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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org DOMENICA 8a DEL TEMPO ORDINARIO-B– 27 maggio 2012 –,di Paolo Farinella, prete

DOMENICA 8a DEL TEMPO ORDINARIO-B– 27 maggio 2012 –

di Paolo Farinella, prete

SOLENNITÀ DI PENTECOSTE

La Messa è accompagnata

dall’«ACCADEMIA DEI VIRTUOSI»

Ensemble Musicale della Scuola “Giuseppe Conte” di Genova-Pegli

e Cappella Musicale della parrocchia di San Torpete

che eseguirà di Johann Michael Haydn (1737-1806)1

le parti variabili della «Deutsche Messe»

Soprani

Patrizia Bozzo*, Luisa Cuneo, Sofia Fattori

Tenor

Luca Soattin, Salvatore Spanò, Claudio Venga

Alti

Iolanda Barbieri, Flavia Boero, Annalisa Tunesi

Bassi

Marco Caruti, Michele Malandra, Roberto Torti

Organo

Federica Di Maio

   

LUCA FRANCO FERRARI, direttore

* Solista nei mottetti

Introduzione

Pentecoste è parola greca, pentēkostês/pentêkonta che alla lettera significa «cinquantesimo giorno». Nella liturgia cristiana è la seconda solennità più importante dell’anno, dopo la Pasqua, di cui chiude il ciclo: i cinquanta giorni, infatti, si contano a partire da Pasqua. Come il numero «40» nella Bibbia è il numero dell’attesa e della preparazione2, la «cinquantina» che intercorre tra la Pasqua e Pentecoste è il tempo della formazione, il tempo cioè in cui Gesù risorto familiarizza con i suoi discepoli nel suo nuovo stato: essi non possono più vederlo fisicamente, ma ne sperimentano la presenza e Gesù li istruisce sulla missione che li aspetta. Tutto si svolge nel segno del «Paràclito» che è il personaggio nuovo del dopo Pasqua. Di questo personaggio accenneremo nell’omelia. Gesù risorto è libero dal condizionamento del tempo, dello spazio e della vista e ora vive e agisce attraverso il suo Spirito che lascia agli apostoli come sua eredità, guida e compimento. Il «Paràclito» è lo Spirito di Gesù risorto, quello che egli «consegnò» simbolicamente a tutta l’umanità al momento della morte, quando «reclinato il capo, consegnò lo Spirito» alla Madre (una donna) e al discepolo che egli amava (un uomo), che stanno ai piedi della croce in rappresentanza della nuova umanità. Un uomo e una donna (Adam ed Eva) stavano nel giardino di Eden per rubare la «conoscenza del bene e del male» Gen 2,9; 3,6-7), ai piedi della croce, un uomo e una donna, il discepolo e la Madre, invece «ricevono lo Spirito» (Gv 19,30).

Pentecoste costituisce l’ultimo dei cinque momenti liturgici che concorrono a formare il «mistero pasquale»: Passione, Morte, Risurrezione, Ascensione e Pentecoste che è pertanto il sigillo finale e completivo della vita terrena di Gesù, formando un ponte tra Gesù Cristo e la comunità dei credenti che continuano il pellegrinaggio terreno. Pentecoste ci dice che non è più possibile l’esperienza storica di Gesù, ma da ora ogni relazione con Dio e anche con Gesù passa attraverso la mediazione del «Paràclito». A Pentecoste conclude le celebrazioni di Pasqua, di cui è parte integrante e necessaria e inizia l’avventura della fede come «luogo della relazione con Dio»: a Pasqua, Dio interviene di sua iniziativa, senza il concorso d’Israele e concede la libertà dalla schiavitù d’Egitto: «Il Signore disse [a Mosè]: “Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido … conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell’Egitto e per farlo uscire da questo paese verso un paese bello e spazioso”» (Es 3,7-8). A Pentecoste, ai piedi del monte Sinai, Israele prende coscienza di sé come popolo liberato e accoglie il dono della Toràh/Legge che lo educherà alla libertà come compito missionario: «Quello che il Signore ha detto noi faremo e ubbidiremo» (Es 24,7). A Pasqua si è liberati, a Pentecoste si sceglie di restare liberi3. Pasqua e Pentecoste sono intimamente connessi e l’una non può reggere senza l’altra. La Pentecoste cristiana è l’evento centrale dell’alleanza nuova, come la Toràh lo fu della prima, stabilendo così che non c’è una nuova alleanza, ma il compimento della prima.

Al tempo di Gesù si celebrava la festa di Shavuôt, alla lettera Le [sette] settimane4, cioè i cinquanta giorni in memoria del dono della Toràh. Ancora oggi gli Ebrei in questa festa leggono i dieci comandamenti come sintesi della Toràh e il libro di Rut perché si vi si parla di raccolto delle spighe e perché la fedeltà di Naomi a Rut richiama la fedeltà d’Israele alla Toràh. Rut è bisnonna di Davide, dal cui casato discenderà il Messia. Nel NT, i vangeli sinottici (Mt, Mc e Lc) mantengono questo schema, mentre Gv sintetizza nella «gloria dell’ora» della morte di Gesù tutto il mistero pasquale, compresa Pentecoste che non è più la consegna della Toràh scritta e orale, ma il «dono dello Spirito Santo»: la nuova Toràh scritta nel cuore di carne di ciascun credente come aveva previsto il profeta Ezechiele (Ez 11,19-20; 36,24-27)5.

Nel NT, i vangeli sinottici (Mt, Mc e Lc) mantengono lo schema «cinquantenario» dentro la tradizione giudaica e Lc addirittura nel capitolo 2 degli Atti descrive la Pentecoste come una riedizione della manifestazione (Teofania) di Dio sul Sinai, da cui mutua anche lo scenario cosmico. La scenografia della Pentecoste infatti quella della manifestazione di Yhwh sul Sinai: tutta la natura partecipa con la sua potenza di tuoni, fuoco e lampi, alle nozze tra Dio e il suo popolo nel segno dell’alleanza:

Esodo (monte Sinai)

Pentecoste

19,16

«Vi furono tuoni, lampi, una nube densa e un suono fortissimo».

2,3-4

«Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso …

Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro».

Vi sono, però, molte differenze tra la teofania del Sinai e quella di Pentecoste che è bene cogliere:

Esodo

Pentecoste

19,16

Il popolo che era nell’accampamento fu scosso da tremore

2,4

Tutti furono colmati di Spirito Santo

19,1

Ai piedi del Sinai vi è solo Israele

2,9-11

Sono presenti tutti i popoli della terra6

19,12-13

Al Sinai il popolo deve stare lontano dalla montagna di Dio, pena la morte:

2,9-13

A Pentecoste la teofania è un evento cosmico che coinvolge tutti ricevono nel ricevere lo Spirito, anche coloro che sono estranei perché tutti percepiscono che si tratta di evento divino

19,10-11

Il popolo deve purificarsi per tre giorni

2,3-4

Tutti i popoli sono purificati nel fuoco

La Toràh che Mosè ricevette sul Sinai, ora è rinnovata e purificata nello Spirito del Risorto e scende dal Calvario per essere scritta nel cuore di carne di ciascun credente come aveva previsto il profeta Ezechiele (v. nota Errore: sorgente del riferimento non trovata). Già nel sec. V a.C. il profeta aveva annunciato il raduno d’Israele radunato dalla dispersione nella forma di una nuova alleanza descritta come «questione di cuore». Si tratta di un trapianto cardiaco per sostituire le tavole di pietre che hanno resa fredda anche la Toràh con un cuore di carne che porta in sé la volontà di vivere secondo la Legge del Signore. Anche Gesù si inserirà in questa prospettiva, quando rimprovera i discepoli di Emmaus di essere «Stolti e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti» (Lc 24,25).

Sul monte Calvario, secondo Giovanni, si compie la profezia di Gioele secondo cui il Signore effonderà il suo Spirito «su ogni carne» (Gl 3,1) e in questa prospettiva, a differenza dei Sinottici, Giovanni pone la Pentecoste nell’«ora della Gloria», cioè nell’ora della morte e glorificazione di Gesù, dove sintetizza tutto il mistero pasquale, compresa Pentecoste che non è più la consegna della Toràh scritta e orale, ma il dono dello Spirito Santo, cioè del Paràclito. Il monte Sinai della nuova alleanza è il monte della croce di Cristo che diventa il trono/luogo della Teofania definitiva davanti alla Storia intera, simboleggiata dalla presenza di quattro soldati romani, in rappresentanza del mondo pagano (Gv 19,24), e da quattro donne ebree, in rappresentanza del mondo credente (Gv 19,25). Da questo nuovo monte non scende più un uomo con tavole di pietra, ma vi è innalzato il Figlio dell’uomo che attira tutta l’umanità redenta (Gv 12,32) che adesso guarda a colui che è stato trafitto (Gv 19,37).

Per Gv Pentecoste accade nell’ora della morte: il momento della disfatta e del fallimento che assume in sé il punto massimo dell’ora della gloria: morte e vita si fondono insieme in un unico afflato. Ora si compie non solo il raduno di Israele, ma anche l’unità del genere umano. Leggiamo in Gv 19,30: «E [Gesù], chinato il capo, consegnò lo Spiritoê» a Maria e al discepolo, immagine della Chiesa nascente, l’ovile universale che raccoglie il genere umano (Gv 10,16). Consegnando il suo Spirito alla «donna e al figlio» ai piedi della croce, Gesù pone termine alla divisione consumata ai piedi della torre di Babele (Gen 11,1-9), quando l’unità della lingua si frantuma in tanti idiomi incomunicabili e dà inizio ad una nuova èra di salvezza: il giorno di Pentecoste (1a lettura) sono idealmente presenti tutti i popoli della terra conosciuti e «li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa» (At 2,8). Pentecoste capovolge la storia: con Adamo ed Eva, cacciati dall’Eden era iniziato un processo di allontanamento da Dio (Gen 3,24), ora con il dono dello Spirito inizia il processo di ritorno a Dio. Il figliol prodigo dell’umanità ha trovato la forza e la luce per riprendere la strada del ritorno all’Eden del «principio». E’ una nuova creazione. E’ il tempo della Chiesa. E’ il nostro tempo.

Oggi non celebriamo solo un evento passato, ma mentre facciamo «memoriale» di due momenti storici: l’esodo e la morte di Gesù, riviviamo e sperimentiamo questo dono perché lo Spirito Santo è presente «oggi» nella Chiesa e nel mondo ed alimenta la nostra fede, sostiene la nostra speranza, forgia la nostra libertà. Pentecoste è oggi. Per questo disponiamo i nostri sentimenti con l’inno del Veni creator, Spiritus, attribuita a Rabano Mauro, abate di Fulda in Germania (780-856). L’inno, tra i più belli della Liturgia, si canta ai Vespri di Pentecoste.

Saliamo al monte della Toràh e dello Spirito, il monte di Pentecoste che raduna l’umanità intera nel segno della Trinità santa che è il modello di ogni nostro agire e di ogni nostra relazione:

(ebraico)

Beshèm

ha’av

vehaBèn

veRuàch

haKodèsh.

Amen.

(italiano)

Nel Nome

del Padre

e del Figlio

e dello Spirito

Santo.

Il Dio di Gesù Cristo che convoca nello Spirito tutta l’umanità sia con tutti voi. E con il tuo spirito.

Nel giorno di Pentecoste, giorno in cui la Pasqua è offerta al mondo intero, passando così da memoriale di un popolo ad evento cosmico, lasciamoci abitare dallo Spirito del Risorto che ci convoca alla mensa del perdono di Dio, fonte di libertà e di coscienza. Riconoscersi peccatori davanti a Dio, significa riconoscere la sua paternità, accogliere la redenzione del Figlio, vivere la Presenza dello Spirito: solo così possiamo essere abilitati a celebrare l’Eucaristia, il sacramento dell’unità e della missione, dove Dio ci restituisce a noi stessi, rinnovati e purificati.

[Esame di coscienza reale]

CAPPELLA MUSICALE

Kyrie - MICHAEL HAYDN: Deutsche Messe – Hier Wirft

[Le invocazioni seguenti si omettono se c’è la Cappella Musicale:]

Spirito di Pentecoste, perdona le nostre chiusure, Kyrie, elèison.

Spirito di Pace, distruggi i nostri rancori, Christe elèison.

Spirito di Amore, perdona i nostri egoismi, Pnèuma, elèison.

Il Dio di Adamo ed Eva, il Dio dei Patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe, il Dio di Noè di Sem e Iafet, il Dio che confuse le lingue a Babilonia, il Dio di Mosè che conservò le lettere dell’alfabeto in vista della Toràh, il Dio che a Pentecoste ricompone l’unità del genere umano, il Dio degli apostoli che parlano le lingue dello Spirito, il Dio Gesù Cristo che ci raduna nel sacramento dell’unità e della pace perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna. Amen.

Gloria - CAPPELLA MUSICALE

MICHAEL HAYDN: Deutsche Messe – Gott in der Hoh

 

[Se non c’è la Cappella Musicale, l’Assemblea proclama:]

GLORIA A DIO NELL’ALTO DEI CIELI e pace in terra agli uomini di buona volontà. Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti adoriamo, ti glorifichiamo, ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa, Signore Dio, Re del cielo, Dio Padre onnipotente [breve pausa 1-2-3]

Signore, Figlio Unigenito, Gesù Cristo, Signore Dio, Agnello di Dio, Figlio del padre: tu che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi; tu che togli i peccati del mondo, accogli la nostra supplica; tu che siedi alla destra del Padre, abbi pietà di noi. [breve pausa 1-2-3]

Perché tu solo il Santo, tu solo il Signore, tu solo l’Altissimo: [breve pausa 1-2-3]

Gesù Cristo con lo Spirito Santo, nella gloria di Dio Padre. Amen.

Preghiamo (colletta). O Padre, che nel mistero della Pentecoste santifichi la tua Chiesa in ogni popolo e nazione, diffondi sino ai confini della terra, i doni dello Spirito Santo e continua oggi, nella comunità dei credenti, i prodigi che hai operato agli inizi della predicazione del Vangelo. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo. Per tutti i secoli dei secoli. Amen.

MENSA DELLA PAROLA

Prima lettura A-B-C, At 2,1-11. La Pentecoste cristiana, descritta da Lc, ha le stesse caratteristiche di quella ebraica, al momento della Promulgazione dell’alleanza sul monte Sinai. Tuoni, fulmini e fiamme accompagnano la manifestazione di Dio, dando così alla Toràh e allo Spirito una dimensione non solo universale, ma anche cosmica. Le nazioni elencate negli Atti richiamano la tavola dei popoli di Gen 10 che poi a Babele si disperdono per incomunicabilità. A Pentecoste lo Spirito risana la frattura perché tutti ascoltano tutti e tutti capiscono tutti: «li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa».

Dagli Atti degli apostoli At 2,1-11

1 Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. 2 Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. 3 Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, 4 e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi. 5 Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. 6 A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. 7 Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? 8 E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? 9 Siamo Parti, Medi, Elamìti; abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, 10 della Frigia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, 11 Giudei e proséliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio». - Parola di Dio.

Salmo responsoriale A-B-C, 104/103, 1ab.24ac; 29bc-: 30; 31.34. Il salmo è un inno cosmologico di 35 versetti. La liturgia ne riporta solo 6 per cui è difficile coglierne la portata. La struttura del salmo segue la stessa cronologia del racconto della creazione di Gen 1 da cui dipende, formato, forse, in ambiente sacerdotale al tempo dell’esilio. Anche questo salmo potrebbe appartenere alla stessa scuola. Il salmo è stato scelto per il v. 30: «Mandi il tuo spirito, sono creati, e rinnovi la faccia della terra» che suggerisce l’idea dello Spirito come origine della nuova creazione (v. Rom 8 e Ger 31,31). Facciamo nostro questo anelito perché l’Eucaristia è il punto di arrivo e di partenza per il rinnovamento nostro e della storia.

Rit. Manda il tuo Spirito, Signore e rinnovi la faccia della terra.

 

1. 1 Benedici il Signore, anima mia!
Sei tanto grande, Signore, mio Dio!
24 Quante sono le tue opere, Signore!

Le hai fatte tutte con saggezza;

la terra è piena delle tue creature. Rit.

2. 29 Togli loro il respiro: muoiono,
e ritornano nella loro polvere.

30 Mandi il tuo spirito, sono creati,
e rinnovi la faccia della terra. Rit.

3. 31 Sia per sempre la gloria del Signore;
gioisca il Signore delle sue opere.

34 A lui sia gradito il mio canto,

io gioirò nel Signore. Rit.

 

Seconda lettura B Gal 5,16-25. In Paolo il binomio «carne-spirito» (greco: sàrx-pnèuma) descrive un’opposizione irriducibile. «Carne» indica tutto ciò che è caduco, mortale, finito e infine le tendenze malvagie presenti in ogni cuore; «spirito», al contrario indica tutto ciò che è trascendente, immortale, infinito, in una parola la persona aperta a Dio e inserita nella sua volontà. Lo Spirito di Pentecoste è uno «spirito di libertà» (2Cor 3,17). perché apre la Toràh/Legge al cuore di Dio e quindi la libera da ogni forma di schiavitù. Chi riceve lo Spirito è un tralcio che porta i frutti della missione: amore, gioia, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza e dominio di sé (v. 22). A Pentecoste inizia l’èra della Legge come amore e cessa la Legge come codice o obbligo imposto.

Dalla lettera di Paolo apostolo ai Gàlati Gal 5,16-25

Fratelli, 16 camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne. 17 La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste. 18 Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete sotto la Legge. 19 Del resto sono ben note le opere della carne: fornicazione, impurità, dissolutezza, 20 idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, 21 invidie, ubriachezze, orge e cose del genere. Riguardo a queste cose vi preavviso, come già ho detto: chi le compie non erediterà il regno di Dio. 22 Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; 23 contro queste cose non c’è Legge. 24 Quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri. 25 Perciò se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito. - Parola di Dio.

Sequenza detta anche «Sequenza Aurea», è composta tra il 1150 e il 1250 da Stefano di Langhton arcivescovo di Canterbury († 1228) o, secondo altri, dal suo contemporaneo Lotario dei Conti di Segni divenuto papa Innocenzo III nel 1198.

 

1. Vieni, santo Spirito,

manda a noi dal cielo

un raggio della tua luce.

2. Vieni, padre dei poveri,

invadi nell’intimo

vieni, luce dei cuori. 

3. Consolatore perfetto;

ospite dolce dell’anima

dolcissimo sollievo.

4. Lava ciò che è sordido,

bagna ciò che è arido,

sana ciò che sanguina

5. Piega ciò che è rigido

scalda ciò che è gelido

drizza ciò ch’è sviato. 

6. Nella fatica, riposo,

nella calura, riparo,

nel pianto, conforto.

7. O luce beatissima,

invadi nell’intimo

il cuore dei tuoi fedeli.

8. Senza la tua forza,

nulla è nell’uomo,

nulla senza colpa.

9. Dona ai tuoi fedeli
che solo in te confidano
i tuoi santi doni.

10. Dona virtù e premio

dona morte santa, gioia eterna.

 

Vangelo B Gv 15,26-27;16,12-15. Il termine «Consolatore» traduce il termine greco: paràklētos che è un termine giuridico e significa «colui che parla a favore» e quindi avvocato, difensore e consolatore. «Egli renderà testimonianza» a Gesù (v. 26) che è stato condannato ingiustamente perché innocente. Il compito del Paràclito è di assistere i cristiani che andranno di nuovo nei tribunali e di fronte ai potenti a dichiarare per convincerli che il Giusto condannato ingiustamente ha offerto la sua vita per il riscatto di tutta l’umanità. A questo scopo è necessario rifare il processo di Gesù, il cui posto sarà preso sul banco dell’accusato dalla Chiesa che è il suo corpo: l’arringa di difesa sarà pronunciata dallo Spirito Santo che garantirà l’autenticità della testimonianza degli apostoli «perché siete stati con me fin dal principio» (v. 27).

Canto al Vangelo

Alleluia. Vieni, Santo Spirito, riempi i cuori dei tuoi fedeli / e accendi in essi il fuoco del tuo amore. Alleluia.

Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 15,26-27;16,12-15

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 26«Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; 27 e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio. 16,12 Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. 13 Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. 14 Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. 15 Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà». - Parola del Signore.

Cappella e tutti

 

1. Santissima Trinità, Unico Dio, Veni, Sancte Spiritus

2. Spirito di sapienza e di scienza,  Veni, Sancte Spiritus

3. Spirito di intelletto e di pietà,  Veni, Sancte Spiritus

4. Spirito di pace e di mitezza, Veni, Sancte Spiritus

5. Spirito Santo, dono pasquale, Veni, Sancte Spiritus

6. Spirito di consiglio e di fortezza,Veni, Sancte Spiritus

7. Spirito di grazia e di preghiera, Veni, Sancte Spiritus

8. Spirito del Messia benedetto, Veni, Sancte Spiritus

 

Appunti di omelia

La prima lettura ci descrive la discesa dello Spirito Santo nel giorno di Pentecoste come un parallelo della discesa di Yhwh sul monte Sinai al momento della consegna della Toràh al popolo di Israele. Tuoni, lampi, fulmini e tremore della montagna accompagnò la discesa di Yhwh sul Sinai come ora gli stessi elementi naturali accompagnano la discesa dello Spirito Santo sugli apostoli. La natura tutta come un corteo di accoglienza accompagna i due eventi. La Pentecoste cristiana è l’evento centrale dell’alleanza nuova, come il dono della Toràh lo fu della prima, stabilendo così che l’alleanza nuova non è una nuova alleanza, ma il compimento della prima.

Narra la tradizione giudaica che Dio prima di dare la Toràh ad Israele interpello tutti i popoli, i quali rifiutarono per un motivo o per l’altro. Solo Israele l’accetto prima ancora di sapere cosa vi fosse scritto.

«Prima di donarla agli Israeliti, l’Onnipotente offrì la Toràh a ogni tribù e nazione del mondo perché nessuno potesse dire: “Se il Santo benedetto avesse voluto darcela noi l’avremmo accolta”. Si recò dai figli di Esaù e chiese: “Accettate la Toràh?” – “Che cosa vi sta scritto?”, risposero quelli. – “Non uccidere” (Es 20,13). – “E tu vorresti privarci della benedizione impartita al nostro padre Esaù, cui è stato detto: ‘vivrai della tua spada?’ (Gen 27,40). Non vogliamo la Toràh”. – Allora il Signore l’offrì alla stirpe di Lot dicendo: “Accettate la Toràh?” – “Che cosa vi sta scritto?”. – “Non commettere adulterio” (ES 20,14). – “Proprio da atti impuri siamo nati! Non vogliamo la Toràh”. Allora il Signore chiese ai figli di Ismaele: “Accettate la Toràh?” – “Che cosa vi sta scritto?”. – “Non rubare” (ES 20,15). – “Vorresti forse portarci via la benedizione impartita a nostro padre, cui fu detto: ‘La sua mano sarà contro tutti’ (Gen 16,12)? No, non vogliamo affatto la Toràh”. Così fece con tutti gli altri popoli, i quali parimenti rifiutarono quel dono dicendo: “Non possiamo rinunciare alla legge dei nostri antenati, non vogliamo la tua Toràh, dalla al tuo popolo Israele”. – Per questo Egli – benedetto sia il suo Nome – andò infine dagli Israeliti e disse: “Accettate la Toràh?” – Risposero: “Che cosa contiene?”. – “Seicentotredici precetti”. Quelli risposero ad una sola voce: “Tutto quanto il Signore ha detto noi faremo e ubbidiremo”»7

Israele prima la mette in pratica e poi se ne domanda la ragione: (ebr.) «‘asher dibèr Adonai ne’hassèh wenishmà’» che la Lxx traduce con «Panta hòsa elàlesen Kýrios poiêsomen kài akousòmetha». E’ importante mettere in evidenza la risposta di Israele che non s’impegna soltanto ad eseguire le parole del Signore, ma accoglie la Toràh prima ancora di conoscerne «il peso».

A Pentecoste tutti i popoli presenti sulla spianata del tempio, intendono gli apostoli che parlano il linguaggio di Dio. A Pentecoste lo Spirito scende su tutti i popoli della terra presenti a Gerusalemme: l’elenco di At 2 richiama la tabella dei popoli di Gen 10,1-32. Questi popoli abitavano la terra e avevano un solo linguaggio, cioè avevano capacità di comunicazione, ma il loro desiderio di scalare il cielo, gli fa smarrire la dimensione del loro essere e del loro limite: vogliono costruire una torre che giunga fino al cielo (Gen 11,4) cioè che sia vista da tutta la terra e avere così un «nome», una fame immortale.

Il limite dell’uomo è non accettare il limite della morte, ma egli soccombe sempre alla tentazione di Adam ed Eva di essere come Dio. E’ Adam che ritorna in ogni tempo. L’impresa viene dispersa da Dio con una conseguenza disastrosa: gli uomini non solo non riescono a giungere fino in cielo, ma si smarriscono anche sulla terra: non comunicano più tra loro. L’incomunicabilità con Dio rende muti i fratelli tra loro. L’impossibilità di accedere alla Parola rende morte le parole umane. La parola che era il ponte di congiunzione tra linguaggi e culture diverse, ora è motivo di opposizione e incomprensione. Nascono tensione, travisamenti, guerre, aggressioni e sopraffazione. L’uomo che si allontana da Dio si allontana anche dal fratello e lo considera diverso e nemico.

Pentecoste è l’opposto di tutto ciò: il Risorto scioglie il suo Spirito e irrompe sull’umanità introducendola in un nuovo esodo di liberazione dalla schiavitù verso una nuova immersione nella libertà. Ora la Parola di Dio pronunciata dagli Apostoli è intesa e compresa da tutti i presenti: quando si parla di Dio tutti capiscono il linguaggio, anche se non ne conoscono la lingua materiale: ciascuno lo ascolta nella propria lingua, cioè ognuno percepisce di trovarsi davanti ad un evento di cui è protagonista attivo. Pentecoste è l’antidoto a Babele. Chi costruisce torri di Babele costruisce schiavitù, chi vive la Pentecoste del Risorto costruisce unità e costruisce una storia di convergenza e di comunione di popoli.

La tradizione giudaica sostiene che sul Sinai, Mosè dovette stare 40 giorni e 40 notti perché Dio ha dovuto scolpire la Toràh sulla pietra e insegnargli a memoria la Toràh orale. Mentre Dio scolpiva ogni colpo di martello sprigionava settanta scintille, una scintilla per ogni popolo esistente sulla terra. C’è però anche un’altra spiegazione in aggiunta: della Scrittura noi capiamo spesso solo una scintilla, mentre vi sono altri sessantanove significati che ci restano oscuri e che dobbiamo indagare perché la Scrittura è inesauribile e ogni parola è una miniera profonda:

«E’ stato insegnato nella scuola di Rabbì Ishmael: “Non è forse così la mia parola: come il fuoco, oracolo del Signore, e come un martello che frantuma la roccia?” (Ger 23,29) Come questo martello sprigiona molte scintille, così pure un solo passo scritturistico dà luogo a dei sensi molteplici» (bSanhedrin 34a)8.

Ciò è possibile a Pentecoste perché come garantisce il profeta Gioele: «Su ogni carne effonderò il mio spirito» (3,1; cf At 2,17), cioè su ogni essere vivente e quindi sugli uomini, sulle donne, sugli animali, sulle piante… in una parola sull’intero cosmo creato da Dio, quel cosmo per cui Adam ed Eva furono creati perché lo trasformassero nella immagine di Dio.

Il vangelo invece è tratto dal 2° discorso dell’ultima cena, ma con tagli non giustificabili perché si modifica il senso inteso dall’evangelista. Lasciando pertanto il testo liturgico, ci limitiamo solo a due sottolineature, rimandando i riferimenti esegetici propriamente detti al altra sede. Due parole emergono su tutte nel brano del vangelo: consolatore e verità. Il primo ricorre 5x e solo in Gv (Gv 14,16.26; 15,26; 16,7; 1Gv 2,1), mentre nella Bibbia greca della Lxx solo 2x (Gb 16,2; Zac 1,13)

Il termine consolatore deriva dal greco paràklētos che sia nella tradizione biblica che giudaica, compresi Giuseppe Flavio e Filone, ha sempre il significato di intercessore e consigliere. In epoca patristica assunse anche il significato più specifico di «consolatore». Il termine greco è un composto dalla preposizione «parà» e dal verbo «kaléō» e significa «chiamo, invito, nomino in favore di… o a nome di…» da cui anche «prego, invito, esorto, consolo». Il termine greco trasportato in italiano è diventato «paràclito» assumendo anche il significato logico di «avvocato»9.

Solo in 1Gv 2,1 questo termine è un attributo di Gesù, definito appunto giusto: «se qualcuno ha peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo giusto». Tutte le altre quattro occorrenze sono riferite allo Spirito Santo. Perché? Nella risposta a questa domanda risiede la comprensione della festa della Pentecoste cristiana. Lo Spirito Santo è dato in abbondanza ed è dato «ad ogni carne» perché tutti devono sapere che Gesù è stato condannato ingiustamente e ha subito un processo nullo perché basato su false testimonianze (Mc 14, 55-56.59; Mt 26,59-60; Lc At 6,13). Secondo il diritto, il processo deve essere rifatto. Gesù però è assente nel corpo e non può essere riportato in tribunale. Questo compito spetta ai discepoli che nel 2° discorso dell’ultima cena sono messi di fronte alla situazione di odio e di persecuzione cui andranno incontro (Gv 15,18-27; At 8,1; 9,1; 17, 5, ecc.; 1Ts 3,3; Rom 8,18; Fil 1,29; Col 1,24; 1Pt 4,14-16; Gc 1,12; Ap 5,4), ma essi non dovranno preparare alcuna difesa perché non saranno essi ad essere giudicati, ma solo Gesù. In difesa della verità parlerà lo Spirito Santo: «Quando vi condurranno davanti alle sinagoghe, ai magistrati e alle autorità, non preoccupatevi come discolparvi o che cosa dire; perché lo Spirito Santo vi insegnerà in quel momento ciò che bisogna dire» (Lc 12,11-12; Gv 14,26). La Pentecoste è dunque il ristabilimento della verità riguardo a Gesù e la coscienza della missione che ora diventa «testimonianza».

La parola «verità» in greco si dice alētheia ed è composta dalla alfa privativa e da un sostantivo derivato dal verbo lanthànō che significa «tengo, sono nascosto/ignoro» per cui «svelare/manifestare». Verità dunque si oppone a nascosto. Chi è nella verità sta nella luce, chi si nasconde sceglie il buio e le tenebre. In Gv il termine greco ricorre 25x e pur mantenendo il senso etimologico classico, acquista un significato «altro» perché Gesù stesso si identificato in essa con la formula di auto-rivelazione «Io-Sono»: «Io-Sono la via, la verità e la vita» (Gv 14,6)10. La verità in senso assoluto, per Gv è la persona di Gesù e ha lo stesso significato che per Paolo ha il termine «mistero» che abbiamo spiegato domenica scorsa nell’Ascensione-B. La verità non è un sistema di credenze sistemate in modo organico e nemmeno un sistema di pensiero o teologico, ma semplicemente un volto da contemplare, un nome da chiamare e invocare, una vita da abbracciare e vivere: è Gesù, il Maestro da seguire.

Abbiamo già detto che in Gv il termine «verità» ricorre 25 volte, mentre la formula di autorivelazio-ne «Io-Sono» ricorre 26x. Chi è addetto a queste cose istintivamente si sarebbe aspettato che anche la parola «verità» ricorresse «26x» invece di 25x. Perché? Se interroghiamo la scienza dei numeri o ghematrìa scopriamo che in ebraico il nome santo del Signore «YHWH» ha il valore numerico di 26. Quando Gesù usa la formula di autopresentazione «Io-Sono» lo fa per 26x, mentre la parola «verità» ricorre in Gv solo 25x, cioè 26 – 1. Gesù in quanto Figlio unigenito è Dio perché partecipa della stessa vita divina e dopo la morte riprende quella gloria che aveva «prima che il mondo fosse» (Gv 17,5). L’Ascensione che abbiamo celebrato domenica scorsa non è altro che la dichiarazione ufficiale della divinità di Gesù. Il quale Gesù, in quanto figlio di Maria, l’uomo di Nàraret, il figlio di Giuseppe è anche uomo e in tutta la sua vita si è sempre sentito inferiore al Padre che è «più grande» di Gesù (10,29; 14,28). Per questo motivo il termine «verità» che riguarda l’insieme della vita e della persona di Gesù viene citata 26 volte meno una, cioè 25 per affermare che Gesù ha vissuto la sua verità di sottomissione al Padre e che tutta la sua esistenza è stata una testimonianza alla Verità del Padre.

A Pentecoste non si rinnova solo l’alleanza, anche se nuova, perché Gesù stesso è l’alleanza eterna, ma si manifesta la gloria della «Verità» che si fa «Consolatore/Avvocato/Difensore» di coloro che accettano di ripercorrere le vie del mondo per convincere gli uomini e le donne di tutti i tempi a farsi trascinare nei tribunali per testimoniare in favore di Gesù il Giusto e per ristabilire la verità dell’umanità stessa che prendendo coscienza del suo errore possa convertirsi ed entrare nel «mistero/verità» della vita che è la persona stessa di Gesù di Nazareth, l’uomo nuovo, il Figlio di Dio, il cui Spirito respira in ciascuno di noi.

Professione di fede. Rinnoviamo le promesse battesimali, memori del sacramento del battesimo, dove per noi si è compiuta la discesa dello Spirito Santo che ci ha abilitati alla celebrazione dell’Eucaristia. Le promesse hanno una struttura trinitaria nella quale siamo invitati ad immergerci col cuore.

Credete in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra? Credo.

Credete in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore, che nacque da Maria vergine, morì e fu sepolto, è risuscitato dai morti e siede alla destra del Padre? Credo.

Credete nello Spirito Santo, la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne e la vita eterna? Credo.

Questa è la nostra fede. Questa è la fede della Chiesa. Questa è la fede nella quale siamo stati battezzati. Noi ci gloriamo di professarla in Cristo Gesù nostro Signore. Amen.

Preghiera dei fedeli [Intenzioni libere]

LITURGIA EUCARISTIACA

Segno di Pace e presentazione delle offerte. Entriamo nel Santo dei Santi presentando i doni, ma prima, lasciamo la nostra offerta e offriamo la nostra riconciliazione e concediamo il nostro perdono, senza condizioni, senza ragionamenti, senza nulla in cambio: lasciamo che questa notte trasformi il nostro cuore, fidandoci e affidandoci reciprocamente come insegna il vangelo:

«Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono» (Mt 5,23-24),

Solo così possiamo essere degni di presentare le offerte e fare un’offerta di condivisione. Riconciliamoci tra di noi con un gesto o un bacio di Pace perché l’annuncio degli angeli non sia vano.

Scambiamoci un vero e autentico gesto di pace nel Nome del Dio della Pace.

[La benedizione sul pane e sul vino è tratta dal rituale ebraico]

Cappella Musicale

Preparazione delle offerte - MICHAEL HAYDN: «Angelis suis», Mottetto per soprano solo e organo.

PRESENTAZIONE DELLE OFFERTE

 Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo; dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane e questo vino, frutto della terra, della vite e del lavoro dell’uomo e della donna; lo presentiamo a te, perché diventi per noi cibo di vita eterna. Benedetto nei secoli il Signore.

Preghiamo perché il nostro sacrificio sia gradito a Dio, Padre onnipotente.

Il Signore riceva dalle tue mani questo sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa.

Preghiamo (sulle offerte). Accogli, Signore, i doni della tua chiesa in festa, e poiché le hai dato il motivo di tanta gioia, donale anche il frutto di una perenne letizia. Per Cristo nostro Signore. Amen.

PREGHIERA EUCARISTICA II

(detta di Ippolito, prete romano del sec. II)

Il Signore sia con voi. E con il tuo spirito. In alto i nostri cuori. Sono rivolti al Signore.
Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio. É cosa buona e giusta.

È veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e in ogni luogo a te, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno.

«Venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempi tutta la casa dove si trovavano» (At 2,2).

Oggi hai portato a compimento il mistero pasquale e su coloro che hai reso figli di adozione in Cristo tuo Figlio hai effuso lo Spirito santo, che agli albori della Chiesa nascente ha rivelato a tutti i popoli il mistero nascosto nei secoli, e ha riunito i linguaggi della famiglia umana nella professione dell’unica fede.

«Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; ed essi furono tutti pieni di Spirito santo» (At 2,3-4). Osanna nell’alto dei cieli.

Per questo mistero, nella pienezza della gioia pasquale, l’umanità esulta su tutta la terra, e con l’assemblea degli Angeli e dei Santi canta l’inno della tua gloria:

Sanctus - MICHAEL HAYDN: Deutsche Messe – Singt Heilig

Padre veramente santo, fonte di ogni santità, santifica questi doni con l’effusione del tuo Spirito perché diventino per noi il corpo e il sangue di Gesù Cristo nostro Signore.

«Quanto sono grandi, Signore, le tue opere! La terra è piena delle tue creature. Mandi il tuo spirito, sono creati, e rinnovi la faccia della terra» (Sal 104/103, 24.30).

Egli, offrendosi liberamente alla sua passione, prese il pane e rese grazie, lo spezzo, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E MANGIATENE TUTTI: QUESTO É IL MIO CORPO OFFERTO IN SACRIFICIO PER VOI.

«La gloria del Signore sia per sempre; gioisca il Signore delle sue opere» (Sal 104/103,31).

Dopo la cena, allo stesso modo, prese il calice, rese grazie, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E BEVETENE TUTTI: QUESTO É IL CALICE DEL MIO SANGUE PER LA NUOVA ED ETERNA ALLEANZA, VERSATO PER VOI E PER TUTTI IN REMISSIONE DEI PECCATI.

«Se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito» (Gal 5,25).

FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME.
Quanto il Signore ha ordinato, noi faremo e ubbidiremo (cf Es 24,7)

MISTERO DELLA FEDE.

«Benedici il Signore, anima mia, Signore, mio Dio, quanto sei grande!» (Sal 104/103,1).

Celebrando il memoriale della morte e risurrezione del tuo Figlio, ti offriamo, Padre, il pane della vita e il calice della salvezza, e ti rendiamo grazie per averci ammessi alla tua presenza a compiere il servizio sacerdotale.
«Avrete forza dallo Spirito santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino agli estremi confini della terra» (At 1,8).

Ti preghiamo umilmente: per la comunione al corpo e al sangue di Cristo lo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo.

«Gesù fece e insegnò dal principio fino al giorno in cui, dopo aver dato istruzioni agli apostoli che si era scelti nello Spirito santo» (At 1,1-2).

Memoria dei Volti e dei Nomi sulla terra

Ricordati, Padre, della tua Chiesa diffusa su tutta la terra: rendila perfetta nell’amore in unione con il nostro Papa …, il Vescovo … le persone che amiamo e che vogliamo ricordare… e tutto l’ordine sacerdotale che è il popolo dei battezzati.

«Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza; e anche voi mi renderete testimonianza, perché siete stati con me fin dal principio» (Gv 15,26-27).

Memoria dei Volti e dei Nomi nella Gerusalemme celeste

Ricordati dei nostri fratelli, che si sono addormentati nella speranza della risurrezione e di tutti i defunti che si affidano alla tua clemenza…. ammettili a godere la luce del tuo volto.

«Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future» (Gv 16,13).

Memoria dei credenti di ogni tempo

Di noi tutti abbi misericordia: donaci di aver parte alla vita eterna, insieme con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, con gli apostoli e tutti i santi, che in ogni tempo ti furono graditi: e in Gesù Cristo tuo Figlio canteremo la tua gloria.

«Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro queste cose non c’è legge» (Gal 5, 22-23).

Dossologia [è il momento culminante dell’Eucaristia: il vero offertorio]

PER CRISTO, CON CRISTO E IN CRISTO, A TE, DIO, PADRE ONNIPOTENTE, NELL’UNITA DELLO SPIRITO SANTO, OGNI ONORE E GLORIA, PER TUTTI I SECOLI DEI SECOLI. AMEN.

Idealmente riuniti con gli Apostoli sul Monte degli Ulivi, preghiamo, dicendo:

Padre nostro che sei nei cieli

Avunà di bishmaià

sia santificato il tuo nome

itkaddàsh shemàch

venga il tuo regno

tettè malkuttàch

sia fatta la tua volontà

tit‛abed re‛utach

come in cielo così in terra.

kedì bishmaià ken bear‛a.

Dacci oggi il nostro pane quotidiano

Lachmàna av làna sekùm iom beiomàh

e rimetti a noi i nostri debiti

ushevùk làna chobaienà

come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori

kedì af anachnà shevaknà lechayabaienà

e non abbandonarci alla tentazione

veal ta‛alìna lenisiòn

ma liberaci dal male.

ellà pezèna min beishià. Amen!

CAPPELLA MUSICALE

Agnus Dei - MICHAEL HAYDN: Deutsche Messe – Nicht wurdig

Communio - Michael Haydn: «Eripe me», Mottetto per soprano solo e organo

Dopo la comunione

Seguendo la tradizione giudaica, proclamiamo le Dieci Parole di libertà che sono la pietra angolare dell’alleanza tra Yhwh e il suo popolo Israele. Segue secondo la stessa tradizione, un brano del libro di Rut, antenata straniera di Gesù, che è il simbolo dell’universalità della fede che oggi celebriamo, ma anche il segno della nuzialità che lo Spirito realizza con ogni persona che vive con retta coscienza.

Dal libro dell’Esodo (20,1-3.5.7-10.12-18)

 

«1Dio pronunciò tutte queste parole:

“2Io-Sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla condizione servile:

3Non avrai altri dèi di fronte a me.

5Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai.

7Non pronuncerai invano [lett. nel vuoto] il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascia impunito chi pronuncia il suo nome invano [lett. nel vuoto].

8Ricòrdati del giorno di sabato per santificarlo. 9Sei giorni lavorerai e farai ogni tuo lavoro; 10ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: non farai alcun lavoro, né tu né tuo figlio né tua figlia, né il tuo schiavo né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te.

12 Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni.

13 Non ucciderai..

14 Non commetterai adulterio.

15 Non ruberai.

16Non pronuncerai falsa testimonianza contro il tuo prossimo.

17Non desidererai la casa del tuo prossimo. Non desidererai la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo”.

18 Tutto il popolo percepiva i tuoni e i lampi, il suono del corno e il monte fumante».

 

[Breve pausa]

Dal libro di Rut (1,16-17)

«16 Ma Rut replicò: “Non insistere con me che ti abbandoni e torni indietro senza di te, perché dove andrai tu andrò anch’io, e dove ti fermerai mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio. 17 Dove morirai tu, morirò anch’io e vi sarò sepolta. Il Signore mi faccia questo male e questo ancora, se altra cosa che la morte mi separerà da te”».

Dal Sermone per la Pentecoste di Sant’Efrem Siro (306-373)

Gli apostoli erano lì, seduti, in attesa della venuta dello Spirito. Erano lì come fiaccole pronte e in attesa di essere illuminate dallo Spirito Santo per illuminare con il loro insegnamento l'intera creazione ... Erano lì come agricoltori che portano la semente nella falda del loro mantello in attesa di ricevere l'ordine di seminare. Erano lì come marinai la cui barca è legata al porto del Figlio e che attendono di ricevere la brezza dello Spirito.

Erano lì come pastori che hanno appena ricevuto il bastone del comando dalle mani del grande Pastore dell'ovile e aspettano che siano loro distribuite le greggi ... O Cenacolo, nel quale venne gettato il lievito che fece fermentare l'intero universo! Cenacolo, madre di tutte le chiese! Grembo meraviglioso che ha generato templi per la preghiera! Cenacolo che vide il miracolo del roveto ardente! Cenacolo che stupì Gerusalemme con un prodigio ben più grande di quello della fornace che meravigliò gli abitanti di Babilonia! Il fuoco della fornace bruciava coloro che erano attorno, ma proteggeva coloro che erano in essa. Il fuoco del Cenacolo raduna coloro che dal di fuori che desiderano vederlo, mentre conforta quanti lo ricevono. O fuoco la cui venuta è parola, il cui silenzio è luce! Fuoco che fissi i cuori nell'azione di grazie!

Preghiamo. O Dio che hai dato alla tua Chiesa la comunione ai beni del cielo, custodisci in noi il tuo dono, perché in questo cibo spirituale che ci nutre per la vita eterna, sia sempre operante in noi la potenza del tuo Spirito. Per Cristo nostro Signore. Amen.

Il Signore che dona il suo Spirito è con voi. E con il tuo spirito.

Il Signore risorto che alita su di noi il suo Spirito di vita, ci benedica ora e sempre.

Il Signore risorto che invia la Chiesa nel mondo, ci nutra del suo amore per il mondo.

Il Signore risorto che ci dona il Paràclito come sua eredità, ci disseti con il suo Spirito.

Il Signore risorto che è presente nella santa Assemblea, ci sveli il suo cuore.

Il Signore risorto che dona lo Spirito ad «ogni carne», aumenti in noi la fede in lui.

Il Signore risorto che dona lo Spirito nel battesimo, sia davanti a voi per guidarvi.

Il Signore risorto che santifica con lo Spirito, sia dietro di noi per difendervi dal male.

Il Signore risorto che chiama i popoli al monte dello Spirito effuso a Pentecoste, sia accanto a voi per confortarvi e consolarvi.

E la benedizione dell’onnipotente tenerezza del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo discenda su di voi, sui vostri cari e vi rimanga sempre. Amen.

Termina l’Eucaristia celebrata come sacramento e memoriale del Signore risorto, comincia ora la Pasqua della nostra vita come sacramento di testimonianza nella vita di ogni giorno. Andiamo nella fortezza della Spirito di Gesù Alleluia, alleluia.

Ti rendiamo grazie, Signore Risorto, perché resti con noi ogni giorno. Alleluia, alleluia.

Uscita - Veni, Creator Spiritus, Melodia gregoriana

Il Veni, Creator SpiritusVieni, Spirito Creatore è un inno liturgico allo Spirito Santo, attribuito a Rabano Mauro Magnenzio, abate di Fulda e arcivescovo di Magonza (780/784 c. – 856) in epoca carolingia. La versione più popolare è la melodia gregoriana, ma esso è stato musicato da molti musicisti. Anche la cantante italiana Mina ne ha fatto una versione nel disco «Dalla Terra» (2000). L’inno si canta nelle Lodi e nei Vespri della solennità di Pentecoste. E’ l’inno che si canta nell’ingresso in conclave per l’elezione del nuovo papa, per l’ordinazione dei vescovi e dei preti e in apertura di ogni evento ecclesiale importante.

Latino

Italiano

1. Veni Creator Spiritus, mentes tuorum visita,

imple superna gratia quae Tu creasti pectora.

1. Vieni, o Spirito Creatore, visita le nostre menti,

riempi della tua grazia i cuori che hai creato.

   

2. Qui diceris paraclytus, altissimi donum Dei,
fons vivus, ignis, caritas, et spiritalis unctio.

2. O dolce consolatore, dono del Padre altissimo,
acqua viva, fuoco, amore, santo crisma dell'anima.

   

3. Tu septiformis munere, digitus paternae dexterae,
tu rite prossimus patris, sermone ditans guttura.

3. Dito della mano di Dio, promesso dal Salvatore,
irradia i tuoi sette doni, suscita in noi la parola.

   

4. Accende lumen sensibus: infunde amorem cordibus:
infirma nostri corporis virtute firmans perpeti.

4. Sii luce all'intelletto fiamma ardente nel cuore;
sana le nostre ferite col balsamo del tuo amore.

   

5. Hostem repellas longius, pacemque dones protinus:
ductore sic te praevio, vitemus omne noxium

5. Difendici dal nemico, reca in dono la pace,
la tua guida invincibile ci preservi dal male.

   

6. Per te sciamus da patrem, noscamus atque filium teque utriusque spiritum credamus omni tempore.

6. Luce d’eterna sapienza, svelaci il grande mistero
di Dio Padre e del Figlio uniti in un solo Amore.

   

7. Deo patri sit gloria et filio, qui a mortuis
surrexit ac paraclyto, in saeculorum saecula. Amen.

7. Al Padre sia gloria e al Figlio dai morti risorto

e allo Spirito Paràclito, nei secoli dei secoli. Amen.

Appendice Prima

Scheda storica sulla Pentecoste

Pentecoste è nome greco e significa «cinquantina», cioè cinquanta giorni dopo la Pasqua. In ebraico si chiama «Shavuôt» ossia «settimane» perché nella Bibbia (Es 34,22; Lv 23,15-16; Dt 16,9-10) si prescrive di contare «sette settimane» a partire dalla sera del giorno di Pasqua/Pesàch (= 7x7 settimane, cioè 50 giorni). In questo giorno si portava la tempio l’offerta della primizia dell’orzo. Per questo motivo la festa era chiamata anche «Hag ha-Qatsìr» (Festa delle messi; cf Es 23,16) o «Yom ha-Bikkurīm (Giorno [dell’offerta] delle primizie»; cf Nm 28,26). Insieme a Pesah/Pasqua e a Sukkôt/(festa delle) Capanne, Shavuôt è una delle tre feste di pellegrinaggio annuale perché ogni israelita era tenuto a salire a Gerusalemme. Il Talmud la chiama anche con il nome di Atsèret che significa Assemblea solenne (cf Lv 23,36; Nm 29,35; Dt 16,8) che successivamente prese il significato di «conclusione della festa», in quanto Shavuôt venne considerata la festa conclusiva della Pasqua. In origine è festa agricola che nel post esilio, durante la riforma di Giosia del 621, è associata all’evento del Sinai, cioè al «dono della Toràh» (ebr.: Yom mattàn Toràh).

All’inizio del cristianesimo, nella Palestina del sec. I, i cristiani celebravano la Pasqua della morte e risurrezione del Signore Gesù all’interno della Pasqua ebraica, ma essi ritenevano che la Toràh fosse compiuta e attualizzata nell’insegnamento e nella persona del Messia, per cui celebravano la «nuova Pentecoste» come dono dello Spirito del Messia Gesù, effuso come avevano predetto i profeti. Nel secolo IV si comincia a distinguere le feste della Resurrezione, della Ascensione e di Pentecoste, facendone celebrazioni separate. Alla Pentecoste si diede la stessa importanza della Pasqua tanto che in questo giorno si amministrava anche il battesimo. Si inserì anche la veglia notturna simile per solennità a quella pasquale di cui seguiva la schema: in alcune chiese si aggiungeva anche la benedizione e l’esposizione del cero con il canto dell’Exultet. Di questa tradizione oggi resta la Messa della Vigilia con una ricchezza di letture e testi, che purtroppo nessuno più celebra. Lentamente si sviluppò come per la Pasqua anche l’Ottava di Pentecoste che divenne stabile già nel sec. V con Leone Magno.

Durante i secoli X e XI, la festa di Pentecoste veniva scelta per la consacrazione dei Re di Francia. Tra la fine del secolo XI e l’inizio del secolo XII rinasce una particolare devozione allo Spirito Santo. Nel Medioevo latino furono composti i due bellissimi inni: il Veni creator, inno dei Vespri, attribuito a Rabano Mauro Magnenzio, Abate di Fulda e arcivescovo di Magonza, in Germania (780/784c.-856) e la Sequenza Veni Sancte Spiritus, detta anche «Sequenza aurea» composta tra il 1150 e il 1250 da Stefano di Langhton arcivescovo di Canterbury († 1228) o, secondo altri, dal suo contemporaneo Lotario dei Conti di Segni divenuto papa Innocenzo III nel 1198. Nel 1955 Pio XII riformava la settimana santa e della grande e lunga veglia di Pentecoste rimase solo la Messa della vigilia. Nel 1968 la riforma di Paolo VI mantiene la Messa vigiliare, ma arricchita di testi propri.

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© Domenica 8a del Tempo Ordinario – B, Solennità di Pentecoste – Liturgia accompagnata dalla Cappella Musicale Accademia dei Virtuosi della Parrocchia di S. M. Immacolata e S. Torpete. Nota: L’uso di questi commenti è consentito citandone la fonte bibliografica - Paolo Farinella, prete – 27/05/2012 – San Torpete – Genova

NOTE

1  Johann Michael Haydn nacque nel 1737 nel villaggio austriaco di Rohrau, vicino al confine con l’Ungheria, cinque anni dopo Joseph. Il padre, Matthias Haydn, era un musicista dilettante che aveva imparato a suonare l’arpa da autodidatta. Michael, al pari di Joseph, fu corista nella cattedrale di Santo Stefano di Vienna. Poco dopo aver terminato la scuola corale venne nominato maestro di cappella a Gran Varadino e successivamente, nel 1762, a Salisburgo. Mantenne quest’ultimo impiego per quarantatre anni, periodo durante il quale scrisse oltre 360 composizioni sacre e molta musica strumentale. Era amico intimo di Mozart che considerava molto il suo lavoro e insegnante sia di Carl Maria von Weber che di Anton Diabelli.

La Deutsche Messe nacque con l’intento di favorire l’introduzione della lingua nazionale nella musica da chiesa. Della partitura esistono due versioni differenti, ugualmente d’autore. La prima per coro a quattro parti e organo. L’altra con un accompagnamento più nutrito, a rinforzare la parte dell’organo. La Deutsche Messe godette di una certa fortuna esecutiva fin dalla sua prima creazione, come testimoniano gli adattamenti allora in circolazione – per voci maschili a cappella, per tre voci con accompagnamento d’organo, etc. Il testo non intende offrire la traduzione letterale dell’Ordinarium Missae in lingua latina, ma si propone come rielaborazione poetica, peraltro molto debitrici alla tradizione dell’innodia protestante.

L’esempio a cui evidentemente Michael Haydn si ispira è il corale luterano: quattro voci (soprani, contralti, tenori, bassi) che procedono in sostanziale omoritmia, per frasi brevi e regolari, spesso con note ribattute e minimi salti melodici, in modo che la parola risulti sempre ben comprensibile e la melodia piana, genuina, serena: una preghiera sottovoce, pronunciata con il cuore.

2 Sul simbolismo del numero «40», vedi l’introduzione alla liturgia del «Mercoledì delle ceneri A-B-C».

3 Nel Medio Evo, in maniera progressiva, si diffuse l’usanza di chiamare la festa di Pentecoste col nome «Pasqua delle rose». Il colore rosso della rosa ed il suo profumo erano facili simboli delle lingue di fuoco discese nel Cenacolo su ciascuno dei presenti come tanti petali di rosa. Fu questa simbologia ad indurre nella liturgia l’uso del colore rosso non solo per la festa, ma anche per tutta l’Ottava. In questo modo Pentecoste era equiparata alla Pasqua. Durando di Mende (1286-1292) nel suo Rationale divinorum officiorum, prezioso per gli usi liturgici del Medio Evo, annota che nel sec. XIII nelle chiese, alla Messa di Pentecoste, si liberavano alcune colombe volteggianti sopra i fedeli, a ricordo della prima manifestazione dello Spirito Santo sul Giordano e contemporaneamente dalla volta si buttavano sui fedeli batuffoli di stoppa infiammata insieme a fiori, a ricordo della discesa dello Spirito nel Cenacolo (Cf Prosper Guéranger, dom, L’anno liturgico. II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Edizioni Paoline, Alba, 1959, 273).

4 E’ una delle tre feste bibliche di pellegrinaggio (le altre due sono: Pesàh – Pasqua e Sukkôt – Capanne), di origine biblica. Nella Bibbia ebraica Pentecoste ha diversi nomi: «Festa delle [sette] Settimane – Hag Shavuôt» (Es 34,22; Dt 16,10), se si considera la distanza cronologica dalla Pasqua (49 giorni = 7x7); «Festa della mietitura – Hag ha-Katsìr» (Es 23,16), se si considera il tempo stagionale; «Festa delle primizie – Yom ha-Bikkurìm» (Nm 28,26), se si considera il contenuto. In greco diventò la Lxx tradusse correttamente il senso ebraico della festa con «Pentēkostês - cinquanta giorni» dopo Pasqua.

5 Ez 11,19-20: «19 Darò loro un cuore nuovo e uno spirito nuovo metterò dentro di loro. Toglierò dal loro petto il cuore di pietra, darò loro un cuore di carne, 20 perché seguano le mie leggi, e osservino le mie norme e li mettano in pratica: saranno il mio popolo e io sarò il loro Dio». Ez 36,24-27: «24 Vi prenderò dalle nazioni, vi radunerò da ogni terra e vi condurrò sul vostro suolo. 25 Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati; io vi purificherò da tutte le vostre impurità e da tutti i vostri idoli, 26 vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. 27 Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo le mie leggi e vi farò osservare e mettere in pratica le mie norme».

6 Esplicito riferimento ai popoli elencati nella tavola dei popoli di Gen 10,1-37.

7 Sifre Dt 142b; cf Midrash Tannaim 210; per una versione moderna cf L. Ginzberg, Le leggende degli Ebrei, IV. Mosè in Egitto, Mosè nel deserto, Adelphi, Milano 2003, 199-201; le fonti alla nota 181 a p. 320.

8 I due testi in A.C. Avril-P. Lenhardt, La lettura ebraica della Scrittura, Qiqajom, Magnano 19892, 86-87. Allo stesso modo si esprime Ambrogio: «Semel locutus est Deus, et plura audita sunt/Dio parlò una volta sola e furono udite molte [parole]» (In Psalmo LXI, n. 33-34 [PL, XIV, 1180 C]; cf Origene, In Romanis, VII,19 [PG XIV, 1153-1154]; Id., In Lucam, Hom. 34 [PG 199-200]; Agostino, In Psalmo LXI, n.18 [CCL = Corpus Christianorum, series Latina, Turnholti 39, 786]). Per la tradizione secondo cui la terra era abitata da 72 popoli che parlavano 72 lingue (v. tabella dei popoli in Gen 10), cf l’apocrifo cristiano del IV sec. d.C. contenente materiale anche ebraico, molto antico, La Caverna del Tesoro, 24,18, in E. Weidinger, ed., L’altra Bibbia che non fu scritta da Dio, Casale Monferrato 20022, 73).

9 E’ interessante notare che questo termine è molto vicino al termine «ecclesìa/chiesa» che deriva dal greco «ek-kaléō» nel senso proprio di «chiamo/invito da… [Dio]», definendo così anche da un punto di vista semantico l’origine della Chiesa e l’affinità linguistica tra «ek-klesìa» e «parà-klito», perché anche il secondo termine deriva dallo stesso verbo, cambiando solo la preposizione. Sembra che la figura del «paràclito» fosse una figura riconosciuta per la sua dirittura e autorevolezza che tutti gli attribuivano: un uomo il cui giudizio era inappellabile e che pertanto aveva anche una valenza giudiziaria particolare. Quando un uomo veniva accusato, se il «paràclito» si alzava e in silenzio si poneva accanto a lui, la sua testimonianza dirimeva il giudizio che era di assoluzione. La sua presenza era sufficiente a garantire la giustezza della giustizia.

10 Della formula di autopresentazione «Io-Sono» ne abbiamo parlato la Domenica 4a di Pasqua B, riportando nelle note 1-10 tutti i testi relativi da cui emerge che l’espressione nel suo complesso in Gv ricorre 26x.



Giovedě 24 Maggio,2012 Ore: 15:54
 
 
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