore della fede per ridurlo ad un mero ornamento di «valore sociale» funzionale all’esercizio del potere stesso. Il vangelo è alternativo alla logica del mondo, dominata dall’esercizio del potere fine a se stesso. Quando la Chiesa rinuncia al suo «ma» per collocarsi nelle confortevoli garanzie che offrono i potenti di turno, diventa «satana» e rinnega la fede nel Cristo. Qual è il mio «ma»? «Ma io chi dico che sia il Cristo»?

La risposta di Pietro non è ancora la fede nel Figlio di Dio come invece dirà Matteo (cf Mt 16,16), ma è l’inizio di una fede in cammino: egli riconosce il Messia, cioè il restauratore d’Israele. Pietro a differenza della gente non vede un «uomo del passato», morto tra i morti, ma vede una prospettiva futura, il progetto di liberazione sulla linea della discendenza davidica. La contrapposizione è grande! Sulla bocca di un Ebreo, al tempo di Gesù, l’espressione «Tu sei il Cristo!», diventa una espressione dirompente perché non solo compie un’attesa che viene dal passato, ma si proietta tutta nell’avvenire ed afferma una speranza, anzi «la Speranza d’Israele (cf Ger 14,8; At 28,20). Di fronte allo svelamento parziale della sua personalità che Matteo non esiterà a dichiarare come ispirata dal Padre (cf Mt 16,17), Gesù impone il silenzio che non è un semplice «tacere», ma un criterio di discernimento: saranno gli eventi della croce a svelare definitivamente la vera e piena personalità di Gesù con le parole del centurione pagano: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio» (Mc 15,39). Impariamo così che due sono i luoghi dove si manifesta la volontà del Padre: la Parola di Dio e gli avvenimenti della vita. Parola e fatto7. Il silenzio è necessario per entrare più profondamente nel mistero della personalità di Gesù che Pietro ha appena intuito.

Il Messia atteso dai Giudei è un Messia solenne, di stirpe sacerdotale, secondo alcuni e di stirpe regale secondo altri. Sacerdote e laico. Il Messia, per così dire, laico sarebbe arrivato a dorso di un cavallo e tutti lo avrebbero riconosciuto perché con lui sarebbe iniziata la riscossa contro l’invasore romano per restituire di nuovo la libertà al popolo eletto. Gesù esige il silenzio perché non si può parlare di sofferenza, di emarginazione e di morte nel chiasso e nel frastuono. Le dimensioni profonde della vita si ascoltano con la piena attenzione del cuore, in quel vortice di comunicazione che è il silenzio d’amore. Ancora di più è necessario il silenzio per parlare di risurrezione.

Gesù esige il silenzio «verso» gli altri, ma agli apostoli parla apertamente (cf Mc 8,32): si rivela nella sua intima identità che solo la croce e il cammino che la precede potrà svelare appieno. Il Messia di Pietro è molto diverso dal Messia di Gesù. Pietro infatti chiede a Cristo di rinnegare la sua missione e se stesso, addirittura «lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo» (Mc 8,32), come se volesse proteggerlo dall’incomprensione degli altri e per garantirgli la sua solidarietà. In un certo senso: si comporta come un genitore nei confronti di un figlio irresponsabile, rimproverandolo, per fargli capire «il senso della vita». Non sa che, da lì a poco, sarà proprio lui a rinnegarlo senza alcuna resistenza (cf Mc 14,66-72). Gesù reagisce con veemenza e durezza e gli cambia ancora una volta nome: lo chiama «satana» (cf Mc 8,33) cioè con il nome del nemico proprio di Dio, colui che distoglie sempre dal progetto di salvezza. Lo aveva chiamato «Pietro» (cf Mt 16,18) ponendo la sua fede come «roccia» di sostegno per la fragile fede degli altri e ora lo ribattezza «satana», l’oppositore, il nemico (in ebraico: satàn); colui che divide, disarticola, confonde, separa (in greco: diàbolos). E’ necessario non perdere mai il discernimento sulla propria concezione di Dio perché apparentemente crediamo di pensare in sintonia di Dio, mentre invece potremmo stare semplicemente dalla parte della nostra pigrizia e della nostra presunzione: «tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini» (Mc 8,33).

A questo punto avviene qualcosa di insolito: Gesù convoca «la folla insieme ai suoi discepoli» (Mc 8,34), contrariamente a quanto aveva fatto prima che aveva imposto il silenzio nei confronti della folla, mentre ai discepoli parlava apertamente. Sembra che chiamando «insieme» folla e discepoli, Gesù voglia dire che gli uni e gli altri, in misura diversa, sono fuori strada e infatti indica la «sua» via, quella che sarà obbligatoria per chiunque vorrà seguirlo con sincerità: il metodo della croce che porta alla «metànoia – conversione» definitiva: presumere di salvarsi significa perdersi, mentre abbandonare la propria vita e darla come regalo d’amore significa ritrovarsi salvi, anche oltre la morte, oltre le apparenze: «dopo tre giorni» la risurrezione. Non c’è libertà più grande di chi regala la propria libertà ad un altro, diventando «servo per amore» che è il punto di arrivo del vangelo..

Il metodo della croce non significa la ricerca della sofferenza e del dolore in se stessi come strumenti essenziali della fede: essi sono già abbondantemente presenti nella vita di ogni giorno per aggiungerne altri di propria iniziativa. Una certa ascesi «materialista» ha visto nella mortificazione e nella sofferenza la via maestra per incontrare Dio, mentre al contrario ha creato spesso persone squilibrate che hanno confuso le loro manie e i loro problemi irrisolti con la fede e le sue esigenze. Dio è Padre e non vuole la sofferenza dei figli e non li castiga come un sadico; ma quando la sofferenza giunge inevitabile, egli da Padre è già lì, pronto ad accogliere, proteggere e curare. Dio ama i suoi figli e vuole che siano felici.

Il metodo della croce è semplicemente l’applicazione fino in fondo del criterio della verità: essere se stessi sempre, senza mai barare, senza mai tradire, senza mai venire meno alla propria vocazione e al proprio progetto di vita che non può essere diverso da quello di Dio perché è lui che ci ha fatti a sua immagine. Vivere alla luce della croce significa cercare la profondità della propria coscienza e offrila a Dio come dono gratuito. Anche se ci sentiamo indegni, inadatti e peccatori, dobbiamo non dimenticare mai che è con questo materiale pregiato che Dio costruisce il Regno suo (cf 1Cor 1,27-29). Prendere la croce significa riconoscere che Gesù è il Figlio di Dio, il «Signore» della nostra vita e della nostra libertà, che ci chiama ad essere figli; significa volerlo imitare nel suo rapporto con il Padre e nelle sue relazioni con le persone; significa considerare la propria vita non come fine assoluto, ma come campo dove noi insieme con Dio possiamo combattere la battaglia dell’amore che sul trono regale della croce trova il suo esito e il suo senso8.

Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili.

[Pausa: 1-2-3]


Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli. Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero; generato, non creato; della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo; e per opera dello Spirito Santo si é incarnato nel seno della Vergine Maria e si é fatto uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto. Il terzo giorno é risuscitato, secondo le Scritture; é salito al cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine. [Pausa: 1-2-3]

Credo nello Spirito Santo, che é Signore e da la vita, e procede dal Padre e dal Figlio e con il Padre e il Figlio é adorato e glorificato e ha parlato per mezzo dei profeti. [Pausa: 1-2-3]

Credo la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica. Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati. Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Amen.

Preghiera dei fedeli [libera]

LITURGIA EUCARISTICA

Presentazione delle offerte e pace. Entriamo nel Santo dei Santi presentando i doni, ma prima, lasciamo la nostra offerta e offriamo la nostra riconciliazione e concediamo il nostro perdono, senza condizioni, senza ragionamenti, senza nulla in cambio: lasciamo che questa notte trasformi il nostro cuore, fidandoci e affidandoci reciprocamente come insegna il vangelo:

«Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono» (Mt 5,23-24),

Solo così possiamo essere degni di presentare le offerte e fare un’offerta di condivisione. Riconciliamoci tra di noi con un gesto o un bacio di Pace perché l’annuncio degli angeli non sia vano.

Scambiamoci un vero e autentico gesto di pace nel Nome del Dio della Pace.

[La benedizione sul pane e sul vino è tratta dal rituale ebraico]

Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo; dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane e questo vino, frutto della terra, della vite e del lavoro dell’uomo e della donna; lo presentiamo a te, perché diventi per noi cibo di vita eterna. Benedetto nei secoli il Signore.

Preghiamo perché il nostro sacrificio sia gradito a Dio, Padre onnipotente.

Il Signore riceva dalle tue mani questo sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa.

Preghiamo (sulle offerte). Accogli con bontà, Signore, i doni e le preghiere del tuo popolo, e ciò che ognuno offre in tuo onore giovi alla salvezza di tutti. Per Cristo nostro Signore. Amen.

PREGHIERA EUCARISTICA

[Messa dei Fanciulli I]

Il Signore sia con voi. E con il tuo spirito. In alto i nostri cuori. Sono rivolti al Signore.

Rendiamo grazie al Signore nostro Dio. E’ cosa buona e giusta.

O Dio, nostro Padre, tu ci dai la gioia di riunirci nella tua Chiesa per dirti il nostro grazie con Cristo Gesù nostro salvatore. Nel battesimo di Cristo al Giordano tu hai operato segni prodigiosi per manifestare il mistero del nuovo lavacro.

Dice il Servo del Signore: «Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro» (cf Is 50,5).

Tu dal cielo hai fatto udire la tua voce, perché il mondo credesse che il tuo Verbo era in mezzo a noi;

Hai mandato a noi il Figlio, tuo Servo, a presiedere la nostra Eucaristia con cui ci assisti e noi sappiamo di non restare delusi (cf Is 50,7).

Tu con lo Spirito che si posava su di lui come colomba hai consacrato il tuo servo con unzione sacerdotale, profetica e regale, perché gli uomini riconoscessero in lui il Messia, inviato a portare ai poveri il gioioso annunzio di liberazione.

Egli offriva se stesso, presentando il dorso ai flagellatori, la guancia a coloro che gli strappavano la barba; e non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi (cf Is 50,6).

Per questi doni del tuo amore ti rendiamo grazie, o Padre, e uniti agli angeli, ai santi e alle sante del cielo e della terra, proclamiamo la tua gloria:

Santo, Santo, Santo, il Signore Dio dell’universo. I cieli e la terra sono pieni della Tua gloria.

Sia benedetto Gesù Cristo, tuo Figlio, che ci hai mandato, amico dei piccoli e dei poveri. Egli ci ha insegnato ad amare te, nostro Padre, e ad amarci tra noi come fratelli.

Il signore ascolta il grido della preghiera; egli protegge i piccoli e i miseri e li salva (cf Sal 116 [114-115],1.6).

E’ venuto a togliere il peccato, il male che allontana gli uomini da te e li rende cattivi e infelici. Ci ha promesso il dono dello Spirito Santo che rimane sempre con noi perché viviamo come tuoi figli.

Benedetto, nel nome del Signore, colui che viene. Osanna nell’alto dei cieli. Kyrie, elèison. Christe, elèison.

Ora ti preghiamo: Dio nostro Padre, manda il tuo Santo Spirito, perché questo pane e questo vino diventino il corpo e il sangue di Gesù Cristo, nostro Signore.

Egli è l’opera della nostra fede, che noi riconosciamo e crediamo nella santa Assemblea, alla quale oggi il tuo Spirito ci ha convocato (cf Gc 2,14).

Prima della sua morte sulla croce, egli ci lasciò il segno più grande del suo amore: nell’ultima cena con i Suoi discepoli, prese il pane e rese grazie, lo spezzò, lo diede loro e disse: Prendete, e mangiatene tutti: questo e’ il mio corpo offerto in sacrificio per voi.

Tu sei il Cristo, il Messia atteso da Israele, lo Sposo della santa Chiesa.

Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese il calice del vino e rese grazie, lo diede ai suoi discepoli e disse: Prendete e bevetene tutti: questo e’ il calice del mio sangue per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti In remissione dei peccati.

Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente, nostro redentore e creatore.

Poi disse loro: Fate questo in memoria di me.

«Ascolta, Israele! Il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le tue forze» (Dt 6,4-5).

Noi ricordiamo, o Padre, il tuo Figlio Gesù, morto, risor­to, salvatore del mondo. Egli in questo giorno santo si offre nelle nostre mani e noi lo accogliamo e l’offriamo a te nostro sacrificio di riconciliazione e di pace.

Egli ci interroga come fece con i suoi discepoli e ci chiede: « La gente chi dice che io sia?». E noi gli rispondiamo: «Giovanni il Battista; altri dicono Elia ed altri uno dei profeti» (Mr 8,27).

Ascolta, o Padre, la nostra preghiera e dona lo Spirito del tuo amore a tutti quelli che partecipano alla tua mensa; fa che diventino un cuor solo e un’anima sola nella tua Chiesa, con il papa …, il vescovo …, con tutta la Chiesa e con coloro che lavorano per il bene dei popoli e il loro incontro.

Ma egli replica a noi: «Ma voi chi dite che io sia?». Con Pietro rispondiamo: «Tu sei il Cristo» (Mc 8,29).

Benedici e proteggi, o Padre, le nostre famiglie, i nostri amici, coloro ai quali abbiamo promesso di ricordare e anche quelli con i quali abbiamo problemi di relazione… Aiutaci ad essere testimoni credibili. Ricordati dei nostri morti … che sono viventi in te e presenti a noi: prendili con te nella tua casa.

Il Signore Gesù ci indica la via: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mc 8,34).

Padre santo, concedi a noi tuoi figli di venire un giorno a te nella festa eterna del tuo Regno con la beata Vergine Maria, Madre di Dio e Madre nostra, con tutti gli amici di Gesù canteremo per sempre la tua gloria.

Sull’esempio di Gesù, non vogliamo salvare la nostra vita per perderla, ma vogliamo perderla per causa sua e del vangelo al fine di salverà (Mc 8,35).

PER CRISTO, CON CRISTO E IN CRISTO, A TE, DIO PADRE ONNIPO­TENTE, NELL’UNITÀ DELLO SPIRITO SANTO, OGNI ONORE E GLORIA. PER TUTTI I SECOLI DEI SECOLI. AMEN.

Padre nostro in aramaico: Idealmente riuniti con gli Apostoli sul Monte degli Ulivi, preghiamo, dicendo:

Padre nostro che sei nei cieli

Avunà di bishmaià

sia santificato il tuo nome

itkaddàsh shemàch

venga il tuo regno

tettè malkuttàch

sia fatta la tua volontà

tit‛abed re‛utach

come in cielo così in terra

kedì bishmaià ken bear‛a.

Dacci oggi il nostro pane quotidiano

Lachmàna av làna sekùm iom beiomàh

e rimetti a noi i nostri debiti

ushevùk làna chobaienà

come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori

kedì af anachnà shevaknà lechayabaienà

e non abbandonarci alla tentazione

veal ta‛alìna lenisiòn

ma liberaci dal male.

ellà pezèna min beishià. Amen!

Antifona alla comunione (Mc 8,29): «“Ma voi, chi dite che io sia?”. “Tu sei il Cristo”» rispose Pietro a Gesù.

Dopo la comunione

Da: Teresa di Calcutta, Nel cuore del mondo).

Ama la vita così com’è / Amala pienamente, senza pretese; / amala quando ti amano o quando ti odiano, / amala quando nessuno ti capisce, / o quando tutti ti comprendono. // Amala quando tutti ti abbandonano, / o quando ti esaltano come un re. / Amala quando ti rubano tutto, / o quando te lo regalano. / Amala quando ha senso / o quando sembra non averlo nemmeno un po’. // Amala nella piena felicità, / o nella solitudine assoluta. / Amala quando sei forte, / o quando ti senti debole. / Amala quando hai paura, / o quando hai una montagna di coraggio. / Amala non soltanto per i grandi piaceri / e le enormi soddisfazioni; / amala anche per le piccolissime gioie. // Amala seppure non ti dà ciò che potrebbe, / amala anche se non è come la vorresti. / Amala ogni volta che nasci / ed ogni volta che stai per morire. / Ma non amare mai senza amore. // Non vivere mai senza vita!

Preghiamo: La potenza di questo sacramento, o Padre, ci pervada corpo e anima, perché non prevalga in noi il nostro sentimento, ma l’azione del tuo santo Spirito. Per Cristo nostro Signore. Amen.

Il Signore è con voi. E con il tuo spirito.

Sia benedetto Dio che ci ha convocati alla santa Eucaristia. Benedetto sei tu, Signore!

Sia benedetto il Signore, Servo di Yhwh che dona la vita. Benedetto sei tu, Servo del Signore!

Sia benedetto il Signore, l’opera della fede che salva il mondo, Benedetto sei tu, Gesù, opera del Padre!

Sia benedetto il Signore, il Messia atteso dal popolo Israele. Benedetto sei tu, Sposo della santa Chiesa!

E la benedizione dell’onnipotente tenerezza del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, discenda su di voi

e con voi rimanga sempre. Tu sei l’Alfa e l’Omèga, Principio e Fine. Amen.

La messa finisce come lode, continua come storia e testimonianza della Speranza che è in noi.

Andiamo in Pace. Rendiamo grazie a Dio.

_________________________

Domenica 24a del tempo ordinario – B – Parrocchia di S. M. Immacolata e S. Torpete

© Nota: L’uso di questi commenti è consentito citandone la fonte bibliografica

Paolo Farinella, prete – 16-09-2012 – San Torpete, Genova

NOTE

1 Per l’esegesi di Mc 1,1 e sul significato di «vangelo» cf 2a dom. di Avvento B, Omelia che riportiamo per comodità: «Mc è il primo degli evangelisti, colui che inventa il genere letterario «vangelo» e da cui dipendono sia MT che Lc, i quali prendono a modello la struttura di Mc. Mc scrive a cavallo dell’anno 70 d.C., anno della distruzione del Tempio e di Gerusalemme. IL suo vangelo ha uno schema semplice: un prologo costituito da un trittico (Giovanni Battista, battesimo e tentazioni) cui segue la descrizione dell’attività di Gesù (parole e fatti), il racconto della Passione e Morte che culmina con la risurrezione. Il vangelo che non ha conclusione è destinato a coloro che non conoscono Gesù, quindi ai catecumeni. E’ un vangelo adatto ai bambini perché la figura di Gesù è sempre in movimento, affascinante e attraente ed è per questo che fa da filigrana nel catechismo dei bambini Io sono con voi (anni 6-8). Il v. 1 di Mc è quasi un titolo di tutto il vangelo come opera e probabilmente è stato aggiunto in epoca successiva, quando i quattro vangeli furono raccolti insieme, però il testo così com’è è attestato anche da due codici antichi: il Vaticano B e l’Alessandrino Aleph del sec. IV. Tutte le Bibbie traducono: «Inizio del vangelo di Gesù Cristo, figlio di Dio», dove in greco si dice «archê/principio» che ha un valore più profondo del semplice «inizio»: questo è relativo alla temporalità, quello con il fondamento, la radice. E’ come il «principio» all’inizio della Genesi con il quale l’autore non vuole descrivere il «momento» iniziale della creazione, ma la sua radicale fondazione nell’azione di Dio (cf Gen 1,1). Oppure è simile al «principio» del prologo di Giovanni dove con chiarezza non indica il momento iniziale, ma l’ «origine» del Lògos (cf Gv 1,1). In Mc 1,1 1 vi sono tre genitivi di cui il primo è normale, un genitivo di specificazione, mentre gli ultimi due sono, tecnicamente, due genitivi epesegetici perché non specificano, ma spiegano, chiariscono, allargano il senso del termine precedente e quindi possono, anzi debbono essere tradotti con «cioè»: «Principio del Vangelo, cioè Gesù Cristo, cioè Figlio di Dio». Così apprendiamo che il Vangelo non è un libro o una storia o un racconto edificante o una morale. Il Vangelo è Gesù Cristo. Il Vangelo è il Figlio di Dio. Il Vangelo è la Persona del Lògos ».

2 Due città portano il nome «Cesarea»: una, «Cesarea Marittima», si trova sulle rive del Mare Mediterraneo e fu costruita da Erode il Grande (73-4 a. C.) in onore di Cesare Augusto (63 a. C.–14 d. C.). Essa fu la capitale della provincia romana di Giudea e Samarìa (At 12,19; 23,33; 25,1-6.13). Vi risiedeva ufficialmente il governatore romano che andava a Gerusalemme solo se necessario e in occasione delle feste importanti, in modo particolare per la Pasqua: in questo caso aveva dimora nella fortezza Antonia sulla spianata nord del tempio, nell’attuale II stazione della Via crucis presso il Covento della Flagellazione dei francescani. A Cesarèa Marittima, Pietro aprì il cristianesimo ai Pagani nella casa di Cornelio, liberandolo dal particolarismo giudaico (cf At 10). L’altra «Cesarea», a cui si riferisce il vangelo di oggi, è «Cesarea di Filippo», situata a nord della Galilea, nelle odierne alture del Gòlan, l’antica Iturèa, a km 150 da Gerusalemme e km 55 da Damasco. Vicino a Cesarea di Filippo, anticamente chiamata Fámium o Pánias, sgorgano le sorgenti del Giordano, dedicate al dio Pan che vi era venerato. Oggi si chiama Bánias. Nel 200 a. C. Antioco III il Grande (223-187 a.C.) l’annesse al regno greco selèucida che governava la Palestina. Erode il Grande nel 20 a. C. vi eresse un tempio in onore di Cesare, ma la costruzione della città si deve al figlio, Filippo il tetrarca, prozio di Salòme, figlia di Erodiade, sua moglie che lo abbandonò per sposare il cognato Erode Antìpa da cui pretese la morte di Giovanni Battista (cf Mc 6,17-29). Si chiama «di Filippo» per distinguerla dalla «Cesarea Marittima».

3 Il Secondo Isaia (cf cc. 40-55), descrivendo la figura del Servo sofferente di Yhwh in quattro poemetti, detti «Carmi del Servo di Yhwh» (cf Is 42,1-4.5-9; 49,1-6; 50,4-9.10-11; 52,13-53,12) sembra che si sia ispirato alla figura storica di Geremia, la cui vita rilegge come paradigma di questo misterioso personaggio che riassume in sé anche caratteristiche collettive del popolo di Dio, Israele. Molti sono i confronti che il NT fa tra il Servo Sofferente e Gesù: 1) Nel battesimo la vocazione messianica di Gesù è quella del Servo-Figlio (cf Mc 1,11; Is 52,13). 2) Gesù guarisce i malati nella sua funzione di Servo-Figlio che espia (cf Mt 8,16; Is 53,4). 3) Gesù vive la stessa umiltà del Servo (cf Mt 12,18-21; Is 42,1-3; Mc 9,31; Is 53,6.12). 4) Il fallimento della sua predicazione lo avvicina a Geremia e al Servo (cf Gv 12,38; Is 53,1). 5) Il Servo Sofferente è il modello a cui si ispira Gesù per realizzare la sua identità di Figlio, salvatore del mondo, che passa attraverso il dolore, la sofferenza e la morte (cf At 3,13-26; 4,25-30 con Is 53,5.6.9.12; Mc 10,45 con Is 53,5; 1Co 11,24 con Is 53,5).

4 Essi sono: Primo: Is 42, 1-4(5-9); secondo: 49, 1-6; terzo: 50,4-9(10-11); quarto: 52, 13-53,12. Sono tutti inseriti nel 2° Isaia (cc. 40-55) in modo poco felice tanto che non c’è accordo tra gli studiosi pur essendo i testi più studiati in assoluto dell’AT (cf H. Cazelles, «Les Poèmes du Serviteur. Leur place, leur structure, leur théologie», in Rech. Sc. Rel. 1955, 5-55).

5 La Bibbia di Gerusalemme-Cei nelle due prime edizioni (1971 e 1974) traduceva la congiunzione greca di valore avversativo «dè» con la congiunzione italiana di valore copulativo «e» che non ha senso, mentre l’ultima edizione (2008) in uso nel nuovo Lezionario liturgico traduce correttamente con l’avversativa «ma», cogliendo così l’attesa di Gesù che si aspetterebbe dai «suoi» apostoli una dichiarazione di fede opposta alle opinioni della folla comune.

6 Messia è parola ebraica (Mashiàh), mentre Cristo è il corrispondete termine greco (Christòs): ambedue significano: Unto/Consacrato.

7 In ebraico sia «parola» che «fatto/cosa» si dicono con lo stesso termine: «Dabàr» che la Bibbia greca traduce con «Lògos». Il combinato di parola e fatto costituisce il contenuto dei «sacramenti» che si fondano sempre un elemento (= un fatto) naturale come il pane, il vino, l’olio, l’acqua, ecc. e la Parola che ne coglie il senso profondo, senza del quale il fatto/elemento resterebbe un evento di ordinaria ovvietà.

8 Per un approfondimento della questione del «primato», cf esegesi del testo di Mt 16,13-23 della domenica 21a del tempo ordinario-A.

 




Giovedμ 13 Settembre,2012 Ore: 17:48
 
 
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